Birthday Boy

di evelyn80
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Terry Kath ***
Capitolo 2: *** Walter Parazaider ***
Capitolo 3: *** James Pankow ***
Capitolo 4: *** Danny Seraphine ***
Capitolo 5: *** Peter Cetera ***
Capitolo 6: *** Robert Lamm ***
Capitolo 7: *** Lee Loughnane ***
Capitolo 8: *** Bonus Track: Laudir de Oliveira ***



Capitolo 1
*** Terry Kath ***


Terry Kath


 

Birthday boy, blow out the candles;
good friends around you, you should feel O.K.”


Chicago – Birthday Boy

 

Terry Kath si guardò allo specchio con occhio critico, ravvivando con un potente colpo di spazzola la sua lunga criniera brizzolata. Per quanto i suoi fratelli lo avessero preso in giro durante tutti quegli anni, lui non aveva mai voluto rinunciare al suo spirito da hippie degli anni '70.
Finalmente soddisfatto, sorrise alla sua immagine riflessa nello specchio. Una fitta coroncina di rughe d'espressione gli apparve attorno agli occhi grigi, in cui splendeva una lieve scintilla d'orgoglio: non era certo da tutti arrivare a settantaquattro anni mantenendo una forma invidiabile come la sua.
Si diede un paio di colpetti sul ventre prominente e si avviò per uscire di casa. I ragazzi gli avevano dato appuntamento all'Old Wild West di Sunset Boulevard per festeggiare tutti insieme il suo compleanno, come ai vecchi tempi.
Lanciò un bacio alla moglie in punta di dita e chiuse la porta dietro di sé, salendo sul suo vecchio pick-up blu cielo, cimelio storico della sua passata giovinezza.


Davanti all'ingresso del fast-food c'erano proprio tutti: Walt e Jimmy, Bobby e Peter, Danny, Lee, e persino il vecchio Laudir, che aveva fatto una scappata dal Brasile per venire a festeggiarlo. Anche se aveva ormai ottant'anni, quel dannato percussionista era più in gamba che mai.
Terry scese dal pick-up e li strinse, uno per uno, nel suo abbraccio da orso. Mollò un'enorme pacca sulla schiena di Danny, rischiando di mandarlo lungo disteso sul marciapiede, e ficcò le dita tra i corti capelli bianchi di Peter, scompigliandoglieli un poco.
«Allora, Bellicapelli, come ti va la vita?».
«Dovresti saperlo, Terry, ci siamo visti due giorni fa. Non te lo ricordi più? Queste sono le prime avvisaglie dell'Alzheimer, ricordatelo!», ridacchiò Peter mentre Robert lo stringeva a sé, con fare protettivo.
«Dai, Bobby, non te lo rompo mica!», rise il chitarrista, affibbiando una vigorosa pacca anche al tastierista, che barcollò ma non si scompose.
«Sai com'è, con le tue manone sei capace di fare di tutto», ghignò quello in risposta, e Terry rise ancora.
«Anche l'uncinetto!», esclamò, mostrando a tutti le sue dita grandi come salsicce.
«Allora, cosa facciamo, entriamo?», chiese James sorridendo, abbracciato stretto a Walter. Il chitarrista si voltò verso di lui.
«Voi due, dopo tutti questi anni, non vi siete ancora stancati di stare appiccicati, eh?».
I due uomini sorrisero e si scambiarono un piccolo bacio a fior di labbra. Robert e Peter li imitarono.
«Basta, basta, per carità! Sarà meglio entrare per davvero, prima che vi arrestino tutti e quattro per atti osceni in luogo pubblico!», disse Terry, e tutti e otto sfilarono attraverso le porte d'ingresso del fast-food.


«Ahhh, che bella scorpacciata...», sospirò Terry stravaccandosi sulla sedia. «Erano secoli che non mangiavo dei tacos così buoni!».
«E ora hai intenzione di metterti a pronunciare i nostri nomi mentre rutti?», chiese ironico Lee, ricordando una serata di tantissimi anni prima al Caribou Ranch.
«Perché no? Potrebbe essere un'idea».
Il trombettista storse il naso al pensiero. «Io stavo solo scherzando».
In quel momento una cameriera sorridente, giovane e carina, si avvicinò al loro tavolo portando una torta di compleanno piena di candeline, su cui spiccava il numero 74. Danny allungò il collo per guardarle il sedere mentre si allontanava e Terry, seduto al suo fianco, gli mollò l'ennesima pacca sulla schiena della serata.
«Cazzo, fratello, per poco non mi fai sputare la dentiera!», si lamentò il batterista, tentando di massaggiarsi le scapole.
«E tu, alla tua veneranda età di settantadue anni non hai ancora smesso di guardare il culo alle ragazze?».
«Che vuoi... il lupo perde il pelo ma non il vizio».
Tutti risero, poi il chitarrista prese un enorme respiro e soffiò sulle candeline, spegnendole tutte in un colpo solo.
Peter si schiarì la voce e intonò “Birthday Boy”, ma Terry lo interruppe dopo solo poche strofe.
«Piantala con quella canzone, Bellicapelli, non l'ho mai potuta soffrire!».
Di nuovo tutti risero, tranne il bassista che intrecciò le braccia sul petto e borbottò qualcosa sottovoce. Bobby si affrettò a stringerlo in un tenero abbraccio.
«Guarda che quella canzone l'ho scritta io, dovrei essere io ad offendermi», ghignò Danny.
«Ma io la canto, però», replicò Peter ancora torvo, mentre Robert gli posava un bacio tra i capelli.
«E basta con tutte queste smancerie!», esclamò il chitarrista. «Brindiamo, piuttosto!».
Sollevò il proprio bicchiere colmo di birra, subito imitato dagli altri.
«Lunga vita a Terry Kath!», disse Laudir, rovesciando un po' della sua birra sul tavolo.
«Lunga vita a Terry!», risposero in coro tutti gli altri.
«E lunga vita ai Chicago!», gridò per ultimo il chitarrista. Poi, invece di scolare la sua birra, la gettò in faccia a Lee.
Il trombettista rimase per un istante senza fiato, togliendosi la schiuma dagli occhi con le dita, poi afferrò il proprio bicchiere e rispose al fuoco, colpendo Terry in pieno petto. Dal tavolo si levarono grida belluine, mentre tutti e otto gli uomini ingaggiavano una battaglia a suon di lanci di birra, interrotta ben presto dalla stessa cameriera che aveva portato la torta, e che non sorrideva più amichevolmente come prima.


Di nuovo sul marciapiede davanti al locale gli otto anziani musicisti, fradici di birra, si salutarono con abbracci fraterni.
«Di chi è il prossimo compleanno?», chiese Danny, strizzandosi la camicia.
«È il mio», rispose Walter, scrollando il capo come un cane bagnato.
«Dove lo festeggiamo?», domandò Terry, facendo colare la birra dai suoi lunghi capelli grigi.
«Di sicuro non qui», replicò Lee ridendo. «Avranno già appeso le nostre facce al bancone con un bel divieto davanti».
Dopo l'ultima risata e l'ennesimo abbraccio, ognuno riprese la sua strada. Terry salì sul suo vecchio pick-up e tornò allegramente verso casa, fischiettando un vecchio motivetto. Certo, Greta si sarebbe incazzata come una iena nel vederlo ridotto in quello stato. Ma, in fondo, era il suo compleanno...

 

 

Spazio autrice:

AUGURI TERRY!

Scusate, ma oggi mi è presa così. Sarà che stanotte me lo sono pure sognato, ma dovevo scrivere qualcosa per il suo compleanno, anche se l'anniversario della sua morte è passato veramente da pochissimo.
Beh, cosa posso dire? Innanzi tutto, che Soul Dolmayan mi ha messo in testa l'Old Wild West e i suoi tacos (che però credo a Los Angeles non ci sia, è una mia invenzione), quindi ho deciso di scrivere una fic AU in cui tutti i Chicago sono ancora vivi, Peter e Danny non se ne sono mai andati, e tutti gli altri musicisti che hanno militato nella band oltre ai membri fondatori non hanno mai avuto a che fare con loro (quindi, cari Bill Champlin, Jason Scheff ecc., oggi non esistete XD). Poi, che Kim Winternight mi ha stimolato molto con il suo capitolo di “Multi-feelings” che potete trovare qui: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3877898&i=1 Cara, se non lo avessi fatto tu, non avrei mai avuto la forza di scrivere di un Terry redivivo!
Se avete letto le mie storie sui Chicago, di sicuro avrete riconosciuto molti accenni: innanzi tutto le coppie Lammetera (Robert Lamm/Peter Cetera) e Parazankow (Walter Parazaider/James Pankow). In questo AU finalmente hanno dichiarato a tutto il mondo il loro amore e vivono le loro storie alla luce del sole. Poi i nomi pronunciati in mezzo ai rutti, tipico di Terry in “When the rain bores us”. L'uncinetto, che il chitarrista fa in gran segreto nella mia raccolta “Dieci assi per una Challenge”. E infine il soprannome che Terry da a Peter: Bellicapelli. Si trova anche in altre storie precedenti a questa.
Infine, “Birthday Boy” è una canzone, scritta da Danny Seraphine e cantata da Peter Cetera, che si trova nell'album Chicago XIV, e da cui ovviamente questa storia prende il titolo.
E... niente da aggiungere, se non che spero di avervi divertito :-)

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Capitolo 2
*** Walter Parazaider ***


Walter Parazaider

 

Los Angeles, 14 marzo 2020


Walter si fissò allo specchio appeso all'ingresso per dare gli ultimi ritocchi al proprio aspetto. I suoi corti capelli neri, freschi di tintura, stentavano a stare al loro posto nonostante l'abbondante dose di gel che vi aveva applicato sopra. Stava giusto per tornare in bagno per usarne dell'altro quando James lo abbracciò da dietro, poggiandogli la guancia sulla scapola destra.
«Basta preoccuparti, sei bellissimo! Oppure sono io che devo cominciare a preoccuparmi? Non è che magari vuoi provare a soffiare Peter a Bobby?».
«E attirarmi la sua rabbia? No, grazie. E poi, tu mi basti e mi avanzi».
Il sassofonista si voltò e baciò il suo compagno sulle labbra per poi stringerlo in un forte abbraccio. Jimmy alzò lo sguardo su di lui e sorrise, facendosi apparire una marea di rughe d'espressione attorno agli occhi luminosi.
«Andiamo, ora, o gli altri ci daranno per dispersi».
I due uomini uscirono di casa e salirono sulla loro Dodge Charger del 1969, diretti al ristorante che avevano scelto per festeggiare il compleanno di Walt.

