Chi fa cliché fa per tre

di NPC_Stories
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1372 DR: Not So Different ***
Capitolo 2: *** 1324 DR: Redemption Demotion ***
Capitolo 3: *** 1324 DR: Three is the magic number ***
Capitolo 4: *** 1357 DR: Mommy's heart ***
Capitolo 5: *** 1373 DR: Overexposed cliché ***
Capitolo 6: *** 1357 DR: Corrupt the Cutie ***
Capitolo 7: *** 1324 DR: Battle of Wits ***
Capitolo 8: *** 1372 DR: I don't want to go ***
Capitolo 9: *** 1361 DR: City Mouse ***
Capitolo 10: *** 1316 DR: The Paragon ***
Capitolo 11: *** 1359 DR: Mother Hen ***
Capitolo 12: *** 1359 DR: Occam's Razor ***
Capitolo 13: *** 1355 DR: Homeopathy ***
Capitolo 14: *** 1621 DR: Sliding Scale of Villain Threat ***
Capitolo 15: *** 1209 DR: Dysfunctional Romance ***
Capitolo 16: *** 1320 DR: Red shoes ***
Capitolo 17: *** 1363 DR: Dream Ghost ***
Capitolo 18: *** 1356 DR: You Say Tomato ***
Capitolo 19: *** 1357 DR: Best Friends-in-Law ***
Capitolo 20: *** 863 DR: Not Cheating Unless You Get Caught ***
Capitolo 21: *** 1325 DR: Children Are Innocent ***
Capitolo 22: *** 1371 DR: Willfully Weak ***
Capitolo 23: *** 1087 DR: Write What You Know ***
Capitolo 24: *** 1322 DR: Damsel in Distress ***
Capitolo 25: *** 1322 DR: Damsel out of Distress ***
Capitolo 26: *** 1322 DR: Decoy Damsel ***
Capitolo 27: *** 1264 DR: Big Brother Worship ***
Capitolo 28: *** 1297 DR: Fairy Godmother ***
Capitolo 29: *** 130 HA: Gone Horribly Right ***
Capitolo 30: *** 930 DR: Predator Turned Protector ***
Capitolo 31: *** 1298 DR: Nerdsplaining ***



Capitolo 1
*** 1372 DR: Not So Different ***


1372 DR: Not So Different


"Credi davvero di essere così diverso da me?" L'elfa scura ghignò davanti alla sicurezza del guerriero che le stava davanti. Il suo era il sorriso affilato di chi conosce un segreto, una verità dolorosa che sta per mettere l'altro con le spalle al muro. "Ma sotto sotto io e te siamo uguali!"
La sua affermazione fu accolta da un silenzio tombale. Il guerriero rimase spiazzato per un momento, perché quelle parole erano troppo assurde per pensare a una risposta.
"Hai perso il senno, strega!" Sbottò alla fine, scuotendo la testa. Era stanco di quel confronto dialettico, avrebbe voluto solo che lei passasse all'azione.

"Dimmi solo se puoi fare ciò che ho chiesto!" Insistette lui, sempre più sulla difensiva.
Krystel sbuffò la risata che aveva trattenuto troppo a lungo, poi allungò le mani a coppa per farsi passare il minuscolo folletto che suo fratello teneva nel taschino.
"Va bene, va bene! Troverò una casa per il tuo amico. Dove hai detto che l'hai trovato?"
Daren raccolse con cura la creaturina che dormiva nella sua tasca e la depose fra le mani della sorella.
"Su Monte Waterdeep. Sua madre stava morendo, ma prima di stirare le zampette è riuscita ad appiopparmelo. Questa zecca dovrebbe avere sei o sette anni. Non lo svegliare o te ne pentirai, è ingestibile."
La strega sorrise del tono burbero e risentito di suo fratello. Ormai non la ingannava più, non ingannava nessuno.
"Mi accusi sempre di adottare qualsiasi bambino che stia fermo abbastanza a lungo" lo punzecchiò, ma nel dirlo sorrideva perché sapeva che era vero. "Ammetto che io sono una madre appiccicosa e un po' chioccia, ma anche se i nostri metodi educativi sono diversi, come fai a non vedere che io e te siamo uguali?"
Il drow sbuffò e negò, perché naturalmente avrebbe negato fino alla morte. E anche oltre.


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Nota: questa storia è ispirata al topos letterario del confronto fra due nemici in cui uno dei due, di solito il cattivo, cerca di confondere l'avversario con il discorso "noi due in fondo non siamo così diversi". Approfondimento qui: Not So Different

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Capitolo 2
*** 1324 DR: Redemption Demotion ***


1324 DR: Redemption Demotion


"Scusami? Vuoi che io faccia cosa?" Daren sollevò un sopracciglio, guardando l'amante di sua sorella come se avesse perso il senno.
"Hai sentito bene. Voglio che mi aiuti a uccidere un mago" ripeté l'altro, con un sorriso accomodante.
"Tu sei un mago, S'lolath. Perché non lo uccidi tu? Perché lo chiedi a un semplice guerriero come me?"
Il drow si appoggiò con noncuranza a una parete rocciosa, ostentando sicurezza. "Perché sei intelligente. Pensi in modo trasversale e questo mi piace. Vorrei che mi aiutassi a perfezionare un piano e portarlo a compimento."
"Ma a me non interessa nulla dei giochi di potere a Eryndlyn" s'impuntò il guerriero. "E sai benissimo che ho chiuso con le uccisioni gratuite."
S'lolath non si lasciò scoraggiare, anzi gli rivolse un sorriso ancora più sicuro.
"Ma è proprio questo il punto. Non ti manca?"
Daren avrebbe aggrottato la fronte, ma non si fidava a mostrare emozioni davanti a un altro drow. Anzi, non si fidava di S'lolath in particolare.
"Non mi manca uccidere. Sono ancora un combattente, la mia lama non resta mai ferma a lungo."
Il mago agitò una mano come per dissipare la sua obiezione, con flemma. "No, no. Non intendo quello. Non sono così sciocco da pensare che la nostra razza sia assetata di sangue in senso letterale." Incrociò lo sguardo di Daren e lo incatenò con un'occhiata penetrante. "Mi piace pensare che siamo due persone pragmatiche, quindi andrò dritto al punto. Io sono intelligente. Tu sei intelligente. Più di quanto lasci trasparire. Io scommetto che ti manca come l'aria. So che a me mancherebbe."
"Ma che cosa?" Insistette Daren, seccato, perché forse stava iniziando a capire.
Il sorriso di S'lolath si fece più affilato.
"Fare uso della tua arguzia. Complottare. Pianificare uno schema e vederlo giungere a compimento, sconfiggere qualcuno a livello intellettuale prima che a livello fisico." Si accorse che la resistenza del guerriero stava iniziando a cedere sotto il peso della curiosità, quindi continuò. "Mettere in uso tutte le potenzialità del tuo cervello senza che la tua moralità ti sia freno. Ti propongo di uccidere un bastardo che renderà il mondo un posto migliore con la sua morte, qualcuno che non merita i tuoi scrupoli etici."
Daren lo fissò in silenzio per un lungo momento. Alla fine sospirò, scuotendo la testa.
"Se dovessi uccidere qualcuno in questo modo, lo farei solo per difesa. Uccidere un mago, sebbene malvagio, non ha nessun senso a Eryndlyn. L'intera città è corrotta. La sua morte non inciderebbe sul suo ecosistema sociale, vero?, perché qualcun altro prenderebbe subito il suo posto. Al massimo farebbe comodo a te, per le tue ambizioni. Questo renderebbe il suo omicidio un gesto d'interesse, non di giustizia. Quindi scordatelo. Io non sono un santo, a volte mi diverto quando uccido, ma non uccido per divertimento."
S'lolath alla fine lasciò che il suo sorriso si spegnesse in una smorfia di frustrazione.
"Non posso crederci!" Sbottò. "Ma non ti stanchi mai di essere così? Come puoi vivere con... con... queste limitazioni orrende!"
Daren alzò una mano per fargli cenno di fermarsi.
"Quando ho deciso di abbracciare un diverso stile di vita e di seguire la guida morale di Eilistraee, ho capito a cosa andavo incontro. Ho sentito un quarto del mio cervello mandarmi affanculo e chiudere i battenti, perché non lo avrei più usato. Ho fatto la mia scelta."
S'lolath si passò una mano sul viso, incredulo, sconcertato. Lui sapeva che non ci sarebbe mai riuscito; rinunciare così a una parte di sé e delle proprie capacità...
Solo dopo alcuni secondi di riflessione capì che Daren gli aveva lanciato un'esca, gli aveva lasciato una scappatoia: Se dovessi uccidere qualcuno in questo modo, lo farei solo per difesa.
S'lolath si chiese se l'avesse detto apposta. Voleva spingerlo a manovrare l'altro mago in modo che diventasse un pericolo per Daren? Il guerriero lo stava sfidando a provare a manipolarlo? Stavano per iniziare una gara d'astuzia fra loro in cui lui avrebbe cercato di coinvolgere il mago suo rivale?
Forse dopotutto non si era sbagliato. Forse l'altro drow non aveva accettato supinamente la defezione di un quarto del suo cervello.


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Nota: questa storia è ispirata alla trope secondo cui "il personaggio buono è tonto", e anche se non è del tutto vero, è comunque vero che un cattivo ha meno limitazioni etiche e quindi ha più libertà d'azione. Un buono si auto-censura per forza di cose. Approfondimento qui: Good is Dumb e nello specifico Redemption Demotion

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Capitolo 3
*** 1324 DR: Three is the magic number ***


1324 DR: Three is the magic number


"La mia risposta rimane un no, S'lolath" ripeté Daren, sperando di porre fine alla questione. "In parte, lo ammetto, perché non voglio attirarmi l'inimicizia di un potente incantatore. Credi che non sappia che la morte potrebbe non essere la fine? Che cosa ti garantisce che questo mago non abbia preso delle contromisure?"
S'lolath annuì, compiaciuto dalle valide deduzioni di quel guerriero che sperava ancora di poter trasformare in un alleato.
"I tuoi sospetti sono legittimi. Ma io non sono uno sciocco, mi sono già portato avanti. Ho trovato il luogo in cui nascondeva il suo Clone, una copia perfetta del suo corpo che avrebbe potuto ospitare la sua anima e permettergli di tornare in vita nel momento in cui fosse stato ucciso."
Daren si sporse impercettibilmente in avanti, mostrando suo malgrado che l'argomento lo interessava. "Solo uno? Non so come funzioni questo incantesimo ma sei sicuro che possa averne solo uno?"
"Solo un Clone alla volta si può risvegliare, a meno che non abbia sviluppato una qualche variante personale di questo incantesimo. Ma naturalmente un mago non è limitato nella quantità di Cloni che può possedere. Volevo mettere alla prova la tua intuizione: in effetti ho già trovato tutti e tre i suoi Cloni" affermò con visibile soddisfazione.

Daren lo fissò per un lungo momento, riflettendo.
"Ah, certo, perché a Eryndlyn voi avete tre piattaforme su cui la città si sviluppa, tre scuole di magia, tre religioni. Immagino che ci sia qualcosa nel numero tre che vi trasmette una sensazione di completezza."
Il sorriso di S'lolath si spense di colpo, mentre realizzava che l'altro drow aveva ragione: quando aveva continuato a cercare dopo aver trovato il primo Clone si era sentito molto furbo per aver anticipato le mosse del suo avversario. Quando aveva trovato tre dei suoi Cloni si era fermato perché pensava di averli trovati tutti. Ma in effetti si trattava di un bias culturale, non aveva alcuna certezza che i Cloni fossero davvero solo tre.
Notando che l'espressione del mago era tornata insondabile, Daren si concesse un sorriso sornione.
"Ecco, bravo. Continua a cercarne altri."
"Cosa ti ha dato l'idea?" Indagò S'lolath, infastidito per essere stato preso alla sprovvista.
"Fino a un momento fa ero prigioniero anch'io dello stesso preconcetto. Me ne sono accorto nel momento stesso in cui tu hai detto di averli trovati tutti e tre. Io sono di Menzoberranzan, quindi ne avrei cercati otto."
Il mago accettò quella spiegazione, ringraziando silenziosamente la sua fortuna. Se avesse avuto quella conversazione con un altro drow di Eryndlyn non si sarebbero accorti dell'errore nel suo approccio.
"Sembra che impiegherò più tempo del previsto ad uccidere questo mago" ammise, ringraziando Daren con un cenno del capo.

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Capitolo 4
*** 1357 DR: Mommy's heart ***


1357 DR: Mommy's heart


La vita di coppia cambia sempre un po' quando arriva un bambino. I genitori non hanno più molto tempo per sé stessi, né per riposare, né per dedicarsi l'uno all'altra. Johel e Krystel questo l'avevano messo in conto ma non sapevano fino a che punto la figlioletta avrebbe influenzato la loro complicità. La bimba ormai aveva sei mesi e per le loro dinamiche di coppia era come se fosse nata il giorno prima.

Era appena l'alba quando uno scricchiolio di assi di legno rivelò l'ingresso di una persona nella stanza, a quell'ora insolita.
"Dov'eri, stanotte?" Una voce ancora impastata dal sonno tagliò l'aria immobile, in quella camera da letto immersa nella penombra.
"A guardare la bambina."
"Ma... tutta la notte?"
"No, solo mentre tu eri qui."
"Aspetta... l'hai tenuta in braccio mentre dormiva?"
"No!" Negò la figura in piedi vicino alla porta, ma con aria un po' colpevole.
"Ma tu riposi ogni tanto?"
"Riposare?" Rispose con uno scintillio esaltato negli occhi. "Chi ha bisogno di riposare? Mi sento come se... come se ogni istante che non passo ad ammirare quel piccolo miracolo, quel capolavoro della natura, sia tempo perso."
"Stai esagerando" sbuffò, passandosi una mano sul viso e stropicciandosi le guance per svegliarsi del tutto. "La piccola assorbe già moltissimo del nostro tempo, ma grazie al cielo almeno di notte dorme. Dovremmo approfittarne un po' di più, se capisci cosa intendo. Dovremmo fare la reverie contemporaneamente e poi ci resterebbe qualche ora per... recuperare la nostra affinità?"

Johel le sorrise, ma nella sua espressione c'era appena un'ombra dell'antica malizia. "Scusami, Krystel, sai che ti trovo molto attraente e il parto non ha cambiato nulla in questo senso. Ma in questo momento per me non c'è niente sulla faccia di Toril che sia più bello da guardare della nostra Jaylah."
L'elfa scura si lasciò scappare una risata davanti alla meraviglia negli occhi del suo amante. Non l'aveva mai visto così innamorato di qualcuno come lo era della sua figlioletta.
"Ah, ogni tanto mi dimentico che sei padre per la prima volta. Tranquillo, non mi sono offesa."
In realtà, anche se l'esperienza li avrebbe allontanati come amanti, a Krystel non importava. Un amante era merce comune; un padre così affezionato era molto più prezioso per lei.

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Capitolo 5
*** 1373 DR: Overexposed cliché ***


1373 DR: Overexposed cliché


Isola di Mintarn, in una notte di fine inverno

La locanda chiamata ironicamente Palazzo della Dogana era la più grande e più frequentata dell'isola di Mintarn, e più precisamente della sua capitale (Mintarn, Porto Libero, La Capitale, Città Libera di Mintarn o comunque i suoi abitanti e visitatori la chiamassero).
Tuttavia, a notte fonda ormai i bagordi si erano conclusi. Solo alcune persone più tranquille e contemplative erano rimaste in taverna, fra cui un elfo dei boschi che continuava a bere vino perché 'gli faceva male la gola a forza di narrare le sue avventure', parole sue, e un umano che accarezzava le corde del suo liuto traendone una melodia stanca e malinconica.

Johel, l'elfo dei boschi, mise a fuoco a fatica la figura che gli si era appena seduta davanti. Si trattava di un altro elfo, perfettamente sobrio. Il primo inclinò la testa, perplesso.
"Sono io, idiota" sibilò l'altro.
Il biondo riconobbe la voce e accolse l'amico con un sorriso entusiasta. "Ehi! Ce l'hai fatta!"
Il bardo, che era seduto proprio accanto all'elfo, alzò lo sguardo sul nuovo arrivato e trasalì. La musica dolce che stava suonando si concluse di colpo in una stonatura nervosa.
"Un drow!" Sibilò, cercando in qualche modo di gridare sottovoce. Mise mano al pugnale che portava alla cintura, ma Johel riuscì a mettergli una mano sul braccio per fermarlo.
"No no no, è mio amico" biascicò.
"No, non è un elfo, è un drow!" Insistette l'umano, in tono nervoso. "Fidati dei miei occhi!"
"Vuoi abbassare la voce, sciocco strimpellatore? Non mi camuffo per divertimento, ma per non dover dare noiose spiegazioni" rivelò il nuovo arrivato, perfettamente calmo.
L'umano rimase spiazzato a questa risposta, specialmente per il tono onesto ed esasperato.
"Oh. Ooooh. Sei quello?"
"Quello cosa?"
"Quello chi" corresse il bardo. "Ho sentito parlare di uno famoso. Un elfo scuro dal cuore buono che vive in Superficie."
"Ah. Quello. Non sono io." Tagliò corto il drow.
"Ma che davvero?" L'uomo indagò ancora, chinandosi in avanti come se volesse ascoltare un segreto. Dopo lo stupore iniziale sembrava non avesse più alcuna paura. "Ma vivi in Superficie."
"In realtà faccio spesso su e giù" replicò l'elfo scuro in incognito.
"No, io faccio spesso su e giù" s'intromise l'elfo dei boschi, tutto allegro. Fece un accenno di gesto osceno per sottolineare il concetto e scoppiò a ridere, seguito a ruota dal bardo. Anche lui aveva alzato troppo il gomito.
"Ma... ma... hai due armi come quello là" insistette ancora il bardo, dopo una lunga risata. "Sei davvero non-sei-lui?" Domandò in tono decisamente brillo.
"Quello là, l'ho incontrato una volta" sibilò il drow. "Solo per pochi secondi, ma gli ho dato un'occhiata e ho visto che porta delle scimitarre. Io invece uso due spade corte" raccontò, alzandosi per mostrare le sue armi ancora inguainate.
"Ah... e... e cosa cambia?"
Daren ebbe uno spasmo involontario che gli fece contrarre un sopracciglio.
"Cambia" scandì molto lentamente "che le scimitarre sono curve e quindi sarebbe molto più difficile ficcartene una su per il culo. Per questo io scelgo le spade."
"Oh" mormorò il bardo, impallidendo un poco. "Ho capito, non c'è bisogno di essere scortese."
Il drow scosse la testa e fece per andarsene.
"Quindi non sei un ranger?" Gli gridò dietro il bardo, in un ultimo tentativo.
Johel si piegò sul tavolo per il ridere, pensando a tutte le volte che il suo amico aveva definito la sua foresta 'un cumulo di robaccia verde'.
"Io sono un ranger" intervenne l'elfo, rivendicando la nobile professione. Scosse la testa, facendo oscillare la scompigliata chioma bionda. "E giuro non lo so come ho fatto a trovarmi un amico così basso e scorbutico!"


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Capitolo 6
*** 1357 DR: Corrupt the Cutie ***


1357 DR: Corrupt the Cutie


"Il mago a quel punto non poteva fare più nulla, venne sommerso dai ragni e divorato ancora vivo." Raccontò l'elfo scuro, con voce tetra.
La sua storia terribile venne accolta da due pacifici occhioni verdi e in tutta risposta una manina cercò di afferrargli il naso.
"Mu mu" parlottò la bimba, per niente turbata.
"Jaylah, non ti sento bene con quel pollice in bocca. Potresti parlare più chiaramente?" Recriminò il drow, lasciando che la nipotina gli afferrasse la punta del naso. Lei non aveva molta forza nelle dita, quindi perse subito la presa.
"Sta dicendo che le tue storie della buonanotte fanno schifo" intervenne una voce dalla porta, in elfico. Daren non aveva neanche bisogno di alzare lo sguardo; aveva riconosciuto l'accento di Johel. "E vorrei davvero che la smettessi di raccontarle storie che finiscono con gente mangiata dai ragni, sciolta nell'acido o trasformata in statua."
"Dovrei raccontarle stupide storielle di folletti e unicorni come fate tu e Krystel?"
L'elfo dei boschi si strinse nelle spalle. "Se proprio ci tieni a raccontarle storie più mature, potresti narrarle delle antiche gesta degli eroi, dei primi elfi cavalieri di draghi..."
"Posso farli morire sciolti nell'acido o mangiati dai ragni?"
"Ma non ha senso!" Esplose Johel.
"È un compromesso."
"Smetti. Di raccontare. Storie truci. Alla bambina."
L'elfo scuro alzò gli occhi al cielo, mentre Jaylah, ancora seduta sulle sue gambe, decise di tentare di nuovo quella cosa del naso.
"Non ha neanche un anno, cosa vuoi che capisca!"
"Non puoi saperlo, potrebbe stare ascoltando e incamerando tutto. Io e Krystel siamo d'accordo che dovresti smetterla." Johel non voleva arrivare a tanto, ma fu costretto a fare il nome della sorella di Daren che era l'unica persona in quella casa di cui lui rispettasse l'autorità.
"Compromesso" ripeté il drow, agitando un dito nell'aria con espressione cogitabonda. "Io smetto di raccontarle storie spietate, ma non dovrò mai più cambiarla quando si sporca."
"Sul serio? Stai usando la promessa di non cercare mai più di corrompere mia figlia per avere qualcosa in cambio? È un ricatto!"
"Un ricattissimo" confermò l'elfo scuro con un sorriso.
Sapeva che il suo amico avrebbe accettato, perché l'alternativa sarebbe stata allontanarlo da sua nipote e l'animo gentile di Johel non voleva osteggiare il loro rapporto. Infatti alla fine l'elfo dei boschi sospirò e accettò la proposta.
Che sciocco! Il sorriso del drow si sporcò di un'ombra di malizia. Non capisce che in questo modo sarò incentivato a rispettare il patto solo finché Jaylah non impara a farla nel vaso da notte? Avrebbe dovuto ribattere proponendomi un accordo diverso.
Soddisfatto e ignaro dei piani del drow, Johel uscì dalla nursery. Daren mise a letto la piccola con gesti meccanici, ma i suoi pensieri erano ancora per il suo amico.
È desolante che dopo più di cent'anni io non sia ancora riuscito a insegnargli le basi.


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Questa storia è ispirata alla trope Corrupt the Cutie. La corruzione ha la doppia valenza di corruzione morale e/o modifica dello stile di vita di qualcuno per fare in modo che si dia una svegliata. "The Cutie" in questa storia potrebbe non essere Jaylah.

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Capitolo 7
*** 1324 DR: Battle of Wits ***


1324 DR: Battle of Wits


Daren stava facendo la guardia, lasciando che i suoi occhi spaziassero, per quanto possibile, sul panorama della grotta sotto di lui.
Si trovava nei pressi della caverna naturale che lui e Krystel usavano come base quando venivano a visitare il Buio Profondo nei pressi di Eryndlyn. La loro alcova riparata si trovava su un piano rialzato rispetto alla grotta più grande. Qualche corridoio sbucava a diverse altezze della parete della grotta, uno dei quali proprio vicino alla loro piccola caverna. Era necessario posizionarsi in un luogo che permettesse di tenere d'occhio sia la galleria che la grotta sottostante.
Per quale motivo Krystel fosse così curiosa verso il Buio Profondo, non lo aveva mai capito. Lei diceva che quel mondo sotterraneo aveva un'energia diversa rispetto alla Superficie, e doveva essere vero, perché lei era esperta di quella roba. Daren invece era esperto di sopravvivenza nel Buio Profondo, come chiunque avesse servito per almeno un po' di tempo nelle pattuglie di qualche città drow. I dintorni di Menzoberranzan, dove era nato, non erano poi così diversi dalle caverne intorno a Eryndlyn. Quindi aveva scelto lui il luogo in cui accamparsi, perché c'era un rivolo d'acqua ed era abbastanza difendibile. Per lo stesso motivo non era stato facile scacciare il piccolo gruppo di quaggoth che aveva abitato la zona prima del loro arrivo.
Dopo di allora, il drow aveva caldamente raccomandato alla sorella di proteggere il "loro" posto con qualche incantesimo, in modo che non venisse di nuovo invaso da altre creature mentre loro erano di nuovo in Superficie. All'inizio Krystel non voleva, perché le sembrava sbagliato precludere quella fonte d'acqua ad altre creature mentre loro non erano nemmeno lì per usufruirne, però Daren si era permesso di insistere: era lui che doveva combattere contro i mostri, dopo tutto, e avrebbe preferito non doverlo rifare.
Quindi quello era diventato definitivamente il loro posto, o almeno il loro posto nei periodi in cui Krystel aveva voglia di visitare il Buio Profondo. Era sempre in inverno, e non tutti gli inverni, ma solo nei periodi in cui si sentiva tranquilla a delegare la gestione della sua locanda a uno dei suoi figli.
E Krystel, di figli, sembrava produrne a ciclo continuo. Ogni due decenni più o meno sfornava un marmocchio. Daren non era contrario alla cosa, era perfettamente normale che una drow costruisse una famiglia numerosa, era così anche nella società in cui era nato. Quello che era strano era il tasso di sopravvivenza dei suoi figli: erano ancora tutti vivi. Una normale famiglia drow, composta da una matrona e dalla sua prole, raggiungeva raramente delle dimensioni ragguardevoli perché i figli tendevano a sfoltire il loro numero uccidendosi a vicenda per guadagnare più potere. Krystel non aveva mai creato un simile clima di competizione all'interno della sua famiglia, e anzi incoraggiava i suoi ragazzi a sostenersi a vicenda.
Era quello che stava facendo anche con gli ultimi due arrivati: Amber, la sua figlia naturale di circa otto anni, e Tek'ryn, il suo nuovo figlio adottivo che non ne aveva ancora dieci. Per gli standard drow i due bambini si potevano considerare coetanei, eppure non avrebbero potuto essere più diversi.
Agli occhi di Krystel, Amber era una bambina normale e Tek'ryn era un ragazzino traumatizzato dalla sua infanzia in mezzo ai drow. Agli occhi di Daren, Tek'ryn aveva avuto una vita normale per un elfo drow, anche se lui era a suo modo speciale, essendo smaccatamente più intelligente della media; Amber, per gli standard degli elfi scuri, era mostruosamente viziata. Nel senso che non era mai stata picchiata, non era costretta a stare sempre zitta, non doveva fare alcun tipo di lavoro pesante, e gli adulti intorno a lei le davano attenzioni. Questo era normale per un bambino cresciuto in Superficie, Daren lo aveva capito da tempo. Sperava che presto lo capisse anche Tek'ryn. Quella era la vita che lo aspettava, una vita senza più abusi, ma il ragazzino non era pronto per crederci.
Tek'ryn in quel momento stava facendo la guardia insieme a lui. Daren trovava la cosa quasi divertente, perché il piccolo non sapeva davvero cosa aspettarsi dai pericoli dei corridoi del selvaggio Buio Profondo, ma avrebbe preso al volo qualunque scusa per non rimanere da solo insieme alla madre adottiva e alla sua nuova sorella. Stare insieme a due femmine lo terrorizzava, e inconsciamente si era attaccato molto al suo nuovo zio. Daren se lo teneva accanto volentieri: era un ragazzino silenzioso che non rompeva mai le palle. Tutto quello che chiedeva era di essere lasciato in pace, non voleva interazioni con gli adulti perché nella sua esperienza portavano solo problemi. Quindi passavano lunghe e pacifiche ore insieme a non dire nulla, interagendo solo quando ogni tanto il guerriero passava al bambino qualche striscia di carne secca e di funghi da mangiare. Tek'ryn non chiedeva neanche cibo, sarebbe svenuto dalla fame prima di rivolgere la parola a un adulto.
Ogni tanto vedevano passare qualche creatura nella caverna sottostante, e Daren si sforzava di fare un po' di conversazione.
"Quella è una lucertola crestata" aveva detto una volta, indicando un rettile sulla parete opposta della grande caverna. "È abbastanza innocua se non viene provocata." Ci aveva pensato un attimo, poi aveva aggiunto: "Non avvicinarti mai a un animale nel Buio Profondo. Tutti sono pericolosi, se si sentono minacciati."
E quella era è stata una delle poche interazioni degli ultimi giorni. Gettando uno sguardo al corridoio laterale che sbucava vicino alla loro caverna, Daren trovò presto un altro argomento di conversazione.
"Guarda, Tek'ryn." Lo richiamò dandogli di gomito. "La creatura che si sta avvicinando è una delle più pericolose di questa zona."
"Ma è S'lolath" affermò il bambino, riconoscendo l'elfo scuro che lo aveva portato lì, facendolo fuggire da Eryndlyn alcuni giorni prima.
"Appunto" confermò Daren con un sorriso poco allegro. Appoggiò una mano sulla spalla del nipote. "Torna da Krystel, e dille che abbiamo visite. E poi resta dentro."
A queste parole, sentì Tek'ryn entrare in tensione, ma sapeva che avrebbe obbedito. Non avrebbe mai contestato l'ordine esplicito di un adulto.

