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Autore: Lechatvert    19/03/2014    2 recensioni
Nel 1500, dopo tre settimane di assedio alla città di Forlì, il Valentino si insedia a Palazzo Numai, ospite del consigliere di Caterina Sforza.
Nello stesso anno, Niccolò Sartori dipinge di verde i cieli della Romagna.
In quel momento, forse, si sentiva un po’ la falena dei racconti di suo padre. Piccolo e impotente dinanzi alle fiamme mentre le grida della guardia cittadina si avvicinavano, eppure così affascinato dalla sua opera da non poterla lasciare.
Continuava a fissare il fuoco a pensare: “
Non smettere, non ancora”. Serrava le palpebre quando gli occhi cominciavano a fare male e subito li riapriva, preoccupato come un bambino dinanzi alla prima nevicata di ottobre, per assicurarsi che nulla fosse cambiato.
Era la sua luce, la sua fiamma, la sua Vittoria che bruciava come la più brillante delle comete.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
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polverenera

Polvere nera
Capitolo primo: l'albero di limoni

https://www.youtube.com/watch?v=T8PHNeT_x1U





Anche quando il tempo era scaduto, non riuscivo a smettere.
Stavo fluttuando tutto il giorno.
Marble Sounds – The time to sleep





Forlì, gennaio 1500.

