Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: vannagio    20/01/2012    3 recensioni
Il gorgoglio dell'acqua che scorreva e riempiva la vasca da bagno era l'unico suono nella stanza. Santiago cominciò a sbottonarsi la camicia, felice di potersi liberare degli indumenti bagnati, ma un leggero fruscio e il tremolare delle ombre intorno a lui lo misero in allerta.
«Non ti ricorda qualcosa questa scena,
querida? È quasi come vivere un dèjà-vu».
[Dedicata a OttoNoveTre, perché mi ha trasformata in una fanghèl isterica e perché questo è un giorno da segnare sul calendario con un bel cerchietto rosso]
[Terza classificata al contest "Ricordi - only Quileute and Volturi", indetto da Palm]
[Il terzo capitolo partecipa all'iniziativa "Latin Lover" indetta dal Collection of Starlight]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alec, Corin, Felix, Nuovo personaggio, Santiago
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Breaking Dawn, Successivo alla saga
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A






Dedicata a OttoNoveTre, che oggi compie gli anni.
Tantissimi auguri, querida!








X-Men 2




Inverno, 2008


Il sole di mezzogiorno faceva risplendere la loro pelle. I riverberi dorati si riflettevano sulle vetrate delle finestre, centuplicandosi e sparpagliandosi sulle pareti, sul soffitto, sul pavimento. Mentre percorreva il lungo corridoio che si affacciava su un giardino a lui molto familiare, Leech aveva l’impressione di annegare in un mare di luce.
Aro camminava al suo fianco, le mani intrecciate dietro la schiena. «Riaverti qui a Volterra è una vera gioia». Il suo sorriso scintillava malizioso.
Leech sorrise di rimando. «Circostanze fortuite mi hanno portato nei pressi di Firenze, così ho pensato che ti saresti offeso se non fossi passato a farti visita». Si concesse una rapida occhiata speranzosa al giardino sottostante.
«Hai pensato bene, mio caro». Aro posò una mano sulla sua spalla. Leech tornò a rivolgergli lo sguardo e lo scintillio del suo sorriso lo abbagliò. «Dubito, però, che tu sia venuto qui esclusivamente per cortesia nei miei confronti, mi sbaglio?».
Leech inarcò un sopracciglio. «Non credo di aver capito a cosa tu ti stia riferendo».
«Accetta il consiglio di un amico molto più vecchio e… navigato: il teatro non fa per te». Aro si lasciò sfuggire un risolino. Probabilmente l’espressione di Leech doveva essere parecchio divertente agli occhi di un osservatore esterno. «Forse non avrò accesso alla tua mente, ma sei praticamente un libro aperto. Credo dipenda dal tuo potere, sai? Appari così come sei, spoglio di qualsiasi mistero, proprio come accade alle persone che ti stanno vicino».
«Leech!».
Si voltarono contemporaneamente.
Di fronte a loro, in fondo al corridoio, era apparsa una figura minuta e scura, tra le mani un libro consumato, aperto più o meno a metà. Si faceva strada nella luce come se stesse nuotando tra le onde. Le ombre seguivano la sua scia, in uno strascico sottile e tremolante.
«Tesoruccio, perdonaci, non ti avevamo visto».
«Nessuno problema, Aro». Corin li raggiunse, sorridente. «È bello rivederti, Leech».
E anche se sapeva che era impossibile - il potere di lei non aveva effetto accanto a lui -, adesso la luce gli sembrava meno impetuosa.
Leech non annegava più: galleggiava placidamente sulla schiena.



