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Autore: LouVelessy    29/05/2013    4 recensioni
Quando ti chiami Harry Styles, ma tutti ti chiamano "il cieco", perchè tutto quello che vedono di te è solo un paio di occhiali da sole ed un bastone che ti aiuta a muoverti, costretto ad ascoltare i loro commenti cattivi, è difficile mostrarsi per quello che sei realmente.
Quando ti chiami Louis Tomlinson, ma tutti ti chiamano "il Tommo", attenti ad evitarti quando incontrano il tuo sguardo, quasi impauriti da quello che potresti fargli solo perchè ti guardano, è facile lasciarli fare per evitare rogne.
Tutti indossano una maschera, e nessuno si mostra per quel che è.
Fidarsi è la cosa più difficile da fare. Sempre.
{ Harry è un ragazzo di 16 anni, ipovedente. Louis potrebbe essere definito per semplificazione un bullo. }
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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La monotonia è quella chiave di lettura che riempie di noia le giornate di chiunque. Ma per Harry Styles la parola monotonia era sinonimo di vita, spesso e volentieri. Giorno dopo giorno, ora dopo ora, non era null’altro che il ripetersi repentino della monotonia che scandiva ogni momento. In qualsiasi istante che si ritrovava a vivere, a scuola o a casa, era sempre definito quello che avrebbe fatto, e quello che sarebbe seguito. Poca scelta, quando non ti senti libero di decidere come occupare il tuo tempo. E poco ha a che fare il fatto che frequenti ancora il liceo, e quindi rientra a pieno nella routine delle lezioni da seguire a scuola e dei compiti da svolgere nel tempo libero.

Le giornate quindi si ripetevano tutte simili l’una all’altra, in un andirivieni abitudinali. A rompere la routine che da anni dettava il ritmo delle giornate firmate Harry Styles, si può dire che sia stata la conoscenza di Bridget. La stessa ragazza con la quale aveva condiviso una sorta di momento di intimità, vicini sul divano di casa, cosa che si era limitata a quella piccola parentesi, essendo poi ritornata a tutti gli effetti nei panni della fredda e distaccata ragazzona con la quale aveva scambiato qualche parola il primo giorno di scuola alla mensa. Stesso ed unico luogo dove gli capitava di incontrarla praticamente ogni giorno. Ed ogni giorno però era diverso dagli altri.

Momenti di allegria si alternavano a giornate di poche parole, dove solo un saluto e qualche chiacchiera di circostanza erano da ritenersi l’unico incontro verbale possibile tra i due. E non era il riccio a decidere a riguardo, nonostante la cosa non gli desse alcun fastidio per una volta. La mancanza di controllo della situazione, quando aveva a che fare con Bridget, gli dava una sorta di sicurezza, come se il fatto che non dovesse accollarsi responsabilità come la buona riuscita di una chiacchierata in mensa gli rendeva il tutto più allegro e spensierato. Novità assoluta per uno come Harry, alla quale piaceva avere sempre la situazione sotto controllo. Di qualsiasi tipo di situazione si potesse trattare.

E l’unica routine alla quale cominciò a sentirsi legato davvero, era l’attesa dell’ora di pranzo. Momento in cui poteva succedere qualsiasi cosa.

All’arrivo al solito tavolo, picchiettando a terra con il bastone, mentre nell’altra mano teneva il sacchetto del pranzo, preparatole della madre come tutti i giorni, sedette al solito tavolo, nel solito posto.

“Non cambiare mai angolo dove poggi il culo, mi raccomando!” la voce di Bridget comparve, ironica, sghignazzando subito dopo. Harry si limitò a scuotere il capo, dopo aver ripiegato e poggiato il bastone di fianco a sé, aprendo poi il sacchetto, con l’intento di cominciare a pranzare.

Passarono diversi minuti di silenzio, riempiti solo dal rumore delle stoviglie di coloro che pranzavano agli altri tavoli. “Posso chiederti una cosa?” la ragazza aveva quel modo rispettoso di insinuarsi in punta di piedi nei confronti di Harry, evitando di riempirlo di domande solo perché aveva voglia di farlo. Con la bocca piena, il riccio annuì, attendendo.

