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Autore: _ayachan_    08/01/2009    5 recensioni
Ed è solo perché sono un'inguaribile ritardataria che i regali di Natale iniziano a presentarsi al pubblico nel giorno della Befana! Le shot più disparate che mi sono state richieste come regalo più o meno sano di mente, AU, what if, spinoff e tutto ciò che mi balzava in testa. Filo comune: sono tutti regali, naturalmente.
All'interno: una fic che ha partecipato al contest sull'erotismo, e la prima classificata al contest sulla pazzia, ovviamente segnalate.
Capitolo 6:
JiraTsu, per Leti.
Purtroppo è leggermente angst, nonostante la cosa non piaccia neanche a me! XD
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: Alternate Universe (AU), Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Natale2-Maura

Per Maura, aka izayoi007.

Perché sa cosa significa NaruSaku,
e perché sa cosa significa essere pendolari!

NaruSaku, AU.





Binario morto





Ormai dovrei averci fatto l’abitudine, pensa, mentre apre le porte del treno con uno sforzo inumano. Dovrebbe essere cosa di tutti giorni, una formalità... quella roba che chiamano ruotina, o una parola del genere!
A fatica, sale i gradini e si appoggia alla parete azzurrastra, riprendendo fiato.
«No, non mi abituerò mai» sbuffa, infilando un dito nel colletto della maglia e scuotendola per farsi aria.
Lungo il vagone si diffonde un trillo monotono, nella tonalità più sgradevole che sia mai stata concepita, e le porte che ha aperto a fatica scorrono sui loro binari e si richiudono con un tonfo. Le fissa torvo, mentre il treno si mette in moto con uno scossone, e a quel punto si stacca dalla parete. Ovviamente non c’è nemmeno la minima traccia di aria condizionata.
Si trova davanti all’ennesima porta, ma questa volta riesce ad aprirla con relativa facilità. Attraversa l’intersezione tra i due vagoni, apre una nuova porta, e finalmente si trova tra i sedili sdruciti che conosce fino alla nausea – e che con la nausea hanno molto a che fare, in effetti, dato che il loro colore non ispira esattamente poesia.
Il vagone è semivuoto, i blocchi di sedili da quattro sono quasi tutti occupati da un’unica persona, ma ecco che sul fondo, vicino alla prossima porta, ne trova alcuni liberi. Sistema lo zaino sulle spalle e avanza con passo sicuro, bilanciando i leggeri scossoni del treno e l’inclinazione dei binari, finché non raggiunge la postazione e sfila lo zaino, lasciandolo cadere sul sedile di fronte a quello che lo accoglierà.
Si accomoda, lasciandosi scivolare con le gambe lunghe e la schiena quasi dritta, e punta gli occhi azzurri fuori dal finestrino, dove la monotona campagna scorre sempre uguale. Di lì a dieci minuti ci sarà la prima fermata, un pugno di cascine sconosciute nel mezzo del nulla, e poi campi e campi e campi, almeno per mezzora, fino alla prima comparsa della città, e poi, ancora oltre, la sua fermata.
Sbuffa, alla prospettiva di quasi un’ora passata a sonnecchiare in un vagone puzzolente, e per l’ennesima volta si trova ad augurare le peggiori cose al disgraziato che gli ha fregato il lettore mp3.
Ma non sa che quel viaggio è ben lungi dall’essere noioso. Non lo immagina nemmeno quando vede la ragazza che avanza lungo il vagone con un I-pod nuovo fiammante nelle orecchie, e l’unica