«Mio padre era un Mangiamorte, Potter, e nel caso la cosa ti fosse sfuggita io sono stato scagionato da tutte le accuse» sibilò chiaramente alterato «sottospecie di Grifondoro ritardato. Cerca di pensare prima di aprire quella tua boccaccia».
«Hai un bel tatuaggio sul braccio, serpe rincoglionita, sempre se tu te ne sia reso conto ovviamente» storse il naso Potter, sorridendo come ad evidenziare l’ovvio.
«Chiedimi scusa prima che ti faccia rinchiudere per oltraggio alla pubblica decenza» Malfoy ringhiò quelle parole ad un niente dal naso del moro.
«Peter Parker indosserà una calzamaglia rosa shocking prima che io chieda scusa ad uno come te» ricambiò Harry con altrettanta veemenza, puntando le mani ai fianchi e piegandosi a propria volta per guardarlo negli occhi. Detestava quella parte da quando Malfoy era cresciuto in altezza più di lui.
«Chi diavolo è Peter Parker?»
«Una persona troppo importante perché tu la conosca, Mangiamorte».

(Non tiene conto di alcuni fatti narrati nei libri, tra cui, ad esempio, la morte di alcuni personaggi.)
Condannato ad essere il terzo incomodo tra Ron ed Hermione e privato della propria nemesi storica, Harry è insoddisfatto. Lo stesso si può dire di Draco, che porta avanti il proposito di diventare una persona migliore con dubbi risultati. Una ragazza comparsa dal nulla priva di ricordi, con chissà quale mistero alle spalle, movimenterà le cose. Dal testo:
« [...] nemmeno io voglio continuare a bisticciare, perciò » alzò le spalle « perché non― »
« Perché ti limoni il Furetto, miseriaccia! » Lo interruppe con enfasi Ron, bofonchiando con tono stridulo.

L’uomo si poggiò il cappuccio del mantello sul capo, la luce flebile della candela baluginò sul suo volto pallido ed affilato. «Voi mi appartenete», sibilò, dirigendosi verso il centro della stanza. «Tu mi appartieni, Draco. Ricordalo», soffiò, prima di Smaterializzarsi.
Malfoy si mise in ginocchio e un’improvvisa ondata di magia gli attraversò il petto, avvertendolo che la stanza era stata privata degli incantesimi che l’isolavano dal resto della casa. Poco lontano da sé scorse uno dei suoi mocassini, lo agguantò e lo tirò con ferocia inaudita nel punto in cui l’uomo era scomparso poco prima. «TI ODIO!», urlò, con il volto arrossato e deformato dalla rabbia. Poi si concesse un lungo e rumoroso pianto liberatorio. Si coprì il volto con le mani e con i palmi si spalmò le lacrime sul viso e sul corpo, quasi servissero a pulirlo da tutti i suoi peccati. Si accucciò a terra, circondato da sangue, sperma e schegge di vetro, che infilzavano taglienti la sua danneggiata infermità mentale. Solo allora riuscì a dare un nome a tutte quelle azioni che lo avevano sconquassato, che avevano lasciato che le sue urla sovrastassero il rumore dei tuoni. Era stato stuprato.