“Senti gli occhi addosso? Nel senso… la gente ti guarda, ma tu lo senti? Ti senti mai osservato?” e rese la domanda leggera, considerando il fatto che ricominciò a mangiucchiare come se nulla fosse.

Harry prese il suo tempo per mandar giù il boccone. “Qualche volta mi capita, si. Ma oramai non ci faccio più tanta attenzione. E’ normale che le persone mi guardino, soprattutto quando non sono abituate alla mia presenza. Sono fonte di curiosità, potrei quasi vantarmene!” concluse, con il tono allegro di chi non è per nulla abituato a darsi delle arie.

“Ci sono delle ragazze che ti guardano.” Aggiunse Bridget, subito dopo la conclusione del discorso di Harry, senza darsi nemmeno il tempo di riflettere su quello che le era appena stato detto.

Il riccio si stupì del tono utilizzato dalla ragazza. Non c’era né ironia, né tantomeno allegria in quello che gli aveva appena comunicato. Anzi. Era piuttosto testa. Il che lo spiazzò. “Saranno curiose…” si limitò a rispondere, facendo spallucce e ricominciando a mangiare.

“No Harry… ti guardano con interesse.” Nel tono di Bridget si aggiunse quello che il ragazzo percepì come imbarazzo. “Prima ti osservano, e poi parlottano tra di loro in maniera fittissima, da brave oche.”

Il ragazzo rise divertito, gettando il capo indietro in maniera quasi plateale. “E cosa hanno da dirsi in maniera fittissima?” ma più che prendersi gioco delle ragazze che lo osservavano, sembrava prendersi gioco di quella che gli stava affianco.

“E io che cosa ne so! Ti ho solo avvertito, pensavo volessi saperlo.” Il tono di Bridget lasciava chiaramente intendere un senso di fastidio. Ma per cosa di preciso si sentisse infastidita, non era facile a dirsi.

“Come sono?” le domandò, dopo un po’, recuperando il discorso a seguito del silenzio glaciale, che però continuava a divertire il ragazzo.

“Oche.” Commentò Bridget, aggiungendo però. “Non tanto alte, fisico asciutto, una delle due potrebbe sembrare un uomo per l’assenza di tette, l’altra se la gioca abbastanza bene. Ma tu non eri uno di quelli che l’aspetto fisico non è importante?!”

“Semplice curiosità!” si giustificò Styles, senza aver immagazzinato alcuna informazione datagli dall’amica. E tra una pausa e l’altra, entrambi continuavano a consumare il pranzo.

“Harry... ti capita di toccare il viso delle ragazze prima di baciarle?”

Fortuna che la bocca del riccio era libera, altrimenti come minimo il bolo gli sarebbe finito di traverso, come minimo.

“Sisi… certo che capita… può capitare, si. Ma non capita sempre… o forse capita, non lo so. Non è che ci faccio caso…” Aveva un che di vago, troppo vago per soddisfare la curiosità di Bridget. O forse non troppo per lasciare spazio ad un altro tipo di curiosità.

“Sei mai stato con una ragazza, Harry?” il tono fu parecchio più inquisitorio a questo punto.

“Certo!” rispose lui, sbrigativo. “Ho sedici anni, mica otto!” commentò, come se il solo fattore dell’età potesse dare ovvietà nella risposta.

“Mhmh…” ma non sembrava per nulla convinta, anzi. “Ed avendo sedici anni, sei anche andato a letto con una decina di donne immagino!” e qui riversò parecchia ironia, ridendosela subito dopo.

“Cosa vuoi sentirti dire Bridget?” Per la prima volta, Harry apparve realmente infastidito.

“Nulla, nulla!” ma aveva sempre quel che di ironico, che infastidì ancor di più il riccio.

“E va bene, non sono mai stato con una ragazza né ho mai baciato nessuno. Quindi? Pensi sia facile? Non lo è. Non è bello che tu faccia ironia su questa cosa, sai?”