Aro si era congedato con la scusa di doveri improrogabili e Corin aveva preso il suo posto nella chiacchierata e nella camminata lungo il corridoio.
«Vedo che non hai abbandonato la tua passione per il romance».
Leech indicò con un gesto del mento il libro che lei si stringeva al petto con fare quasi possessivo. Sulla copertina vi era scritto qualcosa a proposito di un certo Capitano Saramago.
Corin abbassò istintivamente lo sguardo sul libro, poi sorrise. «Dopo cento anni, credo sia quanto meno utopistico sperare che io possa guarire da questa ossessione».
«Allora il mio regalo ti piacerà senz’altro».
Corin sbarrò gli occhi. «Regalo?».
Leech fissò lo sguardo su un punto imprecisato di fronte a sé. «L’ho lasciato in camera». Quando non udì più i passi di Corin al suo fianco, Leech si fermò voltandosi. Corin era rimasta indietro, immobile in mezzo al corridoio. «Non vieni?».
Lei sussultò appena e le sue guance presero a brillare. «Venire… dove?».
Leech aggrottò la fronte. «A prendere il tuo regalo».
«Giusto». Adesso si torturava le mani, gli occhi piantati sulla punta dei piedi. «Il mio regalo. Che è nella tua stanza».
«Esatto».
«Okay».
Leech attese una sua reazione. Spostò il peso del corpo dalla gamba sinistra a quella destra. Poi di nuovo su quella sinistra. Incrociò le braccia al petto. Attese ancora. «Qualche problema, Corin? Se preferisci aspettare qui…».
«No, no». Lo raggiunse rapidamente, la testa infossata nelle spalle, le guance che luccicavano impazzite, e lo superò. «Andiamo, dai».
Leech le fu accanto in un attimo.



Chino sulla sua borsa da viaggio, Leech era sempre più perplesso. Mentre cercava alla cieca il regalo, si rivolse a Corin, che chissà come mai aveva preferito aspettare sulla soglia. «Sei sicura di non voler entrare?».
«Sì, ehm, io…».
Di tanto in tanto si guardava intorno con aria circospetta e un po’ preoccupata. Ecco che si torturava nuovamente le mani.
Leech non poté fare a meno di sorridere. Era così… buffa, e impacciata, per essere una vampira. Forse l’aveva notata fin da subito proprio per questo motivo, quel giorno, nella Sala dei Banchetti. Be’, il suo potere gli aveva dato qualche vantaggio, a dire il vero.
Quando avvertì la familiare sensazione di una superficie liscia sotto le dita, capì di aver trovato quello che stava cercando. Corin era ancora intenta a guardarsi alle spalle, perciò non lo vide avvicinarsi.
«Corin?».
Lei si voltò di scatto, smarrita, neanche fosse stata colta in flagranza di reato.
Senza riuscire a smettere di sorridere, le porse il libro.
Quando le labbra di Corin si schiusero in una O di meraviglia e i suoi occhi divennero quasi lucidi, tanto erano spalancati, Leech si disse che ne era valsa la pena fare tutta quella strada per darglielo di persona.
«Oh, cielo» fu tutto ciò che Corin riuscì a farfugliare. Prese il libro e se lo rigirò tra le mani, quasi fosse un antichissimo cimelio di inestimabile valore. «Il seguito di Vento focoso! Oh, cielocielocielo. Grazie, è un’eternità che lo cerco!». Portò quei suoi occhi così lucidi e sgranati su di lui. «Dove lo hai trovato? Avevo perso le speranze, ormai».
Quelle labbra si muovevano troppo velocemente. Leech si costrinse a deviare lo sguardo su altro. Ma la ciocca che le accarezzava la guancia non era affatto un buon diversivo. «In una libreria di Londra e ho subito pensato a te. Me lo porto dietro da un po’, in effetti». Non resistette: le sistemò la ciocca dietro l’orecchio e nel farlo le sfiorò lo zigomo con il pollice. Lei si irrigidì, ma non si mosse.
«No-non sarai venuto qui solo per questo, vero? Perché se è così, non dovevi disturbarti. No, non posso accettare, mi sento tremendamente in colpa». Accidenti a lei e alla sua parlantina! Leech non si perdeva una mossa di quelle labbra. «Potevi mandarmelo per posta, avrei pagato io le spese di spedizione».
«Delle poste italiane non ci si può mai fidare».
Le si avvicinò di un passo, tanto che lei dovette chinare il capo indietro per guardalo in viso.
«E-esistono i corrieri».
Leech si appoggiò allo stipite della porta con una mano e si chinò di poco su Corin. Il suo odore era leggermente diverso da come lo ricordava, una nota prepotente che non riusciva a identificare. Tuttavia non se ne preoccupò per molto. I suoi occhi erano fissi in quelli di lei, sempre più lucidi e sgranati. E sulle labbra, di nuovo aperte in una O spaventata.
«La verità è che mi serviva una scusa per rivederti».
Sentiva la copertina del libro premere contro il torace, all’altezza dello stomaco, dove le farfalle giocavano a girogirotondo, tanto le era vicino. Troppo vicino. Vicinissimo. A un soffio dalla sua bocca.
Leech si ritrovò ad abbracciare l’aria.



