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Autore: AnnabelleTheGhost    17/12/2012    2 recensioni
In una pianura isolata del Nord California si trova il collegio della Luna Nuova, visto come riformatorio dai genitori dei "ragazzi cattivi" o come scuola d'élite per i ricconi.
In realtà la scuola nasconde nel lato Ovest una cinquantina di ragazzi fuori dal comune, dai poteri demoniaci, e l'unico scopo per gli umani sarà essere lo spuntino dei demoni.
Dal capitolo 6:
"Tutto nella sua vita era cambiato, capovolto irreversibilmente. Niente era stato prima approvato da Albert: al destino non era mai importata la sua opinione. Aveva sempre cercato di stare in piedi in qualsiasi situazione ma poi era crollato e non era più riuscito ad alzarsi.
Albert aveva perso la speranza."
Genere: Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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7. Vento gelido
 
La gelida sera si abbatté sulla terra brulla intorno la scuola, invadente, penetrando fin nelle ossa dei presenti. Al contrario, però, degli umani che sarebbero giunti poche ore dopo, quegli esseri non ebbero l’istinto di coprirsi con le loro costose pellicce o di stringere le braccia al petto in un vano tentativo di riscaldarsi. Non erano in ciò che si definisce a proprio agio ma erano in trepidante attesa che i cancelli venissero aperti e scoprire il luogo dove avrebbero trascorso il resto dell’anno.
Quell’insieme di persone era una diversa dall’altra ed erano tutto fuorché umani. Occhi rossi illuminavano la notte come braci ardenti; delle ali scure come pece fremevano, sollevando le foglie degli alberi vicini; unghie lunghissime spezzavano l’aere con violenza; denti più bianchi dell’avorio rilucevano indirettamente a causa della luna.
Tra quell’accozzaglia di gente c’era però una minoranza di individui dall’apparenza normale. Tuttavia i presenti non riconoscevano alcun odore umano che li pervadeva; non era avanzato nella mente di nessuno che quelli fossero intrusi. Una di queste persone era Haruki e si guardava intorno con disagio. Lei non riusciva a mostrare in quel modo tanto normale i suoi poteri, le costava uno sforzo, doveva persino arrabbiarsi per rivelare la propria forza. Ed era questo il motivo per cui lei era là: diventare come gli altri.
Una formosa donna bionda li teneva tutti sott’occhio: l’unico movimento accettato era l’estensione del torace per respirare l’aria frizzante che ghiacciava i muscoli del naso.
Finalmente l’accesso venne consentito; i cancelli si aprirono lentamente e la folla di ragazzi si riversò dentro. L’interno della scuola era come un mondo a parte: comparato al terreno esterno, che presentava rade chiazze d’erba, quella si poteva definire una serra. Il prato era folto ma ben tenuto e piante strane e esotiche decoravano il parco esterno.
Appena gli studenti solcarono il confine una strana sensazione indefinibile si abbattè su di loro. Non era l’aria più fredda poiché, anzi, essa era più calda e pareva accogliesse i nuovi arrivati. Era altro, invece, che solo alcuni avevano notato. Era la sensazione che l’etere fosse più pesante e che schiacciase i corpi verso terra.
Haruki e gli altri che non si erano mostrati, come lei, affannarono per un acuto senso di dolore. Haruki chinò la testa e lacrime rosse le rigarono il volto mentre le mandibole urlavano di dolore e venivano squarciate da denti affilati come pugnali, che fuoriscivano dalle labbra. Gli occhi ardevano come se fosse divampato un incendio dentro essi impossibile da spegnere. Le mani tremavano; pareva che le ossa si rinsaldassero l’un l’altra, fortificandosi.
Quando i presenti straziati dal dolore rialzarono la testa si sentirono invasi da un nuovo potere; una nuova forza si era scatenata dentro di loro: era come se un macigno depositato sul torace si fosse finalmente dissolto, lasciandoli liberi di respirare.
Haruki non si era mai sentita così: era una sensazione ignota, dalle sfaccettature oscure, ma liberatoria. La notte pareva più luminosa e viva; come un miope che indossa le lenti, la loro vista era più definita.
Solo in quel momento Haruki si rese conto delle aure emanate dai suoi futuri compagni e gli odori che contraddistinguevano ogni creatura, ma ognuno le era sconosciuto. Era tutto nuovo per lei e, nel profondo, si pentì di aver fatto tante storie con sua madre. Forse ne valeva la pena... Sarebbe stato un sacrificio che avrebbe portato dei frutti, anche se non credeva fosse così semplice e immediato.
Alcuni odori erano sgradevoli mentre altri erano come un balsamo per i nasi intirizziti dal freddo; essi, però, si compensavano in modo tale che nessuno provasse fastidio.
Il parco dell’entrata era piccolo, come un ingresso in una casa, che deve accogliere gli ospiti ed essere una via di passaggio per accedere alla dimora.