"Allora" Daren salutò S'lolath con un cenno del capo. "Già di ritorno?"
"Evidentemente. È un tratto caratteristico della Superficie attestare l'ovvio?"
"No, è solo un modo cortese per chiedere che cosa ci fai qui" ritorse il guerriero.
"Non posso venire a trovare la mia amante e i miei figli? Krystel ti ha forse detto di non lasciarmi passare?"
"Al contrario, questo è proprio il tipo di baggianate che le piace sentire" Daren si fece da parte con un gesto di invito.
Era la verità, a Krystel piaceva credere che S'lolath si interessasse davvero a lei e ai ragazzi, e forse anche lui era sincero... entro una certa misura.
Ad ogni modo Daren non aveva motivo di mentirgli, di sostenere che la strega potesse vedere oltre i suoi inganni: se S'lolath avesse pensato di non poterla manipolare, sarebbe potuto diventare pericoloso.
S'lolath però si fermò, come se le parole di Daren lo avessero infastidito.
"A te piace pensare che tua sorella sia una sciocca e che io sia un crudele burattinaio, ma i limiti della nostra relazione le sono molto chiari. Forse ha un'opinione di me più alta di quanto dovrebbe, e forse è vero che questo mi fa comodo. Ma quello che tu non capisci è che lei può permetterselo, non corre pericoli vivendo questo suo piccolo sogno, perché lei non ha bisogno di me. Non c'è pericolo che si illuda che correrò a salvarla se finisse nei guai. È abituata a badare a se stessa. Quindi perché, esattamente, vuoi toglierle questo conforto?"
"Perché non sono così convinto che non le faresti del male" Daren decise di giocare a carte scoperte. "Mi sta bene che tu non muova un dito per aiutarla, non mi sono mai aspettato che lo facessi, ma chi mi dice che non la tradiresti?"
"Mio caro amico, nessuno che io conosca è interessato a lei. La città di Eryndlyn non sa nemmeno che Krystel esiste." S'lolath diede una risposta perfettamente pragmatica.
"Ma tu lo sai. Chi mi dice che un giorno non la venderai?"
S'lolath rise, una risata tranquilla e nemmeno troppo di scherno.
"Perché non è una seguace della Regina Ragno? Suvvia. Non siamo a Menzoberranzan. Non devi aspettarti questo tipo di fanatismo a Eryndlyn. Le sacerdotesse hanno ben altri problemi a cui pensare, come più di mezza città sotto il controllo di Vhaeraun e Ghaunadaur. Una singola drow eretica, che non appartiene nemmeno a Eryndlyn, non è interessante per nessuno." Esitò un momento, poi aggiunse: "Posso capire che tu mi consideri completamente privo di buona fede, e che tu non creda che io provi alcun tipo di sentimento verso di lei e verso i miei figli. Non è sempre tutto così bianco o nero, amico mio, ma non cercherò di convincerti. Ti invito però a considerare il fatto che molti decenni fa, quando mi avete salvato, abbiamo deciso di essere alleati. In quell'occasione Krystel mi ha dimostrato il suo grande potere, che vantaggio avrei a tradire un'alleata così promettente e che crede nel nostro sodalizio?"
Daren ascoltò in silenzio la risposta di S'lolath, trovandola, suo malgrado, inattaccabile. C'era qualcosa però che stonava.
Ha menzionato il nostro primo incontro, quando lo abbiamo salvato. Non c'è nessun motivo concreto per cui un drow possa voler rimarcare un momento in cui qualcun altro ha fatto qualcosa per lui. Lo ha detto soltanto per suggerirmi che lui ragioni in modo diverso dagli altri. Anche il fatto che si sia disturbato a fermarsi e rispondermi, quando avrebbe potuto andare oltre perché ha già il permesso di Krystel di entrare... è una specie di segno di rispetto.
Quindi non è qui per manipolare lei, ma me.

"Smetti di dire che siamo amici, S'lolath. Mi sei simpatico, ma l'amicizia è un'altra cosa." Tagliò corto.
"L'amicizia tra drow..."
"Anche l'amicizia tra drow. È un rapporto pragmatico che si basa sullo scambio di favori, non semplicemente sulla simpatia. Certo, la simpatia ci vuole, altrimenti sarebbe un'alleanza. Ma da sola non basta, e io sono sicuro che tu non muoveresti un dito per me, quindi smetti di tentare di manipolarmi per farmi muovere un dito per te."
S'lolath gli rivolse un sorriso rassegnato.
"In futuro mi piacerebbe avere il tuo aiuto per uccidere quel mago di cui abbiamo parlato, ma è un discorso prematuro adesso, devo ancora indagare se ha davvero degli altri cloni. Quindi che motivo avrei di suscitare la tua simpatia se non ho bisogno di te in questo momento?"
"Perché tu pensi sul lungo periodo, e io ti stimo per questo, ma non voglio essere una carta nella tua manica pronta da giocare quando ti fa comodo."
S'lolath accentuò un pochino il suo sorriso, che aveva preso una piega divertita.
"Amico mio, lasciarti usare oppure no dipende interamente da te. Non ti porterò rancore in ogni caso."

S'lolath non se l'era presa per quel piccolo fallimento. Alla fine non si aspettava niente di meno da quel degno avversario, e tutto questo non aveva importanza. Gli sarebbe bastato guadagnare le simpatie di Krystel e rimanere nelle sue buone grazie. Daren non avrebbe disobbedito alla volontà esplicita della sorella, già una volta aveva rischiato la vita per salvarlo soltanto perché lei lo aveva preteso.
Forse il guerriero lo aveva dimenticato, ma una famiglia drow è come una catena: la sua forza equivale a quella del suo anello più debole.



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Questa storia si svolge alcuni giorni dopo Trauma, Redemption Demotion e Three is the Magic Number.
Il trope di oggi è Battle of Wits, una battaglia che purtroppo Daren non può vincere perché gioca in una squadra.

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Capitolo 8
*** 1372 DR: I don't want to go ***


1372 DR: I don't want to go


"Non credo di averlo mai capito fino in fondo. Perché finisci sempre per... restare?"
L'elfo scuro guardò con curiosità il suo compagno di avventure, sorpreso da quella domanda, ma l'attribuì al desiderio di conversare per rompere la monotonia del viaggio.
"Intendi 'perché finisco sempre per restarci', o...?"
"No, non voglio sapere come mai la morte abbia questa grande attrattiva per te" rettificò l'elfo dei boschi. "Ti sto chiedendo come mai non riesci ad andare in pace. Questa è la... terza volta che muori? Perché rimani sempre nel mondo come fantasma? Questa esistenza a metà, non è penosa?"
Daren si strinse nelle spalle, mantenendo lo sguardo fisso sulla desolazione brulla del deserto dell'Anauroch. Non amava rispondere a domande personali, ma Johel era il suo migliore amico, aveva il diritto di chiedere. Di recente si erano promessi di essere più sinceri e trasparenti l'un con l'altro.
Non che fosse difficile, per lui, essere trasparente. Era un fantasma.
"Oh, il classico. Questioni irrisolte. Credo di averne parecchie."
"Vuoi parlarne? Potrebbe aiutarti a comprenderle, e quindi a risolverle. Potresti finalmente andare in pace..."
"Vuoi liberarti di me? La prima volta che sono morto eri contento che fossi rimasto come fantasma. Hai detto che non eri pronto a dirmi addio."
Johel avvampò per la vergogna, ma non si notò perché le sue guance erano già rosse per il vento freddo del deserto.
"É stato molto tempo fa! Sono maturato da allora."
"Quindi ora saresti disposto a dirmi addio." Ricapitolò il drow, con una voce innaturalmente neutra. Johel capì che l'aveva ferito senza volerlo.
"No, ma non penso più di avere voce in capitolo. Se tu hai bisogno di andare nell'Aldilà per trovare la tua serenità, io non dovrei mettermi in mezzo per egoismo."
Il drow sembrò accettare questa risposta, o almeno, smise di controbattere.
Dopo un lunghissimo momento confessò:
"Non voglio andarmene."
Solo un sussurro, appena percettibile perfino dal sottile udito elfico.
"Non vuoi...?"
"Ho paura di cosa mi aspetta nell'Aldilà."
Johel rimase spiazzato. Daren non aveva mai paura.
Poi ricordò che un tempo il suo amico era stato un normale drow, un assassino spietato. Lui lo aveva conosciuto quando era già diverso, ma il guerriero aveva passato più di metà della sua vita nell'oscurità.
"Hai paura... di non esserti redento?"
Daren lo guardò come se fosse completamente pazzo.
"Non hai capito. La mia anima appartiene alla mia dea. Non c'è scampo per me."
Johel aggrottò le sopracciglia, sempre più confuso.
"Eilistraee?"
Il drow emise un grugnito in senso affermativo.
"E la tua anima andrà a lei, quando... se mai andrai Oltre?"
Altro grugnito.
"É una dea buona, quindi avrà un qualche paradiso per i suoi seguaci, anche per quelli scorbutici come te!"
Daren lo fulminò con lo sguardo. "Un paradiso dove la gente canta e balla tutto il maledettissimo tempo!"
Johel, molto lentamente, si passò una mano sul viso per nascondere un'espressione esasperata.
"E io che stavo parlando sul serio."
"Anche io!" Sibilò Daren. "Non voglio andarmene, Johel. Davvero, non voglio andarmene."


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Nota: questa storia non è ispirata a una trope, ma a quel momento occasionale in cui anche il protagonista viene visto in una luce umana e fallibile, messo davanti alla paura della morte. Chi non ricorda la scena toccante di Doctor Who in cui un disperato Ten sussurra "I don't want to go"? O Spider-man in Infinity War?

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Capitolo 9
*** 1361 DR: City Mouse ***


Questa storia è il sequel della minilong La caccia della poiana, ma penso sia comprensibile anche senza leggere il prequel.


1361 DR: City Mouse


"Abbiamo... un sacco di alberi" rispose l'elfa dei boschi, dopo una breve riflessione. "C'è anche qualche ruscello, ma non molti." Sì sforzò di trovare qualcos'altro da dire sulla sua patria, per descriverla alla sua fidanzata. "Uhm... no, questo è tutto. Alberi. Be', lo vedrai quando arriveremo!" Promise, con un sorriso entusiasta.
Aphedriel Presrae, giovane e promettente maga della città di Evereska, trattenne un sospiro sconsolato. Non che non le piacessero gli alberi. Quando sei un'elfa è un po' un dovere morale farti piacere gli alberi. Però lei era una ragazza di città, era abituata ad un certo grado di civiltà e di comfort. Non riusciva ad immaginarsi vivere la vita di un'elfa dei boschi. Il lungo viaggio dalla sua città alla foresta della sua fidanzata glielo stava confermando.
"Pazzeschi 'sti palazzi, mai visto nulla di simile a Sarenestar" aveva detto Freya, di fronte alle torri e agli archi di Evereska.
"Ah, questo lo chiami fango? Dovresti vedere Sarenestar nella stagione delle piogge!" Aveva esclamato Freya, quando lungo la strada il sentiero di terra battuta si era trasformato in un pantano a causa del disgelo.
"Questa città umana non è poi così male, ma accidenti, è enorme", aveva commentato quando erano giunte a Baldur's Gate "questo viaggio mi ha dato l'occasione di vedere gli umani da vicino per la prima volta, a Sarenestar viviamo così reclusi". (Quella era l'unica cosa che non le aveva dato fastidio perché anche ad Evereska gli elfi vivevano reclusi dal resto del mondo)
E avanti così. Per tutto il viaggio la sua amata Freya non aveva fatto altro che parlare della sua foresta natia, il luogo in cui le due ragazze progettavano di vivere dopo essersi sposate. Aphedriel aveva proprio la sensazione che lady Merildil, la madre di Freya, avesse voluto viaggiare a piedi per la strada più lunga anziché muoversi con un teletrasporto per mettere alla prova la sua volontà. Non solo la giovane maga non era abituata a viaggiare e a faticare; non era neanche una gran conoscitrice del mondo. Era chiaro ormai che cosa pensasse di lei la sua futura suocera: se Aphedriel non fosse riuscita a sopportare qualche settimana di viaggio, come avrebbe potuto adattarsi a vivere in una fangosa foresta?
L'elfa della luna si sentiva in trappola. Da quello che era riuscita ad estrapolare dai racconti della sua innamorata, gli elfi dei boschi vivevano in tende da campo intessute di muschio per mimetizzarsi alla perfezione nella foresta. I più stanziali, come gli anziani, vivevano in tane scavate nel terreno costruite dagli halfling. Quella sarebbe stata una vita ben diversa dalla comoda ed elegante torre dell'accademia di magia in cui aveva vissuto negli ultimi vent'anni. Ma che poteva fare? Rinunciare alla sua thiramin, la sua anima gemella? No, impossibile. Il suo cuore non avrebbe retto al dolore, e nemmeno quello di Freya.
Aphedriel si sentiva in trappola perché non poteva fare nulla per evitare la vita di fatica e fango e... alberi, a quanto pare... che l'aspettava nella foresta di Sarenestar. Durante il viaggio fece del suo meglio per fare buon viso a cattivo gioco e approfittò dei momenti di campeggio per cercare di abituarsi a quell'esistenza semplice.

Quando alla fine arrivarono alla foresta di Sarenestar, era più o meno come Freya l'aveva descritta: una distesa ondulata di dolci declivii coperti da sempreverdi, con macchie di sottobosco e sentieri stretti scavati dal passaggio di elfi o altre creature. Addentrandosi per qualche ora nella foresta incontrarono un campo di ranger, che Aphedriel scambiò per un villaggio. Quando chiese dove fossero gli anziani e i bambini, i ranger si misero a ridere e risposero: "in città".
Aphedriel drizzò le orecchie, perché Freya non le aveva mai parlato di una città. Si voltò verso la sua promessa sposa e Freya fu lesta a nascondere un sorrisino.
"Andiamo, fra un giorno o al massimo due saremo a destinazione" le spronò Merildil. "Tutto dipende dal vostro passo."

Ci vollero due giorni, perché Aphedriel aveva un portamento che si addiceva più a un ballo di gala che a una scampagnata nel bosco. Quella notte si fermarono a campeggiare insieme a un altro gruppetto di ranger, ma Aphedriel era troppo stanca per il viaggio per fermarsi a chiacchierare con loro, inoltre per lei non era mai stato facile fare conversazione con gli estranei.
Il giorno dopo raggiunsero un'area di fittissimo sottobosco, una barriera vegetale impenetrabile se non fosse stato per un sentiero che si snodava fra le fronde.
"Soltanto gli elfi possono vedere questa via" spiegò Freya, indicando il sentiero su cui stavano camminando. "Oppure coloro che sono già stati invitati in città almeno una volta."
Aphedriel riconobbe il pizzicore alla pelle che le suscitava sempre il primo contatto con un mythal. Quella città era protetta da un antico incantesimo elfico! La giovane maga rimase molto colpita, perché i mythal non venivano sprecati per piccoli villaggi di capanne.
Quando finalmente la macchia di sottobosco si aprì rivelando uno degli ingressi alla città, Aphedriel rimase senza parole.
Sì, c'erano alberi.
A onor del vero, c'erano anche delle case halfling.
Ma c'erano anche splendide case lignee abbarbicate sui rami, che creavano una perfetta armonia con il paesaggio lasciando credere di essere cresciute dagli alberi stessi. C'erano ponti di corda e legno che collegavano quelle case, c'erano piattaforme rialzate sugli alberi più grossi, dove la gente si fermava a chiacchierare e a lavorare. C'erano note di musica soave che riverberavano fra i tronchi, creando strane ipnotiche sinfonie, e incantesimi di luce che mettevano in risalto gli angoli più belli della città. Le decorazioni non avevano nulla di artificiale, erano piante e alberi che venivano incoraggiati con la magia a crescere in modo artistico e originale.
Era una vera città, l'apoteosi della tecnologia degli Elfi dei Boschi che sapevano creare splendidi palazzi così integrati nella foresta da non assomigliare per niente all'architettura degli umani, a differenza delle case di Evereska che erano fatte di pietra e legno segato.
Aphedriel capì che la vita a Myth Dyraalis sarebbe stata sicuramente più a contatto con la natura, ma non più barbarica di quella a cui era abituata.
"Mi hai presa in giro per tutto il viaggio" incrociò le braccia, piegando le labbra in un broncetto.
Freya le sorrise, e bastò quel sorriso a cancellare tutta l'animosità dell'elfa della luna. "Mia madre voleva metterti alla prova, e io... quando ho visto come reagivi ai racconti di una vita rurale, non ho potuto evitare di farmi quattro risate. Oh, avresti dovuto vedere la tua faccia!"
Aphedriel mantenne il broncio ancora per qualche secondo, poi capitolò, soverchiata dalla curiosità e dall'ammirazione per quel luogo tutto da scoprire. Freya le passò una mano intorno alla vita e lei la lasciò fare, godendosi la sensazione di essere circondata dalla bellezza. Decise che avrebbe potuto essere molto felice lì.


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Ovviamente questa storia si rifà al trope del "topolino di campagna, topolino di città", ma la verità è che sia Freya che Aphedriel sono topolini di città.

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Capitolo 10
*** 1316 DR: The Paragon ***


1316 DR: The Paragon


"Ma perché devi essere così stronzo!" Sbottò l'elfo dei boschi, dopo aver ascoltato la crudelissima parodia di una canzone elfica che il suo amico aveva appena composto.
Quella critica non suonava come una domanda. Non lo era; il ranger aveva rinunciato da anni a cercare quella risposta.
L'altro infatti si limitò a scrollare le spalle. "Dai, Johel... questa roba è spazzatura" rivendicò, agitando con noncuranza il libro in edizione economica che teneva in mano. Era una raccolta di antiche poesie epiche del popolo elfico, versi che riverberavano antiche gesta eroiche attraverso i secoli... quindi Johel non apprezzò il commento.
"È la mia cultura che stai insultando."
"No, è il concetto di epica che sto insultando. La penso così anche dell'epica umana o nanica."
"Perché sei uno stronzo, Holly."
"La parola che stai cercando è cinico." Rettificò lui.
"Ogni popolo ha bisogno dei suoi eroi!"
Holly reagì solo con uno sbuffo infastidito e non degnò neanche l'amico di una risposta.
"Dico sul serio" l'elfo dei boschi lo guardò male. "Le persone hanno bisogno di trarre ispirazione dagli eroi del passato, per trovare il coraggio a loro volta. Inoltre gli atti di eroismo vanno ricordati anche solo perché lo meritano" puntualizzò.
"Senti, abbraccia-alberi dei miei stivali, la persona più eroica che conosco sei tu, perché stai per addentrarti in un dungeon che è davvero troppo pericoloso per te, quindi sei un idiota. Essere un idiota è una condizione imprescindibile per essere un eroe, dunque scusami se avrei preferito che da piccolo non ti riempissero la testa con queste baggianate."
"Ma io traggo forza da queste baggianate, come le chiami tu. La mia identità, il mio attaccameto al mio popolo, la fede nei miei valori. Voglio vivere una vita in cui io sono l'eroe? Be', forse sì, che c'è di male? Voglio fare del bene nel mondo, e il mio mondo è fatto di speranza e sogni di grandezza, di cose meravigliose per cui vale la pena vivere e perfino morire. Il tuo mondo di cosa è fatto? Perché andiamo all'avventura insieme e affrontiamo gli stessi pericoli, se tu non vuoi essere un eroe?"
Holly non ebbe nemmeno bisogno di pensarci.
"Il mio mondo è fatto di senso del dovere. È questo che mi muove. Non mi serve ispirazione dall'alto: se una cosa va fatta, la si fa."
Johel abbassò le spalle, scoraggiato dal tono dell'altro. Naturalmente non sarebbe riuscito a fargli cambiare idea, non in quel periodo della sua esistenza.
"Quindi non pensi che le tue gesta meritino di essere ricordate?"
Holly gli rivolse un sorriso che, come al solito, non era per nulla allegro.
"Ti rigiro la domanda, se posso: tu pensi che io sia un buon modello di vita? Ritieni saggio che qualcuno si ispiri a me?"
Johel ci pensò seriamente, per un lungo momento. Nonostante il bene che voleva al suo amico, dovette riconoscere che no, non sarebbe stato un buon esempio per nessuno.


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"The Paragon" è la figura dell'eroe che è anche fonte di ispirazione per la gente, l'eroe che non si limita a salvare il popolo ma trascina il popolo, fa ardere la fiamma della speranza e aiuta la gente a salvare se stessa.
Questa storia è un missing moment del capitolo di Jolly Adventures "Radici (Parte 2)"

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Capitolo 11
*** 1359 DR: Mother Hen ***


1359 DR: Mother Hen


"Hai fatto cosa?" Johel fissò la padrona di casa, sconvolto.
Krystel rispose con una scrollata di spalle.
"Lo avevo avvertito. E sai quante volte?"
"Ma... Punire qualcuno con la magia..."
"Oh sì, è una cosa terribilmente crudele" confermò la strega, con una smorfia di derisione. "Sono proprio una mangia-orchi, come mi ha definito Geyla stamattina."
Johel sbiancò come un cencio. Mangia-orchi era un insulto molto volgare, usato per indicare una persona desiderosa di praticare ogni genere di sesso orale sugli orchi.
"Lei... sicuramente non intendeva..."
"Certo, è ovvio, nostra figlia è troppo piccola per sapere cosa significhi. Ma dove l'ha sentito dire, secondo te?" Gli fece notare la donna, puntando i pugni contro i fianchi come faceva sempre quando era arrabbiata.
"Gli ho detto così tante volte di non usare il turpiloquio davanti alla bambina" sussurrò l'elfo, passandosi una mano sul viso.
"E magari passare una giornata in forma di animaletto da cortile lo aiuterà a capire meglio il concetto" tagliò corto lei, in tono definitivo.

Johel non era sicuro di quale dei molti animali della locanda fosse in realtà il suo amico drow. Forse Krystel lo aveva trasformato in uno degli asini. Purtroppo l'elfo non si era mai preso la briga di contarli. O magari era una delle capre che pascolavano nel vasto recinto fuori dalle mura della locanda... quelle bestie avevano un carattere che sicuramente ricalcava il suo. O forse...?
Il ranger trovò la sua risposta quando vide una grossa gallina nera che scorrazzava in un angolo del cortile circondata da quattro pulcini. I pulcini erano gialli come i petali del tarassaco e cercavano di ruzzolare in giro mentre la chioccia tentava di radunarli sotto le sue ali. Il motivo era facilmente intuibile, si era già sentito un tuono in lontananza e guardando il cielo sembrava che stesse per venire a piovere. Gli acquazzoni erano molto comuni d'estate. Johel sospirò, raddrizzò le spalle e si diresse verso gli animaletti in agitazione.
"Cosa fai? Non sono i tuoi pulcini."
La chioccia lo ignorò e continuò a cercare di radunare i piccoli e spingerli verso il pollaio coperto.
Per un po', Johel rimase a guardare affascinato i tentativi della gallina di portare a termine il suo compito, e quando finalmente lei ci riuscì decise di seguirla nel pollaio per vedere cosa avrebbe fatto. Si tolse il mantello e lo appoggiò su una panca all'esterno per evitare che si sporcasse di guano, poi entrò con cautela nella struttura di pietra e legno. La chioccia dalle piume nere si era sistemata su una piattaforma rialzata e i quattro pulcini si erano rifugiati sotto di lei.
"Johel? Che fai lì dentro?" Gli domandò Krystel, facendo capolino nel pollaio con la piccola Jaylah al seguito. La bambina portava con sé un secchiello pieno di semi ed era chiaro cosa volesse fare.
"Stavo solo... è normale che si stia prendendo cura dei pulcini?" Domandò, indicando la gallina nera.
La strega lo guardò perplessa. "Certo, è la loro madre. Perché... oh aspetta, hai pensato che avessi trasformato mio fratello in una chioccia?"
"Ciao, pio-pio" esclamò Jaylah tutta contenta, dedicando la sua attenzione ai molti pulcini che gironzolavano nel pollaio. In realtà si stavano allontanando di corsa da lei, ma la piccola non ci badò.
Johel arrossì violentemente, sommerso dall'imbarazzo. "Ehm... Sì. La gallina è nera e i suoi pulcini sono gialli quindi ho pensato..."
"È una gallina della Valle Grigia, i pulcini sono sempre biondi ma diventano neri con la prima muta." Spiegò la strega, molto divertita. "Se fossi in te starei più attenta ai gatti. Ce n'è uno proprio qui fuori che ti guarda male da una decina di minuti."
L'elfo colse il suggerimento e uscì di corsa dal pollaio, stando ben attento a non calpestare nessun animale e nessuna bambina. A pochi passi da lui un gatto grigio se ne stava seduto sulla panca dove poco prima aveva appoggiato il suo mantello.
Con aria sdegnosa e con uno sguardo quasi di sfida, il gatto attese che Johel si accorgesse di lui, si mosse molto lentamente posizionandosi sull'indumento dell'amico... e solo allora alzò la coda e svuotò la vescica, senza mai interrompere il contatto visivo.
L'elfo rimase interdetto per un lungo momento, confuso da quel comportamento immaturo, seriamente indeciso se imbracciare il suo arco magico e far fuoco sul gatto oppure no. Poi la bestiola schizzò via veloce come un fulmine e il ranger decise di farsi una risata, perché non valeva la pena rischiare di incendiare la locanda solo per vendicare il suo mantello. E francamente un po' sentiva di esserselo meritato, per non aver saputo riconoscere il suo amico.
Ora doveva solo decidere se lavare il mantello oppure andare a depositarlo così com'era sul letto di Daren.


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Troppe volte Daren è stato definito "chioccia", non potevo lasciarmi sfuggire l'occasione di scrivere questa breve storia. Per approfondimenti sulla figura della proverbiale mamma-chioccia: Urban Dictionary: Mother Hen.
Per quanto riguarda gli insulti nel Faerûn, fra cui "mangia orchi" (che è canon), maggiori informazioni qui.