Davanti al “Byblos”, il nuovo ristorante giapponese “all you can eat” di Sunset Boulevard, i restanti membri dei Chicago aspettavano il festeggiato e il suo compagno: Peter e Robert, l'uno con le braccia dietro la schiena dell'altro; Danny, intento a fumare uno spinello nonostante il medico glieli avesse categoricamente vietati; Laudir che si appoggiava al suo bastone da passeggio; Lee che camminava nervosamente sul marciapiede.
Una volta parcheggiata l'auto, Walt e Jimmy raggiunsero i compagni.
«Dov'è Terry?», chiesero. Il ragazzone, infatti, non si vedeva da nessuna parte, così come il suo vecchissimo e scassatissimo pick-up blu.
«Non è ancora arrivato», rispose Peter, sciogliendosi dall'abbraccio di Robert per salutare il festeggiato. «Mi ha mandato un messaggino su WhatsApp per dirmi che è un po' in ritardo, ma è già passata più di mezz'ora».
Proprio in quel momento il suono di un clacson, accompagnato dal rumore scoppiettante di un motore sfiatato, attirò la loro attenzione. Terry stava finalmente arrivando, il cassone del suo furgoncino stracolmo di scatoloni di cartone semiaperti e un gazebo di stoffa ancora parzialmente montato.
«Scusatemi!», esclamò il chitarrista raggiungendo i suoi compagni. «Ero all'Artist and Fleas Market e ho fatto tardi! Una vecchia rimbambita non riusciva a decidersi su quale centrino regalare a sua nipote». Diede una pacca sulle spalle a ognuno dei suoi fratelli, e quella che riservò a Danny fu tanto potente da fargli sputare lo spinello.
«Cazzo, Terry! Avevo fatto solo qualche tiro!», imprecò il batterista indicando la cicca appena accesa che si consumava lentamente sul marciapiede.
«Dai, più tardi te ne offrirò uno io», rispose l'omone, scrollando le spalle. Lanciò un'occhiata all'insegna del ristorante e inarcò le sopracciglia. «Cos'è, l'avete fatto apposta?», chiese, voltandosi a fissare gli altri con sguardo indagatore.
«No, è soltanto un caso», rispose Jimmy, una scintilla di malizia negli occhi. «Nessuno voleva ricordarti che quasi cinquant'anni fa al “Byblos” di Osaka ti sei lasciato sfuggire una scopata facile, che poi ti è stata soffiata da Peter». *1
Terry roteò gli occhi e sbuffò. «Tutta merce sprecata è stata, quella, visto che a Peter la figa neanche piace!».
«All'epoca mi piaceva ancora», rispose il bassista, per poi voltarsi verso Robert che lo fissava con la fronte aggrottata. «Beh? Che c'è? Tu mica ti eri ancora dichiarato!».
Lee li interruppe schiarendosi la gola. «Ragazzi, sarà meglio andare dentro? Io sto morendo di fame».
Tutti annuirono e lasciarono che Walter e James entrassero per primi.
Una cameriera cinese minuta e dal sorriso simpatico li accompagnò al loro tavolo, lasciando i menù e carta e penna per ordinare. Gli otto uomini esaminarono a lungo ogni piatto prima di scegliere varie portate, composte principalmente da uramaki e sashimi di tonno e salmone.
Non appena i primi piatti iniziarono ad arrivare sorse subito un problema di vitale importanza: nonostante avessero visitato il Giappone con frequenza regolare, durante i loro tour mondiali, nessuno di loro aveva mai imparato a usare le bacchette. E nessuno, per orgoglio personale, quella sera aveva voluto chiedere alla cameriera di avere le posate per non doverlo ammettere.
«E ora, come si fa a prendere 'sta roba?», chiese Danny, fissando gli uramaki sistemati in file ordinate sui vassoi.
«Così», rispose semplicemente Terry. E, allungate le mani sul tavolo, afferrò tra le dita enormi un rotolino di riso e se lo ficcò in bocca, masticando rumorosamente.
«Che schifo, Terrence! Sei sempre il solito animale!», si lamentò Lee e il chitarrista, tanto per fargli dispetto, ne prese un altro e lo masticò a bocca aperta, sputacchiando chicchi di riso a destra e a manca.
Laudir ci pensò un po' su, poi afferrò una delle sue bacchette come fosse stata un pugnale e trafisse una fettina di sashimi di salmone portandosela alle labbra, entusiasta come se avesse pescato il pesce da cui era stata tagliata con le sue stesse mani.
In molti seguirono il suo esempio, tranne Robert che, caparbio e ostinato, volle a tutti i costi provare a usare le bacchette come si sarebbe dovuto. Afferrò con difficoltà un uramaki e lo sollevò tremolante dal vassoio ma, quando fu a metà strada verso il suo piatto, le bacchette ruotarono e il rotolino cadde nel bicchiere di Peter, sollevando una marea di spruzzi di birra e facendo scoppiare a ridere tutti gli altri, tranne il proprietario del bicchiere.
«Noooo... disastro... disastro!», esclamò il tastierista mettendosi le mani tra i capelli e guardando Peter con aria di scuse. Il bassista si sbatté la mano sulla faccia, poi inzuppò le dita nel bicchiere e recuperò l'uramaki affogato, deponendolo infine nel piatto del suo compagno. *2
Senza smettere di ridere, James prese un rotolino ostentando una sicurezza con le bacchette che in realtà non aveva – forse per dimostrare al tastierista come si dovevano usare – con il risultato di farselo sfuggire dalla presa dei bastoncini di legno e mandarlo a finire ben oltre il loro tavolo. L'uramaki atterrò nel cappuccio del giaccone della signora seduta loro vicino, e che non si accorse di nulla.
Le risate si accentuarono e, mentre Terry ancora si comportava da scimmione, mangiando con le mani praticamente tutto quello che gli capitava a tiro, Walt rischiò di strozzarsi con il riso, quasi decretando quella serata come il suo ultimo compleanno di sempre.
A quel punto Lee, che non aveva ancora dimenticato la birra che Terry gli aveva gettato in faccia in occasione del suo compleanno, un mese e mezzo prima, prese uno degli ultimi rotolini di riso rimasti e lo buttò in faccia al chitarrista, gettando alle ortiche tutte le sue buone maniere.
L'omone fissò il trombettista per alcuni secondi, stupito e incredulo. Poi le sue labbra si stirarono in un ghigno e rispose al fuoco buttandogli contro la propria salsa di soia.
Ancora una volta, come già successo in precedenza, gli otto vecchietti presero a lanciarsi addosso tutto ciò che era rimasto di commestibile nei vassoi, accendendo subito lo sdegno negli altri avventori. Al suono delle rimostranze la cameriera – che ora non aveva più il sorriso simpatico stampato in faccia – corse al loro tavolo stringendo il conto e schiaffandolo davanti a Danny.
«Voi pagale e poi uscile subito!».
«Ehi, perché proprio io?», si lamentò il batterista, una fettina di sashimi di tonno spiaccicata sulla testa calva. «Non è mica il mio compleanno!».
«A me non intelessale! Pagale e poi fuoli. Fuoli!», ribadì la cinesina, pestando i piedi a terra.
I Chicago saldarono il conto sotto lo sguardo vigile della cameriera e si alzarono. Terry, che si era soffermato ad afferrare gli ultimi due o tre uramaki ancora mangerecci e se li era ficcati in bocca tutti insieme, fu spintonato verso l'uscita dalla ragazza che ora sbraitava pesantemente in cinese.

Di nuovo all'esterno del locale, sul marciapiede antistante l'ingresso, James frugò nel suo borsello e ne tirò fuori un quadernino mezzo sgualcito. «Qualcuno ha una penna da prestarmi?».
Danny gli porse una biro blu decorata con la scritta “Byblos” in lettere dorate: la stessa che la cameriera aveva lasciato loro per ordinare. Jimmy inarcò le sopracciglia in un'implicita domanda e il batterista si strinse nelle spalle.
«L'ho presa come souvenir».
«Cosa devi scrivere, scusa?», chiese Lee, scuotendosi i chicchi di riso dalle spalle mentre si chinava verso l'amico. «Neanche al mio matrimonio ne avevo così tanti, addosso», aggiunse, seccato.
«L'indirizzo di questo posto», rispose il trombonista. «Di sicuro saremo bannati anche da qui, come ci è già successo all'Old Wild West». Col dito indicò prima la riga sovrastante quella che aveva appena scritto e poi dietro le sue spalle, verso il locale in questione la cui insegna si intravedeva in lontananza.
«Scusa, questo non lo mangi?», chiese Terry rivolgendosi a Danny e indicando il sashimi di tonno che aveva ancora sulla testa.
«Cosa?», domandò in risposta il batterista mentre l'omone allungava le dita e si lanciava in bocca il pezzo di pesce, suscitando smorfie di sdegno.
«Ma che schifo, però!», esclamò Lee, che aveva recuperato tutta la puzza sotto al naso, facendo ridere Laudir. L'anziano percussionista fu costretto ad appoggiarsi pesantemente al proprio bastone per non rovinare a terra.
Il chitarrista si strinse nelle spalle. «Perché dovrebbe farmi schifo? Danny è il mio migliore amico da una vita. Mangerei anche nel suo stesso piatto e con le sue stesse posate, se fosse necessario. Anzi, qualche volta è anche successo...».
Il batterista si mise a ridere mentre Lee storceva di nuovo il naso, questa volta imitato da Robert.
«E tu cos'hai da fare tanto lo smorfioso?», riprese Terry fissando il tastierista. «Non mi pare che ti dia tanto fastidio ficcare la lingua in bocca a Bellicapelli!».
«Cosa c'entra? Peter è il mio compagno!».
«E Daniel è il mio fratello mancato, perciò...», non concluse la frase, ma affibbiò una sfilza di pacche sulla schiena dell'amico fino a lasciarlo senza fiato.
«Basta cosi, Terry, grazie... hai reso l'idea», ansimò il batterista, cercando di riprendere aria.
«E anche questo compleanno direi che è stato epico», commentò James, voltandosi a guardare il suo compagno negli occhi prima di sporgersi a baciarlo lievemente sulle labbra. «E mi sa che il prossimo sono io, vero?».
«Sì», rispose Danny, «tu sei nato il 20 di agosto e io il 28».
«Allora dovremo aspettare un sacco, prima di festeggiare il prossimo compleanno», si lamentò Peter.
«Già, ma poi sarà tutto un fuoco di fila!», rise Walter togliendosi gli ultimi chicchi di riso dai capelli. *3

Dopo gli ultimi saluti di rito, gli otto uomini raggiunsero ognuno il proprio mezzo. Terry partì per primo, il pick-up malandato che vibrava e sferragliava come una locomotiva a vapore.
Jimmy e Walt rimasero ultimi. Prima di mettere in moto, il trombonista si sporse sul sedile e catturò le labbra del compagno con le proprie. Walter gli passò le dita tra i corti capelli bianchi.
«Sbrigati ad andare a casa», sussurrò quando il bacio si interruppe. «Ho voglia di chiudere in bellezza questa serata... tra l'altro non sono riuscito a mangiare nemmeno la torta».
James sorrise. «Tranquillo, penserò a tutto io».
E, con un rombo, il motore della Dodge Charger prese vita.

 

 

 

Spazio autrice:

AUGURI WALTER!
Purtroppo devo pubblicare in anticipo, perché data la situazione non so se domani o sabato avrò il computer a disposizione.
Ho deciso di trasformare la prima shot, dedicata al compleanno di Terry Kath, in una raccolta per includere i compleanni di tutti i membri fondatori dei Chicago. Trattandosi di un modern/AU ho deciso, con il permesso di Kim WinterNight cui appartiene il personaggio, di inserire Greta (OC già apparso nella mia Alive Again e nella sua Disperazione, capitolo della raccolta intitolata “Melodies”) come moglie di Terry Kath, andando a modificare il primo capitolo.
Naturalmente, in questo universo alternativo i Chicago sono esclusivamente i membri fondatori, in compagnia di Laudir de Oliveira che, pur non essendolo, è troppo simpatico per essere lasciato da parte. E quest'ultimo e Terry sono ancora vivi e vegeti. Le mie OTP slash la fanno ovviamente da padrone.
Personalmente, ho imparato abbastanza bene a usare le bacchette (e non sapete come mi manca andare all'all you can eat in questo periodo), però so che non è affatto facile e quindi mi sono divertita a renderli tutti un po' goffi in questa attività. Mentre pensavo alla storia, prima ancora di scriverla, mi sono fatta delle grasse risate immaginando le varie scenette. Spero di aver strappato un sorriso anche a voi.
Tanto per la cronaca: la Dodge Charger del 1969 è l'automobile di Hazzard (il Generale Lee) che io adoro!
Ed ecco le note numerate.
*1 – Per non fare una marea di note cerco di racchiudere un po' di informazioni in una:
Nel capitolo Tende di pizzo e centrini all'uncinetto della mia raccolta “Dieci assi per una Challenge”, Terry ha la passione per l'uncinetto. Passione che lo porterà, in vecchiaia (come raccontato nel capitolo Only handcrafted! della raccolta “Multi-feelings” di Kim WinterNight), a mettere su una bancarella nei più famosi mercatini di Los Angeles. L'Artist and Fleas Market è appunto uno di questi, che si svolge il sabato.
Uno dei vizietti di Danny, oltre alle donne, è sempre stato il fumare spinelli. Sicuramente in vecchiaia avrà smesso, ma mi sono presa la licenza di farlo continuare perché fa troppo rock 'n' roll.
Il “Byblos” è un night club giapponese (non so se sia a Osaka, perché su internet non ne ho trovato traccia, ma ho scelto quella città perché, in tutti i tour in Giappone che i Chicago hanno fatto hanno sempre fatto almeno una tappa, lì), che ha ispirato la magnifica canzone omonima del 1974 scritta da Terry Kath. In questa canzone, Terry racconta il suo incontro con una ragazza con cui passa tutta la sera a parlare. Si trova benissimo con lei, ma si dimentica di chiederle il numero di telefono. Torna nel locale qualche sera dopo, con la speranza di incontrarla di nuovo. Così avviene, ma viene interrotto da un suo amico che lo ferma a parlare. Quando finalmente si libera lei sta chiacchierando con un altro amico di Terry, il quale stava passando un brutto periodo, e quindi Terry decide di lasciargli la ragazza perché gli avrebbe fatto bene. Spulciando su internet, ho trovato un sito su cui era scritto che la leggenda vuole che l'amico in questione fosse proprio Peter Cetera. La canzone è ovviamente molto romantica e non parla affatto di sesso, ma io mi sono presa la libertà di interpretarla a questo modo.
*2 – La frase pronunciata da Robert è un omaggio a Giovanni Vernia e al suo personaggio “Jonny Groove”.
*3 – I compleanni dei membri fondatori dei Chicago sono, in ordine cronologico, i seguenti: Terry: 31 gennaio; Walter: 14 marzo; James: 20 agosto; Danny: 28 agosto; Peter: 13 settembre; Robert: 13 ottobre; Lee: 21 ottobre.

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Capitolo 3
*** James Pankow ***


James Pankow


 

Los Angeles, 20 agosto 2020


James era raggiante quella sera. I suoi occhi castani brillavano più del solito, mentre una piccola coroncina di rughe di espressione gli appariva sul volto a ogni sorriso. Walter lo fissava, appoggiato allo stipite della porta del bagno, mentre il suo compagno finiva di prepararsi per uscire.
«Allora, sei pronto o no? Guarda che, stasera, potrei farti la stessa domanda che mi hai fatto tu per il mio compleanno», disse il sassofonista, la voce profonda incrinata appena dall'accenno di una risata.
«No, tranquillo», replicò Jimmy, fissando gli occhi nei suoi attraverso lo specchio. «Peter non è mai stato il mio tipo». *1
Finalmente pronto, il trombonista seguì Walter fino alla macchina. Stavolta sarebbe stato il più anziano a guidare e Jimmy si sarebbe goduto la scarrozzata fino al Sunset Boulevard. In fondo, era lui il festeggiato.
«Dove avete prenotato?», chiese con curiosità, tirando fuori dal borsello il suo quadernino su cui annotava praticamente tutto.
«Al “Gate of India”». *2
Il sorriso del trombonista si accentuò. «Adoro la cucina indiana!», esclamò soddisfatto. «Spero solo di non farci bannare anche da qui», aggiunse, mentre annotava il nome del ristorante.
«Ma sai che siamo finiti pure sul giornale, per i nostri exploit?».
James aggrottò le sopracciglia candide come la neve. «Cosa?!».
«Sì, me lo aveva detto Terry tempo fa. Ci hanno definito “i terroristi dei ristoranti”. Mi ero dimenticato di dirtelo», ridacchiò Walter, riportando al compagno ciò che aveva scritto di loro il giornalista. *3
Al termine del racconto il più giovane scoppiò a ridere. «Chissà Lee come avrà storto il naso!».
Al pensiero della faccia del trombettista, anche Walt esplose in una risata. «Non ricordiamoglielo, allora!».


