Ciao Conte Sandstorm, sono Flo e da qualche giorno sono diventata una tua lettrice.
Ho praticamente divorato in due giorni “Wild boys club” e mi perdonerai se faccio un unico enoorme commento solo alla fine, ma appena finito un capitolo neanche il tempo di realizzare che mi ritrovavo praticamente immersa in quello successivo per cui, ora, cercando di rimettere un po’ in ordine le idee e gli appunti vari che ho preso ,proverò a fare un discorso quanto meno comprensibile e spero di non scocciarti.
Sono capitata nella tua storia un po’ per caso, ne avevo sentito molto parlare su face book e così mi sono incuriosita e ora eccoci qui.
Leggendo la trama c’è stato subito qualcosa che mi ha colpito, forse quelle parole così forti accostate a parole altrettanto forti eppure così discordanti da sembrare apparentemente stonate, parole come : una cavia da laboratorio, ricerca batteriologica, sembra non esserci posto per l'amore, bande rivali e darebbe la vita per lui, ti amo, stiamo insieme.
Bè devo ammetterlo, la prima cosa che ho pensato arrivata al punto è stata: ‘ Non sono sicura che questa storia possa venire bene, c’è l’accostamento di due mondi troppo lontani per poter coesistere senza cozzare l’uno contro l’altro’ poi, però, ho letto la prima frase del primo capitolo e la seconda cosa che ho pensato è stata: ’Mi sbagliavo. Diamine, qui c’è davvero qualcosa di geniale.’
E’ una storia davvero geniale, dal ritmo incalzante e profondo, scorrevole e preciso, delicato nella durezza, sfrontato nel dolore, orgoglioso nell’amore. Ci sono delle frasi o anche delle semplici parole che da sole imprimono, nella mente di chi legge, l’intero significato della storia, della vita e dell’amore.
L’ambientazione è originale e inaspettata, è terrificante e cruda eppure c’è del miracolo tra gli angoli di tanto buio.
Ogni personaggio del racconto, dal protagonista a quello secondario, persino gli oggetti hanno vita propria e quando chiudi il computer non rimangono lì, ma ti si attaccano addosso e, talvolta con forza, talvolta con dolcezza ti portano a grandi riflessioni, ti schiaffeggiano a colpi di tristi verità e ti insegnano sempre qualcosa, sempre.
Quello che mi ha davvero spiazzato è stato questo mondo futuro, questa Forge, questo Out river. Non lo so, forse la città è solo lo sfondo di questa storia, ma io l’ho vissuta diversamente.
Per me Forge è cuore spezzato che dopo tante devastanti lacerazioni è stanco di combattere, Forge è un bambino che dopo aver pianto tutte le sue lacrime senza mai essere ascoltato è diventato apatico, Forge è un ragazzo umiliato per tanto tempo, ora diventato cattivo e vendicativo, Forge è quel grido d’aiuto dell’intera umanità che non è mai stato ascoltato perché i soldi erano più importanti, il potere prima di tutto, a qualunque costo. Forge è una vita attaccata ad un respiratore. Forge è il lato più oscuro dell’anima, Forge è la dimora di chi pur a pezzi, pur modificato, pur ricostruito, pur creato da macchine si è ribellato. Ognuno ha la sua Forge. L’Out river ce lo portiamo dentro.
Potrebbe sembrare quasi una contraddizione eppure se consideriamo le vicende che si sono succedute risulta ben chiaro come sia stato sopra ogni battaglia, sopra ogni violenza, ogni disumanità compiuta il desiderio profondo di rimanere aggrappati alla propria umanità, ai propri sentimenti che li ha salvati tutti o quasi.
Leggere tra le righe l’amore senza censura di Nathan, il silenzioso ma bruciante desiderio di Itan di proteggerlo da ogni male, ma l’incapacità di lasciarsi vincere dal sentimento, la dolcezza oltre ogni confine di Tristan nel sorprendersi al semplice odore dei fiori di ciliegio, il coraggio di Logan di sfidare tutte le leggi solo per ascoltare il proprio cuore…
E’ bello come ci siano ancora in quel mondo persone in grado di conservare la propria incorruttibilità anche ai confini del bene.
Amore. Forge.
Quando questa storia era agli inizi nessuno l’avrebbe mai detto.
A Forge non c’è posto per il cuore, l’amore è una gogna.
Già l’amore a Forge è una tacita proibizione. Non ci sono cartelli enormi sparsi per la città o leggi che lo vietano, ma questo rende tutto più difficile perché quando sono gli altri ad imporre le regole, poi, quando avvertiamo quel senso di vuoto nel petto sappiamo sempre a chi dare la colpa, ma quando siamo noi stessi a negarcelo ecco, allora, tutto è un po’ diverso, tutto è troppo doloroso da accettare. L’amore qui, è nello stesso tempo un’estenuante ricerca e indispensabile repulsione e la paura più grande non è quella di soffrire,m a di far soffrire chi resta.
Io non lo so se questa è una giustificazione valida. L’amore in fondo è per la maggior parte dolore, ma è il rischio, è il buttarsi in mare aperto senza braccioli, è andare a fare un test senza avere nessuna risposta, è il dare senza chiedere, è l’aver corso chilometri senza avere la minima idea di dove andare, è la scommessa senza conoscere la posta in gioco che ti rende l’essere più felice del mondo intero, che sia per un’ora o per sempre. La differenza è il salto.
Qualcuno sembra aver già fatto qualche passo avanti, qualcuno è ancora restio. Spero che col seguito ognuno farà le scelte giuste.
Per ora credo di aver finito. Non mi dilungo perché so che è già un poema noioso, ma per altre cose che voglio dirti aspetterò gli altri capitoli. Ciao e davvero complimenti. |