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Capitolo 12
*** 1359 DR: Occam's Razor ***


1359 DR: Occam's Razor


"Ambe', cocia è un diota?" Domandò la piccina, piena di curiosità infantile.
"Un... diota?" Amber ci pensò per qualche momento, guardandosi intorno come se cercasse una risposta negli oggetti intorno a sé. "Non lo so, Geyla" ammise infine, costretta a deludere la sorellina. "Mi suona come una parola che ho già sentito, ma penso che dovresti chiederlo a Margaret, lei conosce il dialetto della regione meglio di me."

"Mara!" Jaylah inseguì la giovane apprendista di sua madre mentre trasportava alcuni libri dalla casa di Krystel al proprio alloggio. "Mara, pettami!"
Margaret rallentò, aspettando che la piccolina la raggiungesse con la sua andatura trotterellante. Jaylah aveva due anni e mezzo e sapeva correre meglio di quanto sapesse camminare, ma era meglio che non si sforzasse troppo o sarebbe finita faccia a terra... come accadeva almeno due o tre volte al giorno.
"Buongiorno, tesoro. Come posso aiutarti?"
"Mara che cocia è un diota?"
L'umana ci pensò a fondo, corrugando la fronte.
"Una diota. Sono quasi certa che sia una diota. È un qualche oggetto di uso comune, l'ho sentito dire una volta da mio nonno, ma deve essere una parola che usano solo i vecchi. Vorrei poterti aiutare ma proprio non mi ricordo."
"Oh" Jaylah abbassò le spalle, sentendosi sempre più affranta. "Volevo ciapere uuuna parola nuova" affermò, alzando un ditino con aria fiera.
"Penso che dovresti chiedere alla tua mamma. È vero che lei non è umana, ma ha visto passare più anni di mio nonno, e forse anche del nonno di mio nonno. Se c'è qualcuno che conosce le parole antiche, quella è lei."
Jaylah la gratificò con un sorriso luminoso.
"Ciao Mara!" Salutò e corse via, diretta verso la casa di sua madre.

"Mamma! Mamma!"
Krystel stava mescolando alcuni ingredienti in un piccolo calderone e quasi perse l'equilibrio quando Jaylah le si buttò sulle gambe come una palla di cannone. La figlia le abbracciò le ginocchia e Krystel si aggrappò al tavolo, allontanando subito le mani dal calderone per evitare di farlo cadere per sbaglio.
"Geyla, che cosa ti ho detto sul non lanciarti sulle gambe della gente?" La rimproverò bonariamente.
"Uh... no' devo lanciammi ciulle gambe della cente?"
"Esatto. E cos'è che hai appena fatto?"
Jaylah la guardò senza capire. Poi decise che il discorso non ne valeva la pena e andò subito all'argomento che le stava più a cuore.
"Mamma cocia è una diota?"
Krystel le rivolse un'occhiata molto perplessa. "Una diota? Non sentivo questa parola da decenni... Una diota è un'anfora di terracotta a due manici. Un... una specie di vaso. Credo che con il tempo la parola si sia storpiata in giota o giotta. Ma dove l'hai sentita?"
Jaylah si strinse nelle spalle, ma nei suoi occhi color delle foglie continuava ad aleggiare la stessa confusione.
"Lo cio Daren ha detto che papà è un peccio di diota. Ma non è vero! Il mio papà no' ce lo è un vaso!" La piccola battè un piede a terra, frustrata per quella risposta senza senso. "Che cocia vuol dire pe' davvero, mamma?"
Krystel per un lungo momento non disse nulla, ma strinse le mani al bordo del tavolo finché le nocche non divennero leggermente più pallide del nero profondo della sua pelle.
"Vuol dire" mormorò infine "che tuo zio vuole passare qualche altro giorno in forma di animale da cortile."


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Questa storia si basa sulla teoria del rasoio di Occam, che afferma che non sia necessario cercare una spiegazione complessa quando una spiegazione semplice è a portata di mano ed è probabilmente corretta.

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Capitolo 13
*** 1355 DR: Homeopathy ***


1355 DR: Homeopathy


L'acqua fredda scivolava tra le sue dita, rendendole più insensibili e più goffe. Era una sensazione fastidiosa per un elfo, a maggior ragione per un elfo scuro.
Daren non amava lavare i panni, però amava la sensazione di indossare vestiti puliti. Come tutti i drow civilizzati era schizzinoso nei confronti di ciò che era sporco e sciatto. Non che lo si potesse definire un damerino, era un guerriero pragmatico e abituato a una vita semplice, ma quella vita doveva essere anche dignitosa.
L'acqua corrente di quel ruscello arrivò quasi a strappargli di mano il sapone, ma le sue dita allenate riuscirono ad afferrare quella scheggia scivolosa prima che prendesse la via verso il fiume. Quel momento di sbadataggine però gli fece capire che era il momento di smettere. Le sue dita ormai erano troppo anchilosate e il sapone si era consumato fino a diventare troppo piccolo. Un tempo, quando viaggiava da solo, non avrebbe consentito a se stesso di indugiare con le mani in ammollo fino a perdere la sensibilità: lo avrebbe reso troppo vulnerabile per troppi minuti in caso di attacco da predatori o nemici. Ora non si preoccupava di questo perché sapeva che il suo amico Johel stava facendo la guardia e non avrebbe permesso a nessuno di prenderlo alla sprovvista. C'erano voluti anni per raggiungere quel livello di fiducia, ma ne valeva la pena.
Il drow posò il sapone accanto a sé, nella sua scatola di legno, e si concentrò sullo sciacquare i vestiti che aveva insaponato. Quando fu soddisfatto del risultato raccolse le sue cose e tornò all'accampamento poco distante.
Johel saltò giù da un albero, ancora con l'arco in mano. "Oggi sembra tutto tranquillo" gli raccontò, "sembra che non ci siano altri troll nella zona."
"Già, l'unico che c'era doveva proprio morire addosso a me" Daren ripensò alla battaglia della sera prima, con una smorfia schifata.
"Sei riuscito a lavare tutti i tuoi vestiti?"
"Quelli sporchi di sangue di troll sì, ma non quelli vecchi che avevo accumulato da lavare. Il sapone è diventato troppo piccolo per essere utile. Purtroppo avevo lasciato l'altro all'accampamento."
"Ovviamente hai già un sapone di riserva" scherzò Johel, conoscendo le fissazioni del suo amico.
"Già... E non capisco com'è che i tuoi vestiti ci mettono più tempo a sporcarsi" recriminò, un po' risentito perché mal comune sarebbe stato almeno mezzo gaudio.
"Facile, perché sono un arciere e quindi vado più raramente in corpo a corpo. Non mi sporco del sangue dei miei nemici e il combattimento mi porta via meno energie. Anche camminare fra le sterpaglie mi porta via meno energie visto che sono un ranger e ci sono abituato." Spiegò con un sorriso.
"Ecco svelata l'unica utilità della tua professione" biascicò il drow ancora imbronciato.

Più tardi Johel si mise a cucinare per entrambi e notò con la coda dell'occhio che Daren stava rivendicando la sua capacità di multitasking almanaccando con una scatoletta di metallo mentre avrebbe dovuto fare la guardia.
"Ehi. Che fai?"
"Tranquillo, non c'è nessuno nei paraggi..."
"Ti ho solo chiesto che fai", ripeté l'elfo dei boschi, "per curiosità."
"Ho messo l'ultima scheggia del vecchio sapone nella scatola dei saponi estinti, e sto cercando di capire se ce n'è abbastanza per fare una nuova saponetta" spiegò, facendo ondeggiare la scatola di metallo come per sentire il rumore all'interno.
"Eh?"
Daren si avvicinò e mostrò al suo amico il piccolo contenitore e le molte schegge di sapone che conteneva. Poi passò a spiegargli il procedimento con cui, da piccole schegge di saponi vecchi e con l'aggiunta di un po' d'acqua, si poteva amalgamare un sapone nuovo.
"Ma... Andiamo, non dirmi che non hai i soldi per comprarti un sapone nuovo!"
"Non è quello il punto, Johel. Ho pagato per una libbra di sapone e userò una libbra di sapone. Odio gli sprechi."
"E quindi ti crei un... golem di sapone ogni cento saponi o qualcosa del genere?"
Il guerriero si strinse nelle spalle. "Qualcosa del genere."
"Oooh" Johel spalancò gli occhi, colto da un'improvvisa idea. "C'è anche una scheggia del sapone che ci ha fatti diventare amici?"
"Che? Non ci ha fatti diventare amici, mi ha solo convinto della tua utilità come compagno di viaggio e procacciatore di beni di prima necessità" protestò Daren. "E comunque no, sono passati cent'anni, di sicuro ho già usato quella scheggia in un passato... golem di sapone, come l'hai definito tu."
"Ma... anche un golem di sapone prima o poi diventa una scheggia, giusto?" Insistette Johel. "Quindi, se sei coerente, quella scheggia torna all'interno della scatola di metallo." Daren aggrottò le sopracciglia. In effetti era così, ma non ci aveva mai pensato.
A Johel non serviva una risposta, riusciva a leggerla nell'espressione del suo amico.
"C'è rimasto qualcosa della saponetta elfica dell'amicizia" gongolò Johel. "Fosse anche una millesima parte. E rimarrà in tutti i tuoi golem di sapone."
Il drow lo scrutò con un'occhiata neutra.
"Può essere" concesse, sentendosi un pochino a disagio davanti all'entusiasmo dell'elfo. "Ma tu non stai bene."


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Non si tratta di un cliché, ma è una cosa in cui molte persone credono: che esista una sorta di memoria nelle sostanze che sono venute in contatto, a livello fisico oppure a livello energetico.

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Capitolo 14
*** 1621 DR: Sliding Scale of Villain Threat ***


1621 DR: Sliding Scale of Villain Threat


Da qualche parte sul Piano Astrale, nei pressi di un Portale per l'Avernus

La battaglia infuriava da diverse ore, anche se sul Piano Astrale il tempo non scorre veramente. Non si poteva misurare, se non contando i respiri o, per chi aveva il gusto del macabro, i cadaveri che cadevano con una certa regolarità.
Diavoli contro demoni, una guerra che andava avanti dall'inizio dei tempi e che aveva subito solo un breve stallo quando i Piani si erano mescolati nel Caos Elementale, solo per poi tornare a disporsi in bell'ordine un secolo dopo come soldatini ubbidienti.
Una cosa che, in quel momento, le forze dei due eserciti non erano.
La donna chiamata Pitch - da nessuno tranne che dai suoi amici, che non si trovavano certamente - osservava quel caos con aria insoddisfatta. Accanto a lei riposava il Diavolo della Fossa Khartach, eroe di molte battaglie, gravemente ferito. Lei sapeva che il suo alleato si sarebbe ripreso in fretta e sarebbe tornato subito a combattere, ma non gli avrebbe messo fretta. Il diavolo era un guerriero leale e schematico, che non amava battere la fiacca. Soprattutto, non era ai suoi ordini e quindi non poteva comandargli un bel niente.
"Dovremmo abbattere Pazuzu" ringhiò lui, in tono disgustato perché il signore demoniaco delle malattie era, in effetti, disgustoso. Se ne stava nelle retrovie dell'esercito demoniaco e inviava davanti a sé ondate di soldati che potevano essere definiti solo carne da macello, e strani insetti demoniaci le cui punture non sorbivano grande effetto sui diavoli.
Pitch sollevò appena un sopracciglio. Un'esternazione di grande emozione, per lei.
"Quando mai un Signore dei Demoni ha partecipato di persona alla Guerra Sanguinosa?"
"Quando mai l'ha fatto una Signora dei Diavoli?" Replicò Khartach, alludendo a lei.
"Mi stai invitando ad affrontarlo di persona, Khartach? Dimmi, speri forse che il possente Pazuzu sia in grado di infettarmi con qualche vile malattia?"
Il diavolo non rispose. Pitch avrebbe sorriso, ma non ne aveva voglia.
"Fai parte di un complotto per uccidermi, mio vecchio amico?"
Questa era una battuta, perché i due non erano affatto amici. Ma nemmeno particolarmente nemici.
Khartach però non era molto svelto a capire le battute.
"Mai, Signora. Il nostro padrone Asmodeus nutre interesse per le tue capacità tattiche."
Pitch incrociò le braccia dietro la schiena per mostrare che non temeva affatto Khartach, anche se lui era così grosso che avrebbe potuto sollevarla con una mano.
"E lady Glasya nutre interesse per le tue capacità combattive, ragion per cui vorrei che tornassi a casa vivo. Sai, i doveri di buon vicinato. Non vorrei mai dare un dispiacere alla cara Glasya." Questa volta un angolo della sua bocca si sollevò davvero, ma che fosse un sorriso o una smorfia era difficile da intendere. "Rimani qui, recupera le forze mentre mi occupo del luogotenente di Pazuzu." Gli consigliò.
Khartach aggrottò la fronte. "Il luogotenente? Abbiamo la possibilità di uccidere Pazuzu in persona e..."
"...di scoprire se io sia soggetta alle malattie? Sarebbe un esperimento interessante" confermò lei guardandosi le unghie immacolate. "Te lo chiedo di nuovo, quand'è stata l'ultima volta che un Signore dei Demoni si è lanciato nella mischia? Pazuzu è chiaramente un'esca. Non è qui per rischiare niente. E non sta comandando niente. I demoni come lui, che hanno dei seguaci, credono di essere arrivati. Sicuramente preferirebbe starsene a combattere altri demoni per il predominio. I demoni come lui hanno... nemici naturali" il suo sorriso si fece più affilato. "Fra i loro simili e perfino fra gli dèi. Credo che Talona se lo mangerebbe volentieri, per prendersi i suoi fedeli. Un Signore dei Demoni qui ha tutto da perdere e nulla da guadagnare. Ma un luogotenente ambizioso? Quel balor incarognito vuole sicuramente fare colpo, e sta guidando le sue truppe con grande maestria."
L'espressione di Khartach si fece sempre meno corrucciata, mentre accoglieva quel punto di vista e ne riconosceva la logica.
"Allora dobbiamo fermarlo. Non possiamo lasciare che attraversi il Portale per l'Avernus con la sua schiera."
Pitch si voltò a guardare il Portale che stavano difendendo, come in una partita sanguinosa e monumentale di conquista castelli.
"Un Portale artificiale. Non è impossibile richiuderlo, e si dà il caso che io abbia convocato un Sabotatore di Portali." Il suo sorriso si spense, perché si rese conto che stava giocando con il fuoco. "Possiamo lasciare che il balor lo attraversi, ma senza le sue schiere. Non credo che al nostro Signore Asmodeus dispiacerà giocare un po' con un singolo balor."
O forse gli sarebbe dispiaciuto. Pitch non sapeva prevederlo, perché l'ordine era di non lasciar passare nessuno. Ma Asmodeus aveva un certo senso dell'umorismo, e di sicuro li stava osservando, dal suo scomodo trono nell'Avernus. Forse l'avrebbe divertito anche solo assistere al combattimento fra il balor e la duchessa di Maladomini, scoprire se lei sarebbe riuscita ad ingannare il furbo luogotenente e attirarlo nella trappola.
Pitch poteva sperarlo ma, in realtà, non è che le importasse moltissimo di vivere o morire.


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Questa storia si rifà alla trope secondo cui c'è una scala di nemici di potere crescente, ma la storia ribalta la trope affermando che non sempre il nemico più potente sia anche il più pericoloso.
La storia si svolge in un momento futuro rispetto all'anno di gioco di D&D 5ed, un'epoca in cui qualcun altro ha preso il posto di Baalzebul al comando di Maladomini.

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Capitolo 15
*** 1209 DR: Dysfunctional Romance ***


1209 DR: Dysfunctional Romance


Città di Silverymoon, una sera d'inizio estate

Meryl Westson era solo un insegnante di musica che dava ripetizioni ai bambini. Non lo si poteva nemmeno definire un professore, non l'avevano ammesso al collegio bardico, gli mancava quel certo non so che. Non era nemmeno un vero bardo, era più che altro un dilettante amante della musica che ci aveva speso un po' di tempo. Dopotutto quello era un bene che non gli mancava.
Però quello che gli mancava nel talento lo compensava con una vivida intelligenza e inventiva. Letteralmente, Meryl Westson era un inventore di oggetti magici. Be', di un oggetto magico. Il suo preziosissimo violino polifasico.

La complessità di quell'oggetto non era comprensibile per il grande pubblico. Quello che la gente semplicemente non capiva del suo violino, era che per suonare uno strumento polifasico dovevi essere tu stesso una creatura polifasica. Dovevi essere una persona capace di saltare indietro nel tempo, sebbene di pochissimi minuti, sovrascrivendo la tua stessa linea temporale. Solo in questo modo il violino avrebbe potuto sfruttare appieno la sua potenzialità: accumulare e memorizzare tutte le tracce che un suonatore polifasico era in grado di imprimervi, di suonare sulle magiche corde, ancora e ancora negli stessi cinque minuti che andavano a ripetersi e a sovrascriversi infinite volte.
Be', non proprio infinite volte. Per suonare un brano al violino polifasico era necessario conoscerlo alla perfezione, conoscere ogni spartito che si intendeva suonare, riprodurlo a memoria senza poter riascoltare quanto già suonato in precedenza, mantenendo solo una memoria incerta del ritmo; in questo modo si accumulavano continuamente nuovi strati di musica nel violino solo per poi rilasciarli tutti insieme nell'ultima esibizione, quando per l'ultima volta il suonatore tornava indietro nel tempo e permetteva che lo strumento scatenasse tutta la musica che aveva incamerato, mentre suonava l'ultimo velo di musica al di sopra della cacofonia di suoni che lo strumento magico andava a ripescare da un passato che ormai non era mai avvenuto. Non era solo complicato da spiegare, era anche molto difficile da eseguire. Ricordare a memoria i tempi e il giusto ordine dei brani da suonare era la cosa più difficile per Meryl, richiedeva tutta la sua concentrazione. Spesso il risultato che otteneva era a malapena decente, bastava una sola partitura fuori dal coro e tutta la sinfonia andava a farsi benedire, come se in un'orchestra ci fosse un incompetente in mezzo ai professionisti.
Meryl sapeva che la pratica e l'impegno erano le uniche cose che potessero portarlo ad un vero miglioramento, ma fino ad allora avrebbe dovuto basarsi su soluzioni temporanee ed estemporanee: aiuti magici per potenziare la memoria, prima di tutto, e dove la magia non arrivava... si poteva ricorrere a qualcosa di più estremo.

Meryl terminò di suonare un altro strato di quel complicato brano, si concentrò per riavvolgere la propria linea temporale giusto di cinque minuti, poi ricominciò a suonare la stessa musica da quella che un pittore avrebbe definito "un'angolazione diversa". Era la quarta volta che tornava indietro per aggiungere nuovi livelli di complessità al suo brano, e sapeva che Erika lo stava guardando anche se a breve non si sarebbe ricordata di averlo visto e udito suonare quella musica parziale; quando lui fosse tornato indietro per l'ultima volta lei avrebbe potuto udire il suo concerto nella perfezione dell'esibizione finale. O almeno, lui sperava di raggiungere la perfezione. Non lo credeva, ma ci sperava. E poi la ragazza non era proprio un'esperta di musica.

Erika si mosse sulla poltroncina, incapace di stare ferma. L'esibizione finale era davvero affascinante, anche se in certi punti ancora il suo amato stonava e non riusciva ad andare perfettamente a tempo. Questo però importava poco. La cosa che più amava di quelle esibizioni era vedere il suo impegno, la fatica mentale che faceva per lei, per regalarle un'emozione.
Quando finalmente il musico smise di suonare la ragazza saltò in piedi e applaudì, estasiata.
"Splendido!" Il suo sorriso era così aperto che quasi si vedevano i canini. "Magnifico! Quanti violini c'erano? Credo di averne contati sette ma non sono sicura, dalla profondità del suono forse erano di più" azzardò.
"Erano undici" Meryl abbassò l'archetto, esausto.
"E sono tutti farina del tuo sacco?" Indagò lei. Era una strana domanda, ma lui capì dove volesse arrivare.
"No, senza la fascia magica che indosso avrei potuto suonarne a malapena otto. Grazie alla fascia che potenzia la mia memoria sono arrivato a poterne gestire dieci."
"Oh? Non hai detto undici?" Il sorriso di lei si fece più affilato, più... eccitato.
"La polvere di fungo blu mi ha portato a undici" confessò, riferendosi a una rara droga molto ricercata fra i maghi e gli studenti. "Ora scusami, gli effetti collaterali cominciano a farsi sentire... hai sempre avuto i capelli rossi?"
"Sono biondi, bocconcino" lo corresse lei con una punta di sadico divertimento.
"Oh. Sì. L'avevano detto che poteva essere allucinogeno."
Aveva l'aria di qualcuno le cui ginocchia stanno per cedere, quindi Erika si lanciò su di lui con la sua velocità innaturale e lo sorresse gentilmente aiutandolo ad accasciarsi su un divano anziché sul pavimento.
"Ti senti bene?" Domandò, anche se la risposta era evidente.
"Non sto troppo male" la rassicurò. "È un malessere passeggero."
"Lo sai quanto mi eccita sapere che compi questi piccoli gesti autodistruttivi per me?" La vampira si sedette in grembo all'umano e affondò le dita avide fra i suoi capelli scuri.
"Erika, dai, sono un cronomante" l'umano ridacchiò sottovoce, "posso usare un incantesimo elementare per velocizzare i miei bioritmi e smaltire l'effetto della droga in pochi secondi. Non è questo gran sacrificio."
Lei aveva cominciato a baciargli il collo, senza tirare fuori i denti almeno per il momento, ma sentendo queste parole sollevò la testa per guardarlo negli occhi.
"Terry, io ti amo. Non vorrei mai vederti star male per più di qualche secondo. Ma questi pochi attimi di disagio appartengono a me, li hai dedicati a me, e per me vogliono dire moltissimo."
"Ti prego, chiamami Meryl" sospirò lui, lasciando ciondolare la testa sul bordo del divano. L'effetto allucinogeno della droga non accennava a diminuire e forse avrebbe davvero dovuto usare un incantesimo per farlo passare. "Questo è il nome che ho scelto in questa vita."
"Ti ho chiamato Meryl" mentì lei, "hai le allucinazioni uditive?"
Meryl Westson, come aveva scelto di chiamarsi in quella vita, grugnì una risposta poco intelligibile. "Un giorno sarò capace di suonare undici violini senza bisogno della polvere di fungo" promise. "Migliorerò per te. Ti dedicherò la mia arte. Renderò la tua vita piena di bellezza."
"Oh, mio dolce pasticcino, la mia vita è già piena di bellezza. Non siamo forse nella città più elegante e più creativa del mondo? Le arti e la musica qui sono alla portata di tutti, ma c'è una cosa che è soltanto mia e quella cosa sei tu." La fanciulla sorrise di nuovo, e questa volta i canini erano ben visibili. Non erano molto minacciosi; erano appena accennati ed erano carini, come tutto quanto, in lei. "Dovresti averlo capito: il giorno in cui saprai suonare undici violini senza doverti drogare, io ne pretenderò dodici."
Meryl emise un lungo sospiro sconsolato e sollevò la testa, solo per dedicare una lunga occhiata a quella creatura millenaria nel corpo di una sedicenne. Con una mano le accarezzò una guancia, sentendola fredda sotto le dita.
"Oh, Erika. Crescerai mai?" Domandò, le labbra piegate in un ghigno sarcastico.


**************
Questa storia prende il nome dalla maxi-Trope Dysfunctional Romance, anche se non ci sono dinamiche abbastanza gravi da diventare Destructive Romance o Bastard Girlfriend. Di certo Erika è una Yandere ma la cosa non è visibile fintanto che lui resta con lei.

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Capitolo 16
*** 1320 DR: Red shoes ***


1320 DR: Red shoes


Un pomeriggio d'estate, in una locanda vicino a Secomber

"Porca faina!" Gridò una vocetta infantile. Il suo tono acuto riverberò fra gli edifici che circondavano il cortile e spaventò perfino una coppia di colombi, che spiccarono il volo da sotto un tetto in cerca di lidi più tranquilli.
Krystel sapeva che era stata sua figlia Amber a gridare, e credeva di sapere anche perché.
Interruppe un momento il suo lavoro e si affacciò alla finestra, cercando con gli occhi la sua bambina iperattiva.
"Amber" l'apostrofò stancamente, vedendola nascosta dietro i panni stesi al sole "hai di nuovo pestato un sasso appuntito?"
La bimba occhieggiò sua madre sporgendo la testolina da dietro un lenzuolo. I suoi capelli candidi come la neve facevano sembrare sporco il lenzuolo di lana leggera, reo di non essere perfettamente bianco, come qualunque fibra naturale. La sua pelle per contrasto era nera come una notte senza luna, e su quella carnagione scura spiccavano due enormi occhi azzurri. Quegli occhi avevano un'aria particolarmente colpevole.
"Uh... no?" Sembrava più una domanda che un'affermazione.
Krystel sorrise della sua evidente menzogna.
"Perché non vieni a metterti delle scarpe?"
Amber poteva anche essere molto giovane, ma sicuramente era caparbia. Scosse la testa, con tanta veemenza che i fini capelli bianchi ondeggiarono intorno al suo viso e alcuni vennero attratti dal lenzuolo di lana, restandovi attaccati. "Non mi ciacciono le scarpe" affermò convinta, agitando le dita dei piedi nudi come per sottolineare il concetto.
La madre sorrise con aria furba. "Ah, ma non hai ancora visto quelle che ti ho cucito apposta. Sono un regalo per te e so che ti piaceranno." Sicura di aver stuzzicato la curiosità della figlia, voltò le spalle alla finestra per recuperare qualcosa dal suo piano da lavoro, tranquilla che Amber non sarebbe fuggita verso il cortile esterno (come avrebbe fatto invece per evitare una sgridata), perché la promessa di un regalo funzionava meglio di una calamita.
Infatti quando si girò di nuovo verso il cortile la bambina si era avvicinata, non allontanata. La drow adulta sorrise con aria saputa. Sollevò la mano che aveva tenuto dietro la schiena, rivelando un paio di bellissimi stivaletti rossi, di un colore così vivo che ricordava i fuochi dei falò del Solstizio, il colore dei lamponi quasi maturi... gli occhi di Amber quando brillavano nella completa oscurità. Krystel sapeva che sua figlia aveva un debole per il colore rosso ed era valsa la pena procurarsi dell'ocra e tingere la pelle per quegli stivaletti. Forse aveva finalmente trovato un paio di scarpe che la sua selvaggia figliola avrebbe voluto indossare.
Infatti la bambina sgranò gli occhi, estasiata, incredula.
"Ma... Sono per me?" Balbettò.
"Certo, tesoro mio" Krystel sfoggiò un sorriso intenerito che però aveva anche un'aura di vittoria e autocompiacimento. "Ti piacciono?"
Amber rimase a bocca aperta in silenzio ancora per un momento, poi esplose manifestando tutto il suo entusiasmo. "Sì! Oh sì, mamma! Mi ciacciono tantissimo! Me le dai?" Corse verso la finestra a cui la madre era affacciata. Il laboratorio di Krystel si trovava al pianterreno quindi con un piccolo saltello la bambina riuscì ad aggrapparsi al cornicione.
"Va bene, va bene" la strega abbassò gli stivaletti al livello della figlia perché potesse prenderli. In quel momento si complimentò con se stessa per aver pensato a creare degli stivali magici, che sarebbero cresciuti man mano che crescevano i piedini della loro proprietaria. Amber afferrò gli stivali e corse via, stringendoli come se fossero stati un tesoro.