Davanti all'ingresso del locale li attendevano già tutti gli altri. Stavolta persino Terry era arrivato puntuale, nonostante dal cassone del suo vecchissimo e scassatissimo furgoncino blu spuntasse il gazebo che utilizzava per i mercatini, come sempre mal ripiegato per la fretta.
I ragazzi attorniarono il festeggiato, salutandolo con sorrisi e pacche sulle spalle. Laudir, addirittura, usò il suo bastone da passeggio per dargli una botta in testa. Il chitarrista ovviamente non si risparmiò, e con la sua pacca mandò Jimmy dritto tra le braccia di Peter, beccandosi un'occhiataccia sia da Robert sia da Walter.
«Meno male che stavolta non è toccata a me», commentò Danny. Non fece in tempo a finire di parlare che Terry ne mollò una pure a lui, spedendolo contro la vetrata. «Cazzo, era meglio se stavo zitto!», sibilò in aggiunta, raddrizzandosi gli occhiali sul naso.
Dopo essersi scambiati i convenevoli di rito, gli otto vecchietti entrarono nel ristorante in fila indiana, James in testa. Non appena varcato l'ingresso, l'attenzione del trombonista fu attirata da una statua del dio Ganesha, la divinità induista dalle quattro braccia e la testa di elefante, simbolo di saggezza ed equità. *4
«Ehi, Terry!», esclamò, voltandosi verso l'omone che lo seguiva. «Guarda, ti somiglia! Sarà mica un tuo parente?», aggiunse, indicando la scultura.
Il chitarrista la esaminò attentamente, accarezzandosi il ventre prominente simile a quello della divinità, poi scosse la testa. «Mi somiglia per un unico particolare», sentenziò in tono serio.
«E quale?», chiese James, sinceramente incuriosito.
«La proboscide», rispose Terry, mettendosi il braccio destro tra le gambe e facendolo ondeggiare, simulando volgarmente un pene gigantesco e facendo scoppiare a ridere tutti quanti.
Passato l'attacco di risa furono accolti da un cameriere indiano che li guidò al loro tavolo, lasciando poi i menù, rigorosamente “all you can eat”.
Lee inforcò gli occhiali da lettura e si mise a sfogliare la lista – piena di pietanze a base di curry e altre spezie cucinate prevalentemente con il metodo “tandoori” – con occhio critico. *5
«Spero che questa volta non vada a finire come le precedenti», sibilò guardando di sottecchi tutti i suoi compagni e facendoli sogghignare: a nessuno era sfuggito l'articolo sul Los Angeles Daily News relativo alle loro bravate durante i precedenti due compleanni.
«Tranquillo...», rispose Terry con un ghigno sardonico sul volto.
«Se me lo dici tu, di star tranquillo, allora non lo sarò affatto!», replicò il trombettista, posando il menù sul tavolo e puntando il dito contro il suo compagno di band.
«Possiamo ordinare, per favore? Io ho fame!», esclamò Laudir, picchiando il bastone a terra per riportare l'ordine. Tutti gli altri obbedirono al più anziano e James scrisse diligentemente tutte le loro ordinazioni sull'apposito foglietto, che poi fu consegnato al cameriere.
I piatti non tardarono ad arrivare e la cena iniziò abbastanza tranquillamente. A parte Robert che si era bruciato con il coperchio di argilla del fornetto tandoori e Lee che non faceva che storcere il naso alla vista di qualunque portata, le cose si svolsero regolarmente. Almeno fino a quando il cameriere non portò loro una zuppiera piena di zuppa di pollo, che depose al centro del tavolo.
Il trombettista arricciò il naso per l'ennesima volta. «Ancora pollo? Ma possibile che non ci sia nient'altro su questo cazzo di menù?».
«Ci sono anche dei piatti a base di agnello», rispose Peter, mettendosi gli occhiali e scorrendo rapidamente la lista lasciata a loro disposizione.
«La carne di agnello puzza di selvatico!».
«Allora i gamberi?», suggerì Robert, accostando la testa a quella del compagno per scorrere le portate.
«Sono allergico ai crostacei!».
Danny strappò il menù dalle mani di Peter e si mise a sfogliarlo. «Qualcosa a base di pesce... Mahi-Mahi?», suggerì.
«Non so nemmeno che razza di pesce sia, il Mahi-Mahi!», esclamò Lee per la terza volta. *6
Terry, che aveva seguito lo scambio con un ghigno che si ampliava sempre più sul suo faccione, intinse il proprio cucchiaio nella zuppiera e pescò una carota bollita. Poi lo sistemò tra le mani a mo' di catapulta e lo puntò verso il trombettista.
«Ehi, Lee! L'agnello no, i gamberi no, il pesce no... allora beccati 'sta carota lessa!», e facendo leva con le dita sulla paletta lanciò il pezzo di verdura verso il suo compagno di band, colpendolo in piena faccia.
Le guance di Lee diventarono paonazze per la furia e lo sdegno. «Io lo sapevo che saresti stato tu a cominciare... e meno male che mi hai detto di star tranquillo!».
«E che cazzo, trombetta in bocca, sei noioso come un foruncolo sulle chiappe! E poi, così impari a farmi vestire da Babbo Natale a ottobre!», replicò Terry. *7
Le labbra del trombettista si contrassero in una smorfia di rabbia: si sporse per afferrare un osso di pollo dal piatto di Walter e lo tirò contro il chitarrista che si scansò, ma non abbastanza in fretta, e venne colpito a una spalla.
L'omone si raddrizzò e puntò uno sguardo di fuoco su Lee. «Allora vuoi la guerra? Bene, che guerra sia!». Afferrò un pezzo di carne di pollo dalla zuppiera, affondandoci direttamente le mani, e la scagliò contro il trombettista, schizzando il brodo ovunque sul tavolo e inzaccherando la camicia bianca di lino di Peter.
«Ehi, io che cosa c'entro?», si lamentò l'anziano bassista, per poi afferrare un altro osso di pollo dal piatto di Robert e lanciarlo contro Terry. La sua mira, però, lasciò molto a desiderare, e invece di colpire il suo bersaglio prese in pieno Laudir.
Il brasiliano scoppiò in un ghigno satanico e, afferrato il proprio bastone da passeggio, cominciò a usarlo come una mazza da baseball, respingendo al mittente qualsiasi forma di cibo gli capitasse a tiro. Ben presto il tavolo degli otto vecchietti si trasformò nel delirio più completo: tutti lanciavano tutto, non soltanto pezzi di pollo, verdure e gamberetti, ma anche fette di pane, tovaglioli, e pure qualche posata; e Laudir, lucido come un ragazzino nonostante la veneranda età, colpiva e rilanciava tutto ciò che gli passava davanti, spedendo ogni proiettile molto al di là del loro tavolo. *8
Gli altri avventori iniziarono a urlare e a lamentarsi, e qualcuno lasciò pure il locale in tutta fretta senza pagare il conto. Il giovane cameriere indiano che li aveva fatti accomodare si avvicinò di corsa, sbraitando in sanscrito e mulinando le braccia, con il chiaro intento di farli sloggiare il più in fretta possibile prima che riducessero tutto il ristorante a un macello. *9
Ridendo come matti gli otto si alzarono da tavola, pagarono il conto – debitamente incrementato dal costo dei danni e delle cene non pagate – senza battere ciglio, e uscirono dal locale a testa alta, sporchi di salsa allo yogurt, pezzi di pollo e verdure miste.


Sbattuti fuori per la terza volta da un locale del Sunset Boulevard, i Chicago si ritrovarono sul marciapiede a tentare di riprendere contegno.
«I terroristi dei ristoranti colpiscono ancora!», esclamò James, i capelli bianchi macchiati di sugo, citando l'articolo che li aveva visti protagonisti qualche mese prima mentre annotava, sul suo quadernino, che erano stati bannati anche da quel ristorante.
«Mi sono divertito da morire...», esalò Laudir, facendo volteggiare il bastone per un'ultima volta e sbattendolo involontariamente sulla pelata di Danny.
«Anch'io, in effetti», aggiunse Terry, strizzandosi i capelli completamente coperti di zuppa di pomodoro e formando una piccola pozza rosso sangue ai suoi piedi. «È sempre un piacere prendere di mira trombetta in bocca».
Lee storse il naso mentre tentava di ripulirsi la camicia dai pezzetti di carota e altre verdure. «Vorrei tanto sapere che cosa ci provi a vandalizzare ogni locale che frequentiamo! Di questo passo non ci faranno più entrare da nessuna parte!».
«Gne, gne, gne...», lo scimmiottò il chitarrista con una smorfia buffa che fece ridere tutti i suoi compagni. «Sembri mia moglie...».
E mentre Peter e Robert si toglievano piselli dalla testa a vicenda, come due scimmie che si spulciano, Danny si sbatté all'improvviso la mano sulla fronte.
«Il regalo! Jimmy, ci siamo dimenticati di darti il tuo regalo!», e tirò fuori dalla tasca un pacchettino avvolto in carta azzurra.
Il trombonista afferrò subito il suo dono. «Grazie, ragazzi, non dovevate disturbarvi», disse senza risultare troppo convincente, strappando la carta in fretta e furia. Si ritrovò tra le mani un orologino digitale di plastica, molto simile a quelli che un tempo si trovavano in omaggio nei fustini di sapone, color rosa shocking. La pellicola trasparente messa a protezione del piccolo display riportava l'ora “09:05”. Lo fissò interdetto per qualche secondo, per poi alzare lo sguardo sui suoi amici. *10
«No, la pila non c'è», disse Danny, decidendo di interpretare il suo sguardo come una richiesta di spiegazioni sull'ora segnalata, «dovrai comprarla tu!».
Il trombonista voltò l'orologino alla ricerca del vano delle batterie, e vide che sulla cassa era stato scritto qualcosa con una penna da lucidi nera. La calligrafia era quella sghemba del chitarrista.
«A Jimmy trombone con affetto», lesse a voce alta. *11
«Non sono riuscito a scrivere altro, lo spazio era troppo poco», si giustificò Terry stringendosi nelle spalle. «E non potevamo nemmeno comperarti un orologio più costoso, visto che per Wally e per me avete speso solo pochi spiccioli», aggiunse in tono di ovvietà.
James fissò l'orologio ancora per un po', poi si riscosse e spalancò le braccia con un sorriso. «Abbraccio di gruppo!».
Dopo gli ultimi saluti, e dopo essersi dati appuntamento per il venerdì successivo per festeggiare il compleanno di Danny, ognuno riprese la sua strada. Walter e Jimmy salirono sulla loro vecchia Dodge Charger per tornare a casa, il sassofonista alla guida.
«Allora, sei contento della serata?», chiese il più anziano, lanciando un'occhiata di sottecchi al compagno intento ad allacciarsi al polso l'orologino di plastica senza pila.
«Sì, mi sono divertito un sacco! Immaginavo che sarebbe andata a finire così... anzi, forse ci speravo pure!».
Walter sorrise malizioso. «E non hai ancora visto il mio regalo...».
Il trombonista si leccò le labbra con fare lascivo. «Per caso ha a che fare con un paio di slip con un pacco regalo disegnato sopra?». *12
«Può darsi...».
«Allora pigia a tavoletta!», esclamò James, strappando un bacio al suo compagno.

 

 

Spazio autrice:

AUGURI JAMES!
Stavolta sono stata costretta a pubblicare un pochino in ritardo, perché il 20 di agosto purtroppo non ero a casa. Non volevo anticipare troppo la pubblicazione, perché fare gli auguri troppo in anticipo non è bello, quindi ho deciso di posticipare :-)
In questa storia, che rappresenta il sequel del capitolo intitolato "Regali imparziali" della mia raccolta “Just a little smile” (come riportato anche nelle note sottostanti) fa di nuovo la sua comparsa il prompt che Kim Winternight, con i suoi dadi di Tiger, mi aveva suggerito per il prequiel, ovvero un orologio che segna le 09:05: questa volta l'orologio è di plastica, e l'ora è scritta sulla pellicola di protezione del quadrante, ma comunque sia il succo non cambia XD.
Voi ricordate gli orologini che si trovavano nei fustini di detersivo? Oppure sono davvero così vecchia? XD
Come ormai di consueto, i nostri Chicago “nonnini” non si sono risparmiati e hanno vandalizzato un altro ristorante di Los Angeles. Kim, ora passo la palla a te: quale articolo comparirà stavolta sul giornale?
E mancano ancora molti compleanni, quindi chissà da quanti altri locali saranno bannati XD.
Premetto che ho mangiato soltanto una volta al ristorante indiano, e parecchi anni fa, ma ricordo che la cucina mi era piaciuta molto.
Spero di avervi fatto sorridere! E, se tutto va bene, ci rivediamo il 28 di agosto per il compleanno di Danny!
E ora, spazio alle note numerate.
*1 – Accenno al capitolo precedente di questa raccolta, dedicato al compleanno di Walter Parazaider.
*2 – Il “Gate of India” è un ristorante indiano “all you can eat” che si trova davvero a Los Angeles sul Sunset Boulevard.
*3 – Accenno a due storie presenti su EFP: "Notizie in regalo" di Kim Winternight, e la mia "Nuove forme di terrorismo".
*4 – Come accennato anche nel testo, Ganesha è una divinità induista, ed è uno degli aspetti di Dio più conosciuti. Figlio primogenito di Sìva e Pārvati, viene raffigurato con una testa di elefante provvista di una sola zanna, ventre pronunciato e quattro braccia, mentre cavalca o viene servito da un topo, suo veicolo. (Fonte: Wikipedia).
*5 – Il “tandoori” è un piccolo forno di argilla molto usato nella cucina indiana, a forma di campana rovesciata, che viene posto direttamente sulle braci.
*6 – Su internet ho trovato il menù del ristorante e mi sono basata su quello per descrivere le portate mangiate dai nostri eroi. Il Mahi-Mahi è un pesce pelagico meglio conosciuto come Dorado. Per quanto riguarda la carne di agnello, ha un sapore molto intenso (che mia mamma odia profondamente e dice che sa di selvatico, appunto), ed è per questo che, per mia licenza poetica, a Lee non piace.
*7 – Ho utilizzato per Lee il soprannome “Trombetta in bocca” (citazione tratta dal film “Totò a colori”) sia perché è un trombettista, sia perché Terry, in questo AU, ce l'ha ancora con lui per avergli fatto interpretare Babbo Natale a ottobre per il lancio del loro ultimo disco, come raccontato nel capitolo “Mai provocare Babbo Natale” della mia raccolta "Just a little smile".
*8 – In questo AU Laudir, nato nel 1940, ha 80 anni. Nella realtà, purtroppo, è venuto a mancare per arresto cardiaco nel 2017.
*9 – Il sanscrito è una delle lingue ufficiali dell'India.
*10 – Il racconto dell'acquisto di questo regalo si può trovare nel capitolo “Regali imparziali” della mia raccolta “Just a little smile”.
*11 – Durante il concerto di Tanglewood del 1970 (che potete vedere qui: https://www.youtube.com/watch?v=_oAoSZ2y1cw) a un certo punto Terry, nel presentare il compagno di band, invece di dire “
Jimmy at the trombone” ha un lapsus e dice solamente “Jimmy trombone”, per poi mettersi a ridere nel rendersi conto di quello che aveva detto. Siccome in italiano volgare “Jimmy trombone” fa venire in mente a qualcuno che ci da dentro col sesso, mi fa molto sorridere, e per questo l'ho fatto scrivere a Terry come dedica sull'orologio.
*12 – Accenno al capitolo “Un regalo di Natale molto particolare” della mia raccolta "10 Assi per una Challenge".