Una donna uscì dall’oscurità e si avvicinò ai presenti. Indossava una mantella rossa e la lunga treccia scura che fuorisciva da essa contribuiva a farla sembrare uscita da un libro di fiabe. Il suo volto era in ombra; gli unici contorni riconoscibili erano quelli di un paio di discreti occhiali da sole, superflui in una nottata così buia.
«Benvenuti» annunciò, attirando la completa attenzione di tutti i giovani. I loro sguardi si posarono su di lei, come attratti da una potente calamita. «Non ho intenzione di farvi rimanere molto qui fuori perciò sarò breve. Le regole in questa scuola sono poche ma chiunque le violasse dovrà incorrere a pesanti conseguenze. Prima di tutto, è vietato uscire dalla scuola per qualsiasi ragione. Potete considerare la vostra casa il lato Ovest ma tenete presente che il lato Est è destinato agli umani. Non ci sono orari per i pasti e siete completamente liberi di fare ciò che volete ma non dovrete lasciare tracce della vostra presenza. Nei primi due mesi non è permesso uccidere gli umani; vi saranno comunicati i momenti opportuni appena sarà il momento».
Si levarono dei brusii interdetti e una creatura che, dall’aspetto, pareva una ragazza di colore con curve da ventenne incrociò le braccia e borbottò un commento malevolo alla sua vicina.
«È proibito attaccare con lo scopo di uccidere i compagni. Questo è tutto, per ora. Le lezioni cominceranno domani alle venti e quarantacinque nel Parco Sud». Detto ciò la Preside si dileguò in un batter di ciglia e nessuno avrebbe saputo dire se fosse svanita o più semplicemente sgusciata dentro.
I ragazzi misero in spalla i propri bagagli, avviandosi all’entrata.
Haruki chinò la testa e prese la valigia che aveva lasciato sul prato. Era molto più leggera di quando era partita e si stupì maggiormente degli effetti di quella scuola. Già la metà degli studenti si era fatta strada verso l’interno mentre altri si trovavano in fila o erano rimasti fuori a guardarsi intorno.
Haruki non aveva intenzione di mischiarsi a quella calca perciò aspettò accanto alla scura muraglia che circondavava la scuola, distante dalla porta d’entrata.
Un bizzarro ragazzo con un bagaglio, che consisteva unicamente in un logoro zaino scolastico, girava intorno, guardando le ombre che si allungavano dalle mura e dagli steli delle piante. Aveva capelli castani foltissimi che si elevavano dal capo di diversi centimetri e nascondevano del tutto le orecchie. C’era qualcosa che si muoveva tra i capelli, facendoli ondeggiare a tratti.
Il ragazzo notò Haruki, si mise le mani nelle tasche dei jeans e si avvicinò con passo volutamente lento e strascicato. Il suo abbigliamento era assurdo, considerando che indossava solo una canottiera rossa, che non riusciva a nascondere gli svilupatissimi pettorali.
Ciò che Haruki pensò di primo acchito era che quel tipo era davvero peloso. Le sopracciglia erano dei cespugli incolti, come i peli sotto le ascelle e quelli sul busto. Gli zigomi erano punteggiati da una nascente peluria. Ma, nell’insieme, si poteva definire un bel tipo. Poteva sembrare un ragazzo normale se non fosse stato per quegli occhi rossi che tendevano al giallo e una pupilla sottile che scindeva l’iride a metà.
«Ciao, bella» si approcciò lui con un sorriso ostentato.
Haruki lo fissò con insistenza ma senza rispondere. Lui era sempre più vicino e una parte di lei era in panico per il diminuimento della sua area di privacy.
«Che ci fai qui? Non dovresti entrare?» le domandò.
Lei dimostrò le emozioni di una statua di marmo, continuando a rimanere impassibile e tenendo sott’occhio la fila che andava a diminuire davanti all’ingresso.
«Vuoi che ti aiuti a orientarti? Questa scuola è un vero labirinto, fidati. Mio fratello studiò qui e il suo primo ricordo della scuola è di una mazza chiodata in testa. Si era totalmente perso e dovette rimanere due giorni in infermeria».
La prima cosa che venne in mente ad Haruki fu Abbiamo un’infermeria? Come può qualcosa di così normaleesistere in un luogo così assurdo? Questa sensazione di normalità le diede sollievo solo per un attimo finché non si ricordò di avere un ragazzo invadente di fronte a sè. Una cosa, però, lui l’aveva azzeccata: era lampante che la scuola fosse gigantesca e c’erano buone probabilità che Haruki si sarebbe persa. Sarebbe stato meglio non accettare il suo aiuto ma non aveva altre alternative.
«Okay. Portami ai dormitori» si limitò a rispondergli.
Lui sorrise, come se fosse riuscito a vincere una partita a baseball, e si presentò, mentre percorrevano lo spazio verso l’androne. «Io sono Freak. Tu?»
«Haruki» borbottò lei in risposta, sperando che le sillabe appena pronunciate non gli fossero chiare.