Più tardi, verso sera, Krystel stava sistemando in alcune boccette un inchiostro che aveva appena prodotto, quando sentì una voce dal giardino, di nuovo:
"Porca faina maledetta sul carro dei morti!!" Gridò Amber, aggiungendo strati su strati alle sue imprecazioni, che aveva ricostruito in modo un po' casuale da stralci di bestemmie dei contadini.
Krystel sobbalzò, colta alla sprovvista. Questa volta Amber doveva essersi fatta davvero male. Uscì dal laboratorio di corsa, trovandosi davanti una bimba che zoppicava e aveva un po' di sangue fra le dita del piede destro.
"Mamma" Amber la chiamò in tono lamentoso, buttandosi subito fra le sue braccia. "Mamma, mi sono fatta malissimissimo!"
Krystel mise una mano sul piedino insanguinato e impolverato, guarendo quella ferita leggera con un semplice incantesimo. "Amber, perché sei ancora senza scarpe? Poi per forza ti fai male."
"Mamma, fai una magia e togli i sassi cattivi dal giardino..."
"Oppure puoi metterti le scarpe" la strega sorrise dei piagnucolii della bambina, perché ormai il piede non le faceva più male, stava solo facendo la vittima per non farsi sgridare.
"Non mi ciace mettere i piedi nella gabbia" affermò convinta, asciugandosi gli occhi con un braccio.
"Ma le scarpe nuove che ti ho fatto?" Indagò l'adulta.
"Sono bellissimissime" confermò la piccola.
"Perché non le indossi?"
"Sono nel mio baule del tesoro" raccontò, a bassa voce come se fosse un segreto, "nella mia cameretta."
"Ma... quando verrà il freddo dovrai metterti delle scarpe" annunciò. Non era una minaccia, era un dato di fatto.
Amber fece due passi indietro, incrociò lo sguardo di sua madre senza la minima paura e ribatté, perfettamente sicura di sé: "Questo lo vedremo."

La strega sospirò. Aveva davvero sperato che delle scarpe del colore preferito di sua figlia si rivelassero irresistibili. Non aveva fatto i conti con la testardaggine di quella piccola peste.



***************
Non è esattamente una trope, ma le scarpette rosse sono un elemento che compare in diverse fiabe e hanno la costante di essere un oggetto di tentazione, oppure un oggetto amato a cui è difficile rinunciare.
Parte di questa storia mi è stata ispirata dal testo di una canzone di Wyndreth Berginsdottir, My Mother's Savage Daughter, che comincia proprio con "I am my mother's savage daughter, the one who runs barefoot, cursing sharp stones", un'immagine che mi dava un'idea di grande libertà e testardaggine.

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Capitolo 17
*** 1363 DR: Dream Ghost ***


Nota: questa storia si svolge dopo la fine di Lezioni di sopravvivenza - Primo livello, ma prima di L'alba del Solstizio d'Inverno

1363 DR: Dream Ghost


Primo livello dell'Undermountain, vigilia della Festa della Luna

Daren aveva scordato che fosse già il periodo della Festa della Luna. Nonostante il nome potesse trarre in inganno, non era una festa chissà quanto sentita dalla sua gente, i seguaci di Eilistraee. Certo forse in quel momento qualche sacerdotessa stava ballando in Superficie, coraggiosamente senza vestiti anche se si era quasi in inverno, ma solo perché la Festa della Luna coincideva spesso con una notte di luna piena.
Nell'Undermountain le stagioni arrivavano più ovattate, ma il primo livello del dungeon, il più superficiale, ancora risentiva un pochino dei cambiamenti climatici, soprattutto nelle aree più vicine alla grande caverna naturale che si apriva sotto Monte Waterdeep.
Tuttavia il drow quella notte riposava beatamente ignaro di che giorno fosse, perché ormai la sua routine quotidiana si era fatta così abitudinaria che era facile perdere il conto dei giorni e delle notti.
Si stava concedendo un paio d'ore di sonno. Naturalmente avrebbe potuto fare la reverie anziché dormire, riposarsi grazie allo stato di trance rilassante che gli elfi erano in grado di raggiungere, e di norma lo avrebbe fatto: la reverie permetteva di rivivere memorie piacevoli e lui poteva onestamente vantarsi di averne molte. Quelle memorie però al risveglio gli facevano più male che bene, quindi alcuni mesi prima era riuscito ad appropriarsi di un anello magico perfetto per l'occasione. Si trattava di un oggetto molto comune nei mercati drow d'alta classe: era un anello che poteva soddisfare le necessità fisiologiche del suo corpo, togliendogli così il fastidio di doversi nutrire e dandogli l'abilità di sentirsi perfettamente riposato dopo sole due ore di sonno... che però doveva essere sonno vero, non bastava una trance rilassante.
Daren si era interrogato spesso sul motivo per cui quell'oggetto fosse così apprezzato dal suo popolo. Era perché diminuiva drasticamente la possibilità di essere avvelenati dal cibo? O era perché forse, dopo tutto, la sua gente preferiva affidare il proprio riposo all'incertezza dei sogni, piuttosto che alla certezza di rivivere solo ricordi orribili con la reverie?
Il guerriero conosceva la risposta per sé stesso: ottimizzazione dei tempi. Due ore di sonno normale contro quattro ore necessarie per rilassarsi con la reverie, insomma, non c'era confronto se dovevi vivere in un dungeon pericoloso in cui chiudere gli occhi anche solo per qualche minuto poteva costarti la vita.
E poi c'era Dee Dee. Doveva anche badare a lei. Quel dungeon diventava pericoloso il doppio se oltre a sopravvivere dovevi anche farti carico dell'incolumità di una ragazzina. La giovane dhampir non era mai lontana dai suoi pensieri e anche quella notte Daren si abbandonò al sonno con animo turbato e preoccupato. Lei stava reagendo bene al suo addestramento, ma mostrava ancora una rigidità di pensiero, dei limiti etici, che avrebbero potuto farla uccidere se mai fosse davvero andata ad abitare nella città sotterranea di Skullport. Ma era davvero un suo diritto calpestare i valori della ragazza? In quanto seguace di Eilistraee, non gli era forse richiesto di cercare di salvare i suoi simili dalla prigionia della loro cultura malvagia? Cosa gli dava il diritto di fare il contrario con Dee Dee, corrompere il suo animo innocente, solo perché lei non era drow?
Daren aggrottò le sopracciglia, pensieroso. Sapeva che l'elfa mezza vampira non era e non sarebbe mai stata una cattiva persona. Lui non avrebbe mai voluto che lo diventasse. Però d'altra parte essere eccessivamente candida era una caratteristica che non si sposava bene con la vita nel sottosuolo. Se solo fosse riuscito a convincerla a diventare un po' più flessibile, più capace di scendere a compromessi, senza però farle perdere di vista i suoi valori nel quadro generale...
L'ultimo pensiero dell'elfo scuro prima di addormentarsi aveva il sapore dell'esasperazione: Perché a me? Io non so niente di come si educano i ragazzini!

Un attimo dopo, il drow realizzò con chiarezza cristallina che quella era la notte della Festa della Luna.
Era una strana epifania da ricevere in sogno, ma lo capì dal fatto di trovarsi davanti un uomo che non conosceva. Era un umano bardato in un'armatura completa. Nonostante la corta barba e il suo aspetto adulto aveva un'innocenza nello sguardo che non sarebbe sfigurata sul volto di un bambino.
Inoltre, era trasparente.
Il drow, anche in sogno, non si scompose più di tanto. Aveva una certa esperienza con i morti.

"E così." Esordì, un po' a disagio perché l'umano non sembrava voler parlare. "Siamo già alla Festa della Luna, eh?"
L'umano trasparente annuì soltanto.
"Già, già. E com'è il tempo là fuori?" Continuò in tono colloquiale.
"Non saprei" finalmente l'altro guerriero schiuse le labbra e parlò. "Sono morto da molti mesi."
"Oh?" Daren tradì un'espressione sorpresa. "Ma pensavo che soltanto i morti recenti restassero in giro fino alla Festa della Luna, per poi andare verso l'aldilà."
L'umano sorrise dolcemente, e in quel sorriso c'era la stessa innocenza che brillava nei suoi occhi. "Ma io sono già nell'aldilà. Sono tornato per una notte solo per parlare."
"Con me, seguace di Lathander?" Il drow fece un gesto a indicare il simbolo sacro inciso sull'armatura dello spirito. "Mi chiedo cosa mai possiamo avere in comune, e allo stesso tempo non riesco a ricordare che siamo mai stati nemici. Che cosa vuoi, quindi?"
L'uomo lo fissò negli occhi senza mostrare alcun disagio. "Io saluto il sorgere del sole come tu saluti il sorgere della luna. Non siamo così diversi. So che parliamo la stessa lingua."
C'era un'inflessione nel tono della voce che alle orecchie dell'elfo scuro suonò come una vaga provocazione, non di natura malevola, ma come uno scherzo di cui solo loro due avevano la chiave. Per qualche motivo a Daren venne in mente quella volta in cui aveva parlato in linguaggio celestiale con Tuyy, il gigantesco pipistrello antropomorfo, per fargli prendere atto di essere un guerriero consacrato dal suo dio-pipistrello. Forse anche questo umano stava parlando in celestiale? Era così difficile capirlo, nei sogni. Di certo però il riferimento al venerare il sole o la luna indicava una cosa: lo spirito, che un tempo doveva essere un chierico o un paladino del dio dell'alba, era a conoscenza del fatto che lui invece era un seguace di Eilistraee, una dea legata alla luna. La cosa di per sé non li rendeva alleati, ma nel grande schema del mondo entrambi combattevano dalla stessa parte.
"Aspetta, riformulo: sei un seguace di Lathander, sono sicuro di non averti mai visto prima, affermi di essere morto da un po' di tempo, quindi la mia domanda a questo punto non è perché tu stia parlando con me. La mia domanda è perché non stai parlando con
lei." Rettificò, indicando la tenda in cui dormiva la giovane Dee Dee, che da ragazzina era stata salvata proprio da un paladino di Lathander. "Non pensi che lei vorrebbe vederti, Valaghar?"

L'umano scosse lentamente la testa, ma sembrava colpito dalla sua deduzione.
"Vedermi le farebbe solo male. A volte anche i ricordi più dolci possono ferire."
Di nuovo Daren provò la fastidiosa sensazione che questo tizio avesse fin troppe informazioni su di lui. Era proprio ciò che stava pensando poco prima di addormentarsi, che i ricordi piacevoli fossero troppo dolorosi, al risveglio.
"E poi lo sai, noi seguaci di Lathander onoriamo la nascita, onoriamo la vita, onoriamo la morte come parte del ciclo naturale. Noi siamo nemici di tutto ciò che ristagna e si aggrappa al mondo anche dopo la morte. Se la mia bambina non riuscisse a lasciarsi alle spalle il lutto, allora io non sarei diverso da un non morto per lei. Sarei un pensiero negativo che le risucchia la vita."
"Eppure sei venuto da me. Sai tante cose sul mio conto e non sai che la mia danza si spinge molto vicina alla non morte? Non sai che ben due volte sono morto ma non ho mai trovato la pace che hai trovato tu?"
Lo spirito sorrise di nuovo e questa volta la sua espressione era un po' meno serena, ma un tantino più complice. "Non hai mai trovato la pace eppure non ti sei mai aggrappato al mondo con odio. Hai usato la non morte come un mezzo, hai accettato la tua prigione e l'hai resa un'arma per i tuoi scopi, ma sei riuscito a non diventare mai un nemico della vita. Se io fossi vivo e tu fossi morto, dovrei invocare il mio Dio e distruggerti. Invece tu sei vivo e io sono morto, per fortuna, perché io nella morte ho trovato la pace e tu forse puoi trovarla nella vita. Inoltre so che tu non hai alcun obbligo di combattermi."
"Quindi mi ringrazi di avere quell'elasticità mentale che tu non puoi avere, paladino?" Daren sollevò un sopracciglio. "So che alcuni della tua risma sono ipocriti, ma questa è la prima volta che uno di voi lo ammette apertamente."
"Oh no" negò lo spirito sfoggiando un'espressione timida, come se il drow gli avesse appena fatto un complimento. "Siamo tutti molto consapevoli dei limiti che ci vengono imposti dai nostri giuramenti. Sappiamo che a volte il dovere non coincide perfettamente con la giustizia. Alcuni di noi odiano collaborare con persone benintenzionate che però sono capaci di compromessi, e credo che lo odiino perché abbiamo sacrificato così tanto per poter fare del bene al mondo, che alcuni di noi non amano confrontarsi con chi riesce a fare del bene pur senza aver sacrificato altrettanto. Io non ho questo limite. Ho capito da tempo che abbiamo i nostri ruoli da recitare e sono tutti indispensabili. Infatti, tu puoi fare quello che io non ho potuto fare. Con tutta la tua imperfezione, con la tua testardaggine, con il tuo attaccamento morboso al mondo, puoi anteporre le persone al dovere. Puoi prenderti cura della mia bambina."
Daren segui lo sguardo dell'umano e vide che era di nuovo puntato sulla tenda di Dee Dee.
L'elfo scuro annuì, ma era un gesto in qualche modo incerto.
"Sta crescendo, sai. Non sarà una bambina per sempre."
"Lo so. Con te sta crescendo più velocemente di quando era con me. Ho visto come mi guardava, come cercava di imitarmi in tutto. Tu pensi che le abbia insegnato i miei valori. Non è così. Mi ha preso ad esempio senza che lo volessi. Non ero sicuro che quella fosse la sua strada, dopo tutto."
"Che io sia dannato se quella sarà la sua strada" sbottò Daren, incapace di trattenersi oltre. "Vedere il mondo in bianco e nero significa perdersi così tanto dell'esperienza della vita, disprezzare così tante persone senza conoscerle. Forse voi Paladini accettate volentieri la morte perché non concedete a voi stessi di apprezzare pienamente la vita."
"Forse quello è il nostro ruolo" replicò Valaghar senza la minima esitazione. "Forse è uno sporco lavoro ma qualcuno deve farlo. O pensi che questo si applichi solo a quelli come te? A coloro che devono scendere a troppi compromessi? Forse la mia ideologia, il rifiutare ogni sfumatura di grigio, può portare a perdere se stessi tanto quanto la tua, il non saper definire chiaramente i propri valori."

Daren questa volta si sorprese a guardare il paladino con una maggiore dose di rispetto. Indipendentemente da chi si trovava davanti, da quali fossero le sue idee o le sue aspirazioni, poteva sempre trovare una parola di lode per chi capiva e accettava i propri limiti. E anche per chi sapeva compiere sacrifici e riconoscere quelli degli altri.
"Sì. Mi prenderò cura della tua bambina. Ma quando non avrà più bisogno di me..."
"Allora la lascerai andare come lei deve lasciarmi andare" accettò Valaghar, intuendo i non detti.
"Devo dirle che ti ho visto?"
"Cielo, no. Te l'ho detto, le farebbe solo male."
"Un altruista senza macchia fino alla fine" il drow lo provocò con un sorriso sghembo.
"Oltre la fine" lo corresse il paladino defunto. "Io sono già morto."


Due ore dopo Daren si svegliò, con il vago ricordo di avere fatto un sogno molto strano, un po' disturbante. Non riusciva a ricordare con esattezza proprio tutti i dettagli, ma c'era qualcosa che gli risuonava con fastidio da qualche parte in fondo alla mente. Era come se nel sogno qualcuno o qualcosa gli avesse ribadito l'importanza di prendersi cura della dhampir.
"Che cosa stupida, come se non lo sapessi già" borbottò fra sé e sé, poi si alzò con una certa urgenza per cominciare i suoi esercizi mattutini. Al risveglio si sentiva sempre un pochino anchilosato, visto che il suo giaciglio e il suo mantello servivano a Dee Dee per dormire più al caldo.


***********
Questa storia si ispira al trope Spirit Advisor, di cui il Dream Ghost è un esempio. Il trope consiste nel ricevere consigli da un maestro di vita che di solito si incontra in sogno, e che di solito è un mentore defunto. Una teoria molto gettonata è che questo fantomatico consigliere non sia altro che una parte del nostro subconscio che si manifesta in quel modo per comunicarci cose che già sappiamo. In questo caso la particolarità sta nel fatto che Valaghar non era il mentore di Daren, ma di Dee Dee, e che è per davvero uno spirito.

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Capitolo 18
*** 1356 DR: You Say Tomato ***


1356 DR: You Say Tomato


Autunno inoltrato, in una locanda vicino a Secomber

L'elfo dei boschi poggiò una mano sul ventre gravido della sua compagna, cercando di sentire qualche movimento della creaturina all'interno. Ogni tanto il bambino tirava un calcio o si girava su se stesso, e allora si sentiva qualcosa. Sotto il suo palmo, la pancia della donna sobbalzò leggermente.
"Oh? E quello cos'era?"
"Uhm... Se dovesse ripetersi direi che era un singhiozzo."
I due rimasero perfettamente immobili, in attesa di una conferma o di una smentita. Dopo qualche secondo, un nuovo piccolo tremolio, identico al precedente.
"Ah! Avevo ragione, ha il singhiozzo" ridacchiò la drow.
"Non sapevo che i bambini potessero avere il singhiozzo anche prima di nascere!"
"Sì, è piuttosto comune" spiegò lei, che di gravidanze ne aveva già avute. "Significa che sta crescendo bene. Penso che sia ora di cominciare a pensare a un nome."
"Dici? Ma quanto mancherà alla nascita?"
Lei si strinse nelle spalle. "Con i bambini elfi non si può mai dire. A nove mesi il loro fisico è perfettamente formato, ma non tutti sono pronti a separarsi dalla madre così presto. Una gravidanza elfica può durare dai nove mesi ai due anni, e non c'è modo di sapere quando il bambino si deciderà a nascere. È raro che nascano prima di un anno completo."
L'elfo fece un rapido calcolo mentale e sbiancò.
"Quindi stai dicendo che potrebbe nascere fra una settimana oppure fra più di un anno?"
"Esatto" confermò lei con un sorriso. "Per questo non mi dispiacerebbe cominciare a pensare al nome."
"Se sarà maschio, mi piacerebbe chiamarlo Arrik. È il nome di un antico eroe della mia foresta natìa, un mezzumano che si guadagnò il titolo di Amico degli Elfi. A te andrebbe bene se lo chiamassi così, Krystel?"
La strega ci pensò un attimo.
"Non ho nulla in contrario, a patto che poi non debba anche lui guadagnarsi il tuo affetto come quell'altro Arrik dovette guadagnarsi l'affetto del tuo popolo."
"No, tranquilla" l'elfo sorrise con espressione sognante. "Il fatto stesso che sia mio figlio gli garantirà tutto il mio amore, incondizionato."
Krystel sorrise di rimando, soddisfatta per la risposta.
"E allora se sarà femmina, vorrei chiamarla Geyla. È il nome della più antica strega del mio lignaggio di cui la mia maestra avesse memoria. È un nome potente e benaugurante."
"Che cos'è un lignaggio?" Domandò l'elfo, che aveva sentito quella parola solo in contesto di famiglie nobiliari che discutevano di purezza del sangue.
"Il lignaggio è... da dove vieni. La catena di persone che ha creato e tramandato la tua tradizione. La mia maestra è il mio lignaggio, e anche la sua maestra, e la maestra della sua maestra, e via dicendo. Geyla Dufeinne è la più antica strega del nostro lignaggio di cui si sia tramandato il nome. È come se fosse una mia antenata, solo non di sangue."
"Jaylah... mi piace, come nome. Suona un po' come Johel, ma al femminile."
Geyla. Non sono convinta che tu lo stia pronunciando bene." Krystel sorrise, divertita, perché aveva capito che Johel stava storpiando la pronuncia apposta, per fare in modo che il nome di sua figlia somigliasse al suo.
"Tu dici Geyla, io sono elfo e lo pronuncio alla maniera elfica, Jaylah" tagliò corto Johel, con un sorriso da mascalzone.
Krystel non ribatté, perché in realtà trovava adorabile che il suo ultimo amante si sentisse così coinvolto nella nascita di quel bambino - o bambina. Johel sarebbe diventato padre per la prima volta ed era assolutamente elettrizzato all'idea. Krystel era davvero felice di quel suo entusiasmo e non le importava veramente del nome del bambino. Era sufficiente che quella nuova creaturina venisse al mondo in salute e circondata dall'amore della sua famiglia. Sarebbe stato già un dono, per nulla scontato.
"Mi piace la tua pronuncia elfica" concesse infine, strappando un sorriso soddisfatto a Johel. "Se sarà femmina la chiamerò Geyla, ma non ho nulla in contrario se tu e la tua famiglia la chiamerete Jaylah."



********************
Mi avete chiesto in tanti come mai Krystel pronunciasse il nome di sua figlia in modo diverso da Johel. Spero che questa storia lo spieghi chiaramente. Si basa sulla trope You Say Tomato, che indica come a volte la stessa parola abbia pronunce diverse ma ugualmente legittime. Nel caso del nome di questa bambina si scrive anche in modo diverso, ma è perché Johel comunque lo scriverebbe in caratteri elfici.
Quanto alle persone che ispirano i nomi scelti da Johel e Krystel, Arrik viene citato in uno degli ultimi capitoli di L'amicizia non genera debiti, mentre Geyla Dufeinne è citata in Antiche Contadi di Silverymoon: Casate A-D.

Ultima nota sulla gravidanza elfica: ho cercato di conciliare diverse informazioni sulla lore degli elfi. In AD&D (complete book of elves) è scritto che la gestazione dura due anni, in 3.0 (Dragon Magazine 279, articolo Leaf & Thorn) la gestazione elfica è data a 12 cicli lunari quindi un anno, mentre in 3.5 (races of the wild) viene detto che dura 9 mesi come quella umana. Il mio headcanon è che 9 mesi siano tecnicamente sufficienti, ma nonostante la maturità fisica, i bambini elfi generalmente non nascono così presto, nelle mie storie la norma è minimo 1 anno (un intero ciclo di stagioni) fino a un massimo di 2 anni. Alla fine il concetto di maturità psicologica per gli elfi è molto importante, ad esempio il loro corpo è pronto a procreare già a vent'anni (anche prima se si prende per buona la narrativa di RA Salvatore che vede un'elfa incinta a 12 anni, ma per me è un'aberrazione e quell'autore caga sul canon perché "lui può"); ciononostante di solito non hanno figli prima dei 120 anni, perché si sentono troppo giovani.

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Capitolo 19
*** 1357 DR: Best Friends-in-Law ***


1357 DR: Best Friends-in-Law


Dodicesimo giorno del mese di Alturiak, in una locanda vicino a Secomber

La porta si aprì con un cigolio, spezzando il silenzio teso che sembrava tenere la stanza nella sua morsa, come se i suoi occupanti fossero sospesi fuori dal tempo. Era come se tutta la locanda stesse trattenendo il respiro in quel momento. Invece no, erano solo un elfo e un drow a trattenere il respiro, mentre gli ospiti dormivano tranquilli. La locandiera era impegnata in un lavoro che solo lei poteva fare, dare alla luce il suo bambino. Le sue figlie e i suoi figli avevano trovato un modo per rendersi utili, tutti, perfino quelli che di solito preferivano scansare il lavoro. Johel e Daren invece erano stati allontanati: l'elfo dei boschi e l'elfo scuro erano due persone molto diverse, con competenze e caratteri diversi, ma in quel momento erano accomunati da un profondo senso di inutilità. Attendevano, con il fiato sospeso, un responso su quell'evento al di fuori del loro controllo, ed era esaltante e terrificante insieme.
Non era certo la prima volta che Krystel aveva un bambino, per Daren non era una novità essere preoccupato per la salute di sua sorella, ma la drow era ben accudita dalle sue figlie che conoscevano l'arte della guarigione; lei stessa era una buona guaritrice e aveva sicuramente preso delle misure precauzionali prima di entrare in travaglio. Quindi l'elfo scuro non sarebbe stato molto preoccupato, per sua natura, se non fosse stato per l'amico al suo fianco che lo contagiava con la sua agitazione.
Per Johel non era solo la naturale preoccupazione per quella che era una sua vecchia amica: Krystel era anche la sua amante, verso cui provava un tenero affetto, e la creatura che stava dando alla luce era il suo bambino... il primo figlio - o la prima figlia - che Johel avesse generato. L'elfo era legittimamente quasi nel panico, e il compito di mantenerlo calmo era ricaduto su Daren.
Purtroppo l'unico modo che il drow conosceva per calmare qualcuno era 'estattifermoperglideiotiprendoaschiaffoni'. Era stata una notte pesante.
Quando il cigolio della porta annunciò l'arrivo di qualcuno, scattarono entrambi sull'attenti come se avessero visto arrivare un drago.
Era Tinefein, una delle figlie più grandi di Krystel, nonché la migliore nell'arte della guarigione. Se proprio lei aveva abbandonato il capezzale della madre, poteva significare solo due cose: era andato tutto molto bene, oppure era andato tutto molto male.
La guaritrice sordomuta cominciò a comunicare con i due muovendo le mani come in una danza. Era il codice gestuale degli elfi scuri, che suo zio Daren le aveva insegnato molti anni prima. Un codice che Daren conosceva, ma Johel no.
Forse mandare proprio lei non era stata la migliore delle idee.
"Il bambino ha la testa da toro? Come diamine è possibile??" Il drow spalancò gli occhi come se fosse sconcertato.
Johel rimase scioccato per un momento e impallidì, senza sapere cosa pensare, poi capì che era semplicemente una sparata troppo grossa per essere vera.
"Maledetto cretino!" Sbottò, rifilando un coppino all'amico che si fece una risata.
Tinefein non lo trovò divertente.
§Ogni volta che traduci male ciò che ti dico, è una mancanza di rispetto nei miei confronti§ gli segnalò Tinefein, con gesti secchi e amari. §Ho lavorato tutta la notte e sono troppo stanca per questi giochetti. Traduci quello che ho detto, per favore.§
Messo davanti a questa obiezione, Daren si sentì leggermente in colpa, ma non lo diede a vedere.
"Il parto è stato lungo ma senza complicazioni. È una femmina. Ora stanno riposando entrambe." Tradusse più fedelmente possibile. "Ha detto anche che possiamo entrare."
Johel questa volta si bloccò di nuovo, ma per motivi totalmente opposti.
"Come?"
Daren gli ripeté tutto, con pazienza.
"...come?" Balbettò di nuovo l'elfo.
"Sei sotto shock?"
"Come?"
Il drow prese l'amico per un braccio e lo trascinò di peso in cortile, verso l'infermeria. Era una notte gelida ma il cortile era stato accuratamente spalato e non c'era neve né ghiaccio. L'aria fredda però contribuì a svegliare l'elfo dal suo stato di trance.
"Ho una figlia!" Gridò, dal nulla.
"Ma che ti gridi?!" Sbottò Daren, che come tutti gli elfi aveva un udito sensibile. "Non fare questo casino quando arriviamo, mia sorella e mia nipote stanno riposando."
Il modo in cui Daren aveva immediatamente reclamato la nuova nata come sua parente fece scattare qualcosa nella mente di Johel.
"Adesso siamo una famiglia!" Realizzò d'un tratto.
Non ne avevano mai parlato quando Krystel era incinta perché poteva portare sfortuna dare per scontato un bambino non ancora nato, ma in effetti era così. Daren però non era altrettanto pronto a riconoscerlo.
"Non siamo una famiglia. Lei è la figlia di mia sorella."
"...Sì? Ed è anche mia figlia?"
"I padri non contano" tagliò corto Daren. Non si era mai reso conto di pensarla così, ma in effetti la pensava così. Era un retaggio della sua cultura drow, rafforzato dal fatto che anche i figli di sua sorella avessero contatti a malapena sporadici con i loro padri, anche se Krystel non era la tipica drow e aveva assimilato molto più dalla cultura umana che da quella in cui era nata.
Johel rimase semplicemente sbalordito.
"Ma che vai dicendo? Certo che contano!"
"I padri vanno e vengono" Daren si strinse nelle spalle. "Vedi qualche altro padre dei miei nipoti, qui alla locanda?"
"Alcuni di loro sono morti! Non giocare con me."
"Ma presumibilmente due sono vivi, tre con te, eppure non li vedo."
"Stai vedendo me proprio adesso" obiettò Johel.
Daren gli scoccò un'occhiata infastidita.
"Sì, ho capito, ci tieni ad essere quello speciale. Ma il punto è che la paternità non può essere certa."
"Di solito si capisce dal fatto che un bambino assomigli oppure no al padre."
"E se la nuova bambina assomigliasse solo a sua madre? Si dice che il sangue drow sia dominante, quindi come potresti sapere con certezza che sei il padre?"
"Perché me l'ha detto Krystel e io mi fido" annunciò tranquillamente. "So che io e lei non abbiamo un rapporto serio e nemmeno ci siamo promessi fedeltà, ma in questo periodo non abbiamo frequentato altre persone, se lei dice che la bambina è mia figlia io ci credo. E poi sono certo che mi somigli almeno un po'."