«Maledetto cane!»
«Prendi questo, schifoso maiale!»
«Zitto, indegno bastardo!»
Vittoria distolse lo sguardo dal suo lavoro nella sala da pranzo, arrivando a voltarsi appena in tempo per vedere suo fratello Giacomo volare dall’altra parte del tavolo con una corona di margherite in testa.
Il povero ragazzo sbatté contro una sedia, ribaltandosi in avanti per scontrarsi di faccia con il pavimento ed emettere infine un verso di sonora sconfitta.
Dall’altra parte del salone, il primogenito dei Numai ridacchiò.
«Ti sei fatto male?», chiese, portandosi in spalla entrambe le spade di legno con le quali aveva combattuto.
Giacomo rantolò qualcosa di simile a una minaccia di vendetta, ma si guardò bene dal riprendere in mano la spada.
«Guglielmo! Ma che persona sei, a picchiare un prete», borbottò, riportandosi in piedi per lisciarsi la divisa scura dal Seminario pisano.
Vittoria soffocò una risatina divertita, tornando ad annodare in un anello la corda appesa alle travi del soffitto. Osservò a lungo il cappio, prima di infilarci il collo in mezzo e aggiustarlo alla sua misura.
«Credete che a Cesare Borgia piacerà cenare con un’impiccata sul tavolo?», chiese, facendo un leggero saltello.
Per un istante, tra i suoi piedi e il legno non vi fu che aria.
La ragazza sentì la corda stringersi sul suo collo, togliendole anche il più flebile respiro, dopodiché sotto di lei tornò a esserci un appoggio e il fiato riprese a scaldarle la gola come la più gentile delle carezze.
«Un impiccato al mattino, uno alla sera, che vuoi che cambi», commentò con uno sbuffo Giacomo, versando del vino nel suo calice e in quelli dei suoi fratelli. «Al massimo accopperai di terrore il suo ciambellano!»
Guglielmo roteò gli occhi con espressione asciutta.
«Cauti, voi due», li rimproverò. «Una con le azioni e l’altro con le parole. Cesare Borgia non è il tipo uomo che accetta simili scherzi in sua presenza.»
«E a te che importa?», chiese sfrontata Vittoria, scendendo dal tavolo con l’aiuto di Giacomo. «Se te ne stai nel tuo palazzo con tua moglie, il Valentino non ti vedrà neanche per sbaglio!»
«È proprio per questo che mi preoccupo, invece», la corresse subito Guglielmo. «Senza di me ti faresti trovare impiccata a una cena che potrebbe decidere le sorti dell’intera Romagna.»
Vittoria storse il naso e aprì la bocca per ribattere, ma le porte del salone si spalancarono all’improvviso, sbattendo sul muro a causa di tutta la forza che i nuovi arrivati misero nello spingerle per aprirsi la via.
Giacomo sobbalzò, quasi lasciando cadere a terra il suo calice, mentre Guglielmo si limitò a sospirare pesantemente, visibilmente scocciato da tutta quella situazione che lo vedeva obbligato a spendere del tempo con i suoi fratelli minori.
Nella confusione che quell’entrata aveva causato, Vittoria si sporse oltre le spalle larghe di Giacomo, raccogliendo l’abito nei pugni stretti delle mani per avvicinarsi spedita a quelle che parevano essere le sue tre dame di compagnia.
«Sta arrivando!», annunciò a gran voce Margherita, la più giovane, ben dritta dinanzi alle sue due compagne.
Simonetta, quella di mezzo, volteggiò sulle sue scarpine color lavanda.
«Dicono che abbia con sé almeno cento cavalli!»
Francesca, di gran lunga la più bella, si passò con vanità una mano nei capelli castani.
«A me hanno detto che saranno almeno il doppio!»
Vittoria sorrise, voltandosi verso i suoi fratelli con espressione divertita. Di rimando, Guglielmo colse la palla al balzo e si dileguò, sparendo in pochi istanti sul corridoio della magione. Giacomo, invece restò ad ascoltare i discorsi delle ragazze.
«A me non importa dei cavalli», disse cauta Vittoria, alzandosi sulle punte per accertarsi che suo fratello maggiore fosse ormai troppo lontano per udire le sue civetterie. «Perché Madonna Ricci lo ha incontrato due inverni fa e mi ha detto che è incredibilmente avvenente.»
Le tre dame ridacchiarono.
«Ma non era sposato?», commentò Margherita.
Vittoria strabuzzò gli occhi.
«Sposato? Io lo sapevo cardinale!»
Francesca sbuffò, prendendo a braccetto la dama più giovane prima di iniziare a camminare verso il portone d’entrata.
«Come siete disinformata, Madonna Vittoria!», la rimproverò, affabile. «Cesare Borgia ha rinunciato alla porpora quasi due anni fa, lasciando Santa Madre Chiesa per ciò che è la sua vera passione.»
La voce di Giacomo le colse tutte di sorpresa.
«Le prostitute?», chiese il ragazzo, rifacendosi presente con un sorriso gioviale.   
Margherita avvampò, nascondendosi con un saltello dietro il capo di Vittoria.
«Tranquille, signore mie», rise Giacomo, accompagnando il suo commento con un ampio gesto dalla mano inguantata. «Nessun nobiluomo a udire i vostri pettegolezzi; soltanto un umile prete!»
Vittoria mosse un passo avanti, guidando l’insolito gruppetto verso il cortile interno della magione. Era il suo luogo preferito, quello, con la vasca colma d’acqua piovana e gli alberi di magnolia piantati lungo il colonnato. Al centro, non da molto tempo, suo padre aveva fatto piantare un albero di limoni.
È il simbolo dei miei tre figli”, le aveva detto una volta, quando Giacomo non era ancora partito per il Seminario. “Il tronco, solido e slanciato, è tuo fratello Guglielmo, il futuro capofamiglia; i fiori immacolati rappresentano te, figlia mia, mentre Giacomo è …”
Giacomo sarebbe dovuto esser le foglie verdi e rigogliose dell’albero, ma per Vittoria era sempre rimasto l’acidità del limone, sebbene ciò rovinasse un poco la romantica metafora di suo padre.
Quando, a braccetto con il fratello minore, passò accanto all'albero, non poté fare a meno di ridacchiare.
«Spero di vedervi tutte, questa sera», disse, fermandosi nei pressi della vasca di marmo. Sott’acqua, al riparo dal gelo di gennaio, cinque tritoni riposavano tra le alghe del fondo. «Mio padre ha organizzato uno spettacolo per dare un degno benvenuto al Valentino. Ci saranno i fuochi artificiali.»
Margherita batté le mani, estasiata.
«Ha chiamato di nuovo Messer Sartori?», chiese.
Vittoria annuì.
«Così pare.»
«Oh, io amo gli spettacoli della sua bottega!»
Francesca mosse appena il capo, confusa.
«Chi sarebbe questo Messer Sartori?»
Simonetta la prese sotto braccio, facendo strada verso il portone.
«Un giovinetto che si diverte a fare il bombarolo», spiegò, divertita. «Ma un giovinetto davvero bravo, bisogna riconoscerlo!»
«Dipinge il cielo di verde!», strillò Margherita. «E di rosso, e di giallo!»
Mentre le dame di compagnia si allontanavano in completa ovazione, Vittoria rimase a guardarle saltellare per il corridoio.
Alle suggestive rappresentazioni di Messer Sartori era abituata, visto l’amicizia che correva tra suo padre e il proprietario della bottega. E, infatti, sapere di dover assistere all’ennesimo spettacolo pirotecnico della sua vita non la emozionava affatto.
Un po’ imbronciata, tornò a guardare verso suo fratello Giacomo, perso a osservare i tritoni nuotare nella vasca.
«Partirai per Pisa prima di cena?», chiese, chinandosi sulla superficie liscia dell’acqua per raccogliere una di quelle curiose bestioline.
Giacomo sospirò.
«Non ho modo di divertirmi a una messa in scena del genere.»
Vittoria ridacchiò.
«Possono dartene modo io», mormorò, alzando la manica del vestito per permettere al tritone di arrampicarsi un poco sul suo braccio pallido. «Il Dottor Cappelletti sostiene che questi animali siano velenosi, sai?»
Guardò il volto di Giacomo indurirsi di colpo, mentre il ragazzo si guardava intorno per assicurarsi che non vi fossero orecchie indiscrete a udire quella conversazione.
Prese un paio di respiri, dopodiché parlò, abbassando notevolmente il suo solito acuto tono di voce: «Chi vuoi uccidere, Sorella?»
Vittoria sorrise, stringendo il collo del tritone tra le dita affusolate.
«Sta’ a vedere, Giacomo», mormorò.
Piegò il polso e spezzò la testa della povera bestiola con un colpo deciso, lasciando che il corpicino le si afflosciasse sulla mano.
Giacomo ridacchiò, scuotendo piano il capo.
«Ho l’impressione che stasera ci divertiremo molto più del solito», commentò, sottovoce.
Vittoria si rimise composta, abbracciandolo prima di incamminarsi verso la sala da pranzo.
«Vado a togliere il cappio», spiegò. «A quanto pare non ne avrò bisogno.»






