Polvere
nera
Capitolo
primo:
l'albero di limoni
https://www.youtube.com/watch?v=T8PHNeT_x1U
“Anche quando
il tempo era scaduto, non riuscivo a smettere.
Stavo fluttuando tutto
il giorno.”
Marble Sounds – The time to sleep
Forlì, gennaio 1500.
«Maledetto
cane!»
«Prendi questo, schifoso maiale!»
«Zitto, indegno bastardo!»
Vittoria distolse lo sguardo dal suo lavoro nella sala da pranzo,
arrivando a voltarsi appena in tempo per vedere suo fratello Giacomo
volare dall’altra parte del tavolo con una corona di
margherite in testa.
Il povero ragazzo sbatté contro una sedia, ribaltandosi in
avanti per scontrarsi di faccia con il pavimento ed emettere infine un
verso di sonora sconfitta.
Dall’altra parte del salone, il primogenito dei Numai
ridacchiò.
«Ti sei fatto male?», chiese, portandosi in spalla
entrambe le spade di legno con le quali aveva combattuto.
Giacomo rantolò qualcosa di simile a una minaccia di
vendetta, ma si guardò bene dal riprendere in mano la spada.
«Guglielmo! Ma che persona sei, a picchiare un
prete», borbottò, riportandosi in piedi per
lisciarsi la divisa scura dal Seminario pisano.
Vittoria soffocò una risatina divertita, tornando ad
annodare in un anello la corda appesa alle travi del soffitto.
Osservò a lungo il cappio, prima di infilarci il collo in
mezzo e aggiustarlo alla sua misura.
«Credete che a Cesare Borgia piacerà cenare con
un’impiccata sul tavolo?», chiese, facendo un
leggero saltello.
Per un istante, tra i suoi piedi e il legno non vi fu che aria.
La ragazza sentì la corda stringersi sul suo collo,
togliendole anche il più flebile respiro,
dopodiché sotto di lei tornò a esserci un
appoggio e il fiato riprese a scaldarle la gola come la più
gentile delle carezze.
«Un impiccato al mattino, uno alla sera, che vuoi che
cambi», commentò con uno sbuffo Giacomo, versando
del vino nel suo calice e in quelli dei suoi fratelli. «Al
massimo accopperai di terrore il suo ciambellano!»
Guglielmo roteò gli occhi con espressione asciutta.
«Cauti, voi due», li rimproverò.
«Una con le azioni e l’altro con le parole. Cesare
Borgia non è il tipo uomo che accetta simili scherzi in sua
presenza.»
«E a te che importa?», chiese sfrontata Vittoria,
scendendo dal tavolo con l’aiuto di Giacomo. «Se te
ne stai nel tuo palazzo con tua moglie, il Valentino non ti
vedrà neanche per sbaglio!»
«È proprio per questo che mi preoccupo,
invece», la corresse subito Guglielmo. «Senza di me
ti faresti trovare impiccata a una cena che potrebbe decidere le sorti
dell’intera Romagna.»
Vittoria storse il naso e aprì la bocca per ribattere, ma le
porte del salone si spalancarono all’improvviso, sbattendo
sul muro a causa di tutta la forza che i nuovi arrivati misero nello
spingerle per aprirsi la via.
Giacomo sobbalzò, quasi lasciando cadere a terra il suo
calice, mentre Guglielmo si limitò a sospirare pesantemente,
visibilmente scocciato da tutta quella situazione che lo vedeva
obbligato a spendere del tempo con i suoi fratelli minori.
Nella confusione che quell’entrata aveva causato, Vittoria si
sporse oltre le spalle larghe di Giacomo, raccogliendo
l’abito nei pugni stretti delle mani per avvicinarsi spedita
a quelle che parevano essere le sue tre dame di compagnia.
«Sta arrivando!», annunciò a gran voce
Margherita, la più giovane, ben dritta dinanzi alle sue due
compagne.
Simonetta, quella di mezzo, volteggiò sulle sue scarpine
color lavanda.
«Dicono che abbia con sé almeno cento
cavalli!»
Francesca, di gran lunga la più bella, si passò
con vanità una mano nei capelli castani.
«A me hanno detto che saranno almeno il doppio!»
