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Autore: atlanta    26/01/2012    1 recensioni
E’ più o meno così che penso si sentano i bruchi prima di diventare farfalle. Vibrano.
E allora si chiedono se non sia il resto del mondo a saltellare su sé stesso davanti ai loro occhi, si stringono nel loro bozzolo, impauriti e confusi, ma la natura ha un richiamo molto più forte delle loro insignificanti volontà. E lì poi è come dover andare a pisciare di notte, puoi tenertela quanto ti pare, rigirandoti nel letto, accoccolandoti tra le coperte nelle pose più strane, ma prima o poi dovrai spiegare le ali e accettare che la tavoletta ghiacciata del cesso è là che ti aspetta. E non puoi farci nulla.
Genere: Drammatico, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi chiamo Ramona. Che nome del cazzo, lo so.
Anzi, no, come dicevano certi miei compagni al liceo, che nome da puttana!
C’è una lunga lista di nomi da puttana e Ramona fa la sua bella figura, ben piazzato in testa alla classifica.
Ramona, Vanessa, Jessica, Jessica con la kappa, Clarissa, Alexandra, Sandra, Brigitta, Pamela, Jennifer, Mirca con la k – giuro di averne conosciuta una! – Katiuscia, Natascia e altre scia varie. E anche Ilaria.
Ma solo perché ho avuto il grandissimo onore di avere a che fare con un’Ilaria che chiamarla puttana era farle un complimento.
Comunque, oltre ai nomi da troia ci sono quelli da suora castigata: Isabella, Clara, Margaret, Bianca, Margherita, Lisa.
 
No, mettiamolo subito in chiaro: non ho niente contro questi nomi, assolutamente, solo che qualche tempo fa ripensavo ai miei anni al liceo, appunto, e non ho potuto fare a meno di soffermarmi sul ricordo di queste liste. I ragazzi spesso, soprattutto in seconda o in terza superiore, quando l’ormone della crescita schizza alle stelle e tutti impazziscono, si affidavano a questi pregiudizi sui nomi.
Mmm, si chiama Lucia. E’ un nome troppo da suora. Le farà le pompe?
Poi parlavano di queste cose, ma probabilmente erano più puri e casti loro di molte ragazze della loro età.
 
Comunque, dicevo che Ramona è un nome da puttana.
Non che io lo sia, perlomeno, non mi sento una puttana. Perché, io la vedo così, non si è delle puttane finché non ce lo si sente addosso.
Ho conosciuto tantissime troie nella mia vita, troie con la T maiuscola, di quelle che oltre a vendere il corpo, vendevano anche l’anima. Anzi, forse ne ho conosciute di più che mettevano in vendita la loro dignità, la loro sostanza diciamo, di quante ne ho viste battere sui viali.
E di puttane vere ne ho conosciute veramente tante.
Qualche anno fa avevo preso l’abitudine di parlare con loro la sera, tornata a casa da lavoro. Mi fermavo sul viale vicino a casa mia e scambiavo due parole.
C’era una tale Alessia – dopotutto, come il vestito non fa il monaco non lo fa nemmeno il nome! – che, accidenti, quella era una donna con le palle.
E non sto cercando di fare ironia sul fatto che molto spesso le prostitute hanno anche la sorpresa, parlo sul serio.
Alessia è forse la donna più intelligente che io abbia mai conosciuto. Ora so cosa dirà qualcuno: ecco, lo stereotipo della puttana che non è puttana e che mentre succhia il cazzo di qualche sconosciuto partorisce pensieri filosofici sull’amore platonico e sulla felicità interiore.
Forse sarà anche uno stereotipo – che poi non è vero, penso che, mediamente, siano più gli uomini che partono dal presupposto che una donna che vende il suo corpo sia stupida, rispetto a quelli che pensano il contrario, ma diciamo che una puttana intelligente, magari innamorata, in attesa dell’happy ending sarebbe l’eroina perfetta per un romanzo o per un film e questo la renderebbe automaticamente banale e scontata –, ma ciò non toglie che Alessia fosse una donna intelligente. Forse fin troppo intelligente.
Lei navigava nella merda splendidamente.
Non aveva la patina poetica di un personaggio romantico, ma era dannatamente esperta della vita.
Tra l’altro, obbiettivamente, era anche molto bella, anche se rovinata dal suo lavoro: una sera, mentre chiacchieravamo alla luce giallognola dei lampioni, mi sono soffermata sulle sua mani.
Erano le mani di una lavoratrice, comparabili a quelle di una contadina. Aveva dei solchi sul dorso, simili a dei tagli, ma meno profondi, forse erano rughe, calli, non ne ho idea.
Ricordo solo che rimasi molto colpita da quel particolare. Quelle mani parlavano del mestiere più vecchio del mondo come noi parleremmo del lavoro che fanno un operaio o una cassiera.
 