“Ehi!” lo interruppe, infastidita anche lei a questo giro. “Guarda che non sto facendo ironia proprio su nulla! Sei tu che mi racconti delle cazzate, e te lo si legge in faccia che sono cazzate. Quindi non farmi la predica. Stavo scherzando sulla palese stronzata che mi hai detto, fine.” Era dura nel tono, presa malissimo in realtà.

“E come puoi avere la certezza che si trattasse di una stronzata? Solo perché sono ipovedente, non vuol dire che non possa permettermi una ragazza Bridget!” sputò via quella bella sentenza, cominciando già a raccogliere le proprie cose, con l’intento di abbandonare la mensa.

“Certo che sei proprio un imbecille.” Sbottò di rimando la ragazza, facendo più in fretta di lui nel raccogliere le cose. “Te lo si leggeva in faccia, stupido. Sono l’ultima persona qui dentro che fa differenza riguardo la tua condizione. Sei tu che la metti sempre al primo piano, e io sono un po’ stufa a riguardo. Stai pure, vado via io. Buona giornata.” Mentre parlava finì di raccogliere tutto, ed ebbe giusto il tempo di finire la frase, prima di rigirarsi ed allontanarsi dal loro tavolo a passo svelto. Evidentemente arrabbiata, considerando il tono utilizzato per tagliare a corto il discorso. Ad Harry non rimase che poggiare un gomito sul tavolo e rilassare il capo sul braccio, con gli occhi chiusi sotto agli occhiali da sole, lasciandosi andare a quel senso di impotenza che ciclicamente gli ritornava addosso, anche se mai come questa volta era stato lui stesso a causarlo, e non c’era nessun altro con il quale poteva prendersela se non sé stesso.

 

***

 

La seconda campanella, quella che avvisa gli studenti dell’effettivo inizio delle lezioni, era suonata da un paio di minuti oramai, e l’esperienza di Harry gli diceva chiaramente che appena arrivato in classe avrebbe dovuto sopportare una ramanzina riguardo all’importanza della puntualità nella vita di un uomo. Solite robe noiose alla quale il riccio non avrebbe mai fatto l’abitudine. E se una volta era tanto puntiglioso da ritrovarsi in classe addirittura qualche minuti prima del suono della prima campanella, che invece avvisava gli studenti dell’imminente inizio delle lezioni, da qualche giorno preferiva quasi perdere più tempo necessario in mensa ed arrivare in ritardo.

Dopo aver gettato quello che rimaneva del proprio pranzo, essendosi chiuso lo stomaco a causa del battibecco avuto con l’amica, una volta fatto scattare il bastone bianco, si incamminò verso l’ascensore, per raggiungere il piano giusto dell’aula dove avrebbe tenuto la lezione di chimica. Miss Sophie, a differenza di quello che accadeva la mattina, dopo il pranzo l’attendeva  nella classe giusta, lasciandogli pregustare quel senso di libertà, che seppur minima rendeva Harry un po’ più autonomo. E il fatto che potesse utilizzare l’ascensore, senza rischiare di rallentare ancor più la sua andatura a causa delle scale, rendeva di sicuro il tutto più facile.

I passi del riccio, accompagnati dal ticchettio del bastone che batteva a terra ad ogni movimento, l’accompagnavano, rimbombando appena nel silenzio del corridoio rivestito di marmo, praticamente vuoto ed abbandonato dai colleghi, che invece occupavano le classi. Era quasi godibile come situazione. Il profumo di libri, l’aria fresca, i suoni ovattati che arrivavano dalle classi che affacciavano proprio in quel corridoio. Il tutto creava una sorta di atmosfera magica, un mondo parallelo, lontanissimo da quello che si trovava a vivere la mattina, quando a riempire gli spazi erano in migliaia di studenti e le loro voci.

L’unica voce che invece poté sentire, nel bel mezzo del silenzio nella quale riusciva a sentirsi a proprio agio, fu quella di Zayn, che riconobbe alla prima sillaba.

“Non vai in giro con l’accompagnatrice?” non era molto vicino, ma solo il fatto che fossero soli nel corridoio lo intimoriva. Così decise di seguire la strada suggerita dal Tommo qualche tempo prima. Bastava evitarlo. Quindi riprese a camminare, seguendo il suo percorso mentale. Avrebbe dovuto raggiungere l’ascensore alla fine del corridoio, quindi proseguire per la sua strada. Non dare filo da torcere al ragazzo sarebbe bastato.