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Capitolo 4
*** Danny Seraphine ***


Danny Seraphine

 

 

Los Angeles, 28 agosto 2020

 

Danny era praticamente pronto per uscire, e si stava già calcando il Panama in testa, quando sua moglie Linda lo raggiunse nell'ingresso, vestita di tutto punto e con i lunghi capelli grigi acconciati in una treccia che le ricadeva sulla spalla sinistra. Il batterista si bloccò con la mano sul pomello della porta e la fissò sorpreso, le sopracciglia inarcate.
«Esci anche tu, tesoro? Dove te ne vai, di bello?», le chiese, curioso. Fino a un minuto prima, infatti, era convinto che la moglie sarebbe rimasta a casa mentre lui andava a festeggiare il proprio compleanno con i suoi fratelli.
«Ma che domande mi fai? Vado dove vai tu!».
Danny fece un balzo all'indietro, come se si fosse scottato. «Cosa?!».
«Hai capito benissimo!», rispose Linda, mettendosi le mani sui fianchi.
Il batterista si tolse il cappello e si grattò la pelata. «Ma... perché, scusa? Non sei mai venuta agli altri compleanni, perché devi farlo proprio stasera?».
«Perché stasera è il tuo compleanno, idiota, e io sono tua moglie! E, se proprio vuoi saperlo, io sarei andata volentieri anche agli altri compleanni, ma non mi avete mai invitato!», replicò la donna, piccata.
Danny trasse due profondi respiri e cercò di farla ragionare.
«Vedi, cara, siamo tutti uomini... e lo sai come vanno a finire le cose, quando otto maschi si ritrovano tutti insieme. E poi, se vieni anche tu, allora dovremmo invitare anche le altre mogli, no?».
Linda incrociò le braccia sul petto generoso. «Quali altre mogli? Wally, Jimmy, Bobby... e Pete», quasi sputò l'ultimo nome, «sono quattro checche, e Lee è divorziato!».
Il marito le fece cenno, con entrambe le mani, di abbassare il tono della voce. «Sembra quasi che tu ce l'abbia con loro perché sono gay».
«Io ce l'ho soltanto con Belli Capelli», replicò la donna, chiamando il bassista con il nomignolo che Terry aveva coniato per lui tantissimi anni prima, «perché mi ha tradito con un uomo! Fosse stata una bella donna avrei anche potuto capirlo, ma con un uomo? Con Bobby? Proprio no, che diamine!».
Erano passati moltissimi anni ormai da quanto Peter, suo marito all'epoca, le aveva confessato di essersi innamorato di Robert e di essere andato a letto con lui, ma Linda non era ancora riuscita a perdonarglielo. Aveva lottato un sacco per conquistarlo, e quando aveva scoperto che l'uomo dei suoi sogni era frocio si era sentita umiliata nel profondo. All'inizio era tornata con Danny semplicemente per ripicca – e il batterista lo sapeva benissimo – ma poi i due avevano trovato un equilibrio, si erano sposati ed erano rimasti insieme fino ad allora, scoprendo di essere fatti davvero l'una per l'altro. *1
«Ancora con questa storia?», sospirò l'uomo, ma Linda scosse la testa.
«Va bene, va bene... la smetto. Comunque, l'unica moglie di cui possiamo parlare è Greta. Gliel'ho chiesto mille volte, di venire, ma lei ha sempre rifiutato. Ha detto che non vuole trovarsi in mezzo ai vostri casini».
«E non sarebbe meglio anche per te, se ne rimanessi fuori?».
«Ma che, sei scemo per caso? Io il tuo compleanno non me lo perdo, è chiaro?».
«Chiarissimo...» sospirò ancora Danny, per poi aprire la porta e farsi da parte per lasciar passare la moglie.
Una volta in macchina, Linda aprì il finestrino e mise fuori il gomito.
«Allora, dov'è che andiamo a mangiare?».
«Alla “Pizzeria il Fico”».
«Uh, che bello!», esultò la donna. «Sono secoli che non mi porti a mangiare italiano, e mi manca tanto la cucina di mia mamma».
Danny alzò gli occhi al cielo. «Quindici giorni fa ti ho portato da “Pasta e Pasta”!».
«E tu quello hai il coraggio di chiamarlo ristorante italiano? È gestito da cinesi, e gli spaghetti che servono lo sono altrettanto!». *2
«Tu non ti accontenti mai, sei la solita piattola!», replicò il batterista, infervorandosi.
«E tu un pidocchio, che non vuoi spendere nemmeno un cent più del necessario!».


I due continuarono a battibeccare finché non arrivarono davanti alla pizzeria, in Robertson Boulevard. E proseguirono pure mentre, camminando affiancati sul marciapiede, raggiungevano gli altri ragazzi dei Chicago che aspettavano davanti al locale. Si interruppero soltanto quando Terry prima strinse Linda in un abbraccio da orso, e poi rifilò al festeggiato una pacca talmente forte da fargli saltar via cappello e occhiali in un colpo solo.
«Greta mi ha riferito che avevi invitato anche lei. Ho provato a convincerla a venire, ma non c'è stato verso. Mi ha detto che, testuali parole, “non vuole avere niente a che fare con i nostri casini”», disse Terry, aiutando l'amico a raccogliere il cappello mentre gli altri salutavano la donna con baci sulle guance.
«Sono le stesse parole che ha detto anche a me», rispose Linda mentre stringeva Jimmy e Walt nel suo abbraccio. Lanciò un'occhiataccia a Peter e Robert prima di dar loro un bacio ciascuno, poi si accostò a Lee.
«Sono proprio contento che anche tu sia dei nostri, stasera», disse il trombettista. «Almeno si spera che Terry, in presenza di una signora, possa darsi un po' più di contegno!», aggiunse, calcando l'accento sulle ultime parole.
«Io non ci conterei, se fossi in te», replicò Linda lanciando un'occhiata all'enorme chitarrista e strizzandogli l'occhio. Terry le rispose con un ghigno.
Ultimati i saluti e gli auguri – anche stavolta Laudir usò il suo bastone per sbatterlo sulla pelata di Danny, facendogli volare via il cappello per la seconda volta – il nutrito gruppo entrò nel ristorante. Furono accolti da un paio di camerieri, rigorosamente italiani, che diedero loro il benvenuto prima in italiano e poi in americano.
Linda prese subito a chiacchierare nella sua lingua madre con uno dei due, mentre l'altro li guidò al loro tavolo e li fece accomodare, lasciando i menù.
Tutti d'accordo, decisero di prendere una pizza e si apprestarono a ordinare: Terry scelse una Diavola, con abbondante salamino piccante; James prese una Marinara; Walter e Lee un Calzone ai funghi e prosciutto ciascuno. Danny si concesse una Pugliese, a base di salsiccia e caciocavallo, mentre Peter e Robert optarono rispettivamente per una Carbonara e un'Ortolana. Laudir decise di rimanere leggero e si limitò a una Margherita, e Linda ordinò una Fichi, Gorgonzola e Prosciutto. *3
Il forno piuttosto ampio del locale permise loro di ricevere le nove pizze nel giro di breve tempo, quindi dopo una ventina di minuti di attesa ognuno ricevette la propria ordinazione. E mentre Lee affettava meticolosamente ogni boccone del suo calzone e lo infilzava con la forchetta, il festeggiato e sua moglie, da buoni italiani, si limitarono a tagliare a spicchi la propria pizza per poi portare le fette alle labbra direttamente con le mani.
Convinti che si trattasse di una buona idea, ben presto anche tutti gli altri iniziarono a comportarsi allo stesso modo, Terry per primo, mentre il trombettista rimase fedele alla sua idea iniziale e continuò, imperterrito, a mangiare con la forchetta mentre i suoi compagni di band masticavano rumorosamente e si leccavano le dita sporche di pomodoro.
«Certo che, però, Linda, pensavo di trovare in te un'alleata, non una sobillatrice di masse!», esclamò a un tratto Lee, nel vedere la donna che si arrotolava sull'indice un filamento di mozzarella fusa per poi ficcarsi il dito in bocca.
«Oh, Lee, secondo me tu sei troppo serioso. Dovresti rilassarti un po' di più, sai? A volte sembra che ti abbiano infilato una scopa su per il culo!», replicò Linda a bocca piena, senza curarsi di deglutire prima di parlare né, quanto meno, di tapparsi la bocca con la mano.
L'espressione sconcertata del trombettista fece scoppiare tutti a ridere e, nel farlo, Terry sputacchiò pezzetti di salamino piccante tutto attorno.
«Terry, cazzo, sei sempre un animale!».
Il grido di sdegno di Lee fece voltare verso il loro tavolo un buon numero di avventori. Alcuni dei più vicini cominciarono a trarre indietro le sedie: forse anche loro avevano letto i giornali e avevano riconosciuto i Terroristi dei ristoranti.
Linda ghignò e lanciò uno sguardo di intesa al chitarrista, che le rispose con un impercettibile cenno del capo. La donna afferrò uno dei fichi che ancora rimanevano sulla sua pizza e lo lanciò contro il trombettista.
«Ops...», disse, mentre il frutto zuccherino grondante salsa di pomodoro si spiaccicava sulla camicia rosa di Lee.
L'anziano trombettista la fulminò con uno sguardo di fuoco, mentre Danny si sbatteva la mano sulla fronte.
«Linda... no... non mettertici anche tu, stavolta...».
«Sta zitto!», replicò la donna, ficcandogli un frutto in bocca. «Fa' divertire anche me!». E, preso l'ultimo fico rimasto, lo lanciò contro Peter con tutta la forza che aveva, beccandolo in piena faccia.
Il bassista, ben conoscendo il risentimento che ancora la donna provava nei suoi confronti dopo tutti quegli anni, decise che era arrivato il momento di mettere le cose in chiaro, così raccolse il frutto e lo rilanciò alla legittima proprietaria, che si scansò. Il fico sparì oltre le sue spalle e si spiaccicò a terra con un CIAFF, a pochi centimetri dal piede di uno dei clienti che si alzò di scatto.
James alzò gli occhi al cielo con un sospiro, tirò fuori dal borsello il suo quadernino e, senza attendere ulteriori sviluppi, annotò l'ennesimo ristorante da cui di sicuro sarebbero stati bannati a momenti.
Linda notò il gesto e, mentre Robert e Danny combattevano a suon di lanci di croste per difendere ognuno l'amore della propria vita, la donna prese una fetta di salamino piccante dal piatto di Terry e la buttò in faccia al trombonista. James non poté replicare, intento com'era a scrivere, ma Walter intervenne al posto suo, spedendo all'indirizzo di Linda un pezzo di fungo porcino appena estratto dal suo calzone.
Laudir scoppiò a ridere come un matto. «Evviva! Ora sì che ci si diverte!», esclamò, per poi afferrare la mozzarella fusa a piene mani dalla propria Margherita e spiaccicarla sulla pelata di Danny. «Ecco, ora hai di nuovo i capelli!», rise il brasiliano, fissando il collega percussionista che si portava le mani alla testa.
Terry contemplò la scena per qualche istante, godendosi la battaglia mangereccia da bordo tavolo, poi raccolse dai piatti tutte le fette di pizza che erano rimaste, le svuotò del condimento leccandole avidamente per non mandar nulla sprecato e poi prese a lanciarle a destra e a manca, in una sorta di 'ndo cojo cojo. Una si schiantò sulla giacca di Walter, un'altra sulla faccia di Robert, e una terza terminò la sua corsa nel generoso décolleté di Linda. *4
Le grida, non solo dei Chicago, ormai risuonavano per tutto il locale. I camerieri italiani accorsero e presero a sbraitare in napoletano, le mani tra i capelli.
«Marònna mia! Cche casinu! Vavattenne, vavattenne!», gridarono, spintonando alternativamente i vari membri della band che, nonostante tutto, continuavano imperterriti a lanciarsi pezzi di cibo. *5
Inebriata dal caos e dal divertimento, anche Linda iniziò a gridare in milanese, rivolgendosi ai camerieri con epiteti vari e, talvolta, irripetibili. Danny tentò inutilmente di trascinarla via: la donna aveva piantato i piedi a terra e sembrava irremovibile, mentre mulinava le braccia e urlava come uno spazzacamino. Terry ebbe pietà dell'amico e dei suoi vani sforzi e, con un movimento repentino, si caricò Linda su una spalla e la portò fuori dal locale, deponendola poi sul marciapiede a buona distanza dall'ingresso.
«Non avresti dovuto portarmi via! Volevo dirgliene quattro, a quei terùn!», borbottò la donna, incrociando le braccia sul petto generoso.
«Gliene hai dette anche sette o otto», rispose Danny. «E guarda che anch'io sono un terùn, come li chiami tu!». *6
Linda si strinse nelle spalle. «Tu sei mio marito, è diverso».
Il batterista alzò gli occhi al cielo, ma sorrise quando la moglie lo strinse in un abbraccio.
«E anche stavolta ci siamo riusciti», disse James, finendo di annotare data e ora nel suo quadernetto. «Ci siamo fatti cacciare anche dalla “Pizzeria Il Fico”. Quale sarà il prossimo ristorante?».
«Sentite, fratelli, non sarà il caso di darci una regolata?», implorò Peter. «Il prossimo compleanno sarà il mio, e non mi va proprio di farmi riconoscere anche nel mio ristorante preferito!».
«Secondo me, ormai ci conoscono già... purtroppo!», sputò Lee, inviperito, scuotendosi pezzetti di pancetta e salamino piccante dai vestiti.
Terry prese una manciata della mozzarella che Laudir aveva spiaccicato sulla pelata di Danny e se la mise in bocca. «Un po' fredda... ma ancora passabile. Ne vuoi un po'?», chiese a Linda, e la donna lo aiutò a finirla, accompagnata dai mugugni degli altri membri della band.
«Beh, direi che anche per stasera è andata. Allora ci vediamo il 13 settembre?», disse Walter, leccandosi il pomodoro dalle dita. *7
Tutti gli altri annuirono e ognuno riprese la propria strada.


