(¯`•.¸ IL PUNTO. E LA SFERA ¸.•´¯)
(¯`·.¸
INASPETTATA GIOIA ¸.·´¯)
Chap n.8
“Oh cielo! Clio,
che cosa hai fatto?”
“Nulla mamma, sto
bene dai fammi passare!”
Non ho fatto
nulla mamma.
Sto bene.
Almeno credo.
Ho soltanto rischiato di gettare la mia
vita, contro un guardrail.
Correvo mamma,
correvo tanto forte, che il vento dal finestrino mi prendeva a schiaffi il
viso.
E ho pianto
tanto mamma, quanto ho pianto accidenti a me; la macchina traballava sotto alle
mie mani, il volante girava impazzito, ed io pensavo solo a te, e papà.
Sì, accidenti
a me, ho distrutto tutto il paraurti della macchina, spero non ti arrabbierai
mamma. Però sto bene. Credo.
Ahi, quanto
brucia questo graffietto sul viso mamma.
Guarda qua,
che pasticciona, ho macchiato tutto il giubbotto con il sangue; correvo mamma,
ti giuro che non ho visto schizzare via l’auto.
NO, che non lo
so il perché.
Mi sentivo
libera, così libera, da non sentire l’auto schizzare via; era in
volo con me.
Ma no non sto
male, è solo un periodo storto, passerà.
Ma mamma non
volevo suicidarmi, non con la macchina nuova almeno!
Scherzo dai,
lasciami andare, sono stanca e ho voglia di tuffarmi in una vasca piena
d’acqua.
“Poteva andare
molto peggio, non te ne rendi conto?!”
“Si vede, che
ancora non hai visto come è ridotta la macchina.”
“Clio smettila. Mi
sto preoccupando per te.”
“Non farlo, sto
bene davvero, mamma.”
E’
così mamma, e tu non puoi farci nulla; ti sfuggo sempre dalle dita, ma non
ti ho mai dato problemi, non ti ho dato mai motivo per dubitare di me.
Per questo mi
lasci andare, con il viso perplesso ma speranzoso, perché conosci tua
figlia: sai che è un leone.
E’
abituata a cacciare, non farsi cacciare.
aaa w aaa
Fisso il soffitto
da tre giorni, ormai; tanto, è il tempo passato rintanata qui nella mia
stanza.
Ho scatenato
la guerra, ho lasciato il mondo a lottare, eppure non il coraggio
d’andare a guardare. Mischiarmi, fra quel caos, di voci e volti, e magari
incontrare i loro.
Sto
così male, tanto da non sapere nemmeno io stessa il perché.
Non sono nata
per far soffrire le persone. Questo mi so
Ho preso la
mia rivincita è vero, ma l’ho rubata a quel viso mesto, dove prima
brillava il sorriso e che ora, non brilla più.
Oh cielo, mi
duole la testa.
I pensieri mi
attanagliano la mente, così tanto che quando respiro, o chiudo gli
occhi, mi sento soffocare; il loro pulsare mi asfissia, destandomi in
continuazione.
“Oh,
accidenti!”
Oggi è
un giorno come questi.
Non riesco a
stare ferma, muovendomi in continuazione.
Ammazzo il
tempo tergiversando su questa situazione piatta, come posso.
Leggo una
rivista di moda, ascolto un po’ di musica, ma i pensieri sono sempre
lì, dove li ho lasciati.
Finche non ce
la faccio più.
Mi alzo dal
letto, afferro uno specchio e controllo il graffio sul viso; il rossore si
è attenuato, il bruciore un po’ meno.
Tedioso, come
quello interno. Quello alla bocca dello stomaco, sì.
Sul comodino,
un bicchiere d’acqua e delle compresse, attendono la mia mano.
Accolgo la
loro richiesta, buttandole giù d’un fiato entrambe.
Ah. Che
piacevole disgusto.
Odio qualsiasi
medicinale, odio qualsiasi cosa chimica. Contraffatta.
Il campanello
suona.
In casa
c’è uno strano silenzio.
Faccio finta
di nulla, accoccolandomi fra le lenzuola ancora calde.
Suona ancora.
