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Autore: Elos    28/01/2012    8 recensioni
La guerra è finita. Mentre il Mondo Magico cerca di rimettersi in piedi dopo cinque anni di battaglie e morti, i sopravvissuti sono lasciati a convivere con il peso di tutte le cose che sono andate irrimediabilmente perdute.
Da Londra ad Hogwarts, ha inizio un viaggio attraverso lo spazio e la memoria per rimettere insieme i pezzi di una storia d'amore mai iniziata.
Prima classificata all'[Auror Contest]Rabbits on the run indetto da patronustrip.
Genere: Drammatico, Guerra, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Luna Lovegood, Ron Weasley, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VI libro alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Undici giorni verso Hogwarts' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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2. wasted days
25.06
12:37:05 A.M.


C'era un elenco di cose che non avrebbe rifatto, se gli fosse stata la possibilità di tornare indietro e di fare scelte diverse, un elenco che sembrava dipanarsi di fronte a lui come una strada infinita di disastri commessi.
Se avesse potuto tornare indietro non avrebbe mai messo piede nel Dipartimento dei Misteri. Non avrebbe mai lasciato da parte il regalo di Sirius – e l'avrebbe scartato mesi prima. Non avrebbe mai cercato di guardare oltre la porta chiusa che incombeva nei suoi sogni.
Il silenzio di Grimmauld Place pesava come una coltre di polvere e desolazione sulle sue spalle. Cacciò una manciata di maglie nello zaino, ficcò sulla sommità del mucchio l'unica giacca pesante che possedesse e lottò con le cinghie per cercare a chiuderle. Non era mai riuscito ad afferrare il delicato movimento del polso che consentiva ad Hermione di mettere tutto in valigia ordinatamente, ed adesso non avrebbe avuto mai più occasione di farselo insegnare.
Se avesse potuto tornare indietro non avrebbe risparmiato Minus. Gli sembrava un gesto sciocco e infantile e... ed egoista, visto da questo lato della guerra, egoista, inutile, uno spreco. I suoi scrupoli avevano impedito a Sirius di essere un uomo libero. I suoi scrupoli avevano permesso ad Hermione di morire. Gli scrupoli di Harry si erano lasciati una scia di cadaveri alle spalle – ed aveva le mani tanto sozze di sangue, adesso, che il pensiero di avere avuto un tempo pietà di un assassino gli sembrava incredibile e irragionevole. Quella che era appena finita era stata una guerra, Dio santo. Cosa s'era aspettato, di uscirne fuori intatto? Pulito?
Fece per chiudersi la porta della camera alle spalle ed esitò, lì, con la maniglia stretta tra le dita. Sul battente di legno Ginny aveva appeso in giorni più calmi una striscia di carta con su scritto Stanza di Harry. Era stata la stanza di Sirius: aveva ancora poster di ragazze Babbane appese alle pareti, e scaffali pieni di cose che parlavano di una vita vissuta venticinque anni prima.
Tutto quel che Harry possedeva era entrato in due cassetti e per portarlo via bastava uno zaino, ora; la sua Firebolt era finita bruciata in una delle case dell'Ordine dopo uno scontro con i Mangiamorte, i suoi libri di scuola erano stati buttati via quando era iniziata la guerra e c'era stato bisogno di spostarsi rapidamente da un nascondiglio all'altro, perché nessun posto era veramente sicuro. I vestiti di Harry – i vestiti di Dudley – erano pochi, logori e lisi e vecchi. Harry non aveva mai pensato a comprarsene altri: non aveva mai avuto davvero importanza, prima. Non aveva davvero importanza adesso.
Hermione gli aveva spesso chiesto perché, ma Harry non aveva mai saputo cosa risponderle. Non aveva mai voluto raccontarle dei Dursley, del ripostiglio sul quale una volta era stato scritto stanza di hary, con le lettere tutte minuscole e una r rovesciata al contrario, di tutto quel che di schifoso e sporco l'aveva aspettato al suo ritorno a casa, tutte le estati, un'estate dopo l'altra. Quello non l'aveva mai raccontato ad Hermione. Era stato il suo segreto.
Se avesse potuto tornare indietro non ci sarebbero stati segreti tra lui ed Hermione. I segreti erano stati come muri. Forse i segreti l'avevano uccisa, Hermione che sapeva tutto, forse quel che non sapeva era stato la sua morte.
Se avesse potuto tornare indietro...
Scrisse una lettera per Ginny, una per Remus ed una per la McGranitt. A nessun altro sarebbe importato, si disse. Le lasciò impilate con cura sulla scrivania, dove prima o poi qualcuno sarebbe passato, le avrebbe trovate e le avrebbe lette.
Fece per uscire, ma poi ci ripensò. Prese un quarto pezzo di pergamena, e ci scrisse sopra solamente:

Mi dispiace per tutto.



Lo indirizzò a Luna. Luna avrebbe capito.
Si chiuse la porta della stanza alle spalle e gli sembrò di chiudersi dietro, così, tutta una vita.



Le strade di Londra erano quiete e ventose, il cielo di Londra aveva il grigio azzurrato delle estati incerte d'Inghilterra, con nuvole e sole insieme. La gente portava magliette leggere e l'ombrello sottobraccio: alcuni avevano impermeabili di plastica colorata gettati sulle spalle, facendo passare inosservati nel mezzo della folla gli sporadici mantelli variopinti di un mago o di una strega. Era strano che il mondo fosse così, ora, ancora beatamente ignaro di trovarsi rimescolato, ancora lievemente sorpreso di scoprirsi ancora vivo, ancora intero, dall'altro lato di una guerra che era stata orribile e orrenda, ma che avrebbe potuto andare peggio. Avrebbero potuto morire tutti. Avrebbero potuto perdere, venire sconfitti, finire massacrati. Prima o poi qualcuno avrebbe tirato fuori la questione della Segretezza, e di come fosse importante che Maghi e Babbani vivessero le loro vite in due mondi separati – ma questo non era più un problema di Harry. Niente era più un problema di Harry.
Aveva sprecato i giorni e gli anni in attesa dell'ultima battaglia: l'ultima battaglia sarebbe stata la cosa più importante della sua vita, non avrebbe mai fatto nulla di più importante di quello, né prima, né poi. Era la sua vita. Era il suo destino: qualcun altro ne aveva parlato, qualcun altro lo aveva descritto, ed Harry ci era vissuto in mezzo. Tutto il suo mondo aveva ruotato attorno a quel pensiero, l'ultima battaglia, e il vuoto divorante che era il posto che i suoi genitori avrebbero dovuto occupare, se le cose fossero andate diversamente, che Sirius avrebbe dovuto occupare, se lui non fosse stato così stupido, ebbene, quel vuoto sembrava sanarsi solo al pensiero che un giorno tutto sarebbe finito.
L'ultima battaglia era arrivata. Tutto era finito: la fine del mondo non gli aveva portato alcun sollievo, tuttavia, ed Harry adesso si sentiva defraudato. Fatto, finito. Non aveva più uno scopo, ed Hermione era morta.
Per qualche strana, confusa ragione, i due pensieri sembravano mescolarsi inscindibilmente, come rami d'edera, germogliando nel nulla desolato che sembrava occupare adesso la sua cassa toracica.
Tutto quel tempo sprecato, pensò, e adesso aveva il vuoto nel cuore.
Se avesse potuto tornare indietro non avrebbe gettato al vento neanche uno di quei giorni, neanche quelli più brutti, atroci, infangati dai ricordi cupi e dalle cose orribili che aveva visto e commesso. Se avesse potuto tornare indietro avrebbe custodito con amore geloso ogni attimo che aveva avuto: non aveva capito allora quanto fossero preziosi – ma adesso lo sapeva - perché in ciascuno di quei giorni Hermione era stata viva. Aveva respirato. L'aveva avuta accanto – aveva potuto toccarla, parlarle.
La nostalgia di Hermione era come una mancanza continua. Gli spezzava il fiato.