«Lo sapevo che volevi venire al mio compleanno soltanto per fare casino», commentò Danny non appena lui e Linda furono di nuovo in auto. «Forse avresti dovuto sposare Terry».
«Ma sai che ci avevo fatto un pensierino, all'epoca? Ma ormai lui si era innamorato di Greta», rispose la donna scrollando le spalle. «E poi lo sai che a me piaceva Peter».
«Sì... però sei venuta a letto con me», replicò il batterista con un ghigno.
Linda rispose alla sua smorfia e lo abbracciò, per poi dargli un bacio con lo schiocco sulla guancia. «Andiamo a casa, ora. Ho bisogno di farmi una doccia», aggiunse poi, guardandosi i capelli impiastricciati nello specchietto retrovisore. «E avrò bisogno di qualcuno che mi lavi la schiena...».
«Agli ordini!», esclamò Danny mettendosi sull'attenti.
Si lanciarono un'ultima occhiata, poi scoppiarono a ridere all'unisono.

 

 

Spazio autrice:

AUGURI DANNY!
Voi non potete capire quanto mi sono divertita a scrivere questo capitolo: mentre lo facevo, e mentre lo rileggevo, ridevo da sola come una scema. Spero quindi di aver fatto sorridere anche voi.
Non vedevo l'ora di poter inserire Linda tra gli invitati al compleanno: in fondo lei è la mia OC preferita in questo AU (forse perché è tutta farina del mio sacco, mentre invece Greta mi è stata gentilmente regalata da Kim Winternight :-) ), e l'ho sempre immaginata come una ragazza ribelle sin da giovane, mentre invece Greta è molto più sobria. Come potevo non farla partecipare al compleanno del marito e a non renderla la promotrice dell'ennesimo atto vandalico? In fondo anche lei voleva divertirsi: ha letto sul giornale le bravate del marito e dei suoi colleghi senza mai potervi prendere parte, quindi era logico che prima o poi dovesse succedere. Inoltre, mi è venuto proprio naturale far battibeccare lei e Danny, un po' come dei novelli Vianello/Mondaini XD.
Ora, sono a chiedere il vostro aiuto! Mi mancano ancora 3 compleanni (Peter, Robert e Lee): quali ristoranti posso far vandalizzare... ehm, provare ai nostri nonnini? Fatemi sapere se avete delle preferenze :-)
E ora vi lascio, come al solito, alle note numerate.
*1 – Riassunto delle puntate precedenti: Greta e Linda (le OC protagoniste della mia long "Alive again") conoscono i Chicago in occasione del loro concerto a Milano dell'otto giugno 1971. Terry ha una sorta di colpo di fulmine per Greta, mentre Danny si interessa moltissimo a Linda. Durante una pausa tra i loro numerosi concerti, i due ragazzi tornano in Italia per approfondire la conoscenza con le due fanciulle. Greta, reduce da una profonda depressione in cui era caduta alla morte del suo fidanzato, finalmente ritrova l'amore grazie al chitarrista, si trasferisce in America con lui per terminare gli studi e alla fine si sposano; mentre Linda, dopo aver avuto un brevissimo flirt con il batterista, riesce a seguire l'amica in California per dedicarsi alla conquista dell'unico membro della band che davvero le interessa: il bassista Peter Cetera. Dopo tanto penare, riesce a conquistarlo e a fidanzarsi con lui (come raccontato nella mia fic "Indovina chi viene a cena?"). Ma poiché (nel mio AU immaginario) Robert Lamm, il tastierista della band, è omosessuale e segretamente innamorato di Peter, anche lui fa di tutto per far innamorare il bassista di sé. Ci riesce, e anche Peter scopre di preferire lui a Linda. La ragazza, naturalmente, rimane sconvolta dalla scoperta e, per ripicca, torna a mettersi con Danny. Il ragazzo è consapevole di essere solo un ripiego, ma essendo sempre stato un donnaiolo, benché conscio della sua mancanza di fascino, la cosa non lo disturba. Con il passare del tempo, comunque, i due ragazzi scoprono di essere fatti l'uno per l'altra e si sposano.
*2 – La “Pizzeria il Fico” e “Pasta e Pasta” sono due locali realmente esistenti a Los Angeles. Il primo è un ristorante e pizzeria prettamente italiano e gestito da italiani, mentre il secondo fa sia cucina italiana che cucina cinese, ed è gestito da cinesi, quindi provate a immaginare quanto di italiano ci possa essere.
*3 – Le pizze elencate si trovano sul menu della “Pizzeria il Fico”, come riportato sul sito di Tripadvisor.
*4 – “'ndo cojo cojo” è un'espressione gergale romanesca che significa, alla lettera, “dove colpisco, colpisco”. In senso lato il suo significato è: “non importa quale sia il risultato, l'importante è che ce ne sia uno”.
*5 – Le parole pronunciate dai camerieri significano, alla lettera: “Madonna mia! Che casino! Vattene, vattene!». Per scriverle ho utilizzato un dizionario napoletano trovato su internet. Mi scuso se ho fatto degli errori.
*6 – “Terùn” è un espressione dell'Italia settentrionale, intesa in senso spregiativo, per indicare i meridionali. Poiché Danny è nipote di emigrati, è verosimile che anche i suoi nonni provenissero dal sud Italia, visto che la nonna era solita chiamarlo “Dannuzzo”.
*7 – Il 13 settembre è il giorno del compleanno di Peter Cetera, il successivo nella lunga lista di compleanni.

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Capitolo 5
*** Peter Cetera ***


Peter Cetera

 

 

Los Angeles, 13 settembre 2020

 

Quando, alla spicciolata, raggiunsero Peter e Robert stretti mano nella mano, i restanti membri dei Chicago si guardarono attorno con aria spaesata: in quel punto del lungomare di Santa Monica non c'era nessun tipo di ristorante, soltanto un piccolo chiosco su ruote con alcuni tavolinetti di plastica sistemati attorno, alcuni dei quali riparati dal tardo sole settembrino da ombrelloni da mare mezzo scoloriti.
«Ma... è questo il tuo ristorante preferito?!», chiese Lee stupefatto, indicando col dito l'insegna sbilenca sopra il chiosco che recitava, a caratteri cubitali, “Piadineria Vecchia Romagna”. *1
«Certo che no», rispose Peter, scuotendo il capo con enfasi mentre salutava i suoi vecchi amici. «Non volevo correre il rischio di essere bannato anche da là, così ho deciso di invitarvi qui. Almeno, c'è ben poco da vandalizzare...».
Il trombettista storse il naso. «Avresti potuto dircelo, però! Mi hai fatto indossare il mio vestito migliore!», esclamò, indicando con un gesto plateale delle braccia il suo completo gessato fresco di tintoria.
Peter si strinse nelle spalle. «Non te l'ho mica detto io, di metterti in tiro. Linda non è venuta, stasera?», aggiunse, salutando Danny e guardandosi attorno alla ricerca della donna.
«Che, ti manca per caso?», chiese il batterista, ironico, e l'altro scosse il capo. «Ecco, allora non nominarla nemmeno. Ne abbiamo già uno, di casinisti», aggiunse, indicando Terry che rifilava pacche sulle spalle a destra e a manca.
Completati i saluti, accompagnati da amichevoli ma sonore bastonate sulle teste da parte dell'arzillo Laudir, gli otto vecchietti si sistemarono a uno dei tavoli più vicini al chiosco e ordinarono piadine e abbondante birra. Furono serviti quasi subito da una ragazza in shorts molto minimal, il cui sedere a mandolino fu contemplato a lungo da Danny.
«E meno male, che Linda non c'è», commentò James, ridendo, «altrimenti ti avrebbe già cavato gli occhi!».
Il batterista alzò lo sguardo al cielo con fare teatrale, per poi lanciare un'ultima occhiata al lato B della cameriera che si muoveva con agilità fra i tavoli. Terry lo ricondusse all'ordine mollandogli una delle sue manate sulla schiena, facendolo finire lungo disteso sul tavolo.
«Cazzo, Terry, che delicatezza...», ansimò Danny cercando di riprendere fiato mentre tutti gli altri, persino Lee – che aveva messo il tovagliolo al collo per evitare di ungere il suo vestito buono – scoppiarono a ridere.
Stavano mangiando di gusto, chiacchierando del più e del meno, quando da uno dei tavoli più distanti da loro si levò una voce sguaiata.
«Oh! Mi puoi portare una piadina con la salsiccia? Per favore? Adesso, qua! Mi senti?».
I Chicago rivolsero lo sguardo in quella direzione e videro un uomo di mezza età, dai capelli neri tenuti indietro da un'abbondante dose di gel e un pizzetto sottile, che gesticolava animatamente con entrambe le mani in direzione del chiosco.
I due piadinari gli lanciarono uno sguardo obliquo, senza smettere di preparare piadine, e l'uomo insisté, alzando il tono di voce.
«Ma che buongustai! Siete stronzi! Sì, voi, in bianco! Sto parlando a voi!». *2
Gli anziani musicisti si lanciarono l'un l'altro occhiate stranite, e Walter mosse l'indice in circolo di fianco alla propria tempia.
«Ma è matto?», chiese, tornando a fissare il tale che si era alzato in piedi e, mentre continuava a gesticolare con la destra, con la sinistra si toccava in continuazione i gioielli di famiglia.
«Secondo me è ubriaco fradicio», commentò Robert, indicando il boccale di birra da litro quasi completamente vuoto davanti all'uomo.
Terry concentrò la sua attenzione sui compagni di tavolo del tizio sciroccato, che cercavano inutilmente di placare il loro amico, e riconobbe un uomo corpulento dai corti capelli e la lunga barba brizzolati.
«Ehi! Ma quello è Bill!», esclamò, indicandolo.
«Conosci quel matto?», chiese James, stupito.
«No, non il tizio che sbraita. L'altro, quello seduto al suo fianco con la camicia bianca. L'ho conosciuto l'anno scorso al mercatino di Chicago», spiegò il chitarrista. «Gli ho venduto un fazzoletto da taschino per un suo amico.
«È vero!», si intromise Danny. «È quel tipo che ho conosciuto anch'io al Rose Bowl, all'inizio dell'estate. Bella gente, quella che frequenta...», commentò, tornando a fissare il tizio dai capelli neri che gesticolava e si toccava le palle alternativamente. *3
«Chissà perché continua a manipolarsi i coglioni...», si chiese Peter.
«Forse gli prudono», rispose Laudir. «Beato lui», aggiunse, «a me non prudono più già da un bel po'».
«Credo proprio che andrò a chiederlo a Bill», disse Terry tra sé e sé, addentando la propria piadina.
Il tale smise di gridare solamente quando la cameriera, infine, gli portò la sua ordinazione.
«Sì! Una bella piadina romagnola piena di merda!», commentò, prima di morderla con gusto. *4
Nel sentire quelle parole, Lee controllò il ripieno della propria piadina, giusto per essere sicuro. A quella vista le risate esplosero al tavolo e Laudir, che stava cominciando ad annoiarsi, tanto per fare qualcosa iniziò a lanciare a destra e a sinistra i pezzetti di pasta bruciacchiata che aveva scartato. L'invito fu subito raccolto da Terry e James, e ben presto il lancio di croste iniziò a raggiungere anche gli altri tavoli.
Il tizio dai capelli neri, osservando la scena, si alzò in piedi e gridò: «Sì! Battaglia di stronzi!» e, dopo essersi calato i pantaloni e accucciato accanto al tavolo, si mise a defecare, per poi raccogliere i frutti del proprio corpo e tirarli verso il tavolo dei Chicago. *5
Gli anziani musicisti rimasero immobili, sconcertati dalla piega che stava prendendo la situazione: vero era che loro avevano vandalizzato selvaggiamente già quattro ristoranti, ma si erano limitati a buttarsi dei pezzi di cibo, non dei pezzi di merda. Sarebbero sicuramente rimasti vittima del lancio di deiezioni se Laudir, un ghigno satanico stampato in faccia, non avesse avuto la prontezza di spirito di respingere i proiettili col suo bastone da passeggio.
I piadinari iniziarono a urlare, indignati, mentre la cameriera afferrò il cellulare e chiamò la polizia.
Vista la malaparata, sia i Chicago sia gli occupanti dell'altro tavolo si alzarono e si allontanarono di corsa, desiderosi di essere già lontanissimi da quel posto quando fossero arrivati i piedipiatti.
Durante la fuga, Terry si accostò a Bill.
«Ehi, amico, ti ricordi di me?».
Senza smettere di correre, l'uomo si voltò a guardarlo. «Terry?! Allora eri davvero tu! Mi pareva di averti riconosciuto, ma non ne ero sicuro».
«Salta su!», disse il chitarrista, indicando il suo decrepito pick-up blu. Attorno a loro, gli altri uomini erano già saliti sulle proprie auto e si stavano allontanando velocemente in direzione nord.
Bill obbedì e, mentre guidava come un pazzo dietro alle altre macchine, Terry gli pose la domanda che aveva da un po' sulla punta della lingua.
«Chi è quel tizio che stava con voi e che ci ha tirato la sua merda? E perché non faceva altro che toccarsi le palle?».
«Quello è Mike Patton, il nostro cantante. È fissato con la merda, e non è la prima volta che si mette a buttarla addosso agli altri...».
«Bell'elemento!», commentò il chitarrista, interrompendolo.
«Già, hai visto? E, beh, si toccava le palle in continuazione perché oggi è il tredici di settembre, e lui odia il numero tredici, non lo sopporta proprio! Tu, invece, cosa ci facevi lì?». *6
«Oggi è il compleanno di Peter, il bassista della nostra band».
«È nato il tredici settembre?».
«Sì», rise Terry. «E Robert, il suo compagno nonché nostro tastierista, è nato il tredici ottobre».
Bill sgranò gli occhi e si unì alla sua risata. «Non facciamolo sapere a Mike, allora!».