«Bene, Haruki. Ti divertirai in questa scuola. La cosa migliore è la caccia: gli umani che arrivano qui sono uno migliore dell’altro!»
Il fastidio per la comprensione del nome venne messo in secondo piano dalla questione di “uccidere gli umani” trattata con tanta nonchalance. Per Haruki era stato interpretato sin dall’infanzia quasi come un gioco; era come un’acchiaparella dalla quale doveva uscire sempre vincente, ma si doveva dare l’opportunità all’avversario di una rivincita perciò l’umano in questione veniva sempre lasciato in vita e spesso gli venivano sottratti i ricordi incriminanti.
Con quella frase, era evidente che Freak godesse dal fare una carneficina e non mostrare pietà a nessuno di loro. Che razza di mostro poteva essere per mostrare tanta spietatezza? Di certo non era un vampiro. Il suo odore non contribuiva a identificarlo ma Haruki era certa che non era gradevole.
Avrebbe voluto scoprire chi era davvero il suo interlocutore per sapere come comportarsi. Lui aveva questo vantaggio su di lei: era ovvio che lei fosse un vampiro, le zanne erano inequivocabilmente vampiresche.
Nell’androne Haruki si rese conto che non tutti gli studenti si stavano dirigendo ai dormitori ma si erano sparpagliati. Era davvero notevole la libertà che veniva concessa, visto che si poteva andare dove si voleva quando si voleva!
Freak le tese la mano ma Haruki ignorò il gesto. Salirono le scale. Le valigie superavano i gradini di pietra con fatica, emettendo un fastidioso tonfo ogni volta. Mentre alcuni studenti proseguirono a salire, Freak prese un corridoio dal quale si aprivano diversi archi nel muro.
Haruki fu sollevata di vedere finalmente una strada dritta dove il suo trolley non avrebbe creato problemi. Il ragazzo si fermò davanti a lei e, con un sorriso sghembo in viso, si girò per guardarla in viso. «Dammi la valigia».
Haruki lo ignorò e proseguì. Lui non si spostò e, appena lei fu abbastanza vicina, le strappò la valigia di mano.
Lo guardò con gli occhi sgranati, interdetta da quella reazione improvvisa, che la lasciò impietrita per pochi istanti, sufficienti perché lui ne approfittasse. Gettò la valigia a terra e afferrò Haruki. Fu questione di un attimo, neanche il tempo di rendersi conto della situazione, che si ritrovò a terra in un’aula all’interno del corridoio. Nessuno avrebbe potuto vederli, a meno che non attraversassero il corridoio.
Freak era a ginocchioni sopra il corpo disteso di Haruki e le mani si mossero verso la canottiera sotto il maglioncino lilla. Era ovvio ciò che sarebbe successo dopo e la reazione di Haruki: lo shock e il panico l’avrebbero inchiodata a terra, incapace di agire.
Ma la ragazza che era entrata al collegio della Luna Nuova si era lasciata la vecchia sè umana alle spalle – scelta compiuta senza neanche il suo consenso – e non aveva intenzione di lasciarsi violentare dal primo depravato di turno.
Gli occhi rossi sfavillarono e la bocca si spalancò mettendo in mostra gli affilati canini. Riuscì a utilizzare le mani libere per premere all’altezza del torace di lui e scaraventarlo da un’altra parte. La nuova forza che possedeva le consentì di farlo scontrare con la dura parete della stanza.
L’urto di Freak lasciò una crepa sulla parete e lo fece crollare a terra, probabilmente con qualche vertebra incrinata, che si sarebbe presto sistemata. Haruki si risollevò in piedi in un balzo e riuscì a notare lo sguardo di Freak. Le palpebre erano assottigliate mentre il fiato usciva in sospiri dalle labbra sottili. Solo in quel momento Haruki si rese conto che gli occhi di Freak non erano rossi con sfumature gialle. Erano gialli con riflessi color vermiglio.
Di nuovo la misteriosa cosa tra i capelli li fece muovere. Si poteva intravedere solo la punta di un qualcosa dalla forma di un triangolo peloso dell’identico colore dei capelli.
Haruki, nonostante non capisse cosa fosse il suo aggressore, lo guardò con aria di sfida e sufficienza.
«Non sai cosa ti sei persa» commentò lui, rimettendosi in piedi.
Haruki sollevò un sopracciglio e lo guardò con incredulità. Persa? Stava scherzando, vero? Come avrebbe potuto rimpiangere di non essere stata stuprata?
«Vai a trovarti qualche troietta per i tuoi bisogni sessuali» commentò, acida. Si sentiva maledettamente strana quel giorno. Non era da lei commentare così. Non era da lei tutto ciò che aveva compiuto quella giornata.
Una ragazza si sporse dall’apertura nel muro e analizzò la situazione. I tre si scambiarono degli sguardi di intesa, stupore o fastidio. Haruki uscì dalla stanza a larghi passi mentre l’intrusa entrò nella stanza. Era la ragazza dalla pelle color moca che aveva commentato malevolmente le parole della Direttrice.
I due si avvicinarono, lui ruggendo, emettendo un suono gutturale. Lei mettendo in mostra le unghie impossibilmente lunghe, che le sfioravano le gambe nude.
 