 “Ehi, cieco. Sto parlando con te!” non alzò la voce, ma la impostò in maniera diversa. Più decisa nel tono, più cattiva quasi e sicura di sé. Come se il fatto che Harry l’avesse bellamente ignorato, fosse stata una scelta sbagliata. Mai ignorare un bullo che ti rivolge la parola, anche se lo fa solo per punzecchiarti ed avere una reazione. Almeno, secondo quello che era il punto di vista del ragazzone, che nonostante tutto rimaneva immobile nella sua posizione, dalla quale il riccio continuava ad allontanarsi, sebbene con il suo passo non propriamente veloce.

“Sei diventato anche sordo adesso?” seguì un tonfo metallico, il rumore dell’anta di un armadietto che si richiudeva, facendo scattare le spalle di Harry, come a volersi proteggere da chissà che cosa. Un rumore alla quale non era preparato, e lo scatto del suo corpo procurato dal semplice istinto, accentuato per certi versi nel ragazzo, che comunque continuava a camminare, proprio come se fosse diventato davvero anche sordo.

Quindi fu questione di tempistica. I passi di Harry continuavano a cadenzare nel solito modo, senza fretta,  mentre quelli di Zayn, alle sue spalle, non facevano altro che essere più veloci. Ed ebbe giusto il tempo di rendersene conto, che si ritrovò entrambe le mani del ragazzo sulle spalle. Pur non conoscendone gli intenti, non diede a lui modo né tantomeno tempo di agire. Il bastone che teneva nella mano destra scattò quasi per autodifesa alle sue spalle, colpendo il bullo, probabilmente all’altezza del polpaccio. Nulla di studiato, una semplice reazione a quello che poteva essere considerato un attacco. Odiava essere toccato. Odiava il fatto che senza preavviso gli si mettessero le mani addosso. Ed odiava soprattutto quando a farlo era qualcuno che già prima era stato violento nei suoi confronti. Non era mai stato un ragazzo violento, ma a certi atteggiamenti non c’erano altre soluzioni. E per di più, gli era stato praticamente suggerito di utilizzare il bastone sottile come arma. Con la necessaria spinta si sarebbe trasformato in una specie di frustino da cavallo. E il verso che fuoriuscì dalla bocca di Zayn gli fece chiaramente intendere che non era stato piacevole ricevere quel colpo.

Si sentì tirar via il bastone dalle mani, con forza. Fu costretto a lasciarlo andare, facendosi avanti velocemente, con le braccia parate dinanzi al corpo, per evitare così di andare a sbattere contro gli armadietti. Recuperò un po’ di spazio tra lui e Zayn, prima di parlare. “Perché ce l’hai così tanto con me? Cosa ti ho fatto? Non potresti semplicemente lasciarmi in pace?!”aveva la voce appena roca, rotta probabilmente dall’ansia che montava e si accresceva ad ogni battito cardiaco accelerato. Era come avere un martello non solo nel petto, ma anche nello stomaco e nelle braccia. Ancora una volta si sentiva inerme, senza difese. Ed era una sensazione che riusciva malamente a tollerare. Poggiò la schiena contro gli armadietti, e rimase con le braccia tese in avanti, in posizione di misera autodifesa.

“No che non posso lasciarti in pace, Styles. Per colpa tua sono stato messo in ridicolo in mensa, avanti a tutti. Capisci che non è accettabile! La mia posizione ne ha risentito parecchio.. ora tutti credono di potermi tenere testa. Devo correggere quest’errore.” il tono di Zayn era disarmante. Riusciva a parlare tranquillamente, come se stesse raccontando una favola della buona notte. Prendeva i suoi tempi tra una frase e l’altra, avvicinandosi sempre più ad Harry, che poteva sentire non solo la sua voce più vicina, ma anche i suoi passi risuonare sul marmo. “Mi sento anche buono oggi, sei fortunato! Puoi decidere tu. Preferisci un occhio nero, un paio di pugni in pancia… “ lo sentiva sempre più vicino, e le sue mani arrivarono a toccare la maglia del ragazzo, che continuava quella pressa psicologica, la quale non faceva altro che pesargli sulla testa. “…oppure puoi decidere tu!”

