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Autore: indiceindaco    17/02/2014    8 recensioni
Quando cala il sipario, ed il pubblico abbandona le poltroncine in velluto rosso, ed il brusio della gente si fa fioco, sempre più fioco, cosa succede dietro le quinte? Ad ormai quattro anni dall'uscita dell'ultimo libro, dall'ultima pagina voltata con emozione, aspettativa, malinconia, da quell'ultima frase che ha commosso tutti, nel bene e nel male. Il sipario è calato, il teatro è già stato ripulito, eppure no, non è finita qui.
Harry, Ron ed Hermione, ancora insieme si trovano ad affrontare la vita, quella vera, quella oltre le quinte di scena. E tanti cambiamenti si prospettano all'orizzonte. Scelte da prendere, scelte da rimandare, scelte in cui perdersi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Un po' tutti | Coppie: Draco/Harry, Remus/Sirius, Ron/Hermione
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo, Più contesti
Capitoli:
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XXI. Respira
 
- Dai, nonna, racconta…Com’è un bacio?
- Gioia mia, quello che so è che cerchiamo la vita. Il nostro respiro non ci basta e vogliamo il respiro di un altro. Vogliamo respirare di più, vogliamo tutto il fiato di tutta la vita. Si dice che la persona giusta respira allo stesso ritmo tuo. Così ci si può baciare e fare un respiro più grande.
 
Alessandro D’Avenia,
Cose Che Nessuno Sa.
 
Harry si passò le dita sulle labbra, tenendo gli occhi bassi. Bruciavano, i polpastrelli, la superficie screpolata della sua bocca, le sue guance, qualcosa in mezzo al petto…bruciava tutto.
La sua mente non riusciva a depositarsi su un pensiero, come un liquido in bicchiere che fosse stato mescolato con una brutale energia, tutto vorticava e si accavallava. Bruciava.
Malfoy s’era sporto e per caso era inciampato sul suo viso? Per caso, sporgendosi, aveva incastrato le labbra sulle sue. Era successo questo?
Harry cercava di respirare, cercava di annullare quella confusione infernale, concentrandosi sulle piccole cose: la prima ricevere ossigeno, la seconda tranquillizzarsi. Placare quel crepitio in fondo alla gola, attenuare il rossore delle sue guance, riuscire ad alzare lo sguardo dalle proprie dita, doveva almeno provarci. Razionalizzare, quello era il suo obiettivo. Invece restava inebetito, travolto da un’emozione che stava prendendo forma e valicando l’imbarazzo. Per quanto si fosse sfregato le labbra con le dita, sentiva ancora la forma di quelle di Malfoy, imprimersi a fuoco, senza pietà. E tutto bruciava, senza estinguersi, senza distruggere.
Era sconvolto, incapace di reagire, come si fosse riempito troppo in fretta di qualcosa di intenso, che adesso non riusciva a scacciare. Tutto era stato spazzato via da un istante, da un gesto. E nella sua testa, tra le sue corde vocali, riuscì solo a formarsi una parola:
-Perché?
Era un sussurro, poco più di un battito di ciglia, ma sfuggì da quelle labbra che ancora gli sembravano ardere come cera bollente, plasmate da un sorriso a lui sconosciuto. Quando la voce di Malfoy lo raggiunse, Harry sentì nelle proprie orecchie un battito frenetico, e gli ci volle un po’ per capire che si trattava del suo cuore.
-Sembravi averne bisogno.- disse Malfoy, senza intonazione, senza scherno, ma con una semplicità che era inusuale per entrambi.
Aveva bisogno di un bacio? Harry, se fosse stato possibile, si sentì ancora più confuso.
Mentre il thé si freddava nella porcellana scompagnata, Harry alzò lo sguardo, cercando degli occhi di vetro. Malfoy era impenetrabile, una maschera di ghiaccio, ma non c’era traccia di astio. Anche le sue guance erano tinte di rosso, ma era una sfumatura tenue, quasi impercettibile, sotto le ciglia chiare del suo sguardo schivo.
-Forse è meglio che vada.- disse dopo quello che ad Harry parve un secolo.
Stavano l’uno di fronte all’altro, divisi da una voragine di silenzio, ognuno frugando nel proprio imbarazzo, cercando una via di fuga che nessuno voleva imboccare.
-No.- disse Harry d’istinto, senza rendersene neppure conto, e forse con troppa convinzione, tanto che sobbalzò al suono della sua stessa determinazione. Malfoy, di riflesso, portò finalmente lo sguardo su di lui, trafiggendo quello di Harry.
