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Autore: Luna95    29/01/2012    8 recensioni
“Lascerete questa vita alle vostre spalle; vale la pena salvarvi?”
Gwen cercò di ignorare la strana sensazione… eppure c’era qualcosa. Lo percepiva sotto la pelle, scorreva nelle vene, la corrodeva dall’interno; era qualcosa d’invisibile, di spaventoso… e lei non poteva fermarlo.
Fu un momento: in un sobbalzo prese il cuore e lo tenne stretto nella sua morsa dolorosa; poco dopo anche i polmoni sembrarono riempirsi di ghiaccio.
Il respiro divenne affannoso, la vista iniziò ad annebbiarsi; con un ultimo spasimo Gwen voltò la testa e si accorse che anche Heather ansimava violentemente, spaventata quanto lei.
Le gambe di Gwen ormai tremavano, le forze le iniziarono a venir meno… le mani di Duncan furono le ultime cose che sentì: il buio dei sensi la inghiottì subito dopo.
[...]
Un segreto, un'illusione, qualche grammo di veleno; la storia è iniziata così...
Genere: Dark, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Gwen, Heather
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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<< Non se ne parla! >> ruggì Alejandro, con gli occhi spalancati << Non uscirai di qui, non m’importa se senti di dover andartene… qui si tratta di salute, Heather, non ho intenzione di transigere su questo… >>

<< Nemmeno io >> replicò Heather, lapidaria. << Non rimarrò in ospedale a farmi iniettare acqua fisiologica, non sono stupida. Se dovrò morire, succederà nel mio letto. Mi sono spiegata? >>.

Alejandro si trattenne a stento dallo schiaffarsi una mano in fronte; con Heather qualunque discussione sarebbe stata una battaglia persa sin dal principio.

 

**

 

La dottoressa Cuddy, il capo dell’ospedale dov’erano ricoverate le due ragazze, per la prima volta non sapeva che cosa fare; rigirò ancora una volta la minacciosa lettera tra le mani per poi firmare, un po’ perplessa, l’autorizzazione del rilascio di Gwen Fahlenbock e Heather Wilson.

Lanciò un ultimo sguardo sospettoso alla lettera; forse avrebbe potuto far uscire le ragazze dall’ospedale, ma di certo non fermare House.

 

Sorrise, scettica: se Gregory House si fosse impuntato su quel caso, nessuno avrebbe potuto dissuaderlo dall’intervenire. Neanche lei. Neanche lui.

 

**

 

Il giorno dopo, molto prima che i timidi raggi del sole s’insinuassero tra le pieghe delle persiane bianche, le valigie di Gwen e Heather facevano bella mostra di sé sul letto dove prima giacevano le loro proprietarie, accuratamente impacchettate da una perplessa infermiera e dai ragazzi, le cui espressioni erano a dir poco furiose.

<< Che cosa diavolo ti frulla in testa, Gwen? Credevo che almeno tu avessi un po’ di sale in zucca, santo cielo! >> sbraitava Trent da almeno mezz’ora, << Tu stai male! Entrambe state male, e ti dirò di più: potreste rimetterci anche la pelle! Per tutti i santi, Gwen, mi stai ascoltando? >>.

La diretta interessata, in realtà, aveva mantenuto un’espressione neutra durante tutta l’eterna sfuriata di Trent: il suo volto cinereo non mostrava alcun segno d’interesse o di reazione.

<< Sì. >> asserì semplicemente, stringendo in una linea sottile le labbra pallide e, stranamente, prive di rossetto colorato.

<< E allora si può sapere perché non rinsavisci? Posso capire la testardaggine di Heather, sarà uno dei suoi soliti colpi di testa, ma mi stupisce la tua completa mancanza di buonsenso! Duncan, diglielo anche tu! >> ringhiò il chitarrista, ancora furioso: Gwen realizzò, ascoltando una vocina flebile nella sua testa, che probabilmente Trent non si era mai arrabbiato tanto prima d’ora.

 

Il punk fece una smorfia pensierosa, quasi buffa.

<< No. Se vuole uscire, va bene: a quanto ho capito non le stanno somministrando alcun farmaco, giusto? Che differenza fa se rimane qui o se torna a casa? >>.

Trent serrò le labbra e sgranò gli occhi, impietrito.

