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Autore: PaleMagnolia    25/10/2008    4 recensioni
Avete presente la femme fatale degli anni Cinquanta - Marilyn, l'elegantissima Grace Kelly, Veronica Lake? Con biondi capelli sempre in ordine, classe e fascino da vendere, labbra color del corallo, e bellissimi abiti da sera?
Ecco, Evelyn Cleve non ci assomiglia neanche un po'. Ma non perché non ci provi, sia chiaro: anzi, le piacerebbe tanto, ma tanto tanto tanto, essere una di loro... Ma, ehi!, voi avete mai provato a essere impeccabili, quando un gatto vi osserva (appollaiato in cima al mobiletto del bagno come un piccolo avvoltoio peloso) mentre vi infilate le calze, la vostra migliore amica è in pieno delirio amoroso, vi sospira nelle orecchie tutto il giorno e mangia solo mele, e la vostra vecchia zia vi rimpinza di focaccine sciroppose?!
Io non so, ma Evelyn assicura che non è facile... No, non è facile neanche un po'! Seguite Eve Cleve attraverso (letteralmente) sandwiches con il tonno (e la maionese, e le cipolline), gatti mangia-calze, pasticcio di rognone e amiche logorroiche: ne vedrete delle belle, e soprattutto assaggerete un po' di tutto.
Genere: Commedia, Demenziale, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Millenovecentocinquantatré' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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Evelyn respirò a fondo, poi spinse la porta d’ingresso dello stabilimento

Evelyn respirò a fondo, poi spinse la porta d’ingresso dello stabilimento.

La porta si aprì con scricchiolio sinistro.

Evelyn indietreggiò.

Sentì dei passi di corsa venire verso di lei.

Venire verso di lei di corsa.

“Scusa, zuccherino” Una ragazza la prese per le spalle, la spostò di lato come se fosse una pastorella di porcellana e corse dentro.

Evelyn fissò allibita la porta che l’altra le aveva lasciato richiudere sul muso.

Curvò le labbra a formare una piccola “o”.

La porta di riaprì all’improvviso.

“Yipe!”, gridò Evelyn, facendo un salto indietro.

“Yipe!”, gridò la ragazza, facendo un salto indietro.

Si guardarono.

“Dai, entra”, disse la ragazza, e la prese per un braccio tirandola dentro la fabbrica.

Evelyn prese in considerazione l’idea di staccarsi a morsi il braccio, come i coyote quando finiscono nella tagliola, e fuggire lontano lontano.

Riflettè se la casa di zia Libby potesse considerarsi abbastanza lontano.

Poi si trovò a fissare in viso la ragazza, che la guardava come per dire “E allora?”.

Era una giovane donna dal viso pallido e dolce e dai capelli scuri, con la riga da un lato, raccolti in uno chignon sulla nuca. Sembrava una Madonna rinascimentale.

Solo che il bandeaux di capelli che le girava intorno alla fronte era pettinato a onde piatte.

Evelyn la guardò a bocca aperta.

Fangirlò.

O meglio, avrebbe fangirlato, se nel millenovecentocinquantatrè fossero esistite le fangirl.

Cominciò a sentire il familiare filo di bava formarsi all’interno del labbro inferiore.

“Er…” disse la ragazza. La guardò di sottecchi.

“Scusami. Uh… Tizia?… Caia?… Sempr…”

“Uh. Scusa. Scusa-scusa. Mi chiamo Evelyn”, rispose Evelyn. Non un’altra. Proprio Evelyn.

Risucchiò la bava con rumore di scolo del lavandino.

“Sei quella nuova?”

“Uh, credo di sì.”

Si guardarono.

Evelyn diventò color ciclamino.

“Cioè, se per nuova s’intende la nuova lavorante, sì. Voglio dire, non sono una ragazza nuova. Ho diciassette anni, quindi non si può dire che io sia nuova; un usato in buone condizioni, diciamo, ma non nuova-nuova, perché se io dicessi di essere nuova e poi si scoprisse che ho diciassette anni sarebbe una truffa bella e buona.”

Si impappinò. Si chiese anche se aveva usato tutti i congiuntivi giusti.

La ragazza non disse niente, ma Evelyn vide passare rapidamente sulla sua fronte le parole luminose “lontano” e “lontano”

Che sono poi una parola sola. “Lontano”.

“Ma non è questo che intendevi, vero? Intendevi se sono nuova qui. Cioè, sono nuova di questo paese, ma non dell’Inghilterra del Sud, intendo, non dell’Inghilterra. Insomma, non è che io sia un’emigrante italiana, o un dissidente irlandese, o sia arrivata qui dalla Siberia nella stiva di un cargo per sfuggire al terribile regime militare del…”

La ragazza la fissava ora con sguardo perplesso.

Evelyn deglutì.

“Sono quella nuova.”

La ragazza sorrise.

Sembrava una maestra elementare che avesse appena insegnato a un bambino balbuziente a sillabare “Mississippi”. Missisippi? Mississipi?Myss…

Sembrava una maestra elementare che avesse appena insegnato a un bambino balbuziente a sillabare "Ohio."

“Piacere, Evelyn. Merry.”

Evelyn la guardò.

“...Christmas?”, azzardò. Le sembrava un po' presto.

La ragazza si adombrò di nuovo.

“Merry è il mio nome.”

“Oh.”

“Cioè, sarebbe Mary Rose”, spiegò. “Ma se mi chiami Mary Rose ti ammazzo. Cioè, non è che ti ammazzo-ammazzo, intendo in senso figurato. Mi segui?”

Evelyn considerò l’ipotesi di gridare di nuovo “Yipe!” e scappare veloce come un fulmine.

Che era una metafora. O un’iperbole?

Evelyn considerò l’ipotesi di gridare di nuovo “Yipe!” e scappare veloce.

“Quel che voglio dire, uh, è che non sono una persona violenta o che altro, insomma, è una metafora, cioè no, un’iperbole, cioè, insomma, un modo di dire per dire che non mi piace che mi chiamino…”

La ragazza sospirò.

“Mi chiamo Mary Rose, ma tu puoi chiamarmi Merry.”

“Evelyn sorrise, sollevata.

Aveva trovato un’amica.

 

 

 

  
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