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Autore: TrixieBlack    10/03/2012    5 recensioni
Alto e slanciato, lineamenti duri e taglienti, capelli scuri, occhi fieri di un grigio indefinito, mi sorrise mettendo in mostra i suoi denti perfetti, con un’espressione gentile e malandrina allo stesso tempo. Alzando il mento, mi tese la mano. “Piacere, Sirius Black.” Timida, restituii il sorriso, dimenticandomi di presentarmi. “Sirius”, pensai solo, “come la costellazione”.
Ed era proprio Sirius la stella che avrebbe illuminato la mia vita.
Genere: Comico, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: I Malandrini, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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PARTE PRIMA

Primo capitolo: GRIFONDORO

Non dimenticherò mai la prima volta in cui misi piede ad Hogwarts. Ogni cosa mi sembrava fantastica, non riuscivo a staccare gli occhi dai mille particolari che mi affascinavano, il soffitto magicamente stellato, le candele sospese a mezz’aria, le quattro immense tavolate da cui centinaia di maghi e streghe guardavano noi piccoli avanzare…

Lo Smistamento. Il mio cuore non batteva, saltava nel petto come un cavallo imbizzarrito, mentre guardavo terrorizzata il Cappello Parlante che, fin troppo velocemente, assegnava ogni studente alla sua casa di appartenenza. Pensavo agitatissima a quello che sarebbe successo a momenti, e a poco a poco persi il filo dello Smistamento. Mi risvegliai bruscamente, con una fitta allo stomaco, quando la voce imperiosa della Mc Granitt, rimbombando nella Sala, mi chiamò: ”Summerland, Beatrice!” Mi mossi verso la sedia, il volto rosso dall’emozione, gli occhi di ogni studente puntati sulla schiena. Mi sedetti, e infilai il logoro cappello, che si afflosciò su un lato, coprendomi un occhio. Una voce inaspettatamente vicina al mio orecchio sinistro cominciò a parlare. “Uhm, sentiamo un po’… Nata Babbana, a quanto vedo…” Non sapevo se rispondergli, mi sembrava una cosa infinitamente stupida parlare con un cappello.
“Grifondoro? …Non mi convince… Tassorosso? No, direi di no… Corvonero, non se ne parla… Serpeverde? Nemmeno….”
Cercando di ignorare la voce fastidiosa del Cappello, cominciai ad osservare gli studenti che, divisi nei quattro grandi tavoli, aspettavano impazienti l’inizio della cena. In quale casa mi sarebbe piaciuto essere smistata? Non lo sapevo, per me non c’erano differenze, volevo soltanto che il Cappello si decidesse.
 Il mio sguardo vagava per la Sala Grande senza una meta, fino a quando non fu catturato dalla vista di quattro ragazzi che, all’estremità più vicina della tavolata a sinistra, ridevano a crepapelle. Li osservai, ammaliata. Avevano qualcosa di diverso, di superiore rispetto alla massa comune di persone che affollava la Sala. Affascinata per chissà quale motivo, mi chiesi perché stessero ridendo così forte. Pensai che mi sarebbe piaciuto essere lì con loro. Si stavano divertendo. Erano felici. E soprattutto, erano amici, molto amici. Ecco forse perché mi piacevano così tanto. Rispecchiavano perfettamente la mia idea di amicizia. Pur non conoscendoli, capivo dal modo in cui parlavano, dal modo in cui stavano insieme, che ognuno di loro avrebbe fatto qualsiasi cosa per gli altri tre.

Senza nemmeno accorgermene, cominciai a sorridere anch’io, influenzata dalle loro risate, fino a quando non mi ricordai, con un certo terrore, che ero ancora seduta sulla sedia, in attesa che quel dannatissimo Cappello, ignaro di tutto, mi smistasse. Mi costrinsi a concentrarmi su quello che diceva. Era ancora molto indeciso, da quel che sentivo.
E intanto i minuti scorrevano. L’interesse della Sala Grande per la mia sorte stava scemando rapidamente. Adesso ero seriamente preoccupata. La paura tipica di ogni nuovo studente di Hogwarts, quella di non essere all’altezza della scuola, sembrava non rivelarsi del tutto infondata, nel mio caso. “Ma perché proprio io???”, pensai disperata. Intanto il Cappello borbottava sempre più sonoramente: “Allora, dove ti mettiamo?! Difficile… Molto difficile…” Lo odiavo, quel cappello, era tutta colpa sua. “Basta che ti sbrighi!”, esplosi alla fine, dimenticandomi che parlare con un cappello era stupido.
“E va bene….”
“GRIFONDORO!!”
Respirai di sollievo e, con il cuore mille volte più leggero, mi avviai salterellando felice verso il boato della tavolata rossa e oro, Grifondoro, la mia Casa, dove i miei nuovi compagni applaudivano esultanti.

Nell’euforia del momento, non feci caso al ragazzo accanto al quale mi sedetti. Solo più tardi, fra un succo di zucca e un arrosto, mi voltai verso di lui e, folgorata, lo riconobbi immediatamente per uno dei quattro ragazzi che mi avevano stregata da lontano.
Alto e slanciato, lineamenti duri e taglienti, capelli scuri, occhi fieri di un grigio indefinito, mi sorrise mettendo in mostra i suoi denti perfetti, con un’espressione gentile e malandrina allo stesso tempo. Alzando il mento, mi tese la mano. “Piacere, Sirius Black.” Timida, restituii il sorriso, dimenticandomi di presentarmi. “Sirius”, pensai solo, “come la costellazione”.
Ed era proprio Sirius la stella che avrebbe illuminato la mia vita.
 

  
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