-V-va tutto bene, credo…- disse Harry, mentre osservava, di fronte a lui, le mani di Malfoy aggrapparsi allo schienale della sedia. –Non è niente…cioè, è stato…ok.
Malfoy strabuzzò gli occhi e quando schiuse le labbra, Harry non poté far a meno di trattenere un brivido, e di risentire sulle sue, la carezza del fiato di Malfoy. No, non era per nulla ok. Era strano, era assurdo, era…
-Non so perché l’abbia fatto…Sembrava che ne avessi bisogno, voglio dire eri tipo…Lascia stare. Vado.
Malfoy fece un passo, in direzione della porta, ma non sembrava aver considerato che proprio tra se stesso e l’uscita stava Harry, a metà strada.
-Forse è così…magari, è vero, no? Ne avevo bisogno.- sussurrò Harry, abbassando lo sguardo, –Ma va bene, davvero. Facciamo finta di niente, ok? Non è stato niente, no? Cioè…nel senso, è stato un…qualcosa. Ma era un momento strano e…-
Harry s’ingarbugliò nelle proprie parole e si lasciò prendere dal panico, spostando lo sguardo per terra, fissando le mattonelle della cucina, incapace di trovare delle parole che potessero anche solo lontanamente suonare sensate.
-Potter.- lo richiamò Malfoy.
Quando Harry alzò lo sguardo, gli sembrò di dover respirare nel bel mezzo della tempesta. Malfoy era di fronte a lui, di nuovo, ad una vicinanza più che pericolosa. Si sentì come di dover gravitare verso un punto troppo vicino al viso di Malfoy e la cosa lo scioccò ancora di più. Sentì il ritmo del suo cuore cambiare di nuovo, assestarsi e prendersi una pausa, per poi contrarsi più velocemente, contro i polmoni.
-Respira…
La voce di Malfoy sembrava calda, suadente, docile persino. Harry chiuse gli occhi e la sentì riecheggiare dentro di sé, come un balsamo, capace di rassicurarlo. Doveva indagare quella situazione, quelle sensazioni, ma l’imperativo di Malfoy sembrava averlo calmato sul serio, e non aveva intenzione di sentire di nuovo dentro di sé quel calore, temeva di esserne consumato.
Sapeva di dover trovare una spiegazione a quell’intricato ingorgo che ristagnava nella sua testa, sapeva di dover svicolare e scappare dall’angusto imbuto in cui si era cacciato, ma seguire l’ordine di Malfoy sembrava molto più confortevole, più corretto.
-Adesso io andrò via, e tutto questo non sarà mai successo.
La voce di Malfoy era di nuovo senza colore, di nuovo meccanica, eccessivamente formale, razionale…sterile.
Harry aprì gli occhi, sorprendendosi a specchiarsi in quelli di Malfoy, glaciali come sempre. Nei suoi, invece, non poteva saperlo, portava lo stesso calore che minacciava di consumarlo.
C’era dentro di lui qualcosa che gli urlava di trattenerlo, di non lasciarlo andare, qualcosa che gli diceva che una volta richiusa la porta, si sarebbe infranto tutto. Harry razionalmente pensava fosse la cosa più ovvia e più giusta da fare, ma in quel momento sembrava che una parte di lui fosse tutto meno che razionale. E fu quella parte di lui a spingerlo ad aggrapparsi al polso di Malfoy, sconvolgendolo ancora una volta. Nel suo palmo parve accendersi lo stesso bruciore di prima.
Malfoy non oppose resistenza, e cercò di dissimulare il suo stupore, mentre Harry, freneticamente, cercava delle parole per fermarlo, per non farlo sgattaiolare via.
-Rimani. Non serve che tu te ne vada. Va tutto bene, davvero…- disse debolmente, poi gli lasciò il polso, senza che la sensazione di quella pelle liscia lo abbandonasse.
Malfoy contrasse le labbra ed Harry sentì come uno spasmo sulle proprie, e mentre l’espressione dell’ex-Serpeverde pareva rasserenarsi, sul petto di Harry gravava il tumulto.
Malfoy si allontanò repentinamente, come si fosse scottato, sotto lo sguardo di Harry, e con un mezzo sorriso si accomodò di nuovo al suo posto. Harry non poté far a meno di notare il lieve tremore delle sue mani, mentre prendeva la tazza di thé, e ne beveva un sorso. Dal canto suo, Harry rimase immobile, guardando i gesti calcolati dell’altro, in preda alla cieca confusione e ai dubbi che non sembravano poter essere scacciati.