Oramai il ragazzo gli era arrivato vicinissimo. Sentiva quasi il suo respiro sulla pelle, e non fece altro che ritirarsi in sé stesso, farsi sempre più piccolo, per evitare il contatto con l’altro. Le gambe gli tremavano quasi, ma rimase immobile, in piedi, senza lasciarsi andare a stupide manifestazioni di paura. Nelle orecchie gli risuonarono nuovamente le parole del Tommo. Ignoralo, oppure lascia perdere la tua condizione fisica, ma fai qualche cosa. Quindi raccolse le idee, e seppure le gambe continuassero a tremargli, raccolse veloce le braccia al petto e poi le spinse lontano, con i palmi aperti verso il busto di Zayn, con tutta la forza che aveva.

Il bullo, spiazzato, perse appena l’equilibrio e dovette compiere un paio di passi indietro per ritrovarlo. “Addirittura uno spintone?” lo prese in giro, picchiettando con il bastone per terra in maniera nervosa. “Vediamo se hai riacquistato l’udito…” aggiunse, con tono di sfida.

Non fu chiarissimo all’inizio quello che era l’intento del ragazzo, ma dopo pochi attimi il rumore sordo di plastica rotta gli fece piegare lo stomaco. “cosa hai fatto…” sussurrò appena Harry, in preda al panico. Aveva un’unica scena possibile in testa. E se le orecchie non l’avevano tradito, Zayn aveva appena piegato a metà, rompendolo, il suo bastone da passeggio. Il che significava non avere il modo di muoversi con semplicità da qui a casa. L’unica cosa che lo faceva sentire ancora all’altezza degli altri. L’unico oggetto che riusciva a tenerlo aggrappato nel mondo dei “normali”. Lo lasciò cadere per terra, sghignazzando ed allontanandosi da lì, con passo tronfio, di chi ha avuto la sua rivincita.

Ad Harry rimase davvero molto poco, se non l’accovacciarsi a terra e cercare, a tentoni, di trovare quello che rimaneva del suo bastone. Le ginocchia sul marmo e la testa bassa. Sentiva gli occhi pesanti traboccanti di lacrime, ma tentò con tutte le forze di ricacciarle. Doveva fare in fretta. Avrebbe dovuto trovare l’uscita, un rifugio sicuro, e quindi chiamare la sorella, o forse Niall, qualcuno per aiutarlo. Non poteva rimanere lì. Tempo mezz’ora e le lezioni sarebbero finite, e tutti l’avrebbero trovato lì, inerme. Sarebbe stata una vergogna troppo grande da sopportare, nonché una soddisfazione troppo facile per Zayn. E non voleva dargliela vinta così.

“Harry?” un’altra voce risuonò nel corridoio, seguita dal rumore della porta della mensa che si richiudeva. Seguirono dei passi frettolosi, una corsetta più che altro, fino a fermarsi di fianco a lui praticamente. “Cos’è successo?” nella voce del Tommo c’era una sorta di inquietudine.

“Nulla. Non è successo niente.” Continuava a cercare a tentoni altri pezzi del bastone, della quale riuscì a trovare solo una parte.

“Non mi sembra non sia successo nulla… sei caduto? Cosa cerchi? Posso darti una mano!”

“Non sono caduto! E non ho bisogno di nessuna mano!” alzò appena la voce, sbuffando subito dopo. Si sentiva inerme. “Sto bene!” aggiunse, deciso.

“E’ più grande il bisogno di fingere che vada tutto bene? Lascia che ti aiuti. Tutti hanno bisogno di una mano, prima o poi…” non aggiunse altro, se non qualche attimo dopo “Qui non c’è nulla. Se mi dici cosa cerchi, potrei fare prima.”

“L’altra parte del bastone.” Mormoro Harry, richiedendo quindi il bisogno del ragazzo.