Era una congiura, quella? Si vedeva costretto a desistere; << Va bene >> sospirò tristemente << ma al primo malore torneremo immediatamente. Chiaro? >>.

Gwen si limitò ad alzare un sopracciglio, vagamente divertita: Trent proprio non ce la faceva a sembrare autorevole, neanche ne andasse della sua stessa vita.

<< Andata >> acconsentì, scrollando le spalle magre.

D’altronde, che differenza avrebbe fatto?

 

***

 

 

Alejandro sospirò profondamente per raccogliere tutta la pazienza che gli era rimasta in corpo.

<< Heather, querida, luce dei miei occhi… ti prego, ripensaci. Hai tutta l’aria di chi sta per svenire da un momento all’altro. >>

La ragazza lo fulminò con lo sguardo, sillabando chiaramente, senza bisogno di parole, che non aveva alcuna intenzione di ascoltarlo.

L’ispanico si passò una mano sulla faccia, esasperato, cercando inutilmente di contenere la disperazione.

<< Voglio tornare a casa. Adesso. >> la voce di Heather, seppur vagamente afona, pronunciò quelle poche parole con il tono imperioso di chi è abituato a comandare: sapeva che Alejandro l’avrebbe accontentata anche quella volta.

 

**

 

 

La macchina percorse il vialetto ben lastricato della villa, frenando dolcemente per parcheggiare: dall’auto sportiva scesero Alejandro e, da lui sorretta, Heather, che esibiva un’espressione di palese e profonda irritazione.

Il finestrino del conducente si abbassò, rivelando la slanciata figura di un ispanico, di circa ventitré anni, che guardava Alejandro con aria piuttosto preoccupata.

<< Ehi, Al, la chica non ha una bella cera. >> disse << Vuoi che ti aiuti o resto qui? >>.

Alejandro ebbe un fremito involontario, ma non aveva tempo per rimproverare il fratello per l’odioso soprannome.

 

<< No, Carlos, me la cavo da solo. Resta qui. >> rispose, distratto da Heather che bussava alla porta d’ingresso di casa sua con nervosa debolezza.

Gli occhi di Carlos, di un castano caldo e rassicurante, si adombrarono sotto il peso di un cipiglio inquieto.

<< Okay, ma chiamami, se serve aiuto. >> borbottò, ma le sue parole si persero tra il suono secco del finestrino che si chiudeva e il frastuono insopportabile dei pensieri di Alejandro.

 

**

 

<< Oh, cara >> esalò Margaret Wilson, quasi incredula nel vedere la figlia e poterla finalmente stringere tra le braccia << Heather… tesoro… >> le parole le morivano in gola e le lacrime premevano dolorosamente per uscire, incastrandosi tra le ciglia come piccoli cristalli.
Sua figlia, che i medici avevano dichiarato morta e, dopo poche ore, miracolosamente resuscitato, stava in piedi davanti a lei, cerea come un fantasma, tanto che la madre dubitò dei suoi occhi: una triste vocina nella sua testa le suggeriva che poteva essere solo l’immagine di Heather, la stessa pallida figura che aveva sognato con la disperata forza di una madre che ha perso la figlia.

 

<< Ciao, mamma >> la voce di Heather fu lieve e fioca, ma per la madre era più che sufficiente per convincersi che era davvero sua figlia, la ragazza pallida che si reggeva appena in piedi, e non l’ennesima ombra distorta della sua mente.

Margaret regalò uno dei suoi rari sorrisi al ragazzo ispanico che sorreggeva Heather, e si scambiò con lui uno sguardo carico di gratitudine; non ci fu bisogno di parole.

Angolo Autrice

Ehm ehm... buonasera! :D perdonate il lieve ritardo, ma ho dei problemi con il pc che, purtroppo, non so quando potranno essere risolti... perciò spero perdonerete la mia assenza forzata, è a causa di forza maggiore ^^''

Ma non temete, in qualche modo riuscirò ad aggiornare :)

Vi lascio con l'ennesimo capitoletto insapore in attesa di più interessanti scene (che ho già scritto, of course, e saranno online a breve... spero) e corro a rispondere alle vostre recensioni!

Ringrazio tutti i lettori! Un bacio, Luna.

   
 
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