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Autore: NPC_Stories    10/10/2019    2 recensioni
Collezione di oneshot fantasy a tema "fairy", come indicato nella lista di Inktober che io e la mia affezionata illustratrice Erika abbiamo scelto (no, non Erika la webmaster, un'altra Erika). Io scrivo, lei disegna... speriamo di tenere il passo!
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Alcune di queste storie saranno ambientate nel nostro mondo, alcune altre nell'ambientazione del fandom in cui sono più attiva, Forgotten Realms, e altre ancora saranno ambientate in mondi di mia creazione o di fantasy generico, o parodistico.
Alcune di queste storie vi faranno ridere (spero), altre vi faranno piangere (mh, forse sto esagerando), ma in ogni caso mi auguro che tutte vi piacciano.
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Che la vostra vita possa essere piena di momenti di piccola meraviglia!
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Forgotten stories of the Forgotten Realms'
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10. Earrings


Sotto-genere: avventura, comico, femslash
Ambientazione: Forgotten Realms
Nota: spin-off di Nemici molto singolari


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1320 DR, regione del Lago dei Vapori

Beith aveva una vera passione per i gioielli.
Come quasi tutte le creature fatate, era un’esteta e un’edonista. Amava le cose belle semplicemente perché erano belle.
Non era solo questo, però. La sua passione per i metalli preziosi, le gemme multicolori e i ninnoli più delicati andava oltre la normale vanità; la jaebrin era stata per millenni prigioniera in una perla magica, e prima di allora era stata schiava di un padrone crudele. Quando infine era stata liberata, il suo nuovo padrone aveva scelto di impiegarla come commessa in un negozio di gioielli semi-preziosi di cui era indirettamente proprietario. Era stato il primo lavoro in cui Beith si fosse sentita davvero valorizzata, e la sua sorvegliante, la signora Marian, l’aveva sempre trattata con gentilezza. Beith era tornata lentamente alla vita, a sentirsi una persona, grazie a quel lavoro e all’autostima che aveva ritrovato.
Era brava nel ruolo di commessa. Aveva occhio per la vera bellezza e sapeva guidare anche le sue clienti verso quel nobile obiettivo. Marian le aveva fatto i complimenti molte volte, e così ad un certo punto Beith aveva cominciato a pensare che forse si meritava di più. Di più che essere una schiava, anche se i suoi padroni erano buoni e gentili.
Beith credeva di meritarsi una vita libera, con tante cose belle.
Per questo un giorno aveva aspettato che Marian uscisse dalla bottega per una commissione, poi aveva svaligiato il posto con solerzia ed era fuggita via mare.
Non era stato difficile: ogni giorno nuovi mercantili facevano scalo a Derlusk, la città in cui si trovava all’epoca.

La sua via non l'aveva portata poi molto lontano: solo al di là del Mare dei Vapori, nella città portuale di Ankhapur. Era come se, nonostante la libertà, avesse paura a prendere completamente il volo per esplorare il mondo; all'inizio si era fermata in quella città perché era affascinata dalle sue popolose colonie di gatti alati, ma poi era rimasta semplicemente perché si era creata una routine.
Nonostante il suo aspetto esotico che ricordava quello di un’elfa dei boschi, era riuscita a trovare lavoro. Un vecchietto di buon cuore l’aveva assunta presso la sua piccola agenzia di cartografi. Era una professione originale, ma non unica nella regione; assoldavano gruppetti di avventurieri per mandarli ad esplorare regioni di confine, città straniere e dungeon, e uno dei cartografi della compagnia li accompagnava per prendere appunti e preparare bozzetti di mappe. Nel frattempo i cartografi amanuensi, meno abili nel lavoro sul campo, restavano in città e completavano le cartine con delicati e precisi disegni, o facevano copie dei documenti che avevano in archivio.
In tutto questo, Beith andava a comprare le focaccine dolci e il tè per gli amanuensi.
Avrebbe voluto diventare anche lei una cartografa, per andare all'avventura insieme a un gruppo di eccentrici mercenari che avevano visto il mondo. Però prima avrebbe dovuto imparare a disegnare mappe, e dopo qualche tentativo aveva capito che rispettare limiti e proporzioni non era cosa per lei.
Per il momento era rimasta in città, a comprare focaccine dolci, accarezzare gatti e sognare un futuro che non osava affrontare.

Ora, è molto importante ricordarlo, Beith aveva una vera passione per i gioielli. Più ancora che per i gatti alati e per i sogni di avventure.
La città esportava perle, ma lei non considerava le perle come vere pietre preziose, erano comuni come il pane (in certe zone della città erano usate come moneta) e poi aveva una particolare antipatia per quegli oggetti, essendo stata per millenni intrappolata in una perla.
Quando però la figlia del re della città si presentò al popolo per il suo discorso di compleanno, Beith la vide pavoneggiarsi addobbata di gioielli veri, e i suoi occhi fatati cominciarono a brillare di cupidigia.
La principessa di per sé era graziosa ma insignificante. Secondo la jaebrin erano proprio sprecati, su di lei, il collier di topazi blu e zaffiri, i bracciali d'argento lavorati ad intreccio, e soprattutto gli orecchini di diamanti blu e bianchi. Quegli orecchini, anche a venti passi di distanza, catturarono il suo cuore al primo sguardo. Erano i gioielli più eleganti che avesse mai visto, delicati eppure magnifici, dal valore di un piccolo palazzo. Il metallo stesso di cui erano fatti sembrava risplendere di riflessi azzurrognoli.