Nell'ora che precede l'alba l'infermeria era avvolta nelle ombre, ma uno spicchio di luce lunare rischiarava la stanza quanto basta perché gli acuti occhi elfici potessero cogliere qualche dettaglio. La bambina era infagottata in un lenzuolo pulito e dormiva contro il petto di Krystel, che la teneva fra le braccia mentre faceva la reverie. La strega si svegliò e aprì un occhio quando Johel si sedette su una sedia accanto al letto.
Daren rimase a guardarli a distanza mentre lei gli porgeva la bambina e gli spiegava come tenerla in braccio.

Due ore dopo, Krystel li pregò di lasciarla riposare perché era davvero esausta, e Johel a malincuore dovette lasciare la neonata alle cure di Tinefein.
Daren lo trascinò fuori dall'infermeria per evitare che cedesse alla tentazione di tornare indietro.
La luce del primo mattino per un momento li accecò, perché il sole era basso sopra alle dolci colline della regione. La luce improvvisa ebbe anche l'effetto di riportarli con i piedi per terra, soprattutto l'elfo dei boschi che fino a poco prima aveva la sensazione di muoversi in un sogno.
"Ah... Mi somiglia!" Annunciò tutto fiero, guardando l'amico con palese soddisfazione.
"Già... Ha il tuo naso, povera creatura."
"Cosa? Che ha che non va il mio naso?" Domandò l'elfo, tastando la parte offesa.
"Prosegue giù dritto dalla tua fronte come se avessi sbattuto la faccia contro un albero."
"E allora? Ho un profilo interessante" si difese Johel. "E alla bambina sta benissimo il mio naso. È perfetta. Per fortuna non ha il tuo mento."
"Il mio mento?"
"È così grande che potresti dipingerci sopra una faccia e raccontare che hai assorbito il tuo gemello nella pancia di tua madre, e la gente ci crederebbe."
"Non è così grande!" Protestò il drow, che in effetti aveva un mento più pronunciato della media degli elfi. "Spero che la piccola non abbia ereditato i tuoi capelli, piuttosto; hai un'attaccatura così alta che sembra che tu stia diventando calvo a partire dalla fronte."
Continuarono a battibeccare per tutta la strada fino alla sala grande della locanda, dove i bambini umani che erano ospitati lì per l'inverno stavano già facendo colazione. Non appena i due elfi entrarono nel salone-refettorio, i ragazzini si radunarono attorno a loro e cominciarono a fare domande tutti insieme, in una tremenda cacofonia. Tutti volevano notizie su Krystel e sul nuovo bambino, e pensavano che Johel e Daren fossero al corrente delle novità.
Stranamente fu proprio in quel momento che i due realizzarono che era vero, adesso erano una famiglia. Di sicuro erano percepiti così dall'esterno, e non c'era motivo di negarlo.



********************
Questa storia si basa sul trope Best Friends-in-Law, ma come al solito qui il trope è storpiato: non sono due amici che arrangiano un matrimonio in famiglia per poter continuare a frequentarsi, al contrario sono due amici che si trovano uniti per caso da un legame familiare che non aggiunge profondità alla loro amicizia, e l'attenzione di entrambi si concentra sulla nuova arrivata.

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Capitolo 20
*** 863 DR: Not Cheating Unless You Get Caught ***


863 DR: Not Cheating Unless You Get Caught


Silverymoon, una notte come tante

La taverna risuonava di allegre risate e canti pieni di stonature. Era quasi mezzanotte e gli studenti del Collegio della Signora ci stavano dando dentro con i festeggiamenti, almeno quelli di loro che avevano superato indenni la sessione d'esami. Due giorni dopo sarebbero ricominciate le lezioni, ma per ora era tempo di celebrare.
"Ragazzi!" Uno di loro, un mezzelfo che giocava ancora a fare il giovane anche se non lo era più tanto, salì in piedi su un tavolo per richiamare l'attenzione. "Ragazzi dobbiamo! DOBBIAMO! Fare... meno casino, eh. Che poi. Mezza. Notte. Le guardie poi ci cosano" abbozzò.
Un coro di "buuuu!" accolse la sua affermazione, e il mezzelfo venne tirato giù dal tavolo dalla mano gentile ma ferma del grosso oste.
"Il vostro amico ha ragione, gente. Meno rumore" confermò l'omone, con la sua voce profonda. Le allegre urla si trasformarono di malavoglia in un chiacchiericcio sussurrato, ma era chiaro che quella calma relativa non sarebbe durata. L'oste fece cenno al bardo della taverna di smettere di suonare.
Lentamente, la clientela ubriaca si accorse che la musica era finita e cominciò a montare un borbottio di protesta.
"Gente, basta coi canti! Ecco cosa propongo: una bella gara di bevute." Molte teste si girarono subito verso di lui, interessate. "L'avventore che mi beve più Fondonero..." cominciò a proporre l'oste con aria accattivante, ma mezza taverna lo mandò immediatamente al diavolo con espressioni più o meno colorite.
Il Fondonero, una birra dal sapore ruvido e affumicato, andava di moda nel Cormyr ma non aveva mai preso piede a Silverymoon. Il signor Kallak, l'oste, ne aveva acquistata una partita di alcuni barili alcuni anni prima e non era mai riuscito a smerciarla tutta. Era chiaro che voleva solo disfarsene per liberare la cantina, e sperava di farci qualche soldo. I suoi avventori non erano della stessa idea.
"Io ti stavo ascoltando, buon uomo" lo richiamò una voce femminile.

Una ragazzina che doveva avere l'età appena sufficiente per bere gli stava rivolgendo un sorriso luminoso. L'uomo la scrutò per un momento, soppesandola con lo sguardo. Prese atto della sua bassa statura e del fisico minuto, non con interesse malevolo, ma come se stesse calcolando la capienza di un tino da whiskey. Come se avesse poca fiducia nelle sue dimensioni.
Poi all'improvviso le rughe sulla sua fronte si appianarono mentre gli veniva un'idea.
"Reggi bene l'alcol, ragazzina?"
"Pff! Casomai è l'alcol che non regge me!" Scherzò lei.
"E ti piace il Fondonero?"
Si strinse nelle spalle, facendo sobbalzare le due infantili trecce in cui aveva legato i capelli. "Bevo anche la scolatura dei piatti se ci sono in ballo dei soldi, buon uomo."
"Sentitemi tutti!" L'oste alzò di nuovo la voce. "Gara di bevute di Fondonero contro la campionessa della taverna!" Si sbracciò, indicando la ragazza. "Tre monete di rame, tre monete di rame la pinta! Prezzo speciale! Si comincia tutti insieme, chi beve di più vince venti monete d'oro e la sua consumazione per la gara è gratis."

La sfida non era di per sé contro la ragazza, era un tutti contro tutti, ma l'oste aveva fatto bene i suoi calcoli usando la tappetta come leva per la sfida. Nessun giovanotto in salute si sarebbe tirato indietro, per paura di perdere la faccia contro una ragazzina che sembrava più adatta a frequentare un negozio di bambole che una distilleria.

L'oste aveva in cantina ancora nove barriques di Fondonero, ciascuna botticella conteneva circa quattrocento pinte[1]. Dodici monete d'oro a barrique era più o meno il prezzo di costo, se fosse riuscito a vendere tutto il Fondonero rimanente ne avrebbe tirato su poco più di cento monete d'oro, e donandone venti al vincitore il vecchio Kallak non ci avrebbe guadagnato affatto... ma voleva davvero disfarsi di quell'affare in perdita. Anche lo spazio occupato in cantina era uno spreco di soldi.
E poi, la ragazzina stava resistendo bene. Buttava giù una pinta dopo l'altra, fermandosi solo nelle pause stabilite perché i contendenti potessero fare acqua o - in alternativa - far uscire tutto quel liquido da dove era entrato.
Alla fine rimasero solo in tre. La fanciulla, uno studente più anziano e un giovanotto alto come un armadio e ben piazzato. L'oste aveva già trovato una nuova fonte di guadagno dando il via a un giro di scommesse fra i perdenti, o fra quelli di loro che erano ancora lucidi.
Con grande scoramento della maggior parte di loro, il marcantonio fu il primo a collassare sotto il tavolo.
Erano rimasti solo in due.
"Stai barando, John Smith" sussurrò la ragazza, a voce così bassa che solo il suo avversario riuscì a sentirla. "Stai usando qualche trucco di magia, qualche... trasmutazione o una cosa del genere."
L'uomo le agitò contro un dito ammonitore. "Ha parlato quella che non subisce gli effetti dell'alcol. Stai barando più di me, Erika Lesmiere, ed è un comportamento odioso da parte di una nobile."
La piccoletta sbatté con allegria il suo boccale di legno sul tavolo e ne buttò giù il contenuto alla goccia, senza nemmeno respirare. Non ne aveva bisogno, dopotutto. Poi si chinò sul tavolo verso di lui, andandogli così vicina che i loro visi quasi si sfioravano.
"Davvero ti stupisci di un vampiro che bara?" mormorò.
Lo studente più anziano fece una faccia come se avesse appena inghiottito un limone.
"No, basta. Passi questa birra pessima. Ma ora anche le battute altrettanto pessime? Fottiti Erika, io me ne vado" si lasciò cadere contro lo schienale della sedia, portandosi un braccio alla fronte in posa melodrammatica.
Chi aveva scommesso su di lei alzò un pugno al cielo con un grido di vittoria.
Erika incassò la sua vincita con tutta la grazia possibile, sorridendo fra sé. Era una goccia nel mare rispetto alle mille monete d'oro che le servivano per pagare la retta collegiale dell'anno successivo, ma erano i soldi più facili che avesse mai guadagnato. Onestamente. Quasi.
Ma non stai davvero barando, se non ti scoprono.



**********
Note: Erika è la protagonista della serie Vampier's Diaries, e John Smith è il suo co-protagonista a partire dalla seconda storia.
Il Fondonero (Black Bottom) è davvero un alcolico presente in Forgotten Realms e consumato nel Cormyr.
A fidarsi dell'internet, la retta di iscrizione al Collegio della Signora è davvero di mille monete d'oro, (confermato in Silver Marches, p. 62).

Il trope di oggi è testualmente Not Cheating Unless You Get Caught, è autoesplicativo, ma si riferisce solo a "barare", non a "tradire" in senso romantico.


[1] Quattrocento pinte imperiali, non americane. Circa duecentoventisette litri.

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Capitolo 21
*** 1325 DR: Children Are Innocent ***


1325 DR: Children Are Innocent


Estate, in una locanda vicino a Secomber

"Mamma, io e Tek possiamo andare a trovare Miri Tallstag?"
Krystel interruppe il suo lavoro per un momento e guardò sua figlia con aria stranita. Era una richiesta insolita, ma avrebbe dovuto aspettarselo da Amber. Quella ragazzina vivace d'estate diventava incontenibile, non sopportava la relativa solitudine della locanda e avrebbe voluto stare tutto il tempo a giocare con i suoi amici, altri bambini della sua età. Purtroppo i suoi amici venivano in visita solo d'inverno.
"La fattoria dei Tallstag dista quattro ore di cammino. Ne vale la pena?"
"Potremmo fermarci lì per qualche giorno" propose la bimba.
Poteva sembrare una proposta audace, ma era abbastanza normale per i costumi del posto. I viaggi erano lenti, e nessuno andava a fare una visita per trattenersi solo qualche ora.
"Cosa ne pensano i genitori di Miri? Hm?"
Amber mise il broncio. Odiava quando sua madre faceva resistenza.
"Ne ho parlato con la signora Sarah quando è tornata a prendere Miri dopo l'inverno. Ha detto che potevamo andare a trovarli d'estate. Hanno tanto cibo in estate, e possiamo dormire sul soppalco insieme a Miri." Amber cercò di rispondere a tutte le possibili domande della madre. "Daaai, ti prego mamma, Miri è la mia migliore amica!"
Krystel sospirò. D'estate i contadini avevano sempre molto da fare, due bambini in più fra i piedi avrebbero potuto essere un fastidio.
"Sarah Tallstag ha un bambino piccolo. Le daresti fastidio."
"Ma no, non è vero! A lei piace quando tengo Patata, dice che la aiuto."
"Non chiamarlo Patata" commentò di sfuggita Krystel, mentre riprendeva a spazzare per terra.
"Ma è una patata."
"L'anno scorso, forse. Ormai avrà due anni. Saprà camminare e parlottare. È quasi un ometto."
Amber storse il naso. "Li preferisco quando sono patate" si lamentò. "Ma cercherò comunque di aiutare la signora Sarah!"
La strega alzò gli occhi al cielo. Sua figlia era così testarda.
"Va bene, ma mentre siete lì, vedete di aiutarli con i mestieri di casa o nell'orto. E vi preparo due cestini di cibo da portare ai Tallstag. Per il loro disturbo."
Amber gemette. Sapeva già cosa le avrebbe dato sua madre. Confetture di frutta e altro cibo che si conservava bene, per l'inverno. Roba pesante da trasportare.
"Ma maaamma" si lagnò. "Quattro ore di cammino! Posso prendere un asino e un carretto piccolo, almeno?"
"Usa le gambette, Amber. Ci ho messo undici mesi a fartele."[1]
"Ma" Amber rifletté velocemente "Tek'ryn non è ancora abituato a camminare per lunghe distanze. Con dei pesi, poi! Dai, lasciaci prendere il carretto piccolo" implorò.
La convinzione di Krystel vacillò, e la piccola se ne accorse. La madre avrebbe ceduto, alla fine. Cedeva sempre, quando Amber giocava la carta dell'inadeguatezza di Tek'ryn alla vita di Superficie.

Meno di un'ora dopo, due giovanissimi elfi scuri avevano legato il carretto a un asino ed erano partiti su una strada sterrata in direzione sud. Definirlo carretto era anche generoso, non era nulla più di una tavola con delle basse fiancate di legno, due ruote e due pali per agganciarlo all'asino.
Amber sedeva davanti e teneva le redini, visto che il fratello non sapeva condurre. Tek'ryn era in fondo al pianale e teneva d'occhio le ceste di cibo (che erano diventate quattro visto che c'era un mezzo di trasporto).
"Come l'hai convinta?" domandò Tek'ryn, appoggiandosi con un gomito alla fiancata posteriore e sollevando un po' il grosso cappello di paglia; quell'oggetto avrebbe dovuto proteggere i suoi occhi dal sole, ma era troppo grosso e quindi spesso gli cadeva sul naso. "Pensavo che Krystel non lasciasse usare il carretto ai bambini."
"Le ho detto che non sei abituato a camminare per lunghe distanze e che sarebbe stato faticoso per te" spiegò la sorellina.
Tek'ryn si corrucciò. Non era una bugia, ma non gli piaceva essere usato come leva.
"Non voglio essere un disturbo. Sì, sarebbe stato faticoso, ma se si deve fare si fa."
Amber si girò e gli scoccò un'occhiata colma di compatimento.
"Tek'ryn, non sarà così per sempre. Adesso mamma ti porta in palmo di mano perché non sei abituato a vivere con noi e pensa che tu sia fragile. Presto inizierà a trattarti come tutti noi altri."
Tek'ryn sarebbe arrossito, se non avesse avuto la pelle nera come la notte.
"Te ne stai approfittando? Hai manipolato Krystel?"
"Manipolato, che parolaccia. Ho trovato un mio vantaggio in questa situazione. È solo giusto. Ho diritto a un po' di… come si dice… compensazione."
Il ragazzino venne colpito solo in quel momento da una realizzazione improvvisa, eppure così ovvia.
"Sei gelosa?"
"No" sbottò Amber, e tornò a guardare in avanti, verso la strada impolverata.
"Sì, sei gelosa!"
"Forse un pochino" borbottò lei.
Tek'ryn si lasciò scappare un sorrisetto. Era divertente, ogni tanto, cogliere qualche comportamento drow nella sua sorellina cresciuta in Superficie.
"Tuo padre sarebbe fiero della tua capacità di manipolare la gente" la prese in giro.
"Continua a parlare e ti do un pugno!"
Il sorriso del ragazzo si fece ancora più ampio. Gli umani avevano la strana concezione che i bambini fossero innocenti, eppure sapevano provare le stesse emozioni negative degli adulti, e nella giusta situazione sapevano anche approfittarsi della mollezza dei genitori.
Tornò a guardare la strada, che si snodava pigra alle sue spalle, sotto quel sole insopportabilmente brillante. Era proprio un mondo strano.



********************
Il trope di oggi è Children Are Innocent, che ovviamente è una cazzata, i bambini iniziano a mentire verso i tre anni.

[1] Krystel afferma di averci messo undici mesi a fare le gambe di Amber perché le gestazioni elfiche durano più di quelle umane, vedi You Say Tomato.

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Capitolo 22
*** 1371 DR: Willfully Weak ***


1371 DR: Willfully Weak


Quattordicesimo giorno del mese di Alturiak, città di Silverymoon

Il sole era calato da pochi minuti quando la vampira schiuse l'uscio di casa sua, sbirciando fuori. I negozi stavano chiudendo, tranne il panificio notturno che rimaneva aperto per gli studenti del Collegio della Signora che avrebbero fatto le ore piccole, come sempre.
Abitare nel quartiere a sud del fiume era piacevole. Così tanti giovani. Case relativamente nuove, graziose. La sua era una delle tante casette tutte uguali nei pressi del grande polo universitario, ma alcuni anni prima l'aveva personalizzata facendo dipingere l'intonaco esterno di azzurro. Intorno all'uscio della porta aveva commissionato un mosaico di acquamarina e vetro colorato, che ricordava le correnti e i gorghi del fiume.
Non sembrava la casa di una vampira. Sembrava solo la casa di una persona benestante. A Erika piaceva molto, la faceva sentire parte della società, come se fosse viva.
Naturalmente non lo era. Quella notte ne era più consapevole che mai.

"Bert" salutò, all'indirizzo del chierico che stazionava su una panchina appena fuori da casa sua.
"Fratello Alectus" la corresse lui. "Fratello Bert era il mio predecessore."
Erika sollevò un sopracciglio. "Uh. Da quando?"
"L'ho sostituito cinque anni fa" le fece notare.
"Mh" Erika si strinse nelle spalle, dedicando alla faccenda una brevissima riflessione. "Nah, non intendo memorizzare questa cosa. Andiamo, Bert. Ho da fare."

La vampira e il chierico camminarono in silenzio per un paio di minuti. Lui restava sempre tre passi dietro di lei, ma Erika sapeva che l'uomo non la perdeva di vista un attimo. Era il suo compromesso con la città di Silverymoon[1]: poteva restare, poteva esistere, finché non faceva del male a nessuno e accettava di essere costantemente sotto l'occhio vigile di un sacerdote. Il delicato compito di gestire la sua libertà vigilata era stato affidato al clero di Deneir, il dio della conoscenza. Era stata una buona scelta, equilibrata: Deneir era un dio buono, i suoi chierici non le avrebbero consentito nemmeno mezzo passo falso, ma allo stesso tempo non erano fanatici e la loro continua ricerca della conoscenza li rendeva persone… abbastanza di mente aperta, per quanto potessero esserlo i preti di un dio buono.
Erika li detestava tutti, ma riusciva a sopportarli. Insomma, quantomeno non erano sacerdoti di Lathander. Quelli non le avrebbero mai consentito di esistere. Era stata lady Alustriel, all'epoca Alta Maga della città, a decidere per il culto di Deneir, e perfino la vampira doveva riconoscere che fosse una scelta valida.
"Dove andiamo?" Le chiese 'Bert'.
"È la tua professione di sacerdote di Deneir che ti spinge a fare domande tutto il tempo?"
"È la mia professione di tuo guardiano" puntualizzò lui. "Se ti faccio una domanda, hai l'obbligo di rispondermi."
Erika si disturbò a prendere fiato solo per poter sbuffare.
"Bert era più simpatico."
"Non credo. Hai spedito una lettera a sua moglie fingendoti la sua amante e per poco questo non ha sfasciato la sua famiglia. Credo che Bert non ti piacesse affatto."
"Ah" Erika ci pensò un attimo. "Allora quello prima di lui."
"Dove andiamo?" Tornò alla carica il chierico.
"Da Terrence. Sento la sua mancanza."
Non era del tutto una bugia. Sentiva davvero la mancanza del suo ragazzo, perché i vampiri amano in modo morboso. Ma non era nemmeno l'unica ragione.

La stanza di Terrence era un altro dei pochi posti in cui Erika riusciva a godere di un po' di privacy, senza chierici impiccioni fra le scatole. Nonostante la loro dedizione alla conoscenza, nemmeno i preti di Deneir ci tenevano a spiare le sue pratiche amatorie.
Entrò senza dire una parola e si buttò sul letto proprio accanto a lui.
Terrence era impegnato a cercare di centrare un bicchiere lanciando piccole palline di carta. Il bicchiere era sulla scrivania, dall'altra parte della stanza, e lui era disteso sul letto. Non aveva totalizzato molti centri finora.
"Vedo che stai studiando per l'esame di domani" disse lei a mo di saluto, prendendolo bonariamente in giro.
"All'inferno l'esame di domani. Ho scritto metà degli articoli che dovrei studiare" bofonchiò lui. "E il professore non ha assolutamente capito come interpretare il mio approccio filosofico alla trasmutazione, ma ormai ci ho rinunciato."
"Non puoi correggerlo?"
"È un articolo di vent'anni fa" mormorò il giovane, sconsolato. Si soffiò via una ciocca di capelli neri dagli occhi. "Come mai sei tornata a trovarmi così presto?"
"Non posso venire a trovare il mio ragazzo?"
"Erika…" Terrence si girò verso di lei, sollevandosi su un gomito. "Me lo diresti, se il tuo attaccamento verso di me stesse diventando di nuovo incontrollabile?"[2]
La vampira lo fulminò con un'occhiata gelida. Si alzò dal letto, fece un passo indietro e spalancò le braccia come per invitarlo a guardarla.
"Ti sembro qui per svago? Non noti nulla di diverso in me?"
Lui la fissò per un lungo momento. Non si vedeva molto mentre lei camminava, tantomeno nelle ombre della sera, per questo il prete non se n'era accorto. Ma ora che rimaneva immobile in una stanza rischiarata da un incantesimo di Luce, era piuttosto visibile: una cortina di oscurità che sembrava emanare da lei.
"Vorrei fare una battuta e chiederti se hai tagliato i capelli. Ma, sì, ora lo vedo. C'è qualcosa di nuovo in te."
Erika agitò le mani concitata, come se cercasse di dissipare quelle ombre.
"Mi sento diversa, Terry. Più il mio tempo passa, più cambio."
"Questo lo sapevamo già" considerò lui. "In passato il tuo corpo ha affrontato dei cambiamenti e li abbiamo sempre tamponati."
"Ma questa è una cosa diversa, nuova!" Insistette lei. "Sento che la mia connessione con l'Energia Negativa che mi anima è diventata più forte. Questa oscurità che mi avvolge dev'esserne l'ennesima manifestazione."
Terrence sospirò e si alzò dal letto. Andò da lei e prese le piccole fredde mani nelle sue.
"Tranquilla. Ora facciamo qualche ricerca, capiamo cos'è questa nuova cosa e poi l'affrontiamo insieme, come sempre."

Gli esperimenti di Terrence ed Erika non erano mai molto piacevoli, e talvolta chiedevano il prezzo della vita di piccoli animali usati come cavie per testare i nuovi poteri della vampira. Il giovane mago aveva una testuggine espressamente dedicata a questo compito, il suo nome era Gamera.
Gamera che, al momento, giaceva morta nel suo terrario dopo che Erika l'aveva colpita con una schicchera.
"Energia negativa" sentenziò Terrence, togliendosi un paio di occhiali troppo ingombranti per il suo viso sottile. "Avevi ragione. Ogni volta che attacchi qualcuno, rilasci energia negativa che attacca la vitalità della tua vittima."
"Bene. Magnifico! Ogni volta che invecchio divento sempre più un mostro" Erika si allontanò di scatto dal suo ragazzo e cominciò a misurare la stanza a grandi passi, portandosi dietro la sua scia di oscurità.
"Non prenderla così male" Terrence picchiettò Gamera con un dito, riavvolgendo la linea temporale della tartaruga in modo da farla tornare in vita. Si fermò solo quando Gamera gli morse il dito. "Ahia. Dannata bestiaccia. La prossima volta ti lascio morta e mi prendo un pesce rosso."
"Terrence…"
"Lo chiamerò Boris. Sarà di sicuro più intelligente di te. Metterò il tuo stupido guscio sul fondo del suo acquario, così saprà cosa succede a chi mi morde."
"Terrence!"
"Sì, sì, sei un mostro, blah blah blah. Andiamo, Erika. Non ci credi nemmeno tu a questa baggianata."
"Non… non lo so se ci credo" concesse lei. "Ma so che non voglio uccidere la gente per sbaglio. Magari la prossima volta che faremo l'amore ti graffierò senza pensarci e mi troverò un cadavere fra le braccia."
Il mago si fece una risata, dissipando le sue preoccupazioni con un cenno della mano.
"Ci vuole ben altro per uccidermi! Ma stai tranquilla, metteremo un freno al tuo problema. E anche a quella cosa dell'oscurità che ti circonda, anche se non mi dispiace l'idea che la tua bellezza rimanga celata, prima o poi qualcun altro ti noterà e io avrò un rivale."
"Ma piantala di fare il cretino!" Erika raccolse un cuscino dal suo letto e glielo tirò addosso. "Metteti al lavoro per risolvere il mio problema, visto che è colpa tua se sono così!"
Terrence rise, ma le rilanciò indietro il cuscino. "Agli ordini, mia amata! Incanterò nuovi oggetti magici per contrastare i poteri che non vuoi."
"Quanto ci vorrà? Quello stoccafisso che mi segue ovunque mi aspetta qui fuori."
"Oh, non lo so, penso almeno un anno" Terrence aprì svariati cassetti della sua scrivania e cominciò ad estrarne libri, polveri, oggetti da artigiano. In effetti era ben strano tenere cose tanto diverse in una scrivania. Mise tutto in uno zaino molto capiente. "Ma se riesco ad andare a lavorare nel mio laboratorio fuori città… avrai tutto fra un'ora."
"Sei un tesoro" Erika lo abbracciò da dietro mentre preparava il suo bagaglio. "Stai attento allo stoccafisso quando esci."
"Non preoccuparti. È te che controlla, non me. Quando sarò tornato, tu sarai di nuovo la stessa vampira di sempre."
"Evvai" biascicò lei, poco entusiasta.
Lui si girò nel suo abbraccio e le diede un bacio sul naso.
"E faremo l'amore, perché non ti vedrò da davvero troppo tempo."
"Ah, funziona così?" Erika fece un passo indietro, lasciandolo andare. "Tu mi fai dei regali e io in cambio devo venire a letto con te?" Scherzò.
"Sì, Erika, funziona così. Io sono un tipo all'antica."
"Stupido!"
Terrence fece appena in tempo a uscire dalla porta prima di sentire il tonfo leggero del cuscino che sbatteva contro il muro, mancando di poco la sua testa.