Vittoria sorrise, voltandosi verso i suoi fratelli con espressione
divertita. Di rimando, Guglielmo colse la palla al balzo e si
dileguò, sparendo in pochi istanti sul corridoio della
magione. Giacomo, invece restò ad ascoltare i discorsi delle
ragazze.
«A me non importa dei cavalli», disse cauta
Vittoria, alzandosi sulle punte per accertarsi che suo fratello
maggiore fosse ormai troppo lontano per udire le sue civetterie.
«Perché Madonna Ricci lo ha incontrato due inverni
fa e mi ha detto che è incredibilmente avvenente.»
Le tre dame ridacchiarono.
«Ma non era sposato?», commentò
Margherita.
Vittoria strabuzzò gli occhi.
«Sposato? Io lo sapevo cardinale!»
Francesca sbuffò, prendendo a braccetto la dama
più giovane prima di iniziare a camminare verso il portone
d’entrata.
«Come siete disinformata, Madonna Vittoria!», la
rimproverò, affabile. «Cesare Borgia ha rinunciato
alla porpora quasi due anni fa, lasciando Santa Madre Chiesa per
ciò che è la sua vera passione.»
La voce di Giacomo le colse tutte di sorpresa.
«Le prostitute?», chiese il ragazzo, rifacendosi
presente con un sorriso gioviale.
Margherita avvampò, nascondendosi con un saltello dietro il
capo di Vittoria.
«Tranquille, signore mie», rise Giacomo,
accompagnando il suo commento con un ampio gesto dalla mano inguantata.
«Nessun nobiluomo a udire i vostri pettegolezzi; soltanto un
umile prete!»
Vittoria mosse un passo avanti, guidando l’insolito gruppetto
verso il cortile interno della magione. Era il suo luogo preferito,
quello, con la vasca colma d’acqua piovana e gli alberi di
magnolia piantati lungo il colonnato. Al centro, non da molto tempo,
suo padre aveva fatto piantare un albero di limoni.
“È
il simbolo dei miei tre figli”, le aveva detto
una volta, quando Giacomo non era ancora partito per il Seminario.
“Il tronco,
solido e slanciato, è tuo fratello Guglielmo, il futuro
capofamiglia; i fiori immacolati rappresentano te, figlia mia, mentre
Giacomo è …”
Giacomo sarebbe dovuto esser le foglie verdi e rigogliose
dell’albero, ma per Vittoria era sempre rimasto
l’acidità del limone, sebbene ciò
rovinasse un poco la romantica metafora di suo padre.
Quando, a braccetto con il fratello minore, passò accanto
all'albero, non poté fare a meno di ridacchiare.
«Spero di vedervi tutte, questa sera», disse,
fermandosi nei pressi della vasca di marmo. Sott’acqua, al
riparo dal gelo di gennaio, cinque tritoni riposavano tra le alghe del
fondo. «Mio padre ha organizzato uno spettacolo per dare un
degno benvenuto al Valentino. Ci saranno i fuochi
artificiali.»
Margherita batté le mani, estasiata.
«Ha chiamato di nuovo Messer Sartori?», chiese.
Vittoria annuì.
«Così pare.»
«Oh, io amo gli spettacoli della sua bottega!»
Francesca mosse appena il capo, confusa.
«Chi sarebbe questo Messer Sartori?»
Simonetta la prese sotto braccio, facendo strada verso il portone.
«Un giovinetto che si diverte a fare il bombarolo»,
spiegò, divertita. «Ma un giovinetto davvero
bravo, bisogna riconoscerlo!»
«Dipinge il cielo di verde!», strillò
Margherita. «E di rosso, e di giallo!»
Mentre le dame di compagnia si allontanavano in completa ovazione,
Vittoria rimase a guardarle saltellare per il corridoio.
Alle suggestive rappresentazioni di Messer Sartori era abituata, visto
l’amicizia che correva tra suo padre e il proprietario della
bottega. E, infatti, sapere di dover assistere all’ennesimo
spettacolo pirotecnico della sua vita non la emozionava affatto.
Un po’ imbronciata, tornò a guardare verso suo
fratello Giacomo, perso a osservare i tritoni nuotare nella vasca.
«Partirai per Pisa prima di cena?», chiese,
chinandosi sulla superficie liscia dell’acqua per raccogliere
una di quelle curiose bestioline.