Stava tratteggiando su un foglio il profilo di un viso femminile, quando qualcuno bussò. Leech fissò la porta con un sopracciglio inarcato. Bussare era un eufemismo, l’espressione più azzeccata sarebbe stata sfondare la porta a calci.
Dove erano finite le buone maniere tanto care ad Aro?
«Apri, huevonazo!».
Nella botola con i cadaveri, probabilmente.
Aveva già sentito quella voce dall’accento spagnolo e quell’odore prepotente di tabacco misto a dopobarba. Spalancata la porta, però, Leech faticò a riconoscere il vampiro che gli si parava di fronte.
Moro, alto, massiccio. E incazzato come un serpente a sonagli, a occhio e croce.
«Tu. Io. In palestra. Ahora».
Leech aggrottò la fronte. «Prego?».
Il tizio - come si chiamava? Sancho? Santos? Forse Tajo. Boh! - afferrò Leech per il bavero della camicia, lo strattonò un po’ come se fosse una bambola di pezza, per poi portarselo a una manciata di centimetri dalla sua faccia.
«Non fare lo stronzo caduto dal pero. Hai capito benissimo».
Gli occhi fiammeggianti, la mascella serrata, la cicca schiacciata in un angolo della bocca.
Eh, già. Proprio incazzato nero.
A Leech sarebbe piaciuto sapere il perché, e soprattutto cosa c’entrava lui.
«Vorresti batterti con me?».
«Indovinato, seňor. Hai vinto un sacco di pugni sul muso».
Gli soffiò il fumo in faccia e Leech arricciò il naso, infastidito.
«Ti dispiacerebbe lasciarmi andare, così risolviamo questa faccenda una volta per tutte e posso tornare a farmi gli affari miei?».
Il tizio mollò la presa e sorrise. No, non era un sorriso. Il suo era un ghigno da delinquente. Di quelli che sembrano voler dire “Ho un pugnale con su scritto il tuo nome, amico”. O amigo, nella fattispecie.
«Fai strada?», sbottò Leech.
A quel punto il perché era ininfluente, aveva voglia di menare le mani anche lui.
Il tizio non gli staccava gli occhi di dosso, quel ghigno da assassino sempre stampato sulla faccia. Diede un ultimo tiro alla cicca, la buttò davanti ai piedi di Leech e la schiacciò con la punta dello stivale.
«Sigúeme».