**********

Ebbene sì, è una storia di San Valentino. Più o meno.
Il trope di oggi è Willfully Weak, che credo sia auto-esplicativo.


[1] Compromesso che si è reso necessario dopo che la sua identità è stata svelata alle autorità cittadine, nella storia Secret
[2] Altro riferimento a Secret, quando il compagno di Erika è stato costretto a fare una scelta drastica a causa del morboso attaccamento della vampira

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Capitolo 23
*** 1087 DR: Write What You Know ***


1087 DR: Write What You Know


Città di Silverymoon, Collegio della Signora

"Qariel, Alicia." Il professore chiamò con voce stentorea.
La ragazza si alzò, con gambe un po' tremanti.
"Signorina Qariel, qual è il modo corretto di appellare un drago antico in lingua Ruathlek?"
Alicia Qariel deglutì e si arricciò nervosamente una ciocca di capelli fulvi intorno a un dito.
"È… Senovje slibjan" affermò, con voce poco convinta.
"Nek!" Il professore si prese la briga di negare in lingua Ruathlek. "Quella è una traduzione letterale. Ho chiesto come si appella un antico dragone. Come vi rivolgereste a lui, signorina Qariel?"
"Uh…"
Il professore le lasciò quasi un minuto per pensarci, alla fine pose fine al suo esame con un cenno infastidito della mano.
"Male, male, signorina. L'etichetta è una conoscenza basilare, perfino nelle lingue della magia. Signor Spring?"
Robert Spring si alzò in piedi, con una certa flemma.
"Si, professore?"
"Potete rispondere alla domanda al posto della signorina Qariel?"
Il giovanotto non dovette pensarci nemmeno un attimo.
"Se avessi l'onore di parlare con un antico dragone, signore, mi rivolgerei a lui chiamandolo Onorato Antico Maestro, quindi Gerbémas senovje meristrias, dal momento che i maghi dell'isola di Nimbral, gli unici madrelingua Ruathlek, tengono in altissima considerazione i draghi e li considerano una delle razze creatrici della magia. Tuttavia, se non avessi avuto il permesso di rivolgermi a lui, lo chiamerei Re dei Cieli, Danku Kareli, e starei a capo chino in attesa del permesso di parlare."
Il professore annuì, segretamente seccato dalla risposta perfetta.
"Signor Spring, in quale lingua e in quale carattere è scritto il Saggio di arte estetico-esoterica del professor Zaun?"
"Domanda interessante, signore. È scritto in Illuskan, con alcuni passaggi illustrati in Antico Illuskan laddove la lingua era più adeguata a esprimere alcuni concetti. L'alfabeto usato è il più comune, il Thorass, ma la calligrafia particolare del professor Zaun lascia intendere la sua predilizione per la lingua elfica. Tuttavia alcuni esempi di arte antica ritratti nel libro mostrano diverse lingue umane scritte in alfabeto Iokharic, usato dai draghi."
Sulla guancia del professore un muscolo si mosse prima che lui potesse riprendere il controllo.
"Qual è la teoria di Xauman sull'arte calligrafica in magia?"
"Che per evitare sbavature dovremmo scrivere dall'alto verso il basso come si usa presso alcuni popoli di Kara-Tur" rispose prontamente.
"Cosa è scritto nella nota 5-bis del capitolo sesto di Architettura Netherese e il suoi doppi sensi magici del professor Zaun?"
La classe ammutolì.
Robert Spring ricambiò lo sguardo di sfida del docente.
"Nota 5-bis. Per quanto riguarda il già citato Compendio di Arte Arcana di Milo Arnensis, il buon professore aveva completamente malinterpretato il significato degli archi a sesto acuto in architettura netherese, cfr. Gazzetta Archeologica n. 25, articolo Architettura delle Enclavi e gravità soggettiva, opinioni a confronto, prof. Arnensis e Zaun. Naturalmente nel suo libro Narrazioni Netheresi il professor Arnensis ribatte che sia io ad essere in errore, ma è quello che succede quando sei un idiota saccente che ha avuto la cattedra a forza di collezionare verghe magiche."
Il professore accolse la perfetta citazione con espressione, suo malgrado, impressionata.
"E invece la nota 12 al capitolo primo del medesimo libro?"
"Con tutto il dovuto rispetto, signore, il primo capitolo ha solo undici note."
"Molto preparato." Ammise a denti stretti. "Non posso fare a meno di promuovervi."
Passò quindi a scatenare la sua malvagità su altri studenti, eppure, con sua grande sorpresa, una metà di loro riuscì a dare risposte soddisfacenti perfino alle sue domande da carogna sulle note in fondo ai libri.

Alla fine della sessione d'esame, Robert si ritrovò circondato da un accrocchio di colleghi universitari.
"Grazie per la dritta, amico" esordì uno di loro, battendogli una mano sulla spalla.
Il secchione si scrollò la mano di dosso con un gesto impacciato, perché non amava il contatto fisico.
"Non ringraziate me. Dovremmo tutti essere grati al professor Marty Zaun, che ha dissimulato un avviso nell'Introduzione del suo libro."
Ed era vero. La prima lettera di ogni riga, nel capitolo introduttivo di Saggio di arte estetico-esoterica, nascondeva il messaggio: Il professor Verk Vaneyl di Arte Magica è uno stronzetto con problemi di autostima che interroga spesso sulle note a piè di pagina.
Come facesse a saperlo, era un mistero, visto che il professor Vaneyl aveva ottenuto la cattedra anni dopo la morte del professor Zaun. Il curioso dilemma era perfino citato su Whoopsy, una rivista universitaria non ufficiale che studiava teorie del complotto e altri fatti curiosi. Whoopsy aveva una rubrica speciale sui presunti viaggi nel tempo.
Teorie bislacche a parte, l'idea più diffusa e più plausibile era che Zaun fosse stato un eccezionale divinatore.

Robert Spring sorrideva di quella convinzione. In un certo senso era vero, ma era più vera la teoria sui viaggi nel tempo.
Dopotutto, chi meglio di un mago che era stato studente dell'odioso Vaneyl avrebbe potuto scrivere quel messaggio? Zaun, come molti eccellenti professori, scriveva solo di cose che conosceva bene. E Robert Spring, come si faceva chiamare in quegli anni, avrebbe potuto confermarlo in prima persona.



********************
Note:
Il trope di questo capitolo è Write What You Know, ossia scrivi ciò di cui conosci, cosa che Robert Spring, alias Marty Zaun, ha fatto.

La lingua citata, il Ruathlek, è parlata sull'isola di Nimbral ed è ispirata alle lingue baltiche del nostro mondo. Io per le parole scritte in questo capitolo mi sono ispirata alla lingua lituana, cambiando alcune lettere.

Un altro dettaglio citato, che corrisponde al vero, è che i netheresi costruissero le loro città con architetture bizzarre che sfruttavano ogni superficie possibile cambiando magicamente i centri di gravità. Tuttavia, non ci sono riferimenti espliciti agli archi a sesto acuto.

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Capitolo 24
*** 1322 DR: Damsel in Distress ***


1322 DR: Damsel in Distress


Città portuale di Arthyn, capitale del regno di Mukshar, regione del Lago dei Vapori[1]

I festeggiamenti erano cominciati all'alba e stavano continuando ben oltre il tramonto. C'era ragione di festeggiare, perché il re di Arthyn, il vecchio Steddeus Arthel, aveva una nuova sposa. E non una sposa qualsiasi: una principessa, la figlia del re della città-stato di Ankhapur. La ricca metropoli sulla sponda opposta del Lago dei Vapori prometteva di essere una partner commerciale dal valore incalcolabile, perché il re di Ankhapur aveva deciso di scommettere sul futuro del porto di Arthyn per estendere i suoi commerci verso i Regni di Confine e lo Shaar.
Un'unione molto vantaggiosa, ma anche infiocchettata da una saga di leggende e misteri che incuriosiva il popolo.
La principessa Lurene sarebbe dovuta arrivare ad Arthyn due anni prima. Era stata imbarcata su una nave elegante e pomposa ed era stata spedita verso la sponda sud del mare interno, come un pacco di gran valore. Solo che, prima che la nave arrivasse al molo, la fanciulla era scomparsa.
Il Lago dei Vapori era una infida distesa di acqua solforosa che nascondeva mostri marini e chissà quali altri pericoli sotto le sue onde. La principessa era stata data per morta. Un grande dolore per suo padre, una grande seccatura per il suo futuro marito.
Eppure, due anni dopo, un avventuriero in cerca di fama era sbarcato ad Arthyn su una barchetta a remi insieme a una ragazza malconcia che affermava di essere Lady Lurene. La ragazza era dell'età giusta, parlava nel modo giusto e aveva il giusto portamento. Era stata portata al castello e ripulita, per poter essere confrontata con il suo ritratto che il re di Ankhapur aveva inviato più di due anni prima. Se era davvero la principessa, il suo ritorno sarebbe stato accolto come un miracolo e una benedizione dal cielo. Se non lo era, una ragazza graziosa può sempre trovare qualcosa da fare in un castello.
Una volta ripulita la ragazza dalla sporcizia e dal sangue era bastato uno sguardo al ritratto per intuire la verità: la giovane che era stata riportata al suo sposo non era più una dodicenne che sorrideva al pittore nel suo vestito bianco vaporoso, ormai doveva avere quindici anni e aveva perso il sorriso innocente, ma era decisamente la fanciulla del ritratto.

Lady Lurene era stata ospitata con tutti gli onori mentre una fitta attività diplomatica veniva rimessa in moto: l'alleanza con Ankhapur poteva essere riallacciata, ma a nuove condizioni, più vantaggiose per Arthyn: la principessa era arrivata con grande ritardo, traumatizzata, nemmeno più vergine. Il re di Arthyn non aveva nessuna intenzione di rinunciare a quel matrimonio così redditizio, ma voleva far pesare al suo futuro suocero le condizioni imperfette della sposa.
Un mese dopo l'arrivo di Lurene, l'ambasciatore di Ankhapur (che era anche suo cugino) venne ad Arthyn per confermare la sua identità, e appena riconobbe la principessa fece sbarcare dalla nave una dote sontuosa in perle, gemme preziose e concessioni commerciali.

Così, la cittadinanza aveva ben donde di festeggiare. La gallina dalle uova d'oro era finalmente arrivata, e con una storia misteriosa e avventurosa alle spalle. Il coraggioso avventuriero che l'aveva salvata, un mezzelfo acquatico che si faceva chiamare Pyp, era stato assunto nelle guardie cittadine con tutti gli onori e uno stipendio generoso. Andava in giro per la città raccontando favolose storie su come avesse salvato la donna dai pirati, con scontri all'arma bianca e fughe rocambolesche. In breve tempo era diventato il beniamino della città, amico di tutti, ma si era sempre tenuto ben distante dal palazzo reale: non voleva certo che la famiglia reale si chiedesse se non fosse stato lui, a deflorare la fanciulla.

In realtà, la vera storia di Lurene dietro tutti quei racconti e quelle favole, non l'avrebbe mai scoperta nessuno. Nessuno ad Arthyn, almeno.

Lurene andò all'altare in un soleggiato giorno d'autunno. Mentre i cittadini celebravano, lei non riuscì a forzare nemmeno un sorriso. Aveva dimenticato come si faceva a fingere. Due anni di libertà le avevano fatto disimparare come si fa la principessa.
Il suo sposo era un vecchio, ma era ancora ambizioso, tirchio e laido come lo era stato da giovane. I suoi due figli non sembravano molto diversi, e il più giovane di loro aveva almeno dieci anni più di Lurene. Segretamente lei aveva sperato che oramai re Steddeus fosse morto, e che sarebbe andata in sposa a uno dei suoi figli, ma purtroppo la fortuna non era dalla sua e non poteva più aspettare.
Arthyn stava costruendo una flotta militare, con chiari intenti conquistatori. Il regno di Mukshar non era molto grande, non era molto potente, ma aveva ottimi marinai e sapeva come attirare mercenari. Lurene aveva dovuto tornare sulla terraferma e riprendere il suo ruolo, lo doveva ai suoi amici, era l'unica che potesse fare qualcosa.
Quella sera re Steddeus si ubriacò abbondantemente al suo banchetto di nozze, ma ai re questo era sempre concesso. A Lurene non dispiacque. Avrebbe solo reso le cose più facili.



**********
Nota: la storia di oggi è introduttiva ad altri eventi che seguiranno, ma penso sia sufficiente per far sorgere la domanda: Lurene è davvero una Damsel in Distress?
Questa storia è il sequel lasco di Cruel, che a sua volta è il sequel di Earrings, che è uno spin-off di Nemici Molto Singolari (cap. 2), che è uno spin-off di Jolly Adventures, che al mercato mio padre comprò. La storia di questi personaggi però comincia idealmente in Earrings.

[1] Nei tempi odierni (che per me sono gli anni '70 del 1300) Arthyn non è la capitale di nessun regno, è una città indipendente, mentre il regno di Mukshar è diviso in Alto Mukshar, Medio Mukshar e Basso Mukshar. Tuttavia non ci sono informazioni sulla storia di questi regni, e data la natura sempre mutevole dei Regni di Confine, ho deciso che un tempo erano un unico regno con Arthyn come capitale.

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Capitolo 25
*** 1322 DR: Damsel out of Distress ***


1322 DR: Damsel out of Distress


Città portuale di Arthyn, capitale del regno di Mukshar, regione del Lago dei Vapori

Beith aveva proprio voglia di una vacanza. La vita della ladra non è semplice né tranquilla, e dopo aver lasciato in fretta e furia la città di Ankhapur aveva girato buona parte dei piccoli regni che si affacciavano sul Lago dei Vapori. La sua fortuna era stata altalenante, a volte era riuscita a sgraffignare molto, a volte poco, spesso aveva perso tutto e poi aveva dovuto ricominciare.
Aveva una mezza idea di andare a cercare fortuna nella città di Ormpur o addirittura nel più lontano regno del Lapaliiya, ma prima di tutto voleva prendersi una meritatissima pausa. Per farlo però le occorreva denaro, che attualmente non aveva.
E quale luogo migliore per sgraffignare un po' di quattrini, se non un regno piccolo ma in crescita come il Mukshar? Quale momento più propizio, poi, della festa di nozze del re del Mukshar con una principessa straniera? Le strade della capitale erano in festa, gremite di gente che arrivava da tutto il regno e da ambasciatori dei regni confinanti. Le guardie erano troppo poche per controllare tutti. E, ciliegina sulla torta, il Palazzo aveva bisogno di molto personale temporaneo: preparare il banchetto, sistemare le sale del castello, organizzare l'ospitalità per gli ospiti non erano incombenze che si potevano affidare al caso.
Era un periodo d'oro per garzoni, artigiani, cameriere… e aspiranti ladre.

Beith si era fatta assumere come sguattera di cucina. Aveva passato tutto il giorno delle nozze a pelare radici e lavare piatti, le delicate manine le dolevano terribilmente ed erano piene di taglietti e vesciche.
Che pessima idea ho avuto! Si rimproverò mentre staccava dal suo turno di sedici ore. Le mani le dolevano così tanto da essere quasi insensibili; come avrebbe fatto ad alleggerire il tesoro reale, se non poteva fare affidamento sulla destrezza delle sue dita? Dannazione, perché non mi sono offerta come cortigiana e accompagnatrice? A questa gente appaio come un'elfa, ho il mio fascino. Dovrei farlo fruttare.
Ma era un ozioso volo pindarico, lei lo sapeva bene: non si sarebbe mai finta una cortigiana. Una come lei, che in passato era stata una schiava di piacere, aveva il vomito all'idea di farsi toccare da un uomo. Specialmente da un nobile che credeva di poter fare qualsiasi cosa con totale impunità, come l'arcimago che un tempo l'aveva posseduta.
La creatura fatata fissò con tristezza le sue dita arrossate e i polpastrelli raggrinziti. Che vita grama. Se almeno fosse riuscita a mettere le mani su un bel bottino, avrebbe potuto rifarsi di quei tremendi giorni di lavoro.

Abbandonato il grembiule da sguattera di cucina, Beith tenne comunque l'abito da serva con lo stemma della casata regnante cucito sul petto. Era una sorta di lasciapassare: bastava prendere qualche oggetto da un armadio di servizio - coperte, una brocca d'acqua, un set da toeletta - e inventarsi di essere una cameriera, perché le guardie del castello la lasciassero andare ovunque.
In realtà non avrebbero dovuto. Le cameriere importanti indossavano i guanti, quelle di basso livello no, e una guardia attenta si sarebbe accorta dell'inganno: Beith indossava i guanti (per coprire i segni del lavoro nelle cucine) anche se era chiaramente una ragazza assunta a servizio solo per il matrimonio. Ma nemmeno gli uomini d'arme del palazzo erano molto attenti a questi dettagli: in quei giorni il vino scorreva a fiumi, e Beith era abbastanza carina da mandare gli uomini in confusione con i suoi sorrisi. Fu così che l'ultimo giorno dei festeggiamenti, il giorno del matrimonio vero e proprio, Beith riuscì ad introdursi in molte stanze di ospiti importanti e sgraffignare un po' di bottino: qui una spilla, lì un sacchetto di monete, un anello con sigillo, qualche gemma cucita ai ricchi abiti delle dame… non male, ma non abbastanza per ripagarla di quelle dure giornate di lavoro.
Alla fine trovò qualcosa che valeva davvero la pena. Nella stanza di uno dei principi rinvenì un bellissimo pugnale cerimoniale con l'impugnatura in electrum[1] e zaffiri, probabilmente magico. Aveva lasciato le stanze dei reali per ultime, appena prima di lasciare il castello per sempre. Una scelta saggia, comprese, mentre si allacciava il pugnale e il suo bel fodero alla cosciera che teneva ben celata sotto la gonna. Era probabile che i nobili e i reali sarebbero tornati nelle loro stanze a breve.
Quello che Beith non sapeva era che il re e la sua nuova regina erano già saliti alle loro stanze, per consumare il matrimonio mentre gli invitati si godevano il banchetto. E molto altro doveva essere successo, ma lo scoprì solo quando uscì dalla stanza del principe attraverso un passaggio segreto[2] e sbucò in un corridoio laterale. Più in profondità in quella galleria, dove nemmeno le torce riuscivano a illuminare, sentì delle voci umane. Concitate. Qualcuno stava litigando: erano un uomo e una donna, stabilì dal timbro delle voci.
Incapace di resistere alla sua naturale curiosità di folletto[3], oltre che all'indignazione che le sorgeva dentro quando una donna si trovava in pericolo a causa di un uomo, Beith mise da parte ogni buonsenso e si diresse verso la fonte di quella confusione.

In una piccola stanza circolare, poco più di uno slargo all'incrocio fra i corridoi, la nuova regina stava discutendo con quello che Beith riconobbe come uno dei principi del regno. Lui la stava accusando di qualcosa, ma la ladra era arrivata troppo tardi per capire di che cosa. I due non l'avevano ancora vista e lei era incerta, non sapeva bene cosa fare.
Poi lui afferrò con malagrazia un polso della regina e la sbatté contro il muro, afferrando la gonna di seta con l'altra mano nel tentativo di alzarla, o strapparla. Beith a quel punto non ebbe più dubbi su cosa fare.

Fu con grande stupore che il Secondo Principe si ritrovò conficcato nella schiena il suo stesso pugnale. Era un'arma cerimoniale, senza filo, ma la punta funzionava benissimo.


**********
Questa storia è il sequel della precedente ed è ispirata al trope Damsel out of Distress, cioè quando una donna è abbastanza tosta da salvarsi da sola. In questo caso non è proprio letterale perché Beith salva un'altra ragazza; Beith è troppo furba per farsi sorprendere in distress.

[1] L'electrum è una lega di oro e argento che vale nominalmente la metà dell'oro, ma a volte vale di più a causa della sua rarità. Il regno dell'Halruaa è noto per essere la patria dell'electrum, ma è anche una terra di maghi, motivo per cui Beith pensa che il pugnale sia magico.
[2] I castelli erano spesso pieni di passaggi "segreti" che venivano usati dalla servitù per passare senza farsi vedere dai nobili. Niente di losco quindi: Beith sta solo usando un passaggio che ha visto usare da altre cameriere.
[3] Dimenticate i folletti alla Memole: in questo mondo, che si basa sulle meccaniche di D&D, "folletto" è un iperonimo col significato di "creatura fatata"; è la traduzione che qualcuno ha scelto per l'inglese fey nei manuali ufficiali.

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Capitolo 26
*** 1322 DR: Decoy Damsel ***


1322 DR: Decoy Damsel


Città portuale di Arthyn, capitale del regno di Mukshar, regione del Lago dei Vapori

Lurene non si aspettava di essere salvata. Non se lo era aspettato mai. In tutta la sua vita.
E invece, a quanto pare, continuava a succedere.
Era stata salvata dalla provvidenza - da una provvidenziale coltellata nella schiena del Secondo Principe quando lui l’aveva scoperta - e proprio per mano di qualcuno che non le doveva niente.
Prima di allora era stata salvata dall’incontro fortuito con una nave di cacciatori di pirati, quando da ragazzina aveva rubato una scialuppa della nave di suo padre ed era fuggita in alto mare per evitare un matrimonio dinastico. Sarebbe morta e finita in pasto a qualche mostro acquatico, se quei marinai non l’avessero tratta in salvo.
E prima di allora… era stata salvata, sebbene in modo non convenzionale, da una misteriosa ammiratrice che le aveva aperto gli occhi rivelandole una cosa che una principessa adolescente non poteva comprendere da sola: che lei aveva un valore, e non solo come merce di scambio. Aveva un valore come persona, aveva il diritto di avere una sua volontà. Lurene ricordava ancora molto bene l’incontro con la misteriosa elfa che si era introdotta in camera sua, così tanto tempo prima che le sembrava un’altra vita. Forse era successo in un’altra vita, perché da allora Lurene era diventata un’altra persona.
Ritrovarsi davanti quella stessa elfa nel castello di Arthyn per un momento la spiazzò.
Non aveva mai immaginato di poterla rivedere. L’elfa senza nome era un’ombra nella sua memoria, una figura leggendaria, un episodio catartico del suo passato. Eppure adesso era lì, e le aveva appena salvato la vita per la seconda volta. Il tempo parve congelarsi, ma quella sensazione di sospensione venne interrotta dal rumore del cadavere del principe che piombava a terra in un tonfo sordo.
“Tu!” Esclamò la neo-regina di Mukshar, e la voce le uscì strozzata, interrotta. Si sentiva di fronte a una specie di miracolo. Forse la fanciulla elfica era uno spirito custode, destinata ad apparirle nei momenti di maggior difficoltà?
L’elfa fece un aggraziato passo indietro, per non macchiarsi le scarpe con il sangue della sua vittima. Per un istante sembrò non sapere cosa dire, ma quando sentì la voce di Lurene chiamarla alzò lo sguardo e i loro occhi si incrociarono. Lurene pensava che sarebbe successo qualcosa. Rimase in attesa, mentre il silenzio si faceva pesante.
L’altra finalmente sollevò una mano e puntò l’indice contro la regina. Non c’era molta convinzione. L’indice oscillò per qualche momento, mentre la finta sguattera la scrutava pensierosa.
“Oh!” S’illuminò alla fine. “La ragazza degli orecchini!”

Beith si chinò per pulire il pugnale sul mantello del morto. Sarebbe stato un peccato rovinare il bellissimo fodero sporcandolo con una lama insanguinata. Nel frattempo, la regina la fissava senza riuscire ad emettere verbo.
“Quali orecchini?” Domandò infine, con voce indagatrice.
“Anni fa, ti ho vista al balcone del palazzo reale di Ankhapur.” Beith intanto aveva cominciato a frugare il cadavere del principe in cerca di preziosi. “Eri una ragazzetta, così graziosa e solenne, ma la cosa che ricorderò sempre sono i gioielli che avevi addosso. Mamma mia! A volte ancora me li sogno, soprattutto gli orecchini” raccontò senza la minima vergogna.
“Gli orecchini” ripeté Lurene in tono distante. “Gli orecchini ufficiali della principessa di Ankhapur? Non sono nemmeno davvero miei, sono gioielli della corona” spiegò, come se sentisse il bisogno di prendere le distanze da quegli oggetti.
“Oh” commentò Beith, mentre cercava di sfilare un anello d’oro e rubini che era caparbiamente incastrato nel dito del principe. “Sì, questo spiega perché non fossero in camera tua.”
Lurene continuò a fissare il vuoto, mentre finalmente tutti i pezzi del puzzle andavano al loro posto. “Non sei mai stata una mia ammiratrice!” Recriminò, e nonostante stesse cercando di tenere la voce bassa, le uscì un po’ stridula. “Non ti eri introdotta nella mia stanza solo per… vedermi o per… per baciarmi! Eri una ladra!
“Vero, ma baciarti è stato piacevole” ammise Beith stringendosi nelle spalle.
“La mia vita è una menzogna” sussurrò l’umana.
“Sul serio, cocca, ne vuoi parlare adesso?” Chiese pragmaticamente la fata, rialzandosi con il prezioso anello in mano.
La ex-principessa, ex-regina, da poco diventata regina vedova, scosse la testa per tornare in sé. “No, hai ragione, fra poco potrebbero trovare il cadavere del re.”
“Del principe?” La corresse Beith, guardando il corpo a terra.
“Uh. Già. Anche quello del principe.”
Beith le scoccò un’occhiata di complicità e l’afferrò per un polso, trascinandola verso uno dei passaggi segreti dei domestici. “Hai una vita interessante, tu.”
“Aspetta! Non posso scappare e basta, devo prima rubare i piani per la flotta militare. È l’unico motivo per cui sono qui!”
“Maestà, se c’è una cosa che ho imparato in questi anni… è che se sei già un’assassina, è troppo pericoloso tornare a fare la ladra.” Le rivolse un sorrisetto leggero. “Nello stesso posto, quanto meno.”