Poi, come un fulmine nel cuore della notte, un pensierò squarciò la sua mente e senza riflettere, come se ne fosse ricordato solo in quel momento, disse:
-Shacklebolt…
Cosa che attirò lo sguardo di Malfoy, e colorò inevitabilmente le guance di Harry.
-Proverò a parlargli…- disse subito dopo, lievemente, e nascondendo i propri occhi, sulla punta delle proprie pantofole.
Malfoy non proferì parola, ma bevve un altro sorso di thé, trattenendo una smorfia.
-Volevo intercedessi per me, Potter…ma forse non è una buona idea.- disse infine, come parlando a se stesso.
Harry si trascinò fino al proprio posto e si sedé ai bordi della sedia, chiedendosi cosa avesse fatto cambiare idea al suo ospite. Se davvero Malfoy era venuto lì per chiedergli un favore, cosa che si addiceva poco alla persona che Harry credeva di conoscere, allora perché cambiare idea? Perché ammetterlo, persino?
Di certo non era il momento di trovare risposte a quelle domande, dal momento che continuava deliberatamente ad ignorarne altre. Harry si disse che forse sarebbe stato meglio lasciarlo andare, ma ancora, dentro di lui, rimaneva qualcosa di irrisolto, qualcosa che avrebbe perduto per sempre se non avesse costretto l’altro a rimanere.
Aveva imparato a fidarsi del proprio istinto, anche quando tutto sembrava assolutamente illogico e da incoscienti, cosa poteva esserci di diverso, in quell’occasione?
-Lo farò.- disse semplicemente e senza riflettere, ma questa volta, il suo tono risoluto, non attirò lo sguardo di Malfoy, che vagava sul fondo della tazzina.
Harry sentì una piccola fitta, quando si rese conto di aver bisogno degli occhi dell’altro, e testardamente, con l’unico fine di attrarre il ghiaccio su di sé, parlò di nuovo, raccontandosi di non sopportare quel silenzio irreale.
-C’è una cosa che devo chiederti, però…
 
***
 
Per primo arrivò il freddo, ma non fu quello a farlo rabbrividire. Era il silenzio. Il silenzio era palpabile, materiale e plastico. A Blaise sembrava di star attraversando tonnellate di sacro silenzio, come potesse nuotarci dentro. Gli sembrava di esserne invischiato e quando improvvisamente quel simulacro veniva squarciato da urla disperate, Blaise sobbalzava, tentando di mantenere un contegno di cui nessuno, a parte l’oscurità, poteva essere spettatore.
L’odore di muffa, di chiuso e di legno fradicio gli aggrediva le narici, mentre i sensi sembravano farsi sempre più ovattati.
-Il Resort a cinque stelle, qui, ammette le visite fino alle 19.30. L’ora della cena.- disse la voce profonda di fronte a lui.
Il carceriere, ricurvo su se stesso, si concesse una risata grottesca, guadagnandosi lo sdegno di Blaise.
I corridoi umidi di Azkaban sembravano ingoiare quella figura deforme, eletta a suo accompagnatore, mentre persino alla luce mancava il coraggio di illuminare i loro passi.
-Ragazzo, che cella hai detto di voler visitare?
A quanto pareva quel magonò aveva proprio voglia di chiacchierare con lui, pensò Blaise, alzando gli occhi al cielo.
-La sette zero nove. Lucius Malfoy.
La risata, immotivata che ne seguì, gli sembrò ancora più sguaiata della precedente.
-Oh, sette zero nove. Bel tipetto, quello lì. Simpatico davvero.- disse il carceriere, con quella sua voce che era quanto di più simile ad un grugnito.
Un altro urlo profondo squarciò l’aria stagnante, ed a Blaise parve di sentirlo vibrare direttamente fino al suo stomaco. Era una sensazione ripugnante e angosciante insieme.
Quando infine il carceriere si fermò e con un maldestro inchino di scherno gli fece segno di passare, Blaise si trovò di fronte ad una porta scrostata, il cui legno sembrava essersi gonfiato d’acqua. Il carceriere fece scorrere un pannello sulla porta, con la sua mano maleodorante e colma di bozzi e poi disse solenne:
-A voi, signore…cella sette zero nove. Godetevi la compagnia!
