Capitolo
tre
Scorpius
si fece vivo il giorno dopo la visita di Lily. Gli mandò un
messaggio tramite
il suo gufo grigio, chiedendogli se avesse voglia di incontrarlo per
parlare un
po' di ciò che era successo quella volta.
Albus accettò di vederlo, non
senza una sorta di timore rabbioso addosso, e gli diede appuntamento al
fine
settimana successivo, il primo di novembre, perché fino ad
allora il lavoro al
Ministero l'avrebbe assorbito completamente.
Il
sabato mattina, quando Albus si svegliò, il suo naso
captò subito il profumo di
caffè appena fatto che arrivava dalla cucina. Si
infilò svogliatamente un paio
di pantaloni - di una tuta, probabilmente - e scese dal letto infilando
i
piedi gelidi nelle pantofole, poi si diresse verso la stanza ancora
assonnato
ma con la mente abbastanza lucida.
Scorpius
stava versando il caffè e del latte in due tazze, incantate
per mantenere alta
la temperatura dei liquidi, e sul tavolo dava bella mostra di
sé un sacchetto
di carta con il logo di una pasticceria che il padrone di casa
conosceva bene.
Albus si sedette sulla prima sedia che gli capitò a portata
di mano, allungando
le gambe e trattenendo a stento uno sbadiglio quando si rese conto che
era
ancora incredibilmente presto per i suoi standard: l'orologio appeso
alla
parete segnava le otto e un quarto, la lancetta dei secondi ticchettava
e
andava avanti dolcemente, come se volesse ipnotizzarlo e convincerlo a
tornare
a letto.
–
Merlino, Al, non ti avevo sentito arrivare, –
esclamò Scorpius, tentando di
tenere il tono più basso possibile nonostante la sorpresa di
trovarselo alle
spalle senza aver avvertito in alcun modo la sua presenza: sapeva che
ad Albus
dava fastidio sentire la gente parlare a voce alta già di
prima mattina, lo
faceva innervosire così tanto da rovinargli completamente
tutto il resto della
giornata - sin da quando erano piccoli. – Buongiorno,
comunque, pensavo stessi
ancora dormendo.
–
Infatti, – bofonchiò Albus senza riuscire a
trattenere l'impulso di sbadigliare
ancora una volta. – Mi ha svegliato l'odore del
caffè.
Scorpius
accennò un sorriso, porgendogli una tazza e sedendosi
accanto a lui.
–
E io che volevo portarti la colazione a letto, –
mormorò un po' imbarazzato,
fissando la superficie marroncina del liquido caldo che riempiva la sua
scodella
senza trovare il coraggio di guardare l'amico.
–
Non penserai davvero che basterebbe una cosa del genere per farti
perdonare,
vero? – domandò Albus un po' stizzito, ingollando
un lungo sorso di
caffellatte.
–
No, non lo penso, – ribatté Scorpius prendendo il
sacchetto di carta e, dopo
avergliene mostrato il contenuto, lo esortò a prendere un
croissant. – So che
ti piacciono, li ho comprati nella pasticceria qui all'angolo; una
volta mi hai
detto che erano i migliori di tutta Londra.
–
Lo sono.
Rimasero
entrambi in silenzio, l'uno ancora troppo stanco per poter
intraprendere un
discorso serio e l'altro troppo nervoso per poter parlare senza
balbettare per
la tensione come non gli capitava da anni, finché Albus non
si portò alla bocca
il croissant e diede il primo morso. Masticò un paio di
volte, poi si bloccò
all'improvviso, avvertendo sulla lingua il sapore dolce e amaro del
cioccolato
fondente.
–
Perché? – domandò stupito, voltandosi
verso l'altro, senza davvero aspettarsi
una risposta: quella parola gli era sfuggita prima che potesse
rendersene
conto.
Scorpius
comprese e sorrise appena, allungando una mano fino ad accarezzargli il
labbro
superiore con un dito, ripulendolo delle tracce di zucchero a velo e
cacao in
polvere che lo sporcavano.
–
Volevo festeggiare, Albus, – mormorò Malfoy,
arrossendo suo malgrado - uno dei
peggiori difetti dell'avere la carnagione molto chiara. – Con
te.
Potter
deglutì a fatica, il croissant al cioccolato ancora
sollevato a mezz'aria a
pochi centimetri dal volto.
–
Cosa volevi festeggiare con me? – chiese con la voce
leggermente arrochita.
Temeva la risposta che l'altro poteva dargli, ma allo stesso tempo la
sua
fantasia aveva cominciato a galoppare, portandolo a sperare qualcosa
che fino
al giorno prima non aveva nemmeno osato immaginare.