“Non c’è nulla. Sicuro di averlo perso qui?”

“Non ho perso un bel niente!” sbottò Harry. “Un cieco non perderebbe mai il proprio bastone! Sarebbe come perdere gli occhi!” era nervoso e teso. “E’ stato quello stronzo del tuo amico. Vi divertite con poco!” sbottò, facendo per alzarsi, cercando poi, muovendosi lateralmente, la fila di armadietti alla quale si appoggiò.

“Il mio amico chi?” domandò il Tommo, con un’aria incazzata. “Zayn? E’ stato lui? Ti ha spaccato il bastone?” era incredulo e al tempo stesso iracondo.

Harry annuì. “Ho fatto come mi avevi detto. L’ho ignorato. E poi l’ho colpito. Ma non è servito a niente. Adesso devo arrivare in segreteria, avvisare miss Sophie, avvisare a casa e farmi venire a prendere.” Il riccio si sentiva frustrato, per ogni cosa.

“Ti accompagno verso la segreteria…” il Tommo poggiò semplicemente una mano sul braccio del riccio libero dalla vicinanza degli armadietti, ed Harry fece per scansarsi. “Non ti faccio del male. Fidati di me.” Gli sussurrò. Aveva qualche cosa di caldo, di rassicurante nel tono. “Puoi fidarti di me Harry.” Parlò ancora, cambiando tattica. Questa volta non lo toccò in alcun modo, se non sfiorandogli un fianco con il gomito. Un modo istintivo per fargli sentire la presenza di un appiglio. Il resto venne da sé. Il riccio si sciolse, sebbene non del tutto, e fu lui a prendere salda la presa sul braccio del Tommo, che pochi istanti dopo cominciò ad incamminarsi verso la segreteria, all’inizio del corridoio.

“Questa volta ha davvero esagerato. Ti chiedo scusa per conto suo… E’ un ragazzo difficile.”

“Sarà. Ma io davvero non gli ho fatto nulla... e non trovo giusto che debba prendersela con me, né con nessun altro. Trovi qualche altra cosa da fare con la sua vita.”

“Non dovresti giudicare le persone che non conosci.” Commentò il Tommo, mentre guidava il ragazzo ipovedente per il corridoio.

“Non dovrei giudicare la persona che ha mandato in frantumi il mio bastone da passeggio? E’ la cosa più cattiva che mi abbiano mai fatto.”

“Dietro ognuno di noi si cela un lato che nessuno conosce.. certe reazioni non riusciamo a controllarle. Ti chiedo ancora scusa per lui. Non capiterà più.”

“Gli tirerai le orecchie e lo metterai in punizione?” commentò Harry, con una vena di ironia incattivita.

“Su per giù…” concluse il Tommo, arrestando i passi fuori dalla segreteria. “E ti sarei grato se non lo dicessi al preside.” Sussurrò, un attimo prima di aprire la porta.

“Louis!” la voce squillante della segretaria li accolse calorosamente. “C’hai messo più del dovuto in mensa, oggi! La psicologa ha chiesto un incontro riguardo Malik, ma le ho det…” non concluse, avvedendosi probabilmente solo in quel momento del riccio. “Signor Styles, che succede?” apprensiva.

Il braccio del Tommo lo abbandonò, e si ritrovò inerme, nuovamente senza appigli, vicinissimo alla scrivania della segretaria.

Harry titubò qualche istante, poi però, deciso rispose. “Miss Pincher… Ho perso il bastone. Può chiamare mia sorella?”

 

 

 

 

 

_____________________________note_autore___

Salve :)

Postare questo capitolo è stato più difficile di quanto pensassi.

L'editor non mi funzionava, e ho dovuto fare salti mortali per 

inserire un codice html che funzionasse. Quindi perdonatemi

gli spazi. Lo perfezionerò nel tempo, appena l'editor mi andrà

di nuovo. Che ne pensate del capitolo?

Come promesso a qualcuno di voi (soprattutto su twitter,

dove spesso lancio spoiler u.u lo ammetto) c'è stato un pò

più di Larry qui :)

Grazie sempre di tutto.

Giulia.

  
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