«Leech, no!».
Riuscì a stento a intravedere due occhi d’ebano, lucidi e sbarrati, poi ci furono soltanto un dolore lancinante sotto il mento e centinaia di stelle luccicanti intorno alla testa. Venne sbalzato in aria e finì gambe all’aria contro le corde del ring.
Cazzo, se fa male!
«Ti conviene rimanere concentrato, seňor». Lo stronzo buttò la testa indietro e scoppiò a ridere.
«Santiago, smettila immediatamente!».
Ah, ecco, si chiamava Santiago. Non Tajo.
«Bimba, con te farò i conti dopo. Adesso devo occuparmi di... hijo de puta!».
Questo non te lo aspettavi, eh?
Estrasse il pugno dallo stomaco di Santiago - era bello poter dare un nome a quella faccia di culo -, il quale si accasciò sulle ginocchia senza fiato.
«Adesso chi è che deve rimanere concentrato, amigo?. E la prossima volta che ti azzardi a minacciare Cor- uch!».
«Oh, cielo!».
Santiago sapeva incassare bene, a quanto pareva. E si riprendeva ancora più velocemente.
Era scattato in piedi, gli aveva restituito il pugno allo stomaco e gliene aveva lasciato un altro in omaggio sul fianco destro. Nel giro di tre secondi Leech si era ritrovato carponi, a sputacchiare veleno sul pavimento del ring.
Non stava facendo una bella figura, proprio no.
Da quella posizione Leech vedeva soltanto i capelli, che gli ricadevano scompigliati ai lati della faccia, e i polpacci massicci di Santiago, divaricati davanti a lui.
«Corin non ha bisogno di un huevonazo come te che la difenda, se la cava benissimo da sola». Corin! Doveva dirle di andarsene, quel tipo era troppo pericoloso. «Allora, ti arrendi?».
«Santiago, adesso basta, mi sono stancata!».
Leech si sentì strattonare per i capelli. «Alzati, huevonazo!».
Quando furono nuovamente faccia a faccia, Santiago gli afferrò il mento e lo costrinse a voltare il capo verso Corin.
«La vedi?». Certo che la vedeva. In piedi, sotto il ring, spaventata a morte, le ombre si infrangevano intorno alle sue gambe come onde impetuose e arrabbiate. «Guardala bene e poi dimenticala».
Leech, invece, sgranò gli occhi. «Cristo Santo!».
Ai fianchi di Corin le ombre si erano raccolte in un groviglio indistinto. Crebbero verso l’alto, quasi fino al soffitto, allungandosi in due enormi tentacoli. Corin mosse appena il capo, come per dare il via, Leech e Santiago vennero sollevati a mezz’aria, stritolati dalla morsa di quei cosi neri.
«Se dico che mi sono stancata, intendo proprio mi sono stancata. Sono stata abbastanza chiara, adesso?».
Leech non riusciva a credere ai suoi occhi.
Quella… creatura ammantata d’ombra non poteva essere la stessa Corin che aveva conosciuto due anni prima, non la Corin buffa e impacciata di quella mattina. Gli occhi lucidi si erano trasformati in due furenti buchi neri. I lunghi capelli setosi danzavano sulle sue spalle, sinuosi come serpenti, impalpabili come ombre.
Corin stessa sembrava fatta di pura ombra.
La risata gutturale di Santiago lo riscosse all’improvviso. Leech voltò il capo verso di lui, quel poco che il tentacolo gli permetteva. Il suo sguardo era solo per Corin e sembrava ardere, tanto era intenso.
«Querida, tú eres magnífica!».



Due leggeri colpetti sulla porta socchiusa. «Ehm… si può?».
Leech chiuse la lampo della borsa con un gesto secco. Non aveva voglia di vederla, così continuò a darle la schiena. «Sei già entrata, mi pare».
Ci fu un attimo di silenzio, che sembrò più lungo di quanto non fosse in realtà. Leech prese un respiro profondo per farsi coraggio, ma se ne pentì immediatamente: l’odore di Corin arrivò alle spalle come una coltellata e lo avvolse senza pietà. Finalmente aveva riconosciuto quella nota prepotente che all’inizio non aveva identificato. Per l’ennesima volta si diede dell’idiota per non aver capito tutto subito.
«Sono venuta a restituirti il libro. E a chiederti scusa», farfugliò Corin.
Non doveva voltarsi. Non. Doveva. Voltarsi.
Se si fosse voltato, l’avrebbe vista buffa, impacciata, indifesa, mentre si torturava le mani, e non sarebbe riuscito a rimanere arrabbiato con lei. Invece voleva essere arrabbiato con Corin. Perché non era né buffa, né impacciata, né indifesa. Soprattutto non era libera.
«Il libro era un regalo, e i regali non si restituiscono», ripose. «Alle tue scuse non sono interessato».
«Leech, mi dispiace tanto. Si è trattato di un bruttissimo equivoco. Volevo dirti tutto, te lo giuro, ma Santiago mi ha battuta sul tempo. Mi ha sentita parlare con Chelsea di te e di quello che era successo. Non volevo che finisse in quel modo».
In quel modo, come? Con un tentacolo che gli stritolava le ossa?
Leech chiuse gli occhi e serrò i pugni. Non. Doveva. Voltarsi. «Devo finire di fare le valigie e poi andare a salutare i tuoi signori. Non ho tempo per questo, adesso».
«E più tardi?».
«Neanche più tardi».