Giacomo sospirò.
«Non ho modo di divertirmi a una messa in scena del
genere.»
Vittoria ridacchiò.
«Possono dartene modo io», mormorò,
alzando la manica del vestito per permettere al tritone di arrampicarsi
un poco sul suo braccio pallido. «Il Dottor Cappelletti
sostiene che questi animali siano velenosi, sai?»
Guardò il volto di Giacomo indurirsi di colpo, mentre il
ragazzo si guardava intorno per assicurarsi che non vi fossero orecchie
indiscrete a udire quella conversazione.
Prese un paio di respiri, dopodiché parlò,
abbassando notevolmente il suo solito acuto tono di voce:
«Chi vuoi uccidere, Sorella?»
Vittoria sorrise, stringendo il collo del tritone tra le dita
affusolate.
«Sta’ a vedere, Giacomo»,
mormorò.
Piegò il polso e spezzò la testa della povera
bestiola con un colpo deciso, lasciando che il corpicino le si
afflosciasse sulla mano.
Giacomo ridacchiò, scuotendo piano il capo.
«Ho l’impressione che stasera ci divertiremo molto
più del solito», commentò, sottovoce.
Vittoria si rimise composta, abbracciandolo prima di incamminarsi verso
la sala da pranzo.
«Vado a togliere il cappio», spiegò.
«A quanto pare non ne avrò bisogno.»
«Mi stai dicendo che non
se ne fa niente, bombarolo?»
Con la sua scatola di legno sotto braccio, Niccolò Sartori
alzò al cielo gli occhi castani. Arricciò il naso
un paio di volte, guardandosi intorno giusto per assicurarsi di non
avere una spada puntata contro, dopodiché tornò
ad inarcare le sopracciglia dinanzi all’usciere di Palazzo
Numai.
«Vi sto dicendo che non sono un bombarolo!»,
protestò, fingendosi offeso. «E vi sto anche
dicendo che, se non mi pagherete immediatamente la somma pattuita,
stasera gli unici fuochi artificiali da far vedere a Cesare Borgia
saranno quelli in camera da letto con la figlia del padrone!»
La porta del palazzo si aprì, lasciando che la minuta figura
dell’usciere si affacciasse sulla via.
Pareva un ratto, quell’insulso omino dai modi pomposi, tanto
flebile e squittente era la sua vocina.
«Attento a come parli, ragazzino!»,
esclamò, puntandogli il dito contro nonostante la sua
statura a dir poco ridicola non gli permettesse di arrivare neanche
alle spalle di Niccolò. «Al padrone non piacciono
le lingue lunghe!»
Il ragazzo lo guardò di sottecchi.
«Sono sicuro che non gli piacerà neanche una cena
senza spettacolo», ribatté, malizioso.
«Che mai ti costerà, vecchio! Dammi i miei soldi e
fammi entrare!»
L’usciere parve farsi titubante.
«Il padrone mi ha chiesto di non anticipare neanche un
fiorino …», biascicò, affranto.
«Se anticipare ora il pagamento, prometto di farvi uno sconto
sul prezzo della polvere!», calcò
Niccolò, affabile nel suo sorriso più convincente.
«E sia», concesse l’usciere,
allungandogli un sacchetto di raso e facendosi da parte. «Ma
badate bene, bombarolo: sarà meglio che stanotte il cielo
non si spenga neanche per un istante!»
Ma colui che a Forlì tutti chiamavano bombarolo era
già lontano, perso per l’unico corridoio che
dall’entrata portava alla corte interna.
Niccolò Sartori conosceva Palazzo Numai quasi a memoria,
tanti erano gli spettacoli che il padrone Luffo Numai aveva
commissionato alla sua bottega.
Ventiquattro anni a settembre, di cui tredici passati a pesare la
polvere nera e le sue componenti; di certo Niccolò aveva
avuto più di un’occasione di esibirsi per le
ricche famiglie forlivesi, soprattutto in veste
dell’artigliere che non era.
Perciò, respingendo con furbizia il ricordo del suo ultimo
esperimento bellico che aveva quasi ucciso un cavallo,
Niccolò mosse quegli ultimi passi che lo separavano dalla
corte interna, mollando a terra la scatola di legno per prendere un
grosso respiro e riempirsi i polmoni dell’aria fresca della
sera di gennaio.