Penso che le prostitute siano sottovalutate molto spesso. Ci vuole un gran coraggio per vendere il proprio corpo e per saperlo fare bene, credo.
Poi, togliamo il fatto che la maggior parte di loro, come Alessia, sono costrette a farlo, ma, di loro volontà oppure no, ci sono quelle che il loro mestiere lo sanno fare bene, quelle che se la cavano e quelle che, le vedi, sono state sbattute su quel marciapiede senza arte né parte.
 
Quelle che sanno fare le prostitute sul serio sono diverse, glielo leggi negli occhi.
Alessia era così. Era una donna molto profonda. E ancora, non sto cercando di fare bassa ironia, parlo seriamente. Era spavalda, ma con l’umiltà che deriva dall’esperienza di una vita difficile. Quando cercava di accaparrarsi un cliente lo faceva con sfrontatezza, consapevole che quello sarebbe potuto essere l’uomo che gli avrebbe pagato parte dell’affitto di quel mese, ma senza mai mancare di riservare una lunga occhiata al suo viso.
Non che si tirasse indietro se gli pareva di avere a che fare con un poco di buono, come si dice?, rischi del mestiere e, in ogni caso, non poteva permettersi di fare la schizzinosa.
 
Alessia mi ha insegnato molto. Non è stata l’unica puttana con cui io abbia avuto contatti e non posso di certo definirla un’amica, dubito che comunque, se anche lo facessi, lei mi restituirebbe il favore. Alessia non ha amici, per esempio.
Il concetto “amica di tutti e di nessuno” non l’avevo mai capito prima di incontrarla. E’ un po’ come “donna di tutti e di nessuno”.
Alessia era la donna di tutti, ma la moglie di nessuno, la fidanzata di nessuno, la scopamica di nessuno. Alessia aveva una dignità non calpestabile, immacolata e vergine, come lei non era più da tempo.
Questo bastava per renderla una persona degna di stima davanti ai miei occhi.
 
Ogni volta che mi intrattenevo a chiacchierare con lei mi sentivo un po’ puttana anche io.
Stavo lì, su quel marciapiede, freddo a gennaio e freddo ad agosto, nessun termometro avrebbe potuto misurare la temperatura che si respirava su quel marciapiede, a notte fonda.
Era come stare nel deserto. Hai fame, sete e devi andare in bagno, ma attorno a te non c’è niente, non ti puoi distrarre, nel nulla perpetuo è facile lasciarsi sfuggire l’occasione per salvarsi.
Nel deserto poi di giorno fa caldo. Come nelle grandi metropoli, fa sempre caldo perché le persone si schiacciano le une addosso alle altre, come fanno i pinguini.
La notte invece c’è il vuoto. E allora fa freddo.
 
Non ho mai sentito così tanto freddo come quelle sere, accanto ad Alessia, che però sembrava sempre lontana, come risucchiata dalla sua realtà parallela.
 
Ogni tanto gli uomini lanciavano qualche occhiata anche a me, li vedevo fare gli occhi da lumaca, come diceva la mia professoressa delle medie: tenevano la testa diritta, verso la strada, e poi stiracchiavano lo sguardo verso di me, piegandolo e stortando gli occhi all’inverosimile.
Poi se ne andavano senza una parola.
 
La verità è che io non ho nulla della prostituta. Non ho lo sguardo sfrontato e non ho il coraggio.
Me lo si legge in faccia che non è il mio mestiere.
Della puttana ho giusto il nome.
  
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