Beith trascinò Lurene giù da una rampa di scale strette e ripide; per fortuna potevano appoggiarsi alle pareti del passaggio segreto per rallentare il loro slancio. Lurene era costretta a correre su scomode scarpe coi tacchi, quindi se n’era presto disfatta e ora procedeva a piedi nudi.
“Quindi, spiegami un po’, non sei stata magicamente salvata da un eroe e portata qui?” Chiese la fata di punto in bianco, dopo un po’ che correvano in silenzio nei muri.
“Sul serio ne vuoi parlare adesso?” Lurene le fece il verso, indispettita. Non aveva mandato giù il fatto che, al loro primo incontro, la ladra l’avesse raggirata.
“Hai ragione, parliamone quando saremo lontane da qui” convenne Beith.
“Perché, per i nove inferi, stiamo scappando insieme?
“Perché tu non conosci i passaggi segreti e quindi hai bisogno di me, principessa. Io invece non so come lasciare la città in fretta, ma per quello tu hai un piano, giusto? Non sei venuta qui per uccidere un re e poi morire come martire.”
Lurene si morse il labbro inferiore. “No, in effetti. Una scialuppa mi aspetta in una caletta un po’ fuori mano, insieme all’eroe che mi ha salvata. Pyp è sempre stato mio complice. Serviamo entrambi su una nave di cacciatori di pirati.”
“Che sollievo.” L’altra sospirò come se un peso le fosse stato tolto dal cuore. “La mia era solo un’ipotesi. Non ero davvero sicura che fossi stata così previdente, o che avessi un piano strutturato.”
“Non sono più la ragazzina sciocca che hai conosciuto” beccò Lurene, punta nel vivo. Si sentiva ancora una stupida. “E comunque uccidere il re non era preventivato, lui mi ha scoperta mentre prendevo la chiave della Segreteria Privata… be’, non importa. Non ci sono arrivata comunque, l’ho ucciso per niente.”
C’era una chiara nota di rammarico nella sua voce, e da questo Beith capì che Lurene non era abituata all’omicidio. Forse non era il suo primo, ma non vi era abituata.
Le fece tenerezza. Era ancora una ragazzina, checché ne dicesse.
“Allora dammi la chiave e vai alla scialuppa per conto tuo.” Decise all’improvviso.
Lurene la guardò stralunata.
“Ma sì, dai, pensaci: se il re è morto cercheranno te” sottolineò Beith, “e magari sospetteranno del tuo complice, ma chi si preoccuperebbe di una semplice sguattera? Noi due non siamo arrivate insieme e non ce ne andremo insieme. Io sottrarrò quei piani navali e mi nasconderò da qualche parte in città, mentre tu scapperai addossandoti la colpa. Non cercheranno i piani in città se tu sarai sparita, e i documenti anche.”
“E poi?” Domandò Lurene, cominciando a considerare quel piano nato dal nulla.
“E poi ci vedremo fra venti giorni al villaggio portuale di Themasulter, pochi giorni a ovest di qui. Tu mi garantisci un passaggio sulla vostra nave, io vi consegno i piani navali del regno di Mukshar.”
Lurene rifletté rapidamente sulla proposta, mentre rumori di fuochi d’artificio filtravano dalla parete alla loro sinistra, rivelando che il loro passaggio segreto era ormai molto vicino al cortile esterno. Beith trovò al tatto il punto in cui la parete di pietra lasciava il passo a una porticina di legno.
“Perché faresti questo? Perché rischiare la vita, quando potresti scappare con l’anello che hai rubato e rifarti una vita altrove?”
“Diciamo che voglio sdebitarmi per quel vecchio inganno, che dici?” Propose la finta sguattera. “E poi ho appena ricordato che ho sempre sognato di andare all’avventura, solo non volevo farlo da sola.”
Lurene non sapeva se crederle. Voleva davvero chiederle scusa per aver cercato di derubarla e averle cambiato la vita inconsapevolmente? Le importava per davvero? Abbastanza da rischiare di essere catturata e uccisa? O forse non si rendeva conto del pericolo? Gli elfi erano tutti scapestrati come lei?
“Allora?” Beith la richiamò all’ordine. “Siamo quasi fuori. Decidi adesso, così saprò se sono libera di scappare subito oppure se devo reintrodurmi nel castello e fingermi ancora una sguattera.”
Con una certa riluttanza, Lurene le mise in mano una chiave laccata d’oro. Dopotutto la sua missione era già fallita, non aveva nulla da perdere. Beith sorrise, e con sua sorpresa Lurene pensò che quel sorriso fosse in un certo modo rassicurante.
L’elfa prese la chiave e le mise in mano un sacchetto di cuoio gonfio di gioielli e monete, come se stessero facendo uno scambio.
“Non posso aggirarmi per il castello con tutti quei preziosi rubati” spiegò semplicemente. “Me li renderai quando ci vedremo sulla nave.”
“Te li devo rendere? Sono rubati!” Scherzò Lurene.
“Ehi! Li ho rubati onestamente!” Protestò Beith, pensando alle lunghe ore passate a lavare piatti e pelare radici. Solo dopo averlo detto si rese conto di quanto suonasse ridicolo. “Comunque sì, me li devi ridare. Questa volta non accetterò un bacio al posto di un tesoro” scherzò, facendo l’occhiolino a Lurene. Per sua fortuna, il passaggio segreto non era illuminato e la regina non vide il suo gesto ammiccante, altrimenti le avrebbe dato almeno un pizzicotto.



**********

In questa storia si scopre che Lurene era in realtà una Decoy Damsel, in un certo senso: era davvero una donzella, ma non in difficoltà, non era stata tratta in salvo da un coraggioso marinaio. E, come ogni buona Decoy Damsel, rappresentava una trappola per gli incauti.

Quando le ragazze parlano di orecchini e del loro primo incontro, fanno riferimento agli eventi narrati in Earrings.

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Capitolo 27
*** 1264 DR: Big Brother Worship ***


Questa storia partecipa alla challenge #SecondaryToWhom del gruppo facebook Hurt/Comfort Italia - Fanart and Fanfiction - GRUPPO NUOVO.
Prompt: candele; viaggio nell'Underdark (solo accennato)


1264 DR: Big Brother Worship


Una notte d'estate, in una locanda vicino a Secomber

"Spiegamelo bene ancora una volta" Duvainion affondò il viso in una mano, massaggiandosi le tempie con il pollice e il medio. "Com'è che ti sei scottata?"
Kore strusciò i piedini a terra, a disagio. Ora si sentiva così stupida. Però il fratello maggiore era la sua unica speranza di farsi guarire la mano senza essere sgridata, perché se fosse andata da sua madre di sicuro si sarebbe dovuta sorbire una lavata di capo sul tema non si gioca con le candele.
"Volevo essere come te" ammise, con voce soffocata dalla timidezza. Tenne lo sguardo basso, per non vedere l'espressione delusa sul volto di quel fratello maggiore che tanto ammirava. "Volevo fare una magia. Come fai tu. Volevo farmi comparire il fuoco nella mano."
"Ma non ci sei riuscita" indovinò Duvainion. Non serviva essere un divinatore per capirlo: una bambina di cinque anni non poteva fare magia, era troppo piccola per aver potuto studiare le arti arcane e perfino la magia spontanea non si manifestava prima dell'adolescenza. Per una creatura di razza elfica, come Kore, questo voleva dire aspettare ancora un paio di decenni.
La bambina scosse la testa, facendo ondeggiare le trecce di capelli candidi. Sulle sue guance nere si potevano intravedere tracce di lacrime.
"No, non ci sono riuscita. Allora ho pensato che... forse se prendevo in mano del fuoco che c'era già, riuscivo almeno a... non lo so. A controllarlo." Adesso che lo stava raccontando, la cosa le sembrava ancora più sciocca. "Mi dispiace" piagnucolò, tirando su col naso. "Non volevo venire a dirtelo, ma mi fa tanto male la mano. Se vado dalla mamma, mi sgrida di sicuro."
L'elfo più grande si riscosse, come se si fosse appena ricordato il vero motivo per cui Kore era lì.
"Piccola, se ti fai male devi venire da me o dalla mamma subito. Non devi pensare alle sgridate o al fare brutte figure. Su, ora fammi vedere questa mano" pretese, accoccolandosi per essere al livello della sorellina.
Kore gli porse la manina e lasciò che il fratello maggiore la studiasse. Si era ustionata con il fuoco, e in parte anche con la cera calda. Quello forse aveva fatto ancora più male.
"Oh, poveri noi" l'elfo sospirò. "Non è troppo grave, ma deve farti molto male. Purtroppo adesso non ho preparato nessun incantesimo di guarigione. Per il momento ti metterò una pomata di calendula, farà diminuire il dolore. Domattina per prima cosa mediterò per ottenere un incantesimo di guarigione."
A queste parole gli occhi della bimba brillarono, nonostante la brutta situazione in cui si era già messa proprio a causa della sua attrazione verso la magia. "E poi mi insegni anche a me a fare questa meditazione?" Domandò, mentre l'elfo cercava qualcosa all'interno della sua sacca da viaggio. Era pronto per partire la mattina seguente, di nuovo alla volta della sua amata foresta, e portava sempre con sé un kit di primo soccorso.
Finalmente Duv trovò la boccetta che stava cercando, ma per rispondere alla domanda della sorella si prese la briga di girarsi e guardarla in tralice. "No. Sei troppo piccola."
"Ma uffa!" Kore avrebbe sbattuto un piedino a terra, ma non voleva rischiare di svegliare la madre facendo rumore. "Io voglio essere come te!"
"Quando sarai più grande" promise il fratello maggiore, chinandosi di nuovo al suo livello. "Su, dammi la mano."

Applicare la pomata di calendula fu un lavoro impegnativo, perché andava spalmata sull'ustione e la parte offesa doveva essere massaggiata a lungo per consentire al principio attivo di essere assorbito dalla pelle, ma andava anche fatto con delicatezza per non causare troppo dolore.
"Mi fa ancora male però" mugugnò Kore quando il fratello ebbe finito.
"Lo so, pulcina, è una pomata, non una magia. Però il dolore dovrebbe essere diminuito, e diminuirà ancora con il passare del tempo."
La bambina sembrò pensarci per qualche momento, poi annuì.
"Posso restare qui con te? Non riesco a riposare, mi fa troppo male la mano..."
"Mi sembra giusto" acconsentì Duvainion. Non voleva rischiare che la loro madre notasse il piccolo problema di Kore prima che lui fosse riuscito a guarirla del tutto. Lei poteva essere stata sciocca a cercare di afferrare la fiamma di una candela, però era stato lui a ispirarla con i suoi incantesimi. Krystel l'avrebbe ritenuto almeno in parte responsabile. "Vieni, siediti sul mio letto. Ti racconterò una storia così noiosa che ti farò addormentare per forza" scherzò, riuscendo a strappare una risata alla sorellina.
"Mi racconti di come la mamma ha conosciuto il mio papà?"
"Aw, ma questa non è una storia noiosa" si lamentò l'elfo, prendendo posto su una sedia accanto al letto e aiutando Kore a salire sulla branda e accomodarsi. "Anzi, a pensarci bene... è una storia di avventure, magie e pericoli!"
"Ma mi piace! Dai, dai, per piacere!" Lo pregò lei, con il suo entusiasmo giovanile. Di sicuro la mano le faceva ancora male, ma lui stava riuscendo ad aiutarla a non pensarci.
"D'accordo, allora" Duvainion sembrò cambiare voce, calandosi nel suo ruolo di narratore. "Tutto è cominciato quando io, mamma e zio Daren siamo andati a fare un viaggio nel Buio Profondo, per esplorare il labirinto di cunicoli da cui provengono gli elfi drow."
"Come lo zio e la mamma" intervenne Kore, sentendosi partecipe del racconto.
"Giusto, come loro, come il tuo papà... e come te" aggiunse il fratello, toccandole il naso con un dito. "Io invece ci sono andato solo perché ero curioso, e perché volevo avere qualche bella storia da raccontare, un giorno."
"Me la stai raccontando" notò lei, contenta per tutte quelle attenzioni dal fratello che idolatrava.
"Sì, se mi lasci raccontare." Scherzò lui, per poi farsi di nuovo serio. "Ma all'epoca ero giovane e sciocco, perché pensavo che sarebbe stata solo una gita interessante. E invece aveva ragione zio Daren, è un luogo pericoloso. Me ne sono reso conto quando ho visto... un mostro!"
Kore si mise le mani davanti alla bocca, per trattenere un urletto.
Aveva già sentito quella storia decine di volte, ma sembrava che non le bastasse mai. La storia di come suo padre era stato salvato dalle grinfie di un terribile mostro, grazie a sua madre.
Non era esattamente la verità, ma la verità può essere troppo dura per una bambina così piccola. Duvainion lo sapeva, e indorare quella storia faceva parte del prendersi cura di Kore, non diversamente dal soccorrerla quando si faceva male.



**********
Il trope di oggi è Big Brother Worship, che penso non abbia bisogno di spiegazioni.
Il racconto di Duvainion fa riferimento alle storie Drider - Ritual - Ambush - Alliance della raccolta Promptober 2020.

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Capitolo 28
*** 1297 DR: Fairy Godmother ***


Questa storia non è per niente divertente, in realtà è abbastanza cupa e si svolge contemporaneamente a Lei è mia, che consiglio di leggere prima di questa.
Trigger warning: parto, morte; inoltre alcune persone sensibili potrebbero considerare questa storia abilista, se è abilista volere che una bambina non sia cieca e/o sorda. So che si può avere una buona vita anche essendo ciechi o sordi, ma senza ipocrisie diciamoci la verità: potendo scegliere per magia, sono convinta che si sceglierebbe di non esserlo.


1297 DR: Fairy Godmother



Diciannovesimo giorno di Tarsakh, in una locanda vicino a Secomber

Il suo nome in vita era stato Eivy Grim, ma ormai lo aveva quasi dimenticato. Il suo cognome, di sicuro, era già perso nelle nebbie della memoria, ma il nome non ancora perché aveva un bel suono musicale. Eivy. Era come un trillo allegro, che piaceva anche alle sue compagne e ai suoi compagni.
Ce n'erano molti, in quel piccolo angolo di mondo, in quella landa ondulata di dolci campagne. Era strano pensare che un panorama tanto ameno fosse stato un tempo lo scenario di eventi crudeli, assassinii e avvelenamenti. Per Eivy era come il ricordo di un sogno, o forse di un incubo; lei era morta durante quel periodo burrascoso. Era stata uccisa a causa di un vile tradimento, ma i dettagli si facevano sempre più sfumati anno dopo anno. Ormai non aveva più importanza perché aveva un'altra vita, una vita gioiosa. La sua anima era rimasta in quel luogo che da giovane aveva amato. Il suo corpo era stato sepolto in quella terra, molti decenni prima, in un rituale che aveva avuto il doppio effetto di onorare le sue spoglie mortali e infondere magia di purificazione nella terra.
Era stata una buona sepoltura, che aveva quasi controbilanciato una cattiva morte. E a darle sepoltura era stata Krystel, la strega che aveva poi preso possesso della loro vecchia abbazia e l'aveva trasformata in qualcosa di diverso, una struttura ospitale che spesso si riempiva di bambini.
Eivy ne era molto felice. Le erano sempre piaciuti i bambini, non per ciò che erano ma per ciò che rappresentavano: la primavera, la nuova vita. Aveva il vago ricordo che, prima di Krystel, quell'abbazia fosse stata un luogo serioso. Sacrale, sì, ma privo di quella gioia che è indispensabile per la vita.
Adesso che era diventata una fata, Eivy lo capiva bene: la gioia era la fonte stessa della vita. Nella sua prospettiva, non esisteva sentimento più importante.
Per questo Eivy non era affatto contenta quel giorno: Krystel era turbata.

Gli altri fatati che abitavano i dintorni della locanda, che fossero Bean Sidhe come lei, o Daoine Sidhe come i suoi compagni dall'aspetto maschile, quel giorno non riuscivano a reggere l'agitazione della loro amica. Eivy stava tampinando tutti. Era convinta che stesse per succedere qualcosa di terribile a Krystel e che gli altri non stessero prendendo la cosa abbastanza sul serio.
O peggio, che non gli importasse.
Questa forse era l'idea più terribile. Krystel non era come loro, era solo una mortale, però in un certo senso era come loro. Era devota alla Natura come loro, era un'abitante di quella terra, di quelle mura, come lo erano stati loro. Era la persona che li aveva sepolti, consacrandoli con un rituale che aveva consentito loro una scelta: andare nell'Aldilà, o rimanere in quel mondo come creature fatate. Dovevano la loro esistenza a quel rituale ed Eivy non tollerava che potessero girarsi dall'altra parte se Krystel era in pericolo.

Alla fine Eivy tanto disse e tanto fece che riuscì a ottenere ascolto da una manciata di suoi compagni. Quel giorno, cinque fate invisibili si radunarono di comune accordo nella stanza da letto della strega.
"Ma che cosa fa?" Chiese uno di loro, dopo un po'. Era l'unico maschio fra le creature fatate e non aveva esperienza con le strane azioni dell'unica donna vivente della stanza.
"Sta avendo un bambino" rispose una delle Bean Sidhe, con aria assorta. "Almeno credo. Non mi sembra che stia andando bene."
"Perché Hilda è andata via?" Chiese di nuovo il Duine Sidhe.
"E io che ne so, Darvin? Siamo arrivati mentre usciva, te lo sei scordato?"
"Forse è andata a giocare" commentò un'altra fata, sorridendo. "Sembra una buona idea, c'è un'aria così greve qui dentro."
"Non credo, Danya, non è più una bambina, non giocherebbe mentre sua madre sta male."
"Io credo di sì" insistette Danya. "Sarà contenta che presto avrà una nuova sorellina, ed è andata a festeggiare."
Qualcuna delle altre annuì, ma Eivy non era convinta. Anche se la sicurezza dell'amica la stava quasi facendo ricredere.
"Hilda non abbandonerebbe sua madre in pericolo" insistette, perché aveva bisogno di crederlo. "Ma visto che non c'è, dovremmo pensarci noi."
Quattro Aes Sidhe la guardarono con aria perplessa.
"Scusa? E fare che cosa?"
"Come fare cosa? Siamo fate o misere anime defunte?" Eivy si rimboccò le maniche dei suoi abiti dalla foggia bislacca, perché gli abiti così come l'aspetto fisico erano una proiezione dell'immagine che aveva di se stessa. "Siamo fate delle Soglie. Noi accompagnamo la morte e accompagnamo la vita. E in queste occasioni, la nascita e la morte, abbiamo il potere di concedere un Dono."
Gli altri la fissarono attoniti mentre faceva un passo verso il letto su cui Krystel si agitava e gemeva. Rimasero in religioso silenzio mentre Eivy posava una mano sulla fronte di Krystel, anche se il suo tocco doveva essere impercettibile per l'elfa scura.
Eivy non voleva esitare, ma stava esitando. Fra tutte, era la Bean Sidhe che sentiva più forte il legame con Krystel, anche se non ne ricordava il motivo. Sapeva solo che voleva che la strega fosse felice, e che fosse viva. C'era qualcosa che negli ultimi tempi aveva disturbato molto Eivy, qualcosa che riguardava Krystel, qualcosa che non riusciva ad afferrare... come un ricordo sfuggente...
Poi una lacrima di dolore sfuggì alle palpebre della partoriente e la fata ricordò.
Lacrime.
Krystel aveva pianto spesso negli ultimi mesi. Eivy l'aveva vista, ma la sua mentalità fatata l'aveva spinta a guardare dall'altra parte e rimuovere quel pensiero. Non c'era spazio per il dolore e la tristezza per gli Aes Sidhe. Quei sentimenti non facevano parte dell'universo che potevano - che volevano - percepire.
Questa volta Eivy fissò con risolutezza la donna verso cui sentiva un tenero sentimento di affetto, e che stava soffrendo. Non poteva più ignorarla. Non poteva tirarsi indietro, anche se il Dono aveva un costo che era sempre proporzionale alla generosità elargita.
Eivy spostò la mano sul ventre della drow, dove la sua creatura - la sua bambina, le fate potevano percepirne l'energia femminile - stava venendo al mondo. Solo che era debole, la sua energia era come la fiammella di una candela sul punto di spegnersi. Sarebbe nata e poi sarebbe morta dopo pochi secondi.
"Bambina senza nome" annunciò Eivy, prendendo un respiro profondo per farsi coraggio. "Presto passerai la Soglia, noi lo sappiamo. E quando accadrà, tu non morirai. Il mio dono per te è quello della Vita."

Le altre fate trattennero il respiro, incredule che Eivy lo avesse fatto davvero. Il Dono era stato promesso. Non c'era ritorno.
E poco dopo, quando la bambina passò finalmente la Soglia - quella tra la non-vita e la vita, fra il ventre di sua madre e il mondo esterno - il suo cuore si fermò per un secondo di troppo...
...e poi riprese a battere.
Forte. Saldo. Gli Aes Sidhe sentirono quel suono rimbombare come un tamburo di guerra che annunciava la morte della loro compagna.
Ma quella di Eivy non fu una scomparsa immediata. La fata sorrise alla neonata e a Krystel, e poi ai suoi amici.
"Sento la nostra dea che mi chiama" confidò loro, con una certa sorpresa. "Non la sentivo da tanto tempo. È... bello. Sento come una gioia diversa, piena di pace. E tutt'a un tratto... sono così stanca."
Eivy si stiracchiò, come una donna mortale che vuole andare a dormire. Ma gli Aes Sidhe non sentono la stanchezza, mai, potrebbero ballare per tutta l'eternità. Eivy stava cambiando. Stava cessando di essere una Bean Sidhe.
I suoi compagni la guardarono diventare trasparente, inconsistente, e poi svanire come il fumo dell'incenso che viene disperso dal vento. La guardarono con diversi gradi di stupore e di orrore.

"Non può averlo fatto" sussurrò Danya dopo un lungo momento. "Non può. Dovevamo andare a cercare le lucciole stasera."
Darvin fu il primo a riprendersi. Aveva le guance bagnate di lacrime, una cosa molto rara per uno della sua specie. Loro di solito accompagnavano la morte, ma quella degli altri. Non quella dei loro simili.
"Bambina senza nome" si fece avanti e toccò il minuscolo corpicino della neonata, ancora fra le gambe di sua madre. Krystel non aveva ancora trovato la forza di sollevarsi. "La tua vita comincia sotto i peggiori auspici. C'è qualcosa di triste e funesto nella tua nascita. Io ti Dono la capacità di provare un po' della mia gioia, così che tu mi permetta di provare un po' di tristezza" affermò stancamente.
Poteva sembrare un Dono impegnativo, ma non era che un desiderio anche per lui. Darvin aveva amato Eivy, l'aveva amata molto. La sua natura fatata l'avrebbe spinto a dimenticarla pur di non provare dolore o tristezza. Lui non voleva dimenticarla. Accettare di provare tristezza era l'unico modo per mantenere anche il ricordo di lei.
Il Duine Sidhe uscì in silenzio, senza più rivolgere parola agli altri. Aveva bisogno di solitudine, e di riflettere su quel Dono che in qualche modo l'avrebbe per sempre legato alla bambina. Alla creatura che aveva in sé il soffio della vita di Eivy.

Krystel riuscì finalmente a risollevarsi e occuparsi della neonata, tagliando il cordone ombelicale e controllando il suo stato di salute. A modo loro, le fate stavano facendo la stessa cosa.
La bimba era prematura, troppo prematura, e il fatto che fosse fisicamente sana non era abbastanza.
"Bambina senza nome" una delle tre fate rimanenti si avvicinò e la toccò, anche se Krystel la teneva in braccio. "La mia migliore amica ha dato la vita per te. Sarebbe un crimine lasciarti incompleta. Io ti Dono la capacità di ragionare, di avere una mente che comprende il mondo e controlla il suo corpo. A me... piacerà smettere di pensare, fino alla fine della tua vita." Annunciò tranquillamente.
Uscì in silenzio anche lei, ma non riuscì ad arrivare fino al suo tumulo funerario, come aveva fatto Darvin. Appena fuori dalle mura della locanda, ex-abbazia consacrata a Chauntea, la Bean Sidhe che gli altri chiamavano Wylla si appoggiò al muretto di cinta e si lasciò scivolare a terra. Non aveva più il controllo sul suo corpo.

"Bambina senza nome" intervenne Alara, la Bean Sidhe che aveva capito per prima che Krystel stava partorendo. Era molto ricettiva, e aveva capito che nonostante il dono di Wylla c'erano ancora alcuni canali nella mente della neonata che erano chiusi, canali percettivi. "Noi fate abbiamo molti più sensi di voi mortali. Voi vedete, udite, annusate, toccate e gustate, e alcuni di voi, i più fortunati, percepiscono anche in altri modi. Noi Aes Sidhe invece siamo un tutt'uno con la natura, abbracciamo il mondo con tutto il nostro essere. Ti Dono quello che a te servirà immensamente, ma di cui posso fare a meno. Ti Dono la capacità di vedere con i tuoi occhi."

Danya rimase da sola, l'unica fata rimasta a fare compagnia a Krystel e alla bimba.
Per un lunghissimo momento rimase in silenzio a guardarle, mentre covava sentimenti che erano davvero inusitati per lei, come Bean Sidhe: disagio, rancore, dolore. Non provava nulla di simile da quando era ancora una mortale.
Sapeva che quei sentimenti sarebbero passati presto. Non fanno presa su quelli del suo popolo, come l'olio non fa presa sull'acqua.
"No" decise infine, sferzante. "No, solo no! Non avrai nulla da me. Non voglio togliermi nulla, non voglio rischiare di ricordare che questo giorno è avvenuto. Piccola fragile inutile bambina. Hai avuto abbastanza da noi!"
Lo disse con una certa acredine, ma tanto la neonata non poteva sentirla. Nessuno poteva sentirla mentre era nella sua forma impercettibile, nemmeno Krystel. Ma la piccola non avrebbe potuto sentirla nemmeno se Danya fosse stata corporea e le avesse gridato nelle orecchie. La fata lo sapeva. Ma decise che non le importava.



**********
Note:
Il trope di oggi è Fairy Godmother, ossia quella figura fatata che aiuta la protagonista. In questo caso, l'aiuto viene più concretamente che mai da Eivy, mentre Danya al suo opposto si rifiuta di essere una simile figura per la bimba.
Una breve spiegazione sugli Aes Sidhe: "Aes Sidhe" (creature di mia invenzione ispirate da vario materiale HB online e 3rd party) è un termine neutrale che indica sia le femmine di questa specie (Bean Sidhe) che i maschi (Daoine Sidhe, al singolare Duine Sidhe). Le loro capacità sono quasi identiche, cambia il fatto che le femmine possano annunciare la morte con il loro urlo e i maschi no.
Sul perché ci siano degli Aes Sidhe vicino alla locanda di Krystel: è stato accennato in altre storie che la locanda di Krystel fosse un tempo un'abbazia di Chauntea, poi il clero venne lentamente distrutto dall'interno da un'infiltrazione di seguaci di Talona, la dea delle malattie e dei veleni. Krystel e Daren hanno poi sgominato i seguaci di Talona (evento citato in White lies e in Jolly Adventures). Questi Aes Sidhe erano chierici di Chauntea che Krystel non ha potuto salvare, ma che erano morti abbastanza di recente da poter essere seppelliti con i dovuti onori. Sono più di cinque. Questo è solo il gruppetto che ha seguito Eivy.

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Capitolo 29
*** 130 HA: Gone Horribly Right ***


Questa storia partecipa alla challenge #IncorrectQuotes del gruppo facebook Hurt/Comfort Italia - Fanart and Fanfiction - GRUPPO NUOVO.
Prompt:
Steekaz: Am I going too far?
Plio: No, no, no. You went too far about seven hours ago. Now you're going to prison.


