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Autore: Luna_R    18/10/2006    4 recensioni
Lo sfogo di una ragazza, ossessionata dall'amore che prova per un ragazzo arcigno e senza sentimenti.
Continuerà a farsi del male?
O abbandonerà questo folle intreccio putrido?
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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(¯`•

`•.¸ IL PUNTO. E LA SFERA ¸.•´¯)

 

 

 

`·.¸ INASPETTATA GIOIA ¸.·´¯)

Chap n.8

 

 

“Oh cielo! Clio, che cosa hai fatto?”

“Nulla mamma, sto bene dai fammi passare!”

 

Non ho fatto nulla mamma.

Sto bene. Almeno credo.

 

 Ho soltanto rischiato di gettare la mia vita, contro un guardrail.

 

Correvo mamma, correvo tanto forte, che il vento dal finestrino mi prendeva a schiaffi il viso.

E ho pianto tanto mamma, quanto ho pianto accidenti a me; la macchina traballava sotto alle mie mani, il volante girava impazzito, ed io pensavo solo a te, e papà.

Sì, accidenti a me, ho distrutto tutto il paraurti della macchina, spero non ti arrabbierai mamma. Però sto bene. Credo.

Ahi, quanto brucia questo graffietto sul viso mamma.

Guarda qua, che pasticciona, ho macchiato tutto il giubbotto con il sangue; correvo mamma, ti giuro che non ho visto schizzare via l’auto.

 

NO, che non lo so il perché.

Mi sentivo libera, così libera, da non sentire l’auto schizzare via; era in volo con me.

Ma no non sto male, è solo un periodo storto, passerà.

Ma mamma non volevo suicidarmi, non con la macchina nuova almeno!

Scherzo dai, lasciami andare, sono stanca e ho voglia di tuffarmi in una vasca piena d’acqua.

 

“Poteva andare molto peggio, non te ne rendi conto?!”

“Si vede, che ancora non hai visto come è ridotta la macchina.”

“Clio smettila. Mi sto preoccupando per te.”

“Non farlo, sto bene davvero, mamma.”

 

E’ così mamma, e tu non puoi farci nulla; ti sfuggo sempre dalle dita, ma non ti ho mai dato problemi, non ti ho dato mai motivo per dubitare di me.

Per questo mi lasci andare, con il viso perplesso ma speranzoso, perché conosci tua figlia: sai che è un leone.

E’ abituata a cacciare, non farsi cacciare.

 

aaa w aaa

 

Fisso il soffitto da tre giorni, ormai; tanto, è il tempo passato rintanata qui nella mia stanza.

Ho scatenato la guerra, ho lasciato il mondo a lottare, eppure non il coraggio d’andare a guardare. Mischiarmi, fra quel caos, di voci e volti, e magari incontrare i loro.

Sto così male, tanto da non sapere nemmeno io stessa il perché.

Non sono nata per far soffrire le persone. Questo mi so

Ho preso la mia rivincita è vero, ma l’ho rubata a quel viso mesto, dove prima brillava il sorriso e che ora, non brilla più.

Oh cielo, mi duole la testa.

I pensieri mi attanagliano la mente, così tanto che quando respiro, o chiudo gli occhi, mi sento soffocare; il loro pulsare mi asfissia, destandomi in continuazione.

 

“Oh, accidenti!”

 

Oggi è un giorno come questi.

Non riesco a stare ferma, muovendomi in continuazione.

Ammazzo il tempo tergiversando su questa situazione piatta, come posso.

Leggo una rivista di moda, ascolto un po’ di musica, ma i pensieri sono sempre lì, dove li ho lasciati.

Finche non ce la faccio più.

Mi alzo dal letto, afferro uno specchio e controllo il graffio sul viso; il rossore si è attenuato, il bruciore un po’ meno.

Tedioso, come quello interno. Quello alla bocca dello stomaco, sì.

Sul comodino, un bicchiere d’acqua e delle compresse, attendono la mia mano.

Accolgo la loro richiesta, buttandole giù d’un fiato entrambe.

Ah. Che piacevole disgusto.

Odio qualsiasi medicinale, odio qualsiasi cosa chimica. Contraffatta.