Dopo aver percorso parecchi chilometri, i Chicago si fermarono e scesero. Terry e Bill li imitarono. Il bassista dei Faith No More era stato abbandonato dai suoi compagni, ma l'anziano chitarrista gli aveva promesso che lo avrebbe accompagnato lui a casa, anche se sarebbe dovuto andare fino a San Francisco.
«Meno male che non vi ho portato nel mio ristorante preferito! Lo sapevo che sarebbe andata a finire così!», commentò Peter dopo che Terry ebbe presentato Bill agli altri.
«Se fossimo andati nel tuo ristorante preferito, almeno non avremmo trovato quel tizio che lanciava le sue feci!», esclamò Lee, rassettandosi il vestito.
«Per fortuna Laudir è stato molto più sveglio di noi», commentò Walter, mettendo una mano sulla spalla del brasiliano, che ghignò. «Se non ci fosse stato lui col suo bastone, a quest'ora saremmo coperti di cacca».
James tirò fuori dal borsello il suo quadernino sgualcito, e segnò il nome della piadineria. «Un altro posto da cui siamo stati bannati, anche se stavolta, forse, la colpa non è totalmente nostra».
«Mi scuso io per Mike, gente», disse Bill, imbarazzato. «Ma è il tredici settembre e oggi è stata una giornata no, per lui».
Gli altri lo fissarono interrogativi e Terry spiegò: «Quel tale, Mike, ha paura del numero tredici».
«E allora perché siete andati a mangiare le piadine proprio stasera?», chiese Danny.
«Perché pensavamo che, magari, si sarebbe distratto e non avrebbe pensato al numero», rispose Bill.
«Distratto, si è distratto di sicuro», commentò Robert. «Ci ha preso a stronzate!».
La battuta fece scoppiare a ridere tutti e, dopo gli ultimi saluti, ognuno prese la propria strada. Robert e Peter attesero che tutti gli altri sfilassero davanti a loro – Terry, col suo furgoncino dal motore sfiatato, per ultimo – poi si presero per mano e si baciarono.
«Andiamo a casa», disse il tastierista. «Ti ho preparato una sorpresa niente male...».
«Non vedo l'ora!», rispose il bassista con un sorriso malizioso.

 

 

Spazio autrice:

AUGURI PETER!
Purtroppo ieri, 13 settembre, era domenica, quindi sono costretta a pubblicare con un giorno di ritardo, ma spero che il caro bassista non se ne abbia a male XD!
Questa specie di delirio, in cui compaiono anche Billy Gould e Mike Patton dei Faith No More, è nato da una considerazione fatta da Kim WinterNight, cui dedico molto volentieri questo capitolo anche perché mi è stato in gran parte ispirato da lei, quando scoprì che sia Peter che Robert sono nati il giorno 13. Ben conoscendo l'avversione del suo amato Mike per questo numero, mi disse che il cantante non sarebbe mai andato ai loro compleanni, così ce l'ho mandato io contro la sua volontà XD. Spero di non averlo reso troppo OOC. Se così fosse mi scuso tantissimo. Mi sono ispirata, come scritto anche sotto nelle note, a dei video che Kim mi aveva mandato a suo tempo e ai suoi racconti su Mike.
E niente, forse stavolta ci sono andata davvero giù pesante, ma ultimamente la demenzialità mi sta prendendo parecchio la mano.
Spero di aver almeno strappato una risata, se non una smorfia di disgusto, e vi lascio alle note numerate.
*1 – Anche se ho visto su internet che ci sono alcune piadinerie a Los Angeles, questa è completamente frutto della mia fantasia.
*2 – Questa frase e la precedente, entrambe scritte in corsivo, sono state tratte da questo video:
https://www.youtube.com/watch?v=t4Dwm0EzgSQ, gentilmente segnalatomi dalla carissima Kim WinterNight.
*3 – Riferimenti ad altre storie presenti su EFP. La prima, Only handcrafted!, di Kim WinterNight, racconta il primo incontro tra Billy Gould, bassista dei Faith No More, e Terry Kath, chitarrista dei Chicago con la passione per l'uncinetto. La seconda, Incontri al mercatino, scritta da me, racconta il secondo incontro tra i due musicisti. In quest'occasione, Billy conosce anche Danny Seraphine, batterista dei Chicago.
*4 – Questa frase, scritta in corsivo, è tratta da questo video:
https://www.youtube.com/watch?v=TO0pMW45PVs, seguito del video precedente, sempre segnalatomi da Kim WinterNight.
*5 – Kim WinterNight, grande appassionata di Mike Patton, mi ha raccontato spesso che il cantante ha una vera e propria passione per gli escrementi, e che non ha esitato, a volte, a lanciarli pure dal palco. (Tesoro, mi raccomando, correggimi se sbaglio).
*6 – Un'altra delle particolarità di Mike Patton è quella di avere letteralmente il terrore del numero 13.

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Capitolo 6
*** Robert Lamm ***


Robert Lamm



 

Los Angeles, 13 ottobre 2020

 

Se già i ragazzi dei Chicago erano rimasti sorpresi un mese prima, in occasione del compleanno di Peter, quando avevano scoperto di essere stati invitati in una piadineria, figuriamoci la loro reazione quando, per il compleanno di Robert, si resero conto di essere stati invitati in una gelateria.
«Cos'è, vi siete messi d'accordo, voi due?», chiese Terry, indicando prima l'uno poi l'altro. «Certo che sì», aggiunse subito dopo, «state insieme, che diamine, è normale che vi siate messi d'accordo per prenderci per il culo».
Robert rise. «Non è una presa per il culo, Terry. È solo che il ristorante preferito di Peter è anche il mio ristorante preferito. E, come lui, non ho certo voglia di essere sbattuto fuori e non poterci più mettere piede. Niente di personale, ma visto com'è andata a finire le volte scorse...».
«Ma perché proprio una gelateria, allora?», chiese Walter, stringendosi nella giacca di pelle. «Siamo a metà ottobre e io ho freddo. Non è più tempo di gelato».
«Tu hai freddo perché ti manca la pelliccia», scherzò James, riferendosi al petto glabro del compagno. Walt, infatti, era l'unico tra i Chicago a essere completamente privo di peli sul torso, mentre tutti gli altri avevano sempre vantato una peluria di tutto rispetto. *1
«Ah, ah, ah», rise sarcastico il sassofonista.
«Io, invece, un gelato me lo mangio proprio volentieri», commentò Danny. «Tra l'altro, negli ultimi anni va di moda sostituire un pasto ogni tanto con una bella coppa tutti gusti». Si guardò attorno per un attimo prima di aggiungere. «Oggi è 13, però. Speriamo di non incontrare di nuovo il Terrorista della merda!».
I membri della band avevano affibbiato quel nomignolo all'amico di un amico di Terry, che avevano incontrato per caso la sera del compleanno di Peter, e che aveva esorcizzato la paura per il numero 13 – di cui soffriva – lanciando loro le proprie deiezioni. In quell'occasione Laudir aveva dato sfoggio delle proprie doti di giocatore di baseball e aveva rispedito al mittente i proiettili con il proprio bastone che ora, infatti, era stato sostituito con uno nuovo.
Tutti si misero a ridere, tranne Lee che storse il naso al ricordo. «Ricordatemi per quale motivo continuo a frequentarvi», disse sdegnoso.
«Forse perché sei il nostro trombettista, buco del culo?», rispose Terry, ricorrendo al vecchio appellativo con cui si rivolgeva a lui in gioventù. *2
Lee fece per ribattere qualcosa, piccato, ma Laudir lo zittì con la sua consueta bastonata di saluto: dopo aver colpito il festeggiato, infatti, si era prodigato ad accogliere tutti gli altri. Danny, che era stato previdente, si era messo in testa un cappellino di lana azzurra con tanto di pon pon per ammortizzare il colpo.
«Ehi, quello me lo ricordo!», rise Terry indicando il berretto. «Lo hai comprato al Rose Bowl quest'estate!».
«Te l'avevo detto che mi avrebbe fatto comodo prima o poi, no?», rispose il batterista con un sorriso. *3
I due seguirono poi gli altri compagni, che si erano messi a sedere occupando un paio di tavolinetti e già sfogliavano il ricco menù della gelateria.
«Io prendo una Banana split», esordì Robert senza pensarci più di tanto. Peter, James e Walter lo imitarono.
«E certo, cosa volevate prendere voialtri quattro, se non una banana?», ghignò il chitarrista, dando di gomito a Walt.
Il sassofonista arrossì suo malgrado. Dopo tutti quegli anni non aveva ancora capito cosa pensasse Terry a proposito dell'omosessualità. Non si era mai mostrato spaventato o turbato, questo no, ma le sue battute a volte lo avevano irritato non poco.
«Tu pensa alla tua, di banana, che io penso alla mia», replicò quindi, lievemente piccato; ma l'omone gli batté una vigorosa pacca sulla spalla, facendogli perdere il fiato.
«E dai, Wally, lo sai che scherzo, no?». *4
Dopo aver sfogliato a lungo il menù e non avendo trovato nulla che lo soddisfacesse, infine Terry optò per un semplice cono a tre gusti: cioccolato, pistacchio e vaniglia. Danny, Lee e Laudir, invece, scelsero tre diverse coppe gelato: rispettivamente una all'amaretto, un after eight e una di frutta mista. *5
La temperatura quella sera, complice il cielo nuvoloso, non era effettivamente molto alta, e i clienti nella gelateria scarseggiavano. Il cameriere prese le loro ordinazioni e portò le coppe scelte, quindi, molto celermente.
Gli otto musicisti si misero a mangiare il loro gelato chiacchierando amabilmente del più e del meno. Terry, con gestualità esagerata, raccontò di una delle sue ultime clienti al mercatino, che gli aveva fatto buttare all'aria una cassa piena di tendine all'uncinetto per poi non comprare nulla, suscitando l'ilarità generale. Solo Lee ogni tanto si distraeva, controllando che il Terrorista della merda non spuntasse all'improvviso dal nulla e li aggredisse alle spalle.
Una volta finito il proprio gelato, il chitarrista ne ordinò un altro. «Scusate, ragazzi, ma con un gelato solo mi ci sciacquo le budella. Peccato che non ce ne sia uno al gusto chili...», commentò, sfogliando distrattamente il menù. Non trovando niente al sapore di Messico, prese un altro cono a tre gusti: stracciatella, crema e una montagna di panna montata. Non appena il cameriere glielo consegnò, però, invece di mettersi subito a leccarlo prese a contemplare i capelli freschi di tintura castana di Robert.
Il tastierista era l'unico che aveva continuato a tingersi, mentre tutti gli altri avevano accettato l'avanzare dell'età e sfoggiavano chiome perfettamente bianche, come nel caso di James, Lee, Peter e Laudir, o di un elegantissimo pepe e sale, come Walter e lo stesso Terry. *6
Danny notò il suo sguardo indagatore e subito si mise sulla difensiva. «Non metterti a fare paragoni sui capelli, per favore», sbottò togliendosi di scatto il cappello di lana e mostrando la testa calva. «Lo sai che non sono in grado di reggere il confronto!».
Alle sue parole il chitarrista si riscosse. «Come? No, non volevo fare paragoni sui capelli. Stavo solo pensando che a Robert manca qualcosa, stasera».
Il tastierista alzò lo sguardo su di lui. «E cosa?».
Terry si alzò in piedi e gli si avvicinò. «Il cappellino da festa!». E, con quelle parole, prese il proprio cono carico di panna
montata e lo schiacciò sulla testa di Robert, a imitare proprio un cappellino a cono sulle ventitré.