Scrollò le spalle, chinandosi sulla sua cassetta per
recuperare i primi sacchetti di polvere da legare alle colonne, e
iniziò a lavorare per allestire il palco di quella
che, lo sapeva, sarebbe stata una delle sue più grandi
esibizioni.
Aveva talmente tanta polvere da sparo da far saltare in aria un intero
esercito ma non quella sera, non in quell’occasione. Per
quella volta, avrebbe semplicemente rubato il respiro agli invitati
nell’effimero istante in cui il cielo si sarebbe tinto dei
colori dell’estate.
Lavorò senza sosta per quasi un’ora, balzando da
una parte all’altra del cortile per assicurarsi che ogni
sacchetto fosse sistemato in modo impeccabile.
Poi, quando ormai stava per finire, un servitore lo raggiunse tra
l’erba.
«Madonna Vittoria vi manda i suoi ossequi», gli
disse, semplicemente, consegnandogli un calice di vino e qualche
biscotto su cui era stata spalmata una crema dall’aspetto
simile al miele.
Mollato a terra un bastone che aveva usato come righello,
Niccolò si pulì le mani sulla casacca.
«Dite a Madonna Vittoria che le sono davvero
grato», disse, sorridendo contento al servitore prima di
mettere in bocca un biscotto. «Delizioso. Che
cos’è?»
L’uomo scrollò le spalle.
«La Signora si è raccomandata di tenerlo
segreto.»
Niccolò scoppiò a ridere.
«Bevo alla sua salute, allora!»,
esclamò, alzando il calice di vino verso il cielo scuro
della sera. «Ditele che stasera la lascerò senza
parole!»
E l’avrebbe fatto di certo, con tutta la quantità
di polvere nera che Messer Numai gli aveva commissionato. In quel
cortile, ce n’era abbastanza per tingere la notte intera.
Ma Niccolò in testa aveva ben altri progetti e, se tutto
sarebbe andato come nelle prove che aveva fatto in piccolo nel
retrobottega, non ci sarebbe stata anima in tutta Forlì a
non ammirare il suo operato.
Note
d'autore
Bentrovati!
Ed eccoci al vero inizio dell'avventura (sempre che tale si possa chiamare)! Credo ci vorranno ancora un paio di capitoli perché la storia entri nel suo vivo, ma tenterò di non annoiare con questa introduzione. :3
Questo primo capitolo era per conoscere bene sia Niccolò che Vittoria, sebbene Giacomo si sia inserito da solo. E fu così che un personaggio di bordo vinse sull'autrice e divenne quasi principale.
Jej!
Detto ciò, volevo inserire qualche nota ma mi rendo conto che parlare del famigerato veleno del tritone sia prematuro, quindi rimando tutto al prossimo appuntamento c:
Vi faccio però vedere una foto di Palazzo Numai (che a Forlì esiste veramente, come esiste d'altro canto Luffo Numai e com'è vera la storia di Cesare Borgia che rimase ospite di questa famiglia per molto tempo dopo la conquista della città). E perdonate il pessimo scatto ... è il migliore che sono riuscita a trovare! ç_ç
Spendo qualche parola anche sulla famigerata Polvere Nera di Niccolò, che altro non è che una variante praticamente innocua della notissima polvere da sparo. Composta per la maggior parte da nitrato di potassio e carbone, viene usata ancor oggi per gli spettacoli pirotecnici. Come in ogni combustione, la fiamma può essere colorata a piacere con i diversi sali (ma di questo avremo modo di parlare più avanti :3). La polvere nera è stata comunque utilizzata in ambito bellico più o meno fino al 1870, anno in cui sono stati introdotti combustibili più veloci ed efficaci.
Quest'ultimo paragrafo di note lo voglio dedicare a tutte le persone che si sono fermate sul prologo, a quelle che hanno letto, che hanno storto il naso, che hanno aggiunto la storia tra le seguite, a tutte quelle che hanno commentato.
L'ultima cosa che mi aspettavo era una risposta tanto vitale, perciò ... bé, sappiate che non so davvero come ringraziarvi! ☆
E' stata una sorpresa piacevolissima; grazie, grazie mille a tutti!
Un bacio a tutti,
Lechatvert