 

Il campanello suona.

In casa c’è uno strano silenzio.

Faccio finta di nulla, accoccolandomi fra le lenzuola ancora calde.

Suona ancora.

Mi volto su un fianco, ignorando il tutto con totale disinteresse.

Che strazio, sembra proprio una persona insistente, questa.

 

“Mamma, vai tu?”

 

Nessuno risponde, e il campanello suona ancora, più isterico di prima.

 

“Mamma, papà?!” “Ah, che palle, ma non c’è mai nessuno in questa casa?!”

 

Mi tiro su controvoglia; le ciabatte sono infilate sotto al letto, con gesto secco le sfilo via, sistemandomi il pigiama con le mani alla meno peggio.

Corro ad aprire, piuttosto svogliata apro la porta dal quale, con faccia stupita almeno quanto la mia, compare Dalila.

 

“Ah, sei tu…”

 

Non sono nata, per fare gli onori di casa.

Proprio no.

Vano il tentativo di mia madre d’addomesticarmi, ma questa visita mi ha colta totalmente di sorpresa.

E chissà com’è, non mi rende particolarmente allegra.

Per un istante, benedico anche d’aver preso le mie pillole; ne avrò proprio di bisogno, per non farmi spaccare il cervello, da questa specie di nanerottola assetata di vendetta.

E dovrò ben difendermi, a giudicare dal suo aspetto bello carico, gli occhi grandi ancora più spalancati e quel sorriso alla “adesso ti faccio fuori io”.

Infatti, scuote il capo appena finisco di fiatare, ed entra in casa, totalmente padrona del luogo; il mazzo di fiori che stringeva nella mano destra, mi finiscono contro il petto, con fare poco gentile.

Al bando le carinerie, insomma.

Con il piede richiudo la porta, poggiando i fiori sul comò all’entrata.

 

“Ma allora è vero?!”

 

Esordisce, ridendo.

Sembra ironica, mi squadra dall’alto al basso.

 

“Cosa, sentiamo…”

“Che hai fatto il botto.”

 

Nota dell’autrice_ “Botto” in romano significa incidente. ^^

 

“Sì. Sei venuta qui a controllare se fossi abbastanza viva?!”

“Ero sicura che lo fossi. L’erba cattiva non muore mai!”

“Ah, ora capisco tutto. Grazie, mi ricorsola sapere che mi volete morta! Non consolerà voi, dal momento che sono mooolto viva!”

 

Rido al pensiero, vagamente preoccupata.

Vagamente infastidita, da quel mezzo brivido di paura che per un attimo, mi ha accarezzata, tutta.

Mai stata superstiziosa in tutta la mia vita, ma sai com’è, un gruppo d’amiche infervorate fanno presa più di un qualsiasi rito vodoo.

 

“Se ti volevo morta cara mia, ti uccidevo con le mie stesse mani. Fidati!”

“Bene! Visita di cortesia la tua?!”

“In realtà non lo so nemmeno perché sono qui. Ho visto i tuoi al negozio, mi hanno detto che non stavi bene… ed eccomi qua.”

“Vuoi farmi credere che in tutto ciò, ti sei preoccupata per me?!”

“Sono pazza, vero?!”

“Se sei la stessa che mi ha dato dell’erba cattiva, sì. Un po’.”

“Lo so, lo sapevo anche prima di mettere piede qua dentro, ma chissà com’è, si spera sempre che ci sia del buono in tutti noi. Sarai anche una puttana, ma sei pur sempre la mia migliore amica.”

“Ah, grazie.”

“Stupida.”

“Grazie ancora Dalila, sei troppo gentile guarda.”

 

Resto a guardarla per un po’.

Lo sappiamo bene entrambe, perché è qui.

Lo so e lo sa molto bene anche lei.

Vuole la verità.

La vuoi eh?!

I tuoi occhi mi scrutano curiosi, li fai camminare sui graffi che ho sul viso, mordendoti un po’ il labbro; si fanno male. Tanto.

Li posi sulle mie mani, intrecciate fra loro, come faccio da una vita, quando sono nervosa.