130 HA: Gone Horribly Right


Città extraplanare di Sigil, nei sotterranei di un edificio abbandonato

Non esistono edifici abbandonati a Sigil. O almeno, tutto esiste a Sigil, ed è tutto radunato in una città di circa 48 miglia quadrate di terreno calpestabile[1], quindi la cosa che esiste di meno a Sigil sono gli edifici abbandonati.
Steekaz ne era consapevole, ma un piccolo goblin infingardo come lui non si sarebbe lasciato fermare da un concetto aleatorio come quello di "proprietà privata". Nessuno veniva visto metter piede nella casa da almeno sette giorni, tanto bastava per dichiararla abbandonata.
"Se è abbandonata, perché siamo passati dal lucernario del seminterrato?" Gli chiese sottovoce Plio, unica altra goblin della sua squadra e sua complice nell'effrazione.
"Tutti ci avrebbero visto se avessi tentato di forzare la porta, no?" Rispose lui a denti stretti, mentre armeggiava con una delle porte interne. Il seminterrato si era rivelato essere qualcosa di più che una semplice cantina: era una sorta di laboratorio. Pieno zeppo di cassetti, scatole, piccoli scrigni, pacchetti dall'aria misteriosa, pergamene, appunti, alambicchi e tomi di magia... e quello che Steekaz e Plio stavano cercando avrebbe potuto essere ovunque. Avrebbe potuto essere una qualsiasi di quelle cose.
Quello che stavano cercando era la merce di scambio più pregiata che si potesse trovare a Sigil: una Chiave per uscire dalla città.

Sospesa nel vuoto da qualche parte nel multiverso, la città extraplanare di Sigil non aveva delle normali vie d'uscita. Non c'erano strade che conducessero fuori da quella stranissima metropoli costruita a forma di ciambella. I cittadini alzavano lo sguardo al cielo e vedevano solo altre case: il panorama stesso non sembrava lasciar sperare in una via d'uscita. A Sigil, tutto quello che esisteva era Sigil.
E poi c'erano le Chiavi. Oggetti magici - anzi, non sempre erano oggetti - che permettevano di aprire Portali o di teletrasportarsi su altri Piani.
Una chiave poteva essere qualsiasi cosa: un libro da aprire e da leggere davanti a uno specchio, un simbolo da tracciare con l'inchiostro sulla schiena di un gatto, un pugnale con cui strappare un occhio a un githyanki, una canzone da cantare al contrario, tre ricordi sconosciuti a chiunque altro, una normale chiave da inserire in una toppa che appariva solo per un minuto ogni dieci giorni... anche per un cacciatore di chiavi era impossibile sapere cosa sarebbe stata la prossima chiave che avrebbe trovato.

Steekaz e Plio erano cittadini molto atipici: loro viaggiavano spesso. Facevano parte di una società di spedizioni interplanare, la Goblal Hexploring. Si occupavano di recapitare pacchi, messaggi, e di recuperare merce e informazioni per chi poteva pagare. Steekaz in particolare accompagnava ogni spedizione, perché aveva con sé una chiave che avrebbe sempre riportato lui e il suo gruppo a Sigil. Plio, una cosetta graziosa perfino per una goblin, gli stava accanto per fornirgli protezione: nessuno maneggiava uno spadone a due mani con la maestria di Plio Largaspada, campionessa dell'Arena di Sigil.
Quel giorno però non si trovavano in missione su qualche Piano lontano, ma nella loro stessa città, e la meta che si erano prefissati era ambiziosa: recuperare una Chiave che si diceva fosse in possesso di un tiefling alchimista, un uomo dalla reputazione fosca.
Non che Steekaz e Plio fossero proprio dei chierichetti.

"Hai scassinato tutti i cassetti e tutti i bauli del laboratorio, e le nostre lenti magiche non hanno trovato traccia di incantesimi. Se c'è una Chiave, non dovrebbe essere magica?" Si lamentò la piccola guerriera.
"Appunto, non è normale che nella casa di un alchimista non ci sia niente di magico. La cosa mi puzza. Non me ne andrò senza quella Chiave, socia. Si vocifera che possa aprire un Portale su un mondo tecnologicamente avanzato, e che sia per quello che l'alchimista Mefrigo ha tanto successo: perché ha imparato laggiù. Riesci a immaginare il potenziale guadagno?"
"Ed è per questo che vuoi espandere la nostra esplorazione al resto della casa? Se l'alchimista fosse proprio su questo Piano di cui parli, e tornasse mentre noi frughiamo fra la sua roba?"
Steekaz interruppe il suo lavoro sulla serratura della porta e fissò la compagna di misfatti per un lungo momento.
"Dici che sto andando troppo oltre?"
Plio emise un suono strozzato, a metà fra uno sbuffo e una risata trattenuta.
"No, no, no. Sei andato troppo oltre sette ore fa. A questo punto stai andando in galera."
Il goblin scassinatore le rispose con un'altra risata, parimenti senza allegria.
"E allora tanto vale" affermò, fatalista. Con un ultimo scatto del grimaldello riuscì a far scattare la serratura.
E anche la trappola a cui era collegata.

Una trappola mal congegnata scatterebbe ad altezza uomo, diciamo, dove potrebbero esserci il torso o la testa. Una trappola fatta bene, invece, tiene conto che a Sigil vivono anche creature piccine: halfling, gnomi e goblin. Un dardo di trappola che conosce il suo mestiere scatterà all'altezza di una coscia umana, sperando di colpire un'arteria, oppure la testa o la gola di una creatura di taglia minuta.
Per Steekaz non fu nessuna delle due: un ladro abile come lui aveva imparato a evitare i dardi di una trappola nel momento in cui la sentiva scattare. I suoi riflessi fulminei e il suo istinto lo portarono fuori pericolo in un lampo.
Non fu lo stesso per Plio.

"Plio! No! NO!"
Qualcuno aveva gridato, e Steekaz dopo un momento si accorse che era stato lui. Ma non aveva mai visto tanto sangue. O forse sì, ma non aveva mai avuto importanza, perché prima d'ora non era quello di Plio. Il dardo l'aveva colpita al collo e il sangue non si fermava e mentre Plio cadeva a terra Steekaz non riusciva a credere che ci fosse così tanto sangue nel corpo di un goblin.
Dopo una manciata di interminabili secondi, finalmente lo scassinatore reagì.
"Plio!" Si gettò accanto a lei, inginocchiandosi e prendendola fra le braccia. "Che faccio? Oddio. Il dardo. Se lo tolgo sanguinerà di più. Plio, puoi respirare?"
La goblin prese un respiro spezzato e cercò di annuire, ma stava perdendo troppo sangue ed era debole. Il colore stava sparendo dalle sue guance e Steekaz vide che la stava perdendo.
No, no, no. Cosa faccio?
Steekaz sfilò un braccio dalla manica della camicia e la strappò via, ricavandone abbastanza stoffa da fasciare il collo sottile di Plio. Non era un lavoro facile: voleva fermare l'emorragia ma non poteva rischiare di spingere il dardo più a fondo, e allo stesso tempo non si azzardava a sfilarlo.
Sapeva che tamponare il sangue era una misura temporanea.
Non c'erano delle pozioni di guarigione qui?
Il ladro era certo di averle viste. Erano quelle ad avergli fatto capire che qualcosa non andava: quel tipo di pozioni di solito sono magiche, ma queste non rivelavano alcuna magia davanti alle loro lenti divinatorie. Qualcosa mascherava tutto ciò che era magico nel laboratorio, oppure l'alchimista aveva trovato il modo di produrre pozioni di guarigione senza magia.
A Steekaz non interessava, gli bastava che funzionassero.

Il giovane goblin non avrebbe saputo dire quanto tempo impiegò per ritrovare le pozioni che credeva di aver visto in mezzo a tutte quelle cianfrusaglie: secondo lui, secoli. Ma in realtà fu meno di un minuto, per fortuna. Quando tornò da Plio, la fasciatura improvvisata era già inzuppata di sangue fresco.
Forza, amore.
Steekaz sollevò delicatamente la goblin svenuta, stappò la prima boccetta e la avvicinò alle labbra della guerriera. Un po' di liquido chiaro cadde all'interno della sua bocca socchiusa, ma lei non fece atto di poter deglutire.
Oh no. Oh no no no. Sarà troppo tardi? No! Maledizione, non dovevo spostarmi. Quel dardo era per me.
Steekaz Scostò la fasciatura sul collo di Plio. Fino a un momento fa non avrebbe rischiato, ma ormai lei stava morendo, e non aveva più niente da perdere. Lasciò cadere una goccia di pozione di guarigione direttamente sulla ferita, e fu sollevato di sentirla sfrigolare leggermente. Un angolo della ferita si era richiuso? Troppo difficile dirlo, sotto il sangue.
Si sistemò meglio la compagna fra le braccia, poi con la mano libera sfilò delicatamente il dardo dal collo mentre con l'altra mano fu lesto a versare altra pozione sulla ferita, contrastando un nuovo, debole fiotto di sangue che cercava di uscire. Con suo immenso sollievo, la ferita si richiuse quasi subito. Questo voleva dire una cosa importantissima: Plio era viva, perché la magia di guarigione non funziona sui cadaveri.
Viva, ma ancora debolissima. La ferita ormai era chiusa, ma lei aveva perso molto sangue ed era ancora svenuta. Non sembrava in grado di inghiottire un'altra fiala di pozione, che l'avrebbe rimessa in forze.
Steekaz fu costretto a rimanere lì con lei per ore, mentre il sangue si seccava sul pavimento e Plio lottava fra la vita e la morte, ma lui non sapeva onestamente che altro fare. Uscire a cercare aiuto avrebbe voluto dire lasciarla sola, e lui non poteva farlo, non poteva.

Alla fine, alcune ore dopo, finalmente la sentì deglutire e tossicchiare. Le sollevò di nuovo la testa e provò a farle bere un po' di pozione di cura: questa volta, lei riuscì a inghiottirne un po' prima di tossire, ma poi cercò ancora la pozione, per istinto. Lui l'aiutò a finire la fiala.
Finalmente un po' di colore tornò sulle guance della goblin, che da grige che erano assunsero di nuovo una vaga, adorabile tinta verde pastello.
"Plio!" Steekaz le passò un braccio dietro le spalle e la aiutò a mettersi seduta. "Mi dispiace, socia, mi dispiace tantissimo. Dovevo stare più attento!"
La guerriera emise una sorta di sospiro, forse stanco, forse esasperato oppure soltanto dolorante. Indicò un'altra fiala di pozione.
"Oh! Ma certo!"
Steekaz provò a imboccarla di nuovo, ma stavolta lei gli strappò la boccetta dalle mani e bevve da sola. Tossicchiò, e infine parlò.
"Steekaz, sei proprio un imb... hmf"
Non concluse mai la frase perché lui l'aveva baciata di slancio.
Quella era la prima volta in cui il ladruncolo si azzardava ad esternare i suoi sentimenti, e la donna diventò di un verde ancora più acceso, che è quello che fanno i goblin della sua razza al posto di arrossire.
Mise le mani sulle spalle del collega e lo allontanò con uno strattone.
"Scusa" mormorò lui, con un sorriso incerto, stiracchiato al massimo possibile per coprire il disagio e l'orrore di chi realizza che cosa ha appena fatto. "Sono andato troppo oltre?"
Plio gli rivolse un sorrisetto acido di chi, invece, cerca di coprire qualcos'altro. Lo afferrò per il colletto e gli tirò una sonora testata sul naso.
"Sì." Rispose, mentre Steekaz si portava una mano al naso. Gli aveva causato un'epistassi e lui stava gocciolando sangue sulla camicia. "Non provarci mai più senza il mio consenso! Non sono una preda, chiaro?" ringhiò.
Il ladro sobbalzò. Era vero, di solito fra goblin le relazioni interpersonali erano una questione di potere, di forza e debolezza. Lui però non pensava così a Plio. Lui era un goblin di città, era civilizzato.
"Fcufa" si pulì distrattamente il sangue dalla faccia e scrollò la mano. "Non era mia intenfione..."
Ma Plio non scoprì mai cosa non fosse sua intenzione, perché nel momento in cui il sangue di Steekaz toccò il pavimento, mischiandosi con quello di Plio, la pietra sotto i loro piedi divenne inconsistente e scomparve.
I due goblin capitombolarono di sotto, nell'oscurità, verso l'ignoto di un nuovo mondo. Perché a volte una Chiave è un oggetto, una parola, o una sequenza di gesti. Questa volta la Chiave era il sangue di due innamorati, versato entro il perimetro di quella casa.



**********
Steekaz e Plio erano già comparsi nella storia Weapon, ambientata circa un anno prima.
Il trope di oggi è Gone Horribly Right, quando ottieni quello che vuoi ma non va affatto come volevi.

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Note:
[1] Se mai qualcuno si fosse preso la cura di fare i calcoli, cosa che non aveva molto senso perché la Signora del Dolore, incontestabile sovrana di Sigil, aveva il potere di modificare le dimensioni della città a suo piacimento.

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Capitolo 30
*** 930 DR: Predator Turned Protector ***


930 DR: Predator Turned Protector



Da qualche parte nel Mare delle Stelle Cadute. Estate.

L'acqua del mare sciabordava intorno agli scogli, fondendosi in un suono rilassante anche se un po' troppo forte. Un po' troppo ossessivo. Le onde si infrangevano e creavano alti spruzzi, bagnando di acqua salata chiunque fosse così folle da arrampicarsi su quelle sporgenze rocciose.
Un'onda più mite delle altre s'incuneò fra gli scogli anzichè sbattervi contro e, come una marea, trascinò verso il mare alcuni rifiuti che vi erano rimasti incastrati. Un remo. Un'asse di legno spezzata. Un teschio umano.
All'unica occupante non sembrava importare molto. Stava sdraiata sul suo scoglio, il più comodo di quel minuscolo arcipelago, e si beava della luce del sole. Era passato molto tempo dall'ultima volta in cui aveva visto passare una nave, non aveva molto da fare.
"Buongiorno" una voce umana la strappò dal suo dormiveglia. La sirina si riscosse e si alzò seduta, occhi spalancati ed espressione allarmata. La sua carnagione verde-argentea divenne color cenere per lo spavento.
"Scusami, non volevo spaventarti…" davanti a lei, sul suo scoglio, si ergeva una donnina umana. La voce era sottile, da bambina, anzi quasi da folletto. Non era l'unica sua stranezza: i capelli erano argentei, con una sfumatura azzurra, e facevano a pugni con i suoi vestiti sgargianti da guitto.
"Che cosa sei?" Domandò la creatura acquatica, tirandosi le gambe contro il petto. "Come sei arrivata qui? Non ho visto nessuna barca."
"Ah no? Devo essere arrivata volando" scherzò l'altra. "Non pensarci troppo, sono soltanto una cantastorie. Sono in cerca di ispirazione e tu… sei una leggenda."
La sirina, perplessa, si puntò un dito contro il petto. "Io?"
"Sì, certo, tu. Sull'isola di Kelthann sei la notizia del mese. La meravigliosa sirina che attira gli uomini con il suo canto e li conduce alla morte. Posso sapere perché lo fai?" Continuò l'altra, sempre con quella sua vocetta assurda.
La creatura fatata boccheggiò, un paio di volte, presa in contropiede dalla domanda. "Perché posso." Rispose semplicemente.
"Perché posso, bella questa, me la devo rivendere" celiò la barda. "E perché hai lasciato andare Tim Sandson?"
"Chi?"
Il sorriso dell'altra vacillò per la prima volta.
"Tim Sandson, del Turacciolo del mare. Giovane, capelli mori, pieno di lentiggini… occhi verdi da schianto. Hai fatto affondare la sua nave ma lui no, lui lo hai lasciato scappare." La sirina aveva l'aria di chi non riesce a seguire un discorso e nemmeno si sente stimolata a farlo. "È un bel tipo, è tornato a Kelthann su una scialuppa con un remo solo. Dai, dimmi la verità, avevi un debole per lui? Dai dai dai, dimmelo, io ho un debole per le storie romantiche!"
Seguì un lungo momento di silenzio.
"No. Non so chi sia. Dev'essermi scappato e basta. Io non risparmio gli umani che si avvicinano al mio angolo di mare."
La luce speranzosa negli occhi della barda si spense lentamente ma inesorabilmente.
"Oh, che peccato. Ma questo è noioso."
"È… che cosa?"
"L'ennesima storia di una creatura seducente che attira gli uomini con il canto e li uccide. Già fatto, già visto. Noioso." La cantastorie sospirò. "Posso sapere almeno perché? Sul serio, senza risposte a effetto."
Stavolta fu la sirina a guardarla in silenzio per un lungo momento.
"Non c'è un motivo. Mi diverte. Sono parassiti e mi piace vederli gettarsi nelle acque solo per il potere della mia voce."
La ragazza - che quasi certamente non era umana - a questo punto si tolse il voluminoso cappello e si passò una mano fra le ciocche setose.
"Accidenti, che peccato. Detesto uccidere una cosa bella."

La sirina non fece nemmeno in tempo a chiedersi cosa intendesse dire: la ragazza che fino a un momento prima sembrava carina ed eccentrica le si avvicinò un po' troppo e cominciò a cambiare.
Il suo aspetto rimase più o meno invariato, se non che… era trasparente. E inquietante. Maledettamente spaventosa.
La fata fu presa alla sprovvista quando la cantora spettrale le affondò una mano nel petto. Una mano incorporea, ma fredda.
La voce le morì in gola. Tutta la sua sicurezza stava scivolando via come acqua. Quello che pensava di sapere di sé stessa - la fata potente, che teneva in mano la vita e la morte degli uomini - stava scomparendo e rimaneva solo paura, e meraviglia.
Poi anche la paura scomparve. Non le importava abbastanza di se stessa da avere paura. Riusciva a vedere una cosa sola: lei, la donna che le stava davanti. Così bella e potente. Doveva essere una dea. Mentre lei non era assolutamente nulla.
Yrga dei Sussurri, barda, cercatrice di racconti, cantora spettrale, amante delle storie romantiche e protettrice degli idioti si alzò lentamente in volo, contemplando la sua opera.
La sirina non era morta, ma non era più neanche davvero viva. Non era consapevole di sé. Si sarebbe lasciata morire di fame, se qualcuno non l'avesse aiutata.
Ed era chiaro che nessuno l'avrebbe aiutata.



**********
Il trope di oggi è Predator Turned Protector, perché un cantore spettrale in teoria farebbe esattamente la stessa cosa che faceva la sirina di questa storia: attirare le persone verso la morte usando il suo canto. Questa sirina era più crudele delle altre esponenti della sua razza. Per contro, Yrga lo è meno, forse un giorno scriverò il suo background.
Yrga è anche protagonista della storia RS-F-1030-11-11-902.

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Capitolo 31
*** 1298 DR: Nerdsplaining ***


1298 DR: Nerdsplaining


Inizio estate, città di Silverymoon

"Non credere che possa perdonarti così facilmente, Imadain Terrence Duskwatcher" sibilò la ragazza a denti stretti, fulminando con lo sguardo il giovane uomo seduto davanti a lei, dall'altra parte del tavolino di quel café alla moda.
Il ragazzo si portò un dito alle labbra. "Sssh! Ti supplico, non chiamarmi per nome."
"Ah! Lo so, sono terrificante quando lo faccio" si vantò lei. "Ma te lo meriti, non pensi?"
"Voglio solo dire… sono qui in incognito, Erika, non pronunciare il mio nome ad alta voce. Appartiene a un professore universitario, e il mio cognome mi potrebbe mettere nei guai."
"Oh, no, sarebbe terribile" lo motteggiò lei, guardandosi le unghie "sarebbe imperdonabile se qualcuno rivelasse un tuo segreto mettendoti nei guai! Sai, come un infame ha fatto con me, rivelando alle autorità cittadine che sono una vampira" lei gli lanciò un'altra occhiata velenosa.
"Be'… sai perché l'ho fatto. Era l'unico modo per prendere le distanze e…"
"Ma mi hai voluta vedere per scusarti o per insistere sulle tue posizioni? Fammi capire."
"Per scusarmi" concesse lui. "Non ritratto i motivi per cui l'ho fatto, ma mi rendo conto che sono andato troppo oltre."
"Troppo oltre." Ripeté lei lentamente. Sollevò la tazza di tisana calda che aveva davanti, mimando un brindisi, e poi la sorseggiò. La cameriera l'aveva guardata con curiosità quando aveva ordinato una bevanda calda in quella mattinata torrida, ma Erika non amava le bevande fredde. Quasi non sentiva i sapori - tranne che del sangue, ovviamente - ma non sopportava la sensazione di freddo sulla lingua. "Ho un maledetto cane da guardia che mi segue tutto il tempo, è insopportabile. Tu dici troppo oltre, io dico che sei stato un bastardo fatto e finito!" Inconsciamente indicò con la mano un uomo che sostava ad un tavolino dietro di loro. Era un prete di Deneir, e nemmeno troppo in incognito.
"Sì, come ti pare" anche Imadain afferrò il bicchiere che gli avevano portato, un superalcolico così cattivo e così forte che di solito non veniva mai ordinato da nessuno prima di mezzanotte. Lo scolò tutto d'un fiato. "Ma mi manchi, quattordici anni di separazione forse hanno schiarito la mente ad entrambi, non pensi? Al di là delle mie scuse e delle tue rimostranze, lo sappiamo che la verità è una e inevitabile: abbiamo solo l'un l'altra."
"Eppure sei tu che hai cercato me, non il contrario" Erika fece scattare la lingua. "Io ero quella ossessionata, parole tue, ero quella eccessivamente gelosa e possessiva, eppure in questi anni non ti ho mai cercato."
"Perché sei orgogliosa come una nobile e testarda come un mulo" bofonchiò lui. "Ma io spero… confido che entrambi abbiamo capito i nostri sbagli." Lo disse facendo un gesto con la mano verso di lei, come se volesse lasciarle spazio e allo stesso tempo invitarla a parlare.
Seguì un lungo momento di silenzio.
"Tu stai… aspettando che io mi scusi?"
"Penso che aiuterebbe a ricominciare col piede giusto, se entrambi riconoscessimo i nostri errori" confermò lui.
"Ma vaffanculo, Terry. Di cuore, vaffanculo."
"Erika…"
"Mi scuserò quando tu mi avrai dimostrato in modo indubitabile che sei dispiaciuto di avermi consegnata alle autorità! Perché la mia esistenza è diventata una forma di prigionia da allora e il fatto… il fatto che tu non lo riconosca mi fa andare in bestia."
"Lo riconosco. E mi dispiace."
"Parole! È comodo spendere solo parole."
"D'accordo, allora, dimmi cosa vuoi che faccia! Dimmi cosa devo fare perché tu ti convinca oltre ogni ragionevole dubbio che mi rincresce per quello che ho fatto."
Erika sorrise. In pieno sole i suoi poteri di vampira erano assopiti e i suoi canini erano semplici denti da umana, ma il suo ghignò riuscì comunque a mandargli un brivido lungo la spina dorsale.
"Sono felice che tu mi dia carta bianca, perché domani inizia un ciclo di conferenze sull'archeologia… e sono aperte al pubblico."
Imadain Terrence Duskwatcher, incantatore plurisecolare, cronomante, molte volte professore all'università di Silverymoon sotto diverse identità fasulle, e soprattutto viaggiatore temporale, impallidì al di sotto della sua tiepida abbronzatura.
"No" sussurrò con voce spezzata. "No, ti prego."
"Oh, sì."
"Erika…"
"Mi ami ancora, Terrence?"
"Non è così semp…"
"È così semplice. Mi ami e mi rivuoi indietro, oppure no?"
"Erika, la tua crudeltà è senza misura."
"Sciocchezze! Voglio solo farmi una cultura, lady Alustriel ha proibito che io studi magia ma non muoverà obiezioni verso argomenti di cultura generale. A chi potrà mai nuocere, che io apra la mia mente alle delizie della conoscenza su… gli usi alimentari del basso Netheril? C'è una conferenza su questo il primo giorno."
"Ti supplico…" la voce uscì quasi come un pigolio.
"O sullo sviluppo della metallurgia presso gli antichi regni nanici, com'è che si chiamava quel popolo, ce l'ho sulla punta della lingua"
"Va bene, insomma, se è solo… solo per un giorno…"
"Sono tre giorni di conferenze, biscottino mio, dieci ore al giorno. E sai cosa, intendo proprio frequentarle tutte."
"Ma a te non interessa questa roba" provò ad obiettare lui.
"Solo per vedere la tua faccia" concluse lei. "E mi aspetto di vederti sereno e sorridente. Niente proteste. Niente borbottii come una vecchia pentola di fagioli sul fatto che questo o quest'altro non è storicamente accurato."
"Erika, l'archeologia non è una scienza esatta, per ogni cosa che indovinano ce ne sono dieci che vengono interpretate a ca…"
"Sì" lei allargò il suo sorriso. "Sì. E tu le ascolterai. E non potrai correggere nessuno, perché altrimenti ci si chiederebbe come fai a saperlo."
"Sento già la mia anima che si contorce di dolore" mormorò lui, ed Erika sapeva che non era un'esagerazione. Terrence aveva a cuore cose come la trasmissione della conoscenza in modo corretto, l'accuratezza, la verità. Era forse un po' eccessivo? Sì, soprattutto per il suo stesso bene, ma dopotutto era un vecchio. Non lo dimostrava, ma lo era.
"Prometto che se piangerai sangue asciugherò le tue lacrime" scherzò lei. Ma neanche troppo.
"E dopo di questo, cosa? Mi porti anche a parlare con un crocchio di vecchietti di campagna per farmi spiegare come le loro stupide superstizioni siano magia? Perchè è questo il livello culturale di cui stiamo parlando, ne sei consapevole?"
Lei si fece una risata. La prima vera risata da quattordici anni.
"Non essere scortese verso i tuoi colleghi professori. La branca di archeologia ha bisogno di fondi, mi aspetto il pieno ed entusiasta supporto da parte del professor Imadain Duskwatcher. Dopotutto non ti fai passare per un amante delle tradizioni popolari?"
"Sì, tradizioni popolari recenti, di cui ci sono testimonianze scritte, c'è un abisso di differenza fra un archeologo e uno storico! La differenza è che uno storico può passare informazioni comprovate e un archeologo può solo formulare teorie. Che spesso sono fantasiose!"
"Non vedo l'ora di vederti friggere ascoltando fregnacce con un bel sorriso stampato in faccia" lo punzecchiò lei, girando il cucchiaino nella tisana fino a sciogliere completamente il miele.
"Non puoi pretendere che ci venga in veste di professore però, ci verrò con un aspetto giovanile, così penseranno tutti che sia uno studente" obiettò.
"No no. Ci verrai come professore. E sorriderai, e applaudirai, e terrai chiusa la bocca. Altrimenti io terrò chiuso qualcos'altro, forse per altri quattordici anni."
Terrence gemette. Era una richiesta terribile e senza margine di contrattazione. Ma alla fine annuì, perché la amava e perché gli era mancato il suo essere una stronzetta melodrammatica.



**********
Note: il titolo di oggi non è un trope ma un neologismo spiegato qui. Terrence vorrebbe tanto poter fare nerdsplaining, essere il tipo che dice "well, actually…", ma non può farlo e questo lo dilania dentro.
Il motivo per cui si stanno riappacificando è narrato nella storia Secret.

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