Poi sgusciò via, zoppicando, e avanzando al buio, come conoscesse a memoria quei luoghi viscidi e inquietanti. Blaise con un colpo di bacchetta fece levitare la lanterna prima soffocata dalle rivoltanti mani del carceriere, e con una smorfia disgustata si avvicinò alla fessura nella porta.
La cella era mal illuminata da una piccola feritoia in alto, che lasciava trapelare un fascio di luce fredda e metallica. Non si riusciva a scorgere neppure un angolo del cielo grigio di novembre. In un angolo della cella Blaise poté indovinare il chiarore dei capelli dell’uomo, rincantucciato lì dentro a scontare la propria prigionia.
A Blaise si strinse il cuore nel vedere un ammasso di stracci, poco più di un cencio, avvolto su se stesso: Lucius Malfoy, le ginocchia strette al petto, gli dava le spalle.
-Signor Malfoy?- tentennò Blaise. L’uomo non si mosse di un millimetro, come se non potesse essere raggiunto, lì nella sicurezza fangosa della propria cella.
Blaise si fece coraggio e lottando contro il disgusto si avvicinò ancora un po’ alla porta lurida:
-Signor Malfoy, sono Blaise. Blaise Zabini…- disse ancora, alzando il tono della propria voce, e mascherando tutte le sensazioni, cercando di risultare il più neutro possibile.
Una risata roca, agghiacciante, scosse quel corpo fragile e scarno, che addossandosi alla parete, si trascinò in piedi.
Il volto di Lucius era una maschera di cera, magro e insultato da una barba incolta. Niente era rimasto dell’uomo che Blaise aveva conosciuto, ed un tempo stimato. Gli occhi erano privi di qualsiasi espressione, vuoti e vacui, sembravano trapassare quelli di profondi di Blaise, che venivano fuori dalla fessura della porta, come se non lo vedessero nemmeno. L’uomo fece un passo tremante, verso l’apertura della cella, ma non sembrava avere la forza di avvicinarsi ancora.
Blaise deglutì rumorosamente, prima di riuscire a parlare di nuovo.
-Signor Malfoy. Ho bisogno di un’informazione molto importante. Si tratta di Draco.
Improvvisamente gli sembrò di scorgere un luccichio inconsistente in quello sguardo glaciale, così simile a quello del suo migliore amico, eppure profondamente diverso, martoriato, sfinito.
Ancora Lucius non parlò, ma fece una risatina sommessa, tagliente e inespressiva, troppo simile a quella di chi avesse perso la ragione.
Blaise si aspettava una reazione simile, sapeva cosa si celava tra le mura di Azkaban, tutti ne avevano sentito parlare, e nessuno aveva mai creduto alle dichiarazioni del ministero. I Dissenatori, per quanto non fossero palesemente visibili, continuavano ad aleggiare tra le celle, ingozzandosi di quei pochi ricordi felici rimasti ai carcerati. Blaise pensò che dovessero aver divorato qualsiasi umanità dal corpo di Lucius. Non poteva essere altrimenti. Draco non era mai andato a trovarlo. E adesso Blaise si spiegava il perché.
Solo che non c’era altra scelta: poteva garantire al suo migliore amico un minimo di stabilità, e poteva farlo solo in quel modo, non c’erano scorciatoie. Parlarne direttamente con Draco, Blaise l’aveva escluso a priori, mentre gli era sembrato un buon compromesso recarsi ad Azkaban di persona. Sebbene, in quel momento, s’insinuasse in lui la certezza di aver fatto l’ennesimo buco nell’acqua.
-Signor Malfoy…il fondo delle emergenze. Ho bisogno di sapere dove si trova.- tentò Blaise, abbandonando qualsiasi speranza.
Lucius si aggrappò con tutte le proprie forze al muro scivoloso alla sua sinistra, abbassò il capo, facendo un verso profondo e sofferente. Poi, in un improvviso attimo di lucidità, alzò di scatto il volto, fissando il proprio sguardo in quello di Blaise. Sembrò mancargli la forza, però, come se quell’istante di sanità mentale avesse potuto compromettere l’intero organismo, e le ginocchia cedettero, mentre bisbigliava:
-Non devono trovarlo, Blaise. Non devono. Nello studio. Draco deve cercare…nello studio.