Lee si coprì la faccia con le mani, lasciandosi sfuggire un sospiro. «Lo sapevo... lo sapevo che sarebbe andata a finire così. Neanche con un gelato si può star tranquilli!».
Il chitarrista si voltò verso di lui. «Che c'è, Lee, ne vuoi uno anche tu?». E, senza attendere risposta, tolse il gelato dalla testa di Robert, ormai coperta dalla maggior parte della panna, e lo schiaffò sui capelli bianchi e perfettamente pettinati del trombettista, che non era stato assai lesto ad alzarsi in piedi e a sfuggirgli.
Il grido di Lee attirò l'attenzione del cameriere. Ormai i Chicago, dopo essere apparsi varie volte sui giornali in seguito alle loro bravate, erano ben conosciuti nell'ambito della ristorazione. Il ragazzo si fece loro incontro, alzando minaccioso il vassoio e intimando di andarsene immediatamente. I musicisti lasciarono un'abbondante mancia sul tavolo e filarono di corsa, Terry leccando ciò che rimaneva del suo secondo gelato dopo averlo recuperato dalla testa del trombettista.
«Che schifo, adesso è pieno di capelli», borbottò togliendone prima uno castano e poi un altro bianco come la neve.
«E di che ti lamenti?», rise Peter. «Se non glielo avessi sbattuto in testa non sarebbe pieno di peli».
«Già», concordò il chitarrista, «e soprattutto sarebbe stato ancora intero. Ma vuoi mettere la loro faccia?», concluse, indicando Robert e Lee che cercavano di ripulirsi la chioma dal gelato.
«Peccato, però», commentò Laudir, rigirandosi il bastone tra le mani. «Stavolta non ho avuto niente da respingere».
«Ti accontento subito», rispose Terry, lanciandogli il cono mezzo mordicchiato.
Il brasiliano lo intercettò al volo e lo mandò a schiantarsi sul berretto di lana di Danny.
«No, il mio cappello nuovo!», si lamentò il batterista. «Adesso Linda vorrà lavarlo, e io avrò bisogno di comprarmene un altro!».
«E perché?», chiese James con curiosità, alzando gli occhi dal suo quadernino dove stava annotando il nome della gelateria.
«Perché Linda non ha ancora capito che i capi di lana vanno lavati in acqua fredda! Avete presente il maglioncino attaccato allo specchietto retrovisore della mia macchina?», chiese, indicando la propria auto parcheggiata poco lontano. Tutti annuirono e lui concluse. «Era mio!».
I ragazzi si misero a ridere, poi si salutarono con vigorose pacche sulle spalle. Anche quel compleanno era passato.

 

Spazio autrice:

AUGURI ROBERT!
Anche stavolta devo ringraziare Kim, sia per il soprannome di Mike Patton, “Terrorista della merda”, che anche lei ha usato in sue storie in passato (riferimento al capitolo precedente di questa raccolta), sia per avermi dato un prompt per scrivere questa storia: sua mamma ha lanciato uno dei dadi di Tiger ed è venuto fuori un cono gelato a tre gusti. Quindi, dove potevano andare i Chicago, a festeggiare il compleanno di Robert, se non in una gelateria?
Terry si conferma il numero uno dei casinisti: pure con un gelato riesce a farsi cacciare dal cameriere, con buona pace di Lee e di tutti gli altri.
E quindi ora rimane solo il compleanno di Lee, tra otto giorni. In realtà ci sarebbe anche il compleanno di Laudir, ma siccome il brasiliano era nato il 6 gennaio quest'anno l'ho saltato, avendo iniziato questa raccolta il 31 gennaio in occasione del compleanno di Terry. Magari dedicherò un piccolo pensiero anche a lui.
E ora, vi lascio alle note numerate, sperando di avervi fatto divertire.
*1 – Questo dettaglio corrisponde a pura verità: Walter è l'unico tra i membri dei Chicago ad avere il petto completamente liscio e privo di peli.
*2 – Come già detto in altre storie, i fiati dei Chicago si erano auto nominati “Hole in the Ass Gang”. Per mia licenza poetica, Terry usa questo nomignolo per riferirsi a Lee.
*3 – Riferimento al capitolo 4 della mia raccolta “
Just a little smile”: Incontri al mercatino.
*4 – Naturalmente tutto questo fa parte della mia story line (i Chicago sono tutti etero, almeno in apparenza) ed è pura licenza poetica: non sapremo mai il pensiero di Terry sull'omosessualità, ma basandomi sul periodo in cui è nato e vissuto, ho immaginato che possa vederla con occhio piuttosto scettico, anche riferendomi a persone della stessa età che conosco molto bene (vedi i miei genitori XD). Certo, ha accettato la natura dei suoi compagni di band perché non poteva fare altrimenti, ma usa le sue battute pungenti per mettere il dito nella piaga, a volte.
* 5 – L'after eight è una coppa gelato alla menta con scaglie di cioccolato.
*6 – Anche in questo caso, questo dettaglio corrisponde a verità. Nelle foto più recenti Robert appare con i capelli perfettamente castani, forse per non sfigurare di fianco alla moglie molto più giovane di lui, mentre Lee, James e Peter hanno i capelli perfettamente bianchi. Lo stesso vale per Laudir, che prima di morire sfoggiava la sua candida pettinatura afro. Walter, nelle sue ultime foto ufficiali, ha i capelli brizzolati. Il povero Danny, invece, sappiamo che ha perso i capelli da molto giovane. Mi piace immaginare che anche Terry avrebbe avuto i capelli “pepe e sale”.

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Capitolo 7
*** Lee Loughnane ***


Lee Loughnane

 

 

Los Angeles, 21 ottobre 2020

 

Lee aspettava, impettito davanti all'uscio dello “Spago” di Beverly Hills, l'arrivo dei suoi invitati. Non appena li vide scendere dall'auto, il trombettista si fece loro incontro, accogliendoli con strette di mano. *1
«Benvenuti! Sono proprio contento che siate riusciti a venire».
«Lee, siamo noi... Jimmy e Wally. Non fare tanto lo snob, per favore. Quando ti comporti così ha ragione Terry a prenderti per il culo!», ribatté il trombonista alzando la voce.
Lee lasciò cadere le spalle. «Nemmeno con voi mi riesce fare bella figura?», chiese, per poi scrollare il capo. «Andiamo, su», riprese, facendo strada agli altri due verso il ristorante, «la nostra cena ci attende».
«Ma come?», domandò Walter, stupito. «Non aspettiamo gli altri?».
Lee si voltò a guardarlo inarcando le sopracciglia. «Gli altri?! Non crederai forse che abbia invitato anche quello zotico di Terry, vero? Per farmi cacciare via come un pezzente? Non se ne parla proprio!».
Gli altri due si lanciarono un'occhiata colpevole. Non appena Lee li aveva chiamati per invitarli al suo compleanno, loro avevano immediatamente esteso l'invito a tutto il resto della band.
«Okay, Terrence non è il massimo dell'eleganza», ammise poi James con una risatina, dando un colpetto con la mano al quadernino nascosto in profondità nel suo borsello, con le pagine ormai piene dei nomi dei ristoranti da cui erano stati bannati, «ma perché non hai invitato almeno gli altri ragazzi?».
«Se avessi invitato Danny avrei dovuto per forza invitare anche Terry», replicò Lee, incrociando le braccia sul petto. «Quei due sono culo e camicia. Laudir è troppo dozzinale per i miei gusti...».
«È il nostro percussionista ed è un grand'uomo!», replicò Walter, ma il trombettista continuò come se non lo avesse nemmeno sentito.
«E Robert e Peter sono così... sciatti. No, ho preferito invitare solo voi due, per riunire la Hole in the Ass Gang come ai vecchi tempi!». *2
James e Walter si lanciarono una seconda occhiata eloquente mentre seguivano il compagno di band all'interno del lussuosissimo ristorante.
«Forse sarebbe stato meglio se, prima di invitare gli altri a sua insaputa, glielo avessimo chiesto», sussurrò il trombonista, storcendo la bocca per non farsi sentire.
«Ma scusa», replicò il sassofonista, borbottando a sua volta, «io l'ho dato per scontato che avrebbe invitato tutti. E sarebbe stato anche logico! Bastava che scegliesse un altro ristorante, invece di invitarci in un posto dove non si può nemmeno aprire la bocca per mangiare!».
James trattenne a stento una risata. «E se non si può aprire la bocca, come faremo?».
«Boh... magari ci infileremo la roba su per il naso».
«O su per il culo», suggerì il trombonista, cercando di sghignazzare il più silenziosamente possibile.
Un cameriere vestito come un pinguino, talmente rigido che pareva avesse un bastone infilato nel didietro, aveva appena consegnato loro tre menu rilegati in cuoio marocchino quando i pesanti battenti del ristorante si aprirono di nuovo, e un coro di voci sguaiate – che fece alzare il capo a Lee, allarmato – spezzò il silenzio rigoroso del locale.
Il maître di sala si fece incontro ai nuovi arrivati. «Buonasera signori, avete prenotato?», chiese, in un sussurro appena udibile e facendo loro un inchino.
«Hai perso qualcosa?», chiese l'omone in testa al gruppo appena entrato, chinandosi come il maître e fissando attentamente a terra.
«No signore».
«Ecco, allora datti una raddrizzata e parla più forte. Siamo mezzi sordi e non ti abbiamo sentito!». *3
«Ho chiesto se avete prenotato, signori», chiese di nuovo l'addetto del ristorante, alzando un poco la voce.
«Noi no, ma siamo insieme a quel tipo», rispose l'omone, indicando Lee che si era alzato da tavola talmente in fretta da rischiare di rovesciare la sedia.
«Terry!», sibilò il trombettista, fissando i nuovi arrivati. «Peter... Danny! Ci siete tutti?».
«Perché, speravi che mancasse qualcuno, buco del culo?», replicò candidamente il chitarrista, avvicinandosi al tavolo e battendogli due vigorose pacche sulla spalla.
«Chi vi ha detto che eravamo a cena qui?», chiese di nuovo Lee, non appena ebbe ripreso fiato.
«Glielo abbiamo detto noi», rispose Walter, incrociando le braccia sull'ampio petto. «Non immaginavamo certo che non avresti voluto invitarli!».