Sala Proiezione. Ottobre, 2011


Corin adorava quella scena, le dispiaceva tantissimo per Wolverine e odiava Jean con tutta se stessa, ma non poteva farci nulla: quella era una delle parti che più preferiva del film. Quasi sicuramente la colpa di ciò andava attribuita alla sua irriducibile anima di autrice angst, fatto sta che conosceva tutte le battute a memoria.
Ecco, tra non molto, quella stupida e incompetente di una Jean Grey avrebbe detto…
«Le ragazze flirtano con il ragazzo cattivo, Logan, ma non lo portano a casa». Corin digrignò i denti. «Sposano il bravo ragazzo».
Un brivido le attraversò la schiena, quando il pizzetto di Santiago si strusciò contro il suo orecchio.
«Tu hai fatto esattamente il contrario, non è vero, querida?».
La sua lingua le titillò il lobo e Corin trattenne a stento un gemito.
«Sei ingiusto, Santiago. Ti diverti a farmi sentire in torto». E a torturarmi, soprattutto. «È stato solo un equivoco, lo sai».
La morse sul collo, piano ma abbastanza da farla inarcare contro lo schienale della poltroncina. Alcuni riccioli impertinenti le solleticavano il mento, mentre la bocca di Santiago lasciava baci bollenti lungo la sua gola.
«Intendevo dire che sei stata molto più furba di quella Jean Grey lì».
Da qualche parte, molto più in basso, una mano grande e ruvida si stava intrufolando tra le pieghe della gonna.
Corin conficcò le dita nel legno dei braccioli. «E perché mai sarei più furba?».
«Ahora te muestro, querida».
Oh, cielocielocielocielo! Jean Grey, sei proprio un’idiota.
«Ehi, voi due, se ci tenete tanto ad avere un coito, perché non ve ne andate da qualche altra parte? Qui c’è qualcuno che sta cercando di guardare una maratona cinematografica!».
«Stai zitto, morto di figa. Qui c’è qualcuno che sta cercando di guardare un porno live!».
Santiago scoppiò a ridere, Corin fece scivolare davanti al viso una cascata di capelli, Felix e Alec continuarono a punzecchiarsi per il seguente quarto di film.







____________________







Note dell’autore:
La maratona cinematografica organizzata da Alec continua, signori e signore. I nostri eroi sono arrivati a X-Men 2, dal quale ho estrapolato la citazione di Jean Grey “Le ragazze flirtano con il ragazzo cattivo, Logan, ma non lo portano a casa. Sposano il bravo ragazzo” e che mi ha dato l’idea per il titolo del capitoletto (fantasia mode ON).
Capitolo tutto dedicato a Chiara, che oggi compie gli anni. Tanti auguri a te, tanti auguri a te! Spero che il regalo sia di tuo gradimento. Hai visto che c’è un motivo se Leech fa lo stronzo con Corin tu-sai-dove? ;) La mente del branco colpisce ancora!
Inutile dire che Corin e Santiago appartengono alla sopracitata Chiara, vero? Potete trovare le storie su questi magnifici personaggi raccolte nella serie Vento focoso e passionale sotto le magnolie.
L’idea per questo capitolo è stata gentilmente offerta da Dragana Santa Subito, che mi ha anche betato e che ringrazio millemila volte.
Grazie anche ad Abraxas per lo spagnolo-betaggio.
Alec è un nerd e usa la parola “coito” come Sheldon di Big Bang Theory (per la serie “logica inoppugnabile”).
Credo sia tutto. E mi raccomando, coccolate un po’ Leech: sono stata davvero spietata con lui. *sigh*
A presto, vannagio
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: vannagio