Poi Lucius crollò, rincantucciandosi di nuovo sul sudicio pavimento polveroso, incavando la testa tra le spalle, scosso dai singulti. Blaise serrò la mascella, sentendosi impotente e sperando che l’uomo non scoppiasse in lacrime, lì di fronte a lui. Non avrebbe retto, a sovrapporre quest’immagine ai ricordi gloriosi del Lucius che conosceva, a quel cipiglio fiero.
Proprio mentre si allontanava, incapace di sopportare oltre quella visione, una risata sommessa, come lo stridere di catene, come lo strappo della carne, si liberò da quelle ossa, ancora tenute insieme dalla pazzia.
Lucius Malfoy, avvolto su se stesso, rideva, in preda ad un’ilarità inquietante e sofferente insieme.
Blaise desiderò soltanto allontanarsi il più possibile da lì.
 
***
 
Le sue mani non volevano saperne di smettere di tremare, mentre senza scopo né meta vagavano sui vecchi volumi polverosi della biblioteca.
Non c’era quasi nessuno a quell’ora del pomeriggio, Ginny lo sapeva bene, e un po’ per evitare qualsiasi altra compagnia molesta, un po’ per riordinare i propri pensieri, s’era rintanata lì. Come una ladra che aveva bisogno di nascondere la refurtiva. Una refurtiva ingombrante e preziosa: luccicava sulle sue guance, in fondo al suo cuore e le mozzava il respiro.
Prese un libro qualsiasi, pregando che poggiandolo sul leggio, su una pagina qualsiasi quello sarebbe riuscito ad allontanarla dai suoi pensieri. Ma poteva solo fingere di conoscersi. Sapeva che non sarebbe valso a nulla. Si abbandonò su una sedia scricchiolante, passando le mani sugli occhi, ad asciugare le lacrime, ad attenuare il tremore.
Si comportava come una bambina, e non poteva far a meno di detestarsi anche per quello.
Non era mai stata debole. Era una persona concreta, determinata, che sapeva quello che voleva e riusciva sempre ad ottenerlo. Era stato così per il suo ruolo nella squadra di Grifondoro, era stata più stabile e decisa dei suoi numerosi fratelli durante la guerra, aveva sempre consolato le lacrime altrui, e non aveva mai vacillato. Aveva ottenuto l’attenzione e poi l’amore di Harry. Si era dedicata alla cura di quel loro rapporto con costanza, fiducia, ostinazione. Ma era bastata la distanza a mettere in discussione tutto, erano bastate un paio di labbra, un modo di fare inconsueto, per farla crollare.
Non era da lei.
Forse, si disse, era perché, per una volta, era stata richiesta, e non aveva dovuto richiedere nulla. Per una volta era stata conquistata e non aveva dovuto conquistare. Per la prima volta s’era sentita davvero una donna, non un’amica, non una confidente, non una sorella. Doveva essere così.
Robert l’aveva sconvolta, perché era riuscito a prenderla in contropiede, perché l’aveva sorpresa. Ginny era convinta che si dovesse solo lottare, che si dovesse essere dei combattenti, per meritare la felicità. Adesso, invece, non ne era più sicura. Non si doveva combattere e vincere, per essere felici, quanto piuttosto bisognava essere vinti da quell’emozione che le aveva sopraffatto il cuore, facendo traballare tutto, fino alla punta delle sue dita.
-Ginny?
La voce di Neville le giunse ovattata, lontana chilometri, come proveniente da un mondo che lei aveva abbandonato.
-Ginny? Va tutto bene?
La ragazza si sfregò gli occhi scuri, annuendo vigorosamente:
-Sì, Nev. Dev’essere tutta questa polvere…mi bruciano gli occhi.
Una mano le si poggiò dolcemente sulla spalla, e quel contatto sembrò  bastarle per sentirsi un po’ meglio.
-Oh, la polvere…roba antipatica. Posso esserti d’aiuto?
Ginny finalmente guardò l’amico, con gli occhi pieni di lacrime e si alzò di scatto, abbracciando Neville, smettendo di mentire a se stessa ed agli altri, abbattendo i muri che aveva alzato, per essere irraggiungibile ed impenetrabile.
-Ho fatto una cosa orribile, Neville. Orribile.- disse soffocando i singhiozzi sul petto di Neville.
Il ragazzo ricambiò l’abbraccio goffamente, visibilmente a disagio, battendo dolcemente una mano fra le scapole della ragazza, scosse dai singhiozzi.