Per raggiungere King's Cross gli occorse quasi tutta la mattinata: aveva un'idea vaga della direzione da prendere e dei mezzi che servivano per arrivarci, ma sembrava che tutte le linee della metropolitana si intrecciassero, che i bus non fossero dove avrebbero dovuto essere. Si perse e dovette chiedere informazioni ad una Babbana che lo guardò e non lo riconobbe: era famoso anche tra di loro – almeno per ora – ma non abbastanza, pareva.
Cominciò a piovere. Harry si fermò per togliere l'impermeabile dalla borsa e gettarselo sulle spalle e sullo zaino; sarebbe bastato un Impervius a metterlo al riparo, ma la bacchetta riposava al sicuro in una tasca e stamattina lui era un Babbano come tutti gli altri. Le gocce d'acqua, tamburellando lievi sulla plastica, scandirono il ritmo dei suoi passi. Camminando a testa bassa, si ritrovò davanti a King's Cross quasi senza accorgersene: e avrebbe potuto pensare di esserci arrivato Smaterializzandosi senza badarvi, ma la schiena gli faceva male, aveva le gambe stanche. Madama Chips si sarebbe arrabbiata se avesse scoperto che aveva lasciato l'ospedale così presto, ma anche Madama Chips riposava sotto la terra bagnata, adesso, e non poteva più arrabbiarsi con nessuno.
Comprare un biglietto per Newcastle gli portò via quasi un terzo del contenuto del suo portafoglio: mentre contava le sterline, accumulandole sul bancone, si chiese se quel che restava gli sarebbe bastato. Avrebbe dovuto dormire per strada. Stare attento a quel che mangiava, se non voleva rubare. Come l'avesse sentito, il suo stomaco si svegliò e provò a brontolare cautamente: Harry gli assestò un colpetto distratto per ammutolirlo e lo ignorò.

Quando il capotreno fischiò passando davanti ai vagoni chiusi, l'interno del vetro sporco e opaco dello scompartimento che mostrava il riflesso del suo viso come una patina sovrapposta al mondo fuori da lì, la stazione dai treni gialli e dal soffitto di vetro e dai Babbani frettolosi, ignari, Harry vide il segnale del Binario 9 e ¾ svettare al di sopra di un muro di mattoni.
Dovette chinare il capo ed affondare la faccia tra le mani per non vederlo, perché bastava... bastava guardarlo per pensare e ricordare, e perché il cuore sembrasse cercare di esplodergli nel petto. Aveva diviso cioccolata e figurine con Ron in uno scompartimento deserto. Aveva visto la chioma arruffatissima di Hermione arricciarsi attorno al nasino appuntito e orgoglioso dei suoi undici anni, al suo sorriso di tredicenne, alle sue spalle curve sotto il peso dei libri, sottili, come il suo collo snello e bianco.
In confronto a tutto quel dolore, la Cruciatus era niente.
Se fosse riuscito piangere si sarebbe sentito meglio, magari: ma la capacità di piangere sembrava essere morta assieme a tutto il resto, alle risate e alla gioia lieve e frizzante che ricordava vagamente di aver provato, qualche volta, molto tempo prima, morta assieme al desiderio straziante per le mani chiare di Hermione – Hermione che adesso non c'era più.

Se avesse potuto tornare indietro, pensò Harry per un istante, mentre il treno partiva con un sobbalzo stridente e il segnale del Binario 9 e ¾ si perdeva dall'altra parte di uno scompartimento fermo sui binari, forse avrebbe chiesto di poter morire con i suoi genitori.
Da morto si sarebbe sentito meglio, magari.





Note del capitolo:La canzone di questo capitolo è London. La fotografia è tratta da qui: a Londra hanno deciso che avere un vero binario 9 e 3/4 forse non era poi un'idea malvagia. La forma di questo capitolo è l'anafora: alcune frasi scelte e ripetute determinano il ritmo del brano.
Un grazie di cuore a tutti voi che mi avete lasciato un'opinione. Ne approfitto per esultare un po' anche qui, perché la one-shot che costituisce il seguito e un punto di vista alternativo di questa storia, ossia Il tempo che occorre, è arrivata prima al concorso Le tragedie greche indetto da Ray08. Salvo incidenti, sarà online il 31 marzo, credo.
  
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