Mi volto su un
fianco, ignorando il tutto con totale disinteresse.
Che strazio,
sembra proprio una persona insistente, questa.
“Mamma, vai
tu?”
Nessuno
risponde, e il campanello suona ancora, più isterico di prima.
“Mamma,
papà?!” “Ah, che palle, ma non c’è mai nessuno
in questa casa?!”
Mi tiro su
controvoglia; le ciabatte sono infilate sotto al letto, con gesto secco le
sfilo via, sistemandomi il pigiama con le mani alla meno peggio.
Corro ad
aprire, piuttosto svogliata apro la porta dal quale, con faccia stupita almeno
quanto la mia, compare Dalila.
“Ah, sei
tu…”
Non sono nata,
per fare gli onori di casa.
Proprio no.
Vano il
tentativo di mia madre d’addomesticarmi, ma questa visita mi ha colta
totalmente di sorpresa.
E
chissà com’è, non mi rende particolarmente allegra.
Per un
istante, benedico anche d’aver preso le mie pillole; ne avrò
proprio di bisogno, per non farmi spaccare il cervello, da questa specie di
nanerottola assetata di vendetta.
E dovrò
ben difendermi, a giudicare dal suo aspetto bello carico, gli occhi grandi
ancora più spalancati e quel sorriso alla “adesso ti faccio fuori
io”.
Infatti,
scuote il capo appena finisco di fiatare, ed entra in casa, totalmente padrona
del luogo; il mazzo di fiori che stringeva nella mano destra, mi finiscono
contro il petto, con fare poco gentile.
Al bando le
carinerie, insomma.
Con il piede
richiudo la porta, poggiando i fiori sul comò all’entrata.
“Ma allora è
vero?!”
Esordisce,
ridendo.
Sembra
ironica, mi squadra dall’alto al basso.
“Cosa,
sentiamo…”
“Che hai fatto il
botto.”
Nota dell’autrice_ “Botto” in
romano significa incidente. ^^
“Sì. Sei
venuta qui a controllare se fossi abbastanza viva?!”
“Ero sicura che lo
fossi. L’erba cattiva non muore mai!”
“Ah, ora capisco
tutto. Grazie, mi ricorsola sapere che mi volete morta! Non consolerà
voi, dal momento che sono mooolto viva!”
Rido al
pensiero, vagamente preoccupata.
Vagamente
infastidita, da quel mezzo brivido di paura che per un attimo, mi ha
accarezzata, tutta.
Mai stata
superstiziosa in tutta la mia vita, ma sai com’è, un gruppo
d’amiche infervorate fanno presa più di un qualsiasi rito vodoo.
“Se ti volevo morta
cara mia, ti uccidevo con le mie stesse mani. Fidati!”
“Bene! Visita di
cortesia la tua?!”
“In realtà
non lo so nemmeno perché sono qui. Ho visto i tuoi al negozio, mi hanno
detto che non stavi bene… ed eccomi qua.”
“Vuoi farmi credere
che in tutto ciò, ti sei preoccupata per me?!”
“Sono pazza,
vero?!”
“Se sei la stessa
che mi ha dato dell’erba cattiva, sì. Un po’.”
“Lo so, lo sapevo
anche prima di mettere piede qua dentro, ma chissà com’è,
si spera sempre che ci sia del buono in tutti noi. Sarai anche una puttana, ma
sei pur sempre la mia migliore amica.”
“Ah, grazie.”
“Stupida.”
“Grazie ancora Dalila,
sei troppo gentile guarda.”
Resto a
guardarla per un po’.
Lo sappiamo
bene entrambe, perché è qui.
Lo so e lo sa
molto bene anche lei.
Vuole la
verità.
La vuoi eh?!
I tuoi occhi
mi scrutano curiosi, li fai camminare sui graffi che ho sul viso, mordendoti un
po’ il labbro; si fanno male. Tanto.
Li posi sulle
mie mani, intrecciate fra loro, come faccio da una vita, quando sono nervosa.
Non mi piace
farmi guardare, mi imbarazza; è come se con gli occhi, le persone
riuscissero a rubare qualcosa di me. La mia verità. La mia essenza.