 

«Mi stai dicendo che non se ne fa niente, bombarolo?»
Con la sua scatola di legno sotto braccio, Niccolò Sartori alzò al cielo gli occhi castani. Arricciò il naso un paio di volte, guardandosi intorno giusto per assicurarsi di non avere una spada puntata contro, dopodiché tornò ad inarcare le sopracciglia dinanzi all’usciere di Palazzo Numai.
«Vi sto dicendo che non sono un bombarolo!», protestò, fingendosi offeso. «E vi sto anche dicendo che, se non mi pagherete immediatamente la somma pattuita, stasera gli unici fuochi artificiali da far vedere a Cesare Borgia saranno quelli in camera da letto con la figlia del padrone!»
La porta del palazzo si aprì, lasciando che la minuta figura dell’usciere si affacciasse sulla via.
Pareva un ratto, quell’insulso omino dai modi pomposi, tanto flebile e squittente era la sua vocina.
«Attento a come parli, ragazzino!», esclamò, puntandogli il dito contro nonostante la sua statura a dir poco ridicola non gli permettesse di arrivare neanche alle spalle di Niccolò. «Al padrone non piacciono le lingue lunghe!»
Il ragazzo lo guardò di sottecchi.
«Sono sicuro che non gli piacerà neanche una cena senza spettacolo», ribatté, malizioso. «Che mai ti costerà, vecchio! Dammi i miei soldi e fammi entrare!»
L’usciere parve farsi titubante.
«Il padrone mi ha chiesto di non anticipare neanche un fiorino …», biascicò, affranto.
«Se anticipare ora il pagamento, prometto di farvi uno sconto sul prezzo della polvere!», calcò Niccolò, affabile nel suo sorriso più convincente.
«E sia», concesse l’usciere, allungandogli un sacchetto di raso e facendosi da parte. «Ma badate bene, bombarolo: sarà meglio che stanotte il cielo non si spenga neanche per un istante!»
Ma colui che a Forlì tutti chiamavano bombarolo era già lontano, perso per l’unico corridoio che dall’entrata portava alla corte interna.
Niccolò Sartori conosceva Palazzo Numai quasi a memoria, tanti erano gli spettacoli che il padrone Luffo Numai aveva commissionato alla sua bottega.
Ventiquattro anni a settembre, di cui tredici passati a pesare la polvere nera e le sue componenti; di certo Niccolò aveva avuto più di un’occasione di esibirsi per le ricche famiglie forlivesi, soprattutto in veste dell’artigliere che non era.
Perciò, respingendo con furbizia il ricordo del suo ultimo esperimento bellico che aveva quasi ucciso un cavallo, Niccolò mosse quegli ultimi passi che lo separavano dalla corte interna, mollando a terra la scatola di legno per prendere un grosso respiro e riempirsi i polmoni dell’aria fresca della sera di gennaio.
Scrollò le spalle, chinandosi sulla sua cassetta per recuperare i primi sacchetti di polvere da legare alle colonne, e iniziò  a lavorare per allestire il palco di quella che, lo sapeva, sarebbe stata una delle sue più grandi esibizioni.
Aveva talmente tanta polvere da sparo da far saltare in aria un intero esercito ma non quella sera, non in quell’occasione. Per quella volta, avrebbe semplicemente rubato il respiro agli invitati nell’effimero istante in cui il cielo si sarebbe tinto dei colori dell’estate.
Lavorò senza sosta per quasi un’ora, balzando da una parte all’altra del cortile per assicurarsi che ogni sacchetto fosse sistemato in modo impeccabile.
Poi, quando ormai stava per finire, un servitore lo raggiunse tra l’erba.
«Madonna Vittoria vi manda i suoi ossequi», gli disse, semplicemente, consegnandogli un calice di vino e qualche biscotto su cui era stata spalmata una crema dall’aspetto simile al miele.
Mollato a terra un bastone che aveva usato come righello, Niccolò si pulì le mani sulla casacca.
«Dite a Madonna Vittoria che le sono davvero grato», disse, sorridendo contento al servitore prima di mettere in bocca un biscotto. «Delizioso. Che cos’è?»
L’uomo scrollò le spalle.
«La Signora si è raccomandata di tenerlo segreto.»
Niccolò scoppiò a ridere.
«Bevo alla sua salute, allora!», esclamò, alzando il calice di vino verso il cielo scuro della sera. «Ditele che stasera la lascerò senza parole!»
E l’avrebbe fatto di certo, con tutta la quantità di polvere nera che Messer Numai gli aveva commissionato. In quel cortile, ce n’era abbastanza per tingere la notte intera.
Ma Niccolò in testa aveva ben altri progetti e, se tutto sarebbe andato come nelle prove che aveva fatto in piccolo nel retrobottega, non ci sarebbe stata anima in tutta Forlì a non ammirare il suo operato.