-Via Ginny…non faresti mai niente di così orribile. Io ti conosco…
Ginny cominciò a piangere copiosamente, senza più curarsi di trattenersi, poi con voce rotta disse:
-Ho tradito Harry. L’ho dimenticato. Ho tradito la sua fiducia. Il nostro rapporto. Come ho potuto, Neville? Come posso aver detto di amarlo e poi fare una cosa così orribile…così meschina? Come potrò guardarlo negli occhi?
Neville la cullò delicatamente, cercando di tranquillizzarla, poi le mise le mani sulle spalle minute, allontanandola da sé quel tanto che bastava per guardarla negli occhi:
-Ssssh, Gin. Va tutto bene. Shhh, calmati.- bisbigliò il ragazzo.
Lasciò che la ragazza si sfogasse ancora, che piangesse liberamente, immaginando quanto avesse trattenuto le lacrime, durante la lunga giornata.
-Ginny, tu pensi che Harry ti ami? E tu, Gin, lo ami?- chiese candidamente dopo un poco.
Ginny lo guardò negli occhi, prima che le lacrime continuassero a scorrere inclementi, sulle sue efelidi.
-I-io…n-non lo so più, Neville. Merlino è…orribile, vero? Non saper rispondere a questa domanda. M-ma non lo so…
Neville le asciugò le lacrime, con fare fraterno, prima di dire, con una sicurezza a lui estranea:
-Sai cosa mi diceva sempre mia nonna, Ginny?- fece una pausa, carezzandole una guancia:
-Diceva che nel momento stesso in cui ti soffermi a pensare se ami o no qualcuno, beh…vuol dire che la risposta, la conosci già.
A Ginny si fermò il cuore, sentite quelle parole, e trovata la risposta che cercava.
 
***
 
Il rumore dei suoi passi sembrava essere l’unico suono rassicurante a fargli compagnia, intermezzato da urla che di umane avevano ben poco. Ogni passo, in quei lerci corridoi che sapevano di muffa, gli sembrava già un peso in meno, un respiro d’aria un po’ più pura. E mentre in silenzio, con la lanterna ben stretta in una mano, ripercorreva a ritroso il cammino già compiuto, Blaise non poté che maledire quel losco carceriere, che lo aveva abbandonato di fronte alla cella di Lucius, e che non s’era nemmeno preoccupato di indicargli la strada per trovare l’uscita.
Azkaban era un labirinto di tormento, ben lontano dalla prigione d’oro e d’etica dipinta dal Ministero. Ad ogni corridoio, Blaise scorgeva porte blindate, dietro le quali si celavano ombre, parvenze di uomini che una volta aveva conosciuto. Ringraziò l’Auror che aveva spezzato la vita di suo padre, con referenza. Molto meglio morire in battaglia, che scontare una pena tanto impietosa.
E sebbene di Dissennatori non ci fosse l’ombra, Blaise sentiva un freddo pungente stringergli il cuore e un profondo sconforto artigliarlo senza possibilità di scampo.
Imboccò l’ennesimo corridoio e subito notò che l’aria era meno rarefatta, più leggera, quasi respirabile. Le celle, lì erano meno numerose, e pareva esserci più luce, ma quando vide le pareti, composte da grate arrugginite, capì di trovarsi in una sezione particolare.
La maggior parte delle celle, delimitate dalle grate, erano vuote e pulite. Aveva sentito parlare di quella sezione, dove tanti suoi amici avevano rischiato di scontare il resto dei loro giorni, in primis lui e Draco.
Si trattava della zona per i reati minori, che minori non erano affatto, se non per l’età dei condannati. Lì i Dissennatori erano liberi di andare e venire, senza sforzo potevano varcare l’uscio delle celle, al contrario delle stanzette di isolamento, tre corridoi più giù. Stanzette anguste e buie, come quella in cui era rinchiuso Lucius. Fu per caso che spinse verso una cella, la meno illuminata, una delle più cupe, forse anche peggiore di quella appena vista da Blaise, la sette zero nove pareva risplendere a confronto.
Si avvicinò cautamente, cercando di non far rumore, ma non passò di certo inosservato.
-Blaise, quale onore.