Beith decise che doveva averli.
Fu una decisione istintiva, come spesso accade alla gente del suo popolo.
Purtroppo, quando la notte dopo si introdusse nel palazzo reale, si rese conto di essersi mossa in modo troppo ingenuo e senza fare le dovute ricerche prima.
Cercò di intrufolarsi nella stanza della principessa, senza sapere che quegli orecchini facevano parte del tesoro ufficiale della Corona e che quindi non erano di proprietà della ragazza, ma venivano conservati in una speciale cassaforte insieme ai gioielli e alle corone del re e della regina.
Quindi dopo ore di appostamenti furtivi e acrobazie per evitare le guardie, riuscì ad introdursi nella stanza sbagliata, e a quel punto ormai era quasi mattina. Si mise a cercare i famigerati gioielli, ma nonostante la principessa avesse molti splendidi oggetti nella sua stanza da letto, i sontuosi orecchini non erano fra quelli.
Beith sapeva che c'erano punti della stanza che non avrebbe facilmente raggiunto senza fare rumore e svegliare la fanciulla. Sapeva anche che se qualche guardia l'avesse sorpresa nella stanza della principessa, non l'avrebbe trattata come una ladra, perché in quella città vigeva la regola della presunzione di colpevolezza per il crimine peggiore sospettabile: sarebbe stata accusata di tentato assassinio. Una faccenda tremendamente seria quando era coinvolto un membro della famiglia reale.

A complicare le cose, proprio in quel momento la principessa cominciò muoversi nel sonno, lasciando intendere che presto si sarebbe svegliata.
Non era ancora l'alba e Beith non pensava che un'aristocratica, di regola, si degnasse di aprire gli occhi prima di metà mattina. Quello che non sapeva era che la principessa aveva sempre avuto problemi di insonnia. Specialmente nell'ultimo periodo in cui stava accumulando sempre più stress e preoccupazioni.
La giovane figlia del re mugugnò qualcosa e prese un lungo respiro, poi aprì gli occhi.
Per un momento le sembrò di scorgere come una sagoma umana nella penombra. Prima che avesse il tempo di realizzare che c’era un intruso nella sua stanza, quella persona si chinò su di lei e le chiuse la bocca con un bacio.

Beith venne spinta indietro con forza, ma se lo aspettava. Un bacio a sorpresa non è una cosa molto corretta, praticamente è una molestia, ma lei preferiva passare per una ammiratrice inopportuna piuttosto che per una ladra o un’assassina. La pena il tentato omicidio era l’impiccagione, mentre per il furto andava dal taglio della mano alla schiavitù.
Baciare una principessa nel sonno, al massimo, era lesa maestà. Qualche giorno alla gogna.

Lady Lurene, principessa adolescente di Ankhapur, non si era mai considerata propriamente bella. Sapeva di essere graziosa, aveva affinato le sue maniere fino a raggiungere la perfezione dell’eleganza, ma non era una bellezza folgorante. Tantomeno la mattina, appena sveglia.
L’elfa che si era infiltrata nella sua stanza invece era davvero splendida. Lurene non aveva mai visto un elfo dal vivo, aveva solo sentito parlare del loro aspetto esotico, ma non sapeva nulla sulla loro cultura. Non credeva che nella sua città vivessero degli elfi, o che potessero essere interessati agli umani. O agli individui dello stesso sesso, per dirla tutta.
Quando la leggiadra creatura cominciò a declamare i suoi sentimenti, Lurene arrossì furiosamente.
“Ma io sto per sposarmi” pigolò, interrompendo il monologo dell’elfa. “La vostra presenza nella mia stanza è alquanto irregolare.”

Beith si esibì nella sua migliore smorfia desolata. Le riusciva facile; con i suoi occhi azzurri luminosi e la sua piccola bocca a cuore, aveva un volto molto espressivo. Negli ultimi mesi si era esercitata a mostrare esattamente le emozioni che voleva.
“Siete sprecata, in un matrimonio combinato” la fata scosse la testa, e in parte lo pensava davvero. Non le importava dell’umana, ma non le piaceva vedere una donna venduta ad uno sposo contro la sua volontà. “Se le mie attenzioni non sono gradite vi lascerò stare. Ma vi prego, non fatemi arrestare. Non punitemi per avervi voluta vedere.”
Lurene si passò una mano fra i lunghi capelli corvini, scompigliati dal sonno.
“Andate via prima che le guardie vi vedano” borbottò, in tono di rimprovero.
Beith capì di averla scampata.
Rivolgendo un ultimo sorriso malinconico alla fanciulla, si allontanò dal suo letto e camminò in punta di piedi verso la porta.
La principessa la guardò uscire, senza sapere cosa pensare. Mentre l’elfa si allontanava (non le aveva nemmeno chiesto il nome!), Lurene rimase affascinata dalle sue movenze furtive e aggraziate. Gli elfi erano davvero leggiadri come dicevano le leggende.
Sospirò, lasciandosi ricadere sui cuscini. Quanto le sarebbe piaciuto essere fuggevole come un’elfa, e potersene andare libera, passando sotto il naso delle guardie. Avrebbe voluto avere la stessa indole ribelle. Perché dopotutto la sua ammiratrice non aveva tutti i torti, e in fondo al cuore lei lo sapeva.

Quella notte Beith non aveva trovato gli orecchini, e fu solo grazie alla fortuna se riuscì almeno a scappare non vista fuori dal palazzo.
Non aveva idea che, grazie al suo piano improvvisato, il seme del dubbio stesse germogliando nella mente obbediente di una ragazza aristocratica. Se l’avesse saputo ne sarebbe stata contenta. Odiava ogni forma di schiavitù, anche quella mentale, che gli umani chiamavano dovere e responsabilità.

   
 
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