Note d'autore

Bentrovati!

Ed eccoci al vero inizio dell'avventura (sempre che tale si possa chiamare)! Credo ci vorranno ancora un paio di capitoli perché la storia entri nel suo vivo, ma tenterò di non annoiare con questa introduzione. :3 

Questo primo capitolo era per conoscere bene sia Niccolò che Vittoria, sebbene Giacomo si sia inserito da solo. E fu così che un personaggio di bordo vinse sull'autrice e divenne quasi principale.

Jej!

Detto ciò, volevo inserire qualche nota ma mi rendo conto che parlare del famigerato veleno del tritone sia prematuro, quindi rimando tutto al prossimo appuntamento c: 

Vi faccio però vedere una foto di Palazzo Numai (che a Forlì esiste veramente, come esiste d'altro canto Luffo Numai e com'è vera la storia di Cesare Borgia che rimase ospite di questa famiglia per molto tempo dopo la conquista della città). E perdonate il pessimo scatto ... è il migliore che sono riuscita a trovare! ç_ç

Spendo qualche parola anche sulla famigerata Polvere Nera di Niccolò, che altro non è che una variante praticamente innocua della notissima polvere da sparo. Composta per la maggior parte da nitrato di potassio e carbone, viene usata ancor oggi per gli spettacoli pirotecnici. Come in ogni combustione, la fiamma può essere colorata a piacere con i diversi sali (ma di questo avremo modo di parlare più avanti :3). La polvere nera è stata comunque utilizzata in ambito bellico più o meno fino al 1870, anno in cui sono stati introdotti combustibili più veloci ed efficaci.

Quest'ultimo paragrafo di note lo voglio dedicare a tutte le persone che si sono fermate sul prologo, a quelle che hanno letto, che hanno storto il naso, che hanno aggiunto la storia tra le seguite, a tutte quelle che hanno commentato.

L'ultima cosa che mi aspettavo era una risposta tanto vitale, perciò ... bé, sappiate che non so davvero come ringraziarvi! ☆

E' stata una sorpresa piacevolissima; grazie, grazie mille a tutti!

Un bacio a tutti,

Lechatvert


   
 
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