La faccia del trombettista divenne paonazza e, se avesse potuto, avrebbe ricoperto tutti di insulti. Ma per evitare di fare altre figure di cacca e di essere cacciato in malo modo, si trattenne e fece buon viso a cattivo gioco.
«Sì, sono miei ospiti», disse quindi in un sibilo secco rivolto al maître, che protestò.
«Ma, signori, questo è un tavolo per tre persone. Non possono prendervi posto otto commensali!».
«Non preoccuparti, pinguino, basta strizzarsi un po'», rispose Terry stringendosi nelle enormi spalle e prendendo una sedia libera da uno dei tavoli vicini senza neanche chiedere il permesso. Gli altri membri dei Chicago lo imitarono e tutti si strinsero al tavolo che, per fortuna, trattandosi di un ristorante di lusso era abbastanza ampio.
Dopo che Laudir ebbe colpito ben bene più volte il cranio di Lee col suo bastone per fargli gli auguri, Danny strappò il menù dalle mani del trombettista e iniziò a sfogliarlo.
«Allora, che si mangia di buono, qui?».
«Io spero che le porzioni siano generose», aggiunse Robert. «A pranzo non ho mangiato un cazzo, perché Peter ha bruciato lo sformato di zucchine, e adesso ho una fame da lupi».
«Non è necessario che tu lo spiattelli ai quattro venti!», replicò piccato il bassista, per essere messo subito a tacere da un bacio del suo compagno. Alcuni degli occupanti degli altri tavoli storsero il naso a quella manifestazione d'affetto troppo vistosa tra due uomini anziani.
«Beh? Che c'è, non avete mai visto due persone che si baciano?», sbottò Terry rivolto a nessuno in particolare, facendo vagare lo sguardo nell'ampia sala.
Lee si coprì la faccia con le mani. «Vi prego, non fatemi cacciare dal ristorante. Ve lo chiedo per pietà!».
Mentre i Chicago sceglievano le portate dal ristretto menù il silenzio scese di nuovo nel salone. Gli avventori dello “Spago” erano talmente educati e snob che non si sentiva neppure il rumore delle posate che sbattevano nei piatti.
Laudir si guardò attorno per un po', le labbra arricciate. «Che mortorio», sbottò infine, iniziando a suonare le proprie stoviglie – appena recapitate da uno dei tanti camerieri/pinguino – con coltello e forchetta.
Lee gli lanciò un'occhiataccia e il brasiliano posò le posate con uno sbuffo seccato. «Que aborrecido», borbottò nella sua lingua natìa. *4
Quando le portate vennero recapitate, i timori di Robert – e anche quelli di Terry, in verità – furono confermati. Gli spaghetti al nero di seppia del tastierista erano composti da cinque fili di pasta di numero, avvolti stretti stretti nel centro del piatto; e lo stesso valeva per il risotto ai funghi di Danny: un misero mucchietto di chicchi ancora perlati posizionati con il coppapasta per dargli una forma perfettamente circolare. *5
Il batterista fissò il piatto con occhio critico, raccolse tutto il contenuto con una sola forchettata e se lo ficcò in bocca, deglutendo senza nemmeno masticare e rischiando di strozzarsi.
«Non te l'ha mai detto la mamma che la masticazione è molto importante? È la prima fase della digestione!», gli ricordò Terry, battendogli vigorosamente tra le scapole.
«Lo so benissimo», replicò Danny una volta ripresosi. «Ma era talmente crudo che, se lo avessi masticato, mi sarebbe rimasto tutto appiccicato alla dentiera e sarei dovuto andare dal dentista a farmela ripulire!».
Peter si mise involontariamente una mano davanti alla bocca. «Non farmi pensare al dentista, per carità! Anch'io devo andare a farmi sbiancare i denti, e non ne ho nessuna voglia». *6
E mentre Robert risucchiava rumorosamente gli spaghetti, James masticava gli agnolotti a bocca aperta e Walter cercava di togliersi una foglia di prezzemolo rimasta incastrata tra i denti usando l'unghia del mignolo, Lee si sbatté di nuovo le mani sulla faccia.
«Vi prego, vi scongiuro... comportatevi civilmente...», ansimò.
«Sta' calmo, buco del culo. Non abbiamo mica ancora combinato nulla», rispose Terry col sorriso equino che gli si andava espandendo in faccia.
«Appunto...», borbottò il trombettista. «Non avete ancora fatto nulla e già vi guardano tutti!».
I secondi piatti furono miracolosamente consumati con relativa educazione, ma quando arrivò il momento del dolce la situazione precipitò drasticamente; in special modo quando Laudir, per vincere la noia e – soprattutto – per vendicarsi del trombettista che non lo aveva ufficialmente invitato al suo compleanno, iniziò a lanciare a destra e a manca i lamponi del suo dessert, cercando di centrare i bicchieri dei suoi compagni di band.
Aveva una buona mira, e riuscì a fare centro con tutti. Allora Terry, tanto per rendere le cose più avvincenti, lo sfidò a centrare il bicchiere dei commensali sistemati al tavolo accanto a loro.
Il brasiliano non si lasciò pregare e accettò subito la sfida.
«Laudir, ti prego, no...», sibilò Lee, ma il percussionista fece orecchie da mercante: chiuse l'occhio sinistro per prendere meglio la mira e calcolare le distanze, poi lanciò il lampone.
Il suo fu un centro perfetto, peccato però che il bicchiere che aveva mirato fosse pieno di vino. Il liquido giallo paglierino schizzò sulla tovaglia, cogliendo la sua proprietaria di sorpresa. La signora si lasciò sfuggire un gridolino, e subito il suo accompagnatore si alzò da tavola per accertarsi delle sue condizioni. Non appena vide il piccolo frutto rosso che languiva sul fondo del bicchiere lanciò uno sguardo bieco verso il tavolo dei Chicago.
Terry e Laudir fecero un cenno di saluto con la mano, mentre Lee avrebbe voluto sprofondare sotto il pavimento.
Quello che non si aspettavano, però, era che il distinto signore avrebbe risposto al fuoco. Con aria truce afferrò il bicchiere della sua consorte e ne lanciò il contenuto in direzione dei due anziani musicisti seduti accanto, che furono lesti a scansarsi l'uno da un lato e l'altro dall'altro. Il vino attraversò la breccia lasciata aperta dalle loro teste e andò a schiantarsi sulla tovaglia e sulla giacca del completo buono di Lee, che lanciò un grido stizzito.
Terry guardò il vicino di tavolo con ammirazione e poi, senza dire né ai né bai, afferrò il proprio soufflé al cioccolato fondente e glielo tirò, come fanno a volte le scimmie in gabbia allo zoo con la propria popò. L'uomo schivò e il dessert si spiaccicò sulla schiena della sua signora, che iniziò a urlare come una bertuccia. *7
In pochi minuti si scatenò una battaglia di proporzioni epiche: sette dei Chicago lanciavano praticamente qualsiasi cosa in direzione del tavolo accanto al loro, mentre il signore rispondeva a due mani, accompagnato dalle grida isteriche della moglie. I camerieri cercarono di intervenire, ma furono sopraffatti dal lancio di cibarie.
Lee, ormai definitivamente rassegnato, si alzò con le spalle chine, mise mano al portafogli e si diresse alla cassa, per pagare il salatissimo conto. Dopodiché lasciò il locale senza nemmeno avvertire gli altri e si mise seduto sul marciapiede lì davanti, la testa tra le mani e un'espressione sconsolata stampata in faccia.
Dopo pochi minuti venne raggiunto dai suoi compagni di band: i camerieri si erano coalizzati tutti insieme ed erano infine riusciti a cacciare sia i Chicago, sia gli occupanti del tavolo vicino. Subito dopo di loro, infatti, marito e moglie avevano lasciato il locale tra sguardi inferociti e minacce neanche troppo velate.
«E così ce l'avete fatta... siete riusciti a farmi cacciare dal mio ristorante preferito», sospirò il trombettista quando tutti gli altri si furono accomodati per terra accanto a lui, le gambe incrociate come un clan di Sioux.
«Andiamo, non te la prendere Lee», disse Terry, abbracciandolo e sporcandolo di crema pasticcera. «In fondo questo ristorante era troppo chic anche per te».
«Ma sì, dai», aggiunse Danny, dandogli un buffetto scherzoso. «Ci sono un sacco di ristoranti alla moda qui a Los Angeles. Non sarà mica la morte di nessuno se non potrai tornare proprio in questo».
«E poi», continuò James, «ti sei comportato da vero gentiluomo. Sei andato a pagare senza battere ciglio e ci hai lasciato come dei salami a combattere a suon di dolciumi con quell'altro tizio!».
«E cosa avrei dovuto fare, secondo te?!», ribatté Lee, alzando il capo di scatto. «Mettermi a bersagliare anch'io quel tipo lanciandogli la mia uva?».
«E perché no?», rispose Laudir con una risata. «Sarebbe stata una bella idea».
Il trombettista scosse di nuovo il capo, poi si alzò in piedi e fissò i suoi compagni di band dall'alto in basso.
«Sapete che vi dico? Forse avete ragione: dovrei proprio prendere di mira qualcuno...».
Si ficcò le mani in tasca e le trasse piene di caramelle, che aveva preso da una ciotola posta vicino alla cassa prima di uscire dal ristorante. Si allontanò di un paio di passi e iniziò a tirarle, con tutta la forza che aveva, contro i suoi fratelli. Quelli scoppiarono a ridere, gioiosi, coprendosi la testa con le braccia per ripararsi dai colpi mentre Laudir, già pronto all'azione, si mise in piedi e cominciò a respingere le caramelle col bastone.

 

Spazio autrice:

AUGURI LEE!
E siamo arrivati, alla fine, all'ultimo compleanno. Avrei voluto andarci giù più pesante, con lui, ma poi ho seguito l'ispirazione e ho scritto ciò che avete appena letto, con un finale forse un po' fluffoso, con il trombettista che si vendica dei suoi amici, ma volevo far capire che in fondo, nonostante tutto, i Chicago si vogliono bene per quello che sono.
Comunque, Lee avrebbe voluto mangiare da solo con gli altri “fiati”, ma Jimmy e Wally hanno spiattellato a tutti in quale ristorante sarebbero andati, quindi l'obiettivo del nostro trombettista non è stato raggiunto.
Mi dispiace lasciare Laudir senza un compleanno, ma non voglio nemmeno aspettare il 6 gennaio, quindi prima o poi (prima della fine dell'anno) arriverà un capitolo bonus anche per lui.
Spero di aver fatto sorridere, e vi lascio alle note numerate.
*1 - Lo “Spago” è uno dei ristoranti più famosi e chic di Beverly Hills. Ho preso spunto dal menù del ristorante per scegliere quali pietanze far mangiare ai Chicago.
*2 – Come già detto più volte, “Hole in the Ass Gang” era il nomignolo che si erano auto affibbiati i fiati dei Chicago.
*3 – Questo scambio di battute è un rimaneggiamento di quello che si trova nel film “Non c'è due senza quattro” con Bud Spencer e Terence Hill. Terence, che interpreta insieme al collega il sosia di un miliardario brasiliano, la rivolge agli autisti che si inchinano davanti a loro quando vanno a prenderli all'aeroporto, dicendo: “Vi siete persi qualcosa?”, e quando gli autisti rispondono di no, Bud aggiunge: “Allora datevi una raddrizzata e prendete il bagaglio”. Anche nel mio caso, è un certo Terrence (anche se con due “r”) a pronunciare la battuta.
*4 – “Que aborrecido” significa, in portoghese, “che noia”.
*5 – Il riferimento al riso ancora perlato prende spunto da una cosa che mi è accaduta parecchi anni fa. In un ristorante chic di Firenze mi servirono un risotto talmente crudo che i chicchi erano ancora perlati. Premetto che a me il riso piace quando ormai è diventato colla per i manifesti XD.
*6 – Piccolo riferimento alla mia flash “Vincere le proprie paure”, in cui si parla appunto della paura di Peter di andare dal dentista.
*7 – Anche questo è un riferimento a un fatto realmente accaduto. Quando ero in quarta elementare ci portarono in gita allo zoo di Pistoia, e una delle scimmie lanciò la sua popò alla maestra XD.

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Capitolo 8
*** Bonus Track: Laudir de Oliveira ***


Bonus Track: Laudir de Oliveira

 


 

Rio de Janeiro, 31 dicembre 2020

 


I Chicago e relative consorti, riuniti attorno ad un tavolo di uno dei più esclusivi ristoranti di Rio de Janeiro per festeggiare il Capodanno – Laudir li aveva invitati a trascorrere le vacanze di Natale a casa sua fino al sei gennaio, giorno del suo compleanno – non persero tempo e, ben presto, la consueta battaglia di cibo prese a infuriare, scatenando le urla indignate degli altri avventori.
Le grida aumentarono velocemente di intensità. I camerieri si accostarono al loro tavolo sbracciandosi e inveendo pesantemente, il lancio di avanzi ormai degenerato in una vera e propria guerriglia urbana.
I ragazzi, guidati da Laudir, lasciarono il ristorante correndo, per quanto la loro età avanzata glielo permettesse. Attraversarono l'Avenida Atlantica e arrestarono la loro fuga solo quando furono sulla spiaggia di Copacabana, a pochi passi dal mare.
Ansimando, le mani appoggiate alle ginocchia per riprendere fiato, gli otto uomini scoppiarono a ridere mentre Greta e Linda, rimaste indietro per via dei tacchi, li raggiungevano, la sabbia che si insinuava nelle scarpe.
«Non mi divertivo così dal tuo compleanno!», esclamò Linda, aggrappandosi alla spalla del marito. Danny la sostenne e le diede un bacio sulla guancia.
«Io invece non mi sono mai sentita tanto umiliata!», replicò Greta. «Ci siamo fatti cacciare da uno dei ristoranti più esclusivi di Copacabana!».
«Dai, tesoro, non te la prendere. Sapessi da quanti ristoranti ci siamo fatti cacciare noi, quest'anno!», la consolò Terry, sollevandola tra le braccia e lasciandosi poi ricadere, con lei addosso, seduto sulla sabbia.
James tirò fuori dal borsello il suo quaderno e una penna e si accomodò accanto a loro, schiarendosi la voce. Tutti gli altri lo imitarono, mettendosi in circolo: Walter, Lee, Robert, Peter, Laudir, Linda e Danny.
«Dunque!», declamò il trombonista sfogliando le pagine sgualcite, Walt che gli faceva luce con la torcia del cellulare. «Old Wild West; Byblos; Gate of India; Pizzeria il Fico; Piadineria Vecchia Romagna; Gelateria lo Scoiattolo; Spago e, infine, Venga! Chiringuito», concluse annotando l'ultimo nome.
«Ti sei scritto tutti i ristoranti da cui vi hanno cacciato a pedate?», chiese Linda ridendo.
«E non solo. Io, qui sopra, mi sono segnato tutto, ma proprio tutto!». E, per confermare le sue parole, sfogliò le prime pagine del quaderno su cui, con la sua calligrafia minuta, aveva riportato le date di ogni concerto, ogni albergo, ogni location.
«Questo è un cimelio storico», commentò Robert. «Quando moriremo potranno usarlo come nostra biografia».
Dopo aver fatto le corna al suo indirizzo, Peter guardò l'orologio. «Ehi! Mancano solo pochi minuti a mezzanotte! Propositi per il nuovo anno?».
«Non vandalizzare più ristoranti?», propose Terry con un ghigno.
«Me lo auguro vivamente! Mi avete fatto cacciare come un pezzente dal mio preferito!», replicò Lee, stizzito. «Siamo pure finiti sul giornale!».
«E dai, buco del culo, ammettilo che ti sei divertito!».
Il trombettista fece per ribattere, ma le sue parole furono smorzate dallo scoppio dei fuochi artificiali. L'anno nuovo era appena iniziato. I Chicago gridarono i loro auguri al cielo e si abbracciarono, più fratelli che mai.

 

 

Spazio autrice:

E così si conclude anche questa raccolta dedicata ai compleanni dei Chicago, grazie anche al contest indetto da Soul-Shine cui questo ultimo capitolo partecipa. E ho approfittato per fare un piccolo omaggio a Laudir de Oliveira, che in realtà compie gli anni il 6 gennaio, e che in questa conclusione ha invitato tutti i suoi compagni di band e le uniche due mogli presenti a festeggiare le vacanze natalizie (ricordo che in questo AU le mie coppie slash sono canon, quindi la Lammetera e la Parazankow vivono il loro amore alla luce del sole; Lee è single dopo essere stato lasciato dall'ennesima moglie, mentre Terry e Danny sono sposati con Greta e Linda, due OC, la prima appartenente a Kim WinterNight che mi ha concesso il suo uso, la seconda di mia proprietà).
Ovviamente vanno a cena in un famoso ristorante di Copacabana, “Venga! Chiringuito” appunto, per festeggiare il Capodanno. E ovviamente non possono esimersi dal fare l'ennesima battaglia col cibo. Avevo iniziato scrivendo parte della battaglia, ma poi mi sono resa conto che stavo sforando tantissimo con le parole e che non avevo ancora scritto niente riguardo ai “buoni propositi” che di solito si fanno in questa notte di festa. Certo, 500 parole sono proprio poche, e io avrei scritto molto di più, ma bisogna accontentarsi. Spero di aver rispecchiato a sufficienza lo spirito della festività. Se così non fosse, chiedo scusa a tutti e soprattutto alla giudice, ma dovevo assolutamente finire questa raccolta prima della fine dell'anno.
Il quaderno di James (che è sempre apparso in ogni capitolo), in cui il trombonista è solito annotare tutto quanto, stavolta diventa addirittura prompt del contest, e i nomi citati da Jimmy sono proprio quelli dei ristoranti che hanno vandalizzato nel corso dell'anno durante i vari compleanni. L'unico nome che non era stato mai citato era quello della gelateria e l'ho inserito adesso per l'occasione, prendendo in prestito il nome di una gelateria delle mie zone XD.
E, anche stavolta, Terry non può esimersi dal chiamare Lee col soprannome che si è scelto: come già detto, infatti, “buco del culo” deriva da “Hole in the Ass Gang”, il nome che i fiati dei Chicago si erano attribuiti.
Dovrei aver detto tutto. Ringrazio ancora una volta Soul per aver indetto il contest e ne approfitto per fare a tutti i migliori auguri di Buone Feste!

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