Esse lasceranno solchi profondi sulla pelle di lui, come farà lui con lei.
 
Haruki rettificò il suo pensiero precedente: c’era troppa libertà in quella scuola... Sarebbe riuscita, con le sue sole forze a sopravvivere?

 
 
 
Nota dell’autrice: ehm... ecco finalmente il nuovo capitolo! Alla fine non sapevo come concludere in maniera “pulita” senza entrare nel sadomaso, ma vi lascio immaginare! Scusate se pubblico solo adesso; l’unico lavoro che ho fatto oggi è stato aggiungere cinque righe – è un gran problema decidere come far finire un capitolo! Il problema è che su EFP non posso scrivere capitoli eccessivamente lunghi altrimenti nessuno avrebbe voglia di leggerli... Il prossimo capitolo sarà sempre dal punto di vista demoniaco, dato che non ho ancora finito di raccontare il clima della scuola! Non so quanto presto rivedremo Albert e co. Vi lascio con un po’ di suspense!
Tengo a precisare tre cose, di cui forse non vi sarete resi conto: la bionda che sorveglia i ragazzi all'entrata è la stessa che fa da autista ai ragazzi nello scorso capitolo; nonostante la Direttrice sembri saper dire solo "benvenuti" non vi preoccupate, non sarà una tipa da sottovalutare! Freak, anche se non ha senso come nome, esiste: l'ho trovato su Internet!

Ah, un’altra cosa: se non si fosse capito, questo è una sorta di flash-back, cronologicamente parlando ci troviamo prima della situazione del capitolo precedente! Infatti, prima vanno i demoni nella scuola, poi i ragazzi umani.
Non credo che prima del 25 pubblicherò un nuovo capitolo, perciò vi auguro tanti “mostruosi” auguri!
  
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