Ora forse,
riuscirai a capire le mi fughe, i miei sguardi distratti.
“Era come questo
graffio. Sì lui per me è come una ferita, inferta al cuore. Non
marginabile.”
Alza lo
sguardo sul mio; si siede sul marmo freddo del separé in salone,
abbraccia un cuscino del divano, e resta immobile ad ascoltarmi.
“E’ dalle
medie, che sognavo farlo mio. Mi piaceva tutto di lui, le sue mani, i suoi
occhi, quel carattere freddo e distaccato. Non mi guardava mai, amavo anche
questo. Non avrei mai pensato, che mi sarei trovata fra le sue
braccia….”
Sono stata una
mezzora buona, a parlargli della mia malattia.
La malattia
Tiziano.
L’ho
vista ridere dei racconti della mia corte sfrenata, rabbuiarsi quando le ho
parlato dell’incontro in università e di Valentina, della doppia
personalità e dei dubbi attanaglianti e piangere, delle parole spese per
quelle sere a casa sua, dove ubriaca d’amore, gli concedevo tutta me
stessa.
Poi, non ce
l’ho fatta più.
Le parole sono
morte in gola, ed ora sono ferma qui, appoggiata ad un muro freddo, freddo come
il gelo dei miei ricordi.
Sto male, male
davvero.
E le mie
lacrime, non sono nostalgia.
Rimorsi. Solo
rimorsi.
Lei, scende
dal separé e mi viene incontro.
“Perché non
me lo hai detto prima?!”
“A cosa sarebbe
servito?!”
“T’avrei dato
tanti di quei calci nel sedere, che t’avrei svegliata!”
Sorrido, ne
approfitta per abbracciarmi.
Per la prima
volta da giorni, mi sento veramente meglio.
Sarà
che dopo tanto tempo, respiro aria di sincerità.
“Mi dispiace per tua
cugina”
“Si
riprenderà.”
“Lalì?!”
“Sì?”
“Perché sei
venuta oggi?!”
“Perché sei
la peggiore persona che conosco, ma anche la migliore.”
Sono bastate
poche parole, per commuovermi.
Sarà
per la mia instabilità emotiva.
Sarà
perché per tempo immemorabile sono stata soffocata da tanto male, che
adesso sentirmi attraversata dal bene, mi rende fragile. Diversa.
“Ti voglio bene
Lalì.”
“Sì, ma non
dubitare mai più, della mia amicizia.”
“Mai
più.”
“E quel cretino,
mollalo! Ti ha rubato due anni di vita, che nessuno ti ridarà mai
indietro; non permettergli di abusare di te ancora una volta.”
“Dimmi la
verità. Valentina lo ha perdonato?!”
“Non sia mai! La
uccido! Lo stesso discorso vale anche per lei; se vi becco a ronzargli ancora
intorno vi tiro il collo. A tutte e due!”
“Già. Ma non
sarà facile…”
“Tu sei sulla buona
strada, ma lei la vedo un po’ titubante. Perché non ci
parli?!”
“Io? Ti sei bevuta
il cervello?!”
“No per niente.
Secondo me, tu sei l’unica che può farle tirare fuori un po’
di carattere.”
“Non lo so…”
“Sei perfetta, te
lo dico io.”
La guardo, non
so cosa le sta frullando per la testa.
Ma se ci penso
bene, posso essere davvero l’unica, a non far ricadere Valentina nella
tela del ragno.
Io, la sua
tessitura, perfetta e ingannevole, la conosco a menadito.
E sono
sopravvissuta.
“Sì,
l’aiuterò io.”
“Bene. Ora vado, ho
lezione fra un po’.”
L’ho
accompagnata alla porta, salutandola con affetto sincero.
Grande Dalila.
Forte Dalila.
La mia
migliore amica da sempre. Anche in questa occasione, non si è risparmiata.
Perplessa ma
stranamente gioiosa, mi dirigo in camera mia.
Apro
l’armadio, tiro giù un paio di jeans con una felpa chiara, e mi
appresto nel prepararmi.
Pochi
preamboli, molta praticità, mi ritrovo sotto casa di Valentina, in poco
meno di mezzora.