–
Rose ed io... – Scorpius ingoiò a vuoto, cercando
le parole giuste. Gli occhi
verdi dell'altro erano sgranati, dietro le lenti degli occhiali, le
pupille
molto più dilatate del normale, le labbra rosee appena
schiuse, in attesa: Malfoy
pensò di non aver mai visto nulla di più bello
del viso di Albus in quel
preciso istante. – Rose ed io abbiamo rotto il fidanzamento,
– annunciò infine
senza distogliere lo sguardo e, anzi, cercando di cogliere ogni minima
sfumatura delle espressioni che si susseguivano sul viso dell'amico.
Albus
spalancò ancora di più gli occhi, lasciando quasi
cadere il dolce a terra, e
sentì chiaramente il suo volto surriscaldarsi; si diede
dello stupido - anche
se aveva lasciato Rose non era detto che Malfoy fosse deciso ad
impegnarsi con
lui, anzi - per la serie di immagini che il suo cervello aveva prodotto
contro
la sua volontà.
–
Perché? – domandò ancora una volta,
senza riuscire, di nuovo, a trattenersi.
–
Una fatina con i capelli rossi mi ha fatto capire quanto fossi ingiusto
con te,
con Rose e con me stesso negando i miei sentimenti e cercando di
nasconderli, –
sorrise Scorpius, un lampo di divertimento negli occhi celesti quando
in quelli
di Albus lesse la gratitudine verso la sorellina - sì, Lily
non riusciva mai a
farsi gli affari suoi, non poteva essere che lei. – Mi
dispiace tanto, Al, –
continuò poi, tornando serio.
Era
una situazione paradossale, Albus si sentiva come se entrando in cucina
un
mattino avesse trovato le pareti chiare dipinte di rosso - la sua mente
continuava a proporgli immagini demenziali.
–
Io... – mormorò, abbassando gli occhi fino a
posargli sul croissant pressoché
intatto che teneva ancora in mano. Lo posò su un piattino
pulito che Scorpius
aveva fatto levitare poco prima sul tavolo, senza distogliere lo
sguardo. – Non
so cosa dire, – confessò. Era vero: aveva sognato
ad occhi aperti quel momento
per mesi, ma viverlo davvero era tutta un'altra cosa. Sentiva la lingua
incredibilmente pesante, non trovava le parole per esprimere quello che
stava
pensando.
–
Non importa, – disse Scorpius, arrossendo ancora -
maledì un paio di volte i
suoi geni - e prendendo a guardare a sua volta, con insistenza, il
croissant di
Albus. – Non voglio che ti senta in imbarazzo per qualcosa,
Al, ti ho fatto
star male abbastanza con il mio comportamento, – si
alzò piano dalla sedia. –
Forse è meglio che me ne vada, –
mormorò.
–
No, – lo fermò subito il padrone di casa,
afferrando la manica del suo maglione
e alzando gli occhi su di lui: sembrava che gli stesse chiedendo di non
scappare ancora, con quel sorriso appena accennato che gli sollevava un
poco
gli angoli delle labbra. – Ti va di aiutarmi a preparare una
torta?
Se
qualcuno li avesse visti dall'esterno, probabilmente avrebbe pensato
che
fossero impazziti tutto d'un colpo: quanto poteva essere normale, per
due nelle
loro condizioni, mettersi a cucinare un dolce, rendendo tra l'altro la
cucina
un campo di battaglia?
Albus
cercava di spiegare all'amico come preparare la base della torta,
ridendo forte
ogni volta che uno sbuffo di farina mista a uovo e zucchero si
sollevava a
tradimento dalla ciotola - gli stava facendo i dispetti come se fosse
tornato
improvvisamente ad avere dodici anni - e macchiava il viso di Scorpius
o il
grembiule celeste che gli aveva prestato. Malfoy aveva sul viso
un'espressione
appena schifata, che rendeva il quadretto ancora più comico,
mentre affondava
le mani nel composto molliccio che aveva preparato sotto gli occhi
divertiti
dell'altro.
–
Se ti si appiccica alle dita, aggiungiamo un po' di farina, –
sorrise Albus,
voltandosi verso il bancone per prendere un'altra ciotola pulita dove
preparare
la guarnizione per la torta. Neanche a dirlo, al cioccolato fondente.
A un
osservatore esterno quello che stavano facendo sarebbe parso una
sciocchezza: ma, sin a quando Albus aveva cominciato a cucinare dolci,
non
aveva mai chiesto aiuto a nessuno per farlo.
Scorpius
lo sapeva, sapeva di essere il primo a condividere quell'esperienza con
lui:
per questo si sentì pervaso da un'emozione nuova, quando si
sedettero sul
divano in salotto per assaggiare la torta che avevano preparato insieme.
Il
sapore della torta assunse un significato nuovo per entrambi; e anche
se si
limitarono a scherzare e ridere come semplici amici, quel giorno
cominciò la loro
nuova vita.
Una
vita all'aroma di cioccolato.