Non mi piace farmi guardare, mi imbarazza; è come se con gli occhi, le persone riuscissero a rubare qualcosa di me. La mia verità. La mia essenza.

Ora forse, riuscirai a capire le mi fughe, i miei sguardi distratti.

 

“Era come questo graffio. Sì lui per me è come una ferita, inferta al cuore. Non marginabile.”

 

Alza lo sguardo sul mio; si siede sul marmo freddo del separé in salone, abbraccia un cuscino del divano, e resta immobile ad ascoltarmi.

 

“E’ dalle medie, che sognavo farlo mio. Mi piaceva tutto di lui, le sue mani, i suoi occhi, quel carattere freddo e distaccato. Non mi guardava mai, amavo anche questo. Non avrei mai pensato, che mi sarei trovata fra le sue braccia….”

 

Sono stata una mezzora buona, a parlargli della mia malattia.

La malattia Tiziano.

L’ho vista ridere dei racconti della mia corte sfrenata, rabbuiarsi quando le ho parlato dell’incontro in università e di Valentina, della doppia personalità e dei dubbi attanaglianti e piangere, delle parole spese per quelle sere a casa sua, dove ubriaca d’amore, gli concedevo tutta me stessa.

Poi, non ce l’ho fatta più.

Le parole sono morte in gola, ed ora sono ferma qui, appoggiata ad un muro freddo, freddo come il gelo dei miei ricordi.

Sto male, male davvero.

E le mie lacrime, non sono nostalgia.

Rimorsi. Solo rimorsi.

Lei, scende dal separé e mi viene incontro.

 

“Perché non me lo hai detto prima?!”

“A cosa sarebbe servito?!”

“T’avrei dato tanti di quei calci nel sedere, che t’avrei svegliata!”

 

Sorrido, ne approfitta per abbracciarmi.

Per la prima volta da giorni, mi sento veramente meglio.

Sarà che dopo tanto tempo, respiro aria di sincerità.

 

“Mi dispiace per tua cugina”

“Si riprenderà.”

“Lalì?!”

“Sì?”

“Perché sei venuta oggi?!”

“Perché sei la peggiore persona che conosco, ma anche la migliore.”

 

Sono bastate poche parole, per commuovermi.

Sarà per la mia instabilità emotiva.

Sarà perché per tempo immemorabile sono stata soffocata da tanto male, che adesso sentirmi attraversata dal bene, mi rende fragile. Diversa.

 

“Ti voglio bene Lalì.”

“Sì, ma non dubitare mai più, della mia amicizia.”

“Mai più.”

“E quel cretino, mollalo! Ti ha rubato due anni di vita, che nessuno ti ridarà mai indietro; non permettergli di abusare di te ancora una volta.”

“Dimmi la verità. Valentina lo ha perdonato?!”

“Non sia mai! La uccido! Lo stesso discorso vale anche per lei; se vi becco a ronzargli ancora intorno vi tiro il collo. A tutte e due!”

“Già. Ma non sarà facile…”

“Tu sei sulla buona strada, ma lei la vedo un po’ titubante. Perché non ci parli?!”

“Io? Ti sei bevuta il cervello?!”

“No per niente. Secondo me, tu sei l’unica che può farle tirare fuori un po’ di carattere.”

“Non lo so…”

“Sei perfetta, te lo dico io.”

 

La guardo, non so cosa le sta frullando per la testa.

Ma se ci penso bene, posso essere davvero l’unica, a non far ricadere Valentina nella tela del ragno.

Io, la sua tessitura, perfetta e ingannevole, la conosco a menadito.

E sono sopravvissuta.

 

“Sì, l’aiuterò io.”

“Bene. Ora vado, ho lezione fra un po’.”

 

L’ho accompagnata alla porta, salutandola con affetto sincero.

Grande Dalila.

Forte Dalila.

La mia migliore amica da sempre. Anche in questa occasione, non si è risparmiata.

Perplessa ma stranamente gioiosa, mi dirigo in camera mia.

Apro l’armadio, tiro giù un paio di jeans con una felpa chiara, e mi appresto nel prepararmi.

 

Pochi preamboli, molta praticità, mi ritrovo sotto casa di Valentina, in poco meno di mezzora.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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