Avrebbe riconosciuto quella voce tra mille. La conosceva da quando erano bambini, l’aveva sentita cambiare, da squillante a profonda e dura. L’aveva sentita crescere insieme alla propria, fare progetti per il futuro, dare consigli opportuni e sempre corretti, difendere la persona che diceva di aver amato, giurare vendetta e urlare la maledizione che uccide. Non avrebbe mai potuto dimenticare quella voce, quella notte, né ciò che ne era seguito. Chiudendo una mano sulla grata gelida, sussurrò:
-Theodore…
 
***


Draco sentiva l’impellente bisogno di scappare, di riempire un bicchiere di Incendiario e di bere finché le stanze del Manor non avessero cominciato a vorticare sotto al suo sguardo. Il candore di Potter lo disarmava, e non poteva che innescare tutta una serie di rimpianti e di maledizioni verso se stesso. Non riusciva davvero a giustificare il proprio gesto, e voleva semplicemente andare via da lì, sfuggire allo sguardo di Potter che sembrava reclamare la sua attenzione. Se fosse rimasto un minuto di più, Draco lo sapeva, non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione.
Era certo che Potter non si rendesse conto delle sue azioni, non poteva essere altrimenti. Aveva preso a sporgere le labbra, ad avvicinare le mani, come se inconsciamente stesse palesando il suo bisogno di essere toccato, il suo bisogno di stabilire l’ennesimo contatto. E anche tra le sue parole, Draco, poteva scorgere un’urgenza inaspettata. Lo aveva trattenuto lì, sbarrandogli la strada, impedendogli di scappare e costringendolo ad affrontare l’accaduto. Mentre lui, inafferrabile come l’acqua, voleva scorrere via e dimenticare quell’improvvisa audacia che lo aveva portato a baciare il suo nemico di sempre.
Come gli fosse saltato in mente, poi era un mistero. Qualcosa sembrava averlo misteriosamente spinto sul volto dell’altro, qualcosa che aveva ben poco a che fare con la pietà. Non poteva prendersi in giro. Lo aveva voluto, lo aveva cercato, quella era la verità, per quanto potesse essere scomoda o dolorosa.
Quando Potter avvicinò la mano, per stringere le sue dita, Draco si ritrasse velocemente, come scottato.
-Malfoy, insomma! Mi stai ascoltando?- sbottò spazientito il ragazzo di fronte a lui.
Si comportava come nulla fosse, usava il suo solito tono, ma Draco, oltre le lenti che gli schermavano gli occhi, poteva vederlo sussultare, fremere persino. E ne era atterrito, stupefatto e compiaciuto persino. La confusione si stagliava nella sua mente sempre più compatta e meschina.
Non era un mistero la sua preferenza per il proprio stesso sesso, ma non avrebbe mai e poi mai provato attrazione per una persona come Potter…o sì? D’altronde tutto sembrava dire il contrario, e non poteva negare, nemmeno razionalmente, di aver apprezzato quel bacio infantile. Mai avrebbe dato la soddisfazione a Blaise, di aver ragione, neppure se si trattava di ammettere la sconfitta solo nella sua testa.
Eppure, anche quel innocuo gesto delle dita di Potter, lo aveva scosso terribilmente. C’era una familiarità, quasi un’allarmante quotidianità, in quel suo modo di fare, che spiazzava Draco.
-Un libro, Potter?- disse meccanicamente.
-Un libro, esatto. Hermione l’ha trovato per caso e…Ron dice di aver sentito qualcosa di strano, quando l’ha toccato. Insomma, a sfogliarlo sembrerebbe assolutamente vuoto ma…io ci ho scritto sopra e poi…era bagnato.
Draco si sforzò di concentrarsi, allontanando la mano dal tavolo, di modo che l’altro non potesse raggiungerla.
-Un libro bianco? E tu ci hai scritto sopra? Potter, ti hanno mai detto che in una casa di maghi si suppone che vi siano oggetti magici?- sbottò infastidito.
Potter ritirò le braccia al petto e fece un broncio inconsapevolmente buffo.
-Lo so che è un oggetto incantato, tante grazie, Malfoy.- disse sbuffando
-Allora perché diavolo ci hai scritto sopra?! Avresti potuto comprometterlo!- rimbeccò Draco, inarcando un sopracciglio.
-Volevo saperne di più…per esperienza, so che un libro vuoto non è una cosa perfettamente normale!
Draco alzò gli occhi al cielo e disse:
-Da quando qualsiasi cosa che ti riguardi può anche solo sembrare “perfettamente normale”?
Potter lo fissò come risentito da quelle parole, e schiuse le labbra come per rispondergli a tono, ma poi le sigillò, in una piega adirata. Draco alzò le spalle, ignaro di aver punto sul vivo l’altro e poi disse:
-Vorrei darci un’occhiata.
Potter si alzò e guardandolo di traverso gli fece cenno di seguirlo nell’altra stanza, e precedendolo, lasciò la cucina.
Prima di chiudersi la porta alle spalle, Draco si passò una mano sul viso, stancamente. Quella situazione era quanto di più improbabile si fosse aspettato.
La realtà di ciò che era successo nella stanza dietro di lui, gli piombò addosso scatenando in lui il panico. Stare accanto a Potter lo portava a comportarsi in maniera del tutto sconsiderata, cosa che non doveva assolutamente permettersi. Cercò di tenersi presente a se stesso, quando raggiunse l’altro e lo fronteggiò, per l’ennesima volta. Senza una parola, Potter gli porse il famoso libro, e nel prenderlo, Draco sfiorò le sue dita. Non poté far a meno di sobbalzare, quasi spaventato, dal calore dei polpastrelli tesi di fronte a lui, ma cercò di dissimulare, concentrandosi sul volume misterioso.
Sfogliò le pagine meticolosamente, ma non vi scorse nulla, poi sentì qualcosa di intenso, di vibrante. Una sensazione di benessere gli invase i palmi, ma c’era anche qualcosa di pungente, di doloroso. Per un attimo gli sembrò di respirare con i polmoni di qualcun altro, gli sembrò che il cuore gli si fosse raggrinzito nel petto, e che quel libro lo stesse risucchiando verso un baratro profondo. Sentì sulla lingua un sapore dolceamaro, e poi sulle dita che stringevano il bordo di una pagina percepì qualcosa di umido e di bollente. Di scattò, terrorizzato, richiuse il libro e lo poggiò con forza contro la superficie del tavolo, facendo due passi indietro.
Non s’era reso conto di aver il fiatone. Qualcosa non andava.
Potter, dietro di lui, poggiò una mano sulla spalla, come a sorreggerlo, e Draco finalmente riprese a respirare normalmente. Poi la vista gli si annebbiò, e fu occupata da un bagliore intenso, bruciante. Gli sembrò di svenire, di cadere all’indietro, risucchiato ancora una volta dalla stessa voragine di poco prima, ma non aveva paura adesso, si sentiva come estraniato da se stesso, era una sensazione pacifica, mollemente docile.
-Malfoy!
La voce di Potter era vicinissima, la sentiva sul proprio orecchio, nel chiamarlo, con quella suo tono allarmato, inavvertitamente, sfiorò il lobo del suo orecchio con le labbra…Draco rabbrividì. Poi sentì una mano forte e vigorosa stringergli un fianco, sorreggerlo, ed il battito di un cuore contro la sua scapola sinistra.
Chiuse gli occhi per un istante, poi, quando li riaprì, si rese conto di aver abbandonato il proprio corpo contro quello di Potter. Era stato travolto dalla magia contenuta in quel libro e ne era ancora sconvolto. Potter continuava a cingergli il fianco, per impedirgli di cadere, e a Draco sembrò che tutte le proprie forze, persino quelle che gli urlavano di scappare via dalla morsa di Potter, fossero state prosciugate.
Quando infine parlò, disse tremante:
-Quello non è un libro.
Potter gli mise una mano sulla schiena, per aiutarlo a rimettersi in sesto e a raddrizzarsi. Poi Draco si voltò e guardando l’altro negli occhi, umettandosi le labbra secche disse:
-Quella è la vita di qualcuno. È un diario, Potter.
 

Note:
Buonsalve, viandanti!
Io non ho parole.
Per le bellissime recensioni, alle quali risponderò al più presto.
Per l’affetto che riponete in questa storia, che molto spesso è silenzioso.
Per la vostra pazienza, che deve assolutamente essere premiata.
E soprattutto per la fiducia che avete nei miei confronti.
Io non mi merito tutto questo, davvero. Non mi merito Ale, più di tutto. Lei sa perché, ed io sto ancora cercando di capire come io possa essere inciampato in una persona così meravigliosa. Non posso neanche ringraziarla, perché mi beccherei una ramanzina che nemmeno Remus se la sognerebbe.
Insomma, spero di non avervi deluso, con questo capitolo 21.
Il prossimo, miei prodi, non arriverà presto, devo far ammenda…tra qualche giorno parto, poi ci sarà il mio detestabilissimo compleanno, e sarà un periodo di grande fermento tra application per la specialistica e tesi di laurea in corso. Ma non vi abbandonerò, promesso, e vi giuro che il 22 sarà degno di nota :D Ne vedrete delle belle, quindi:
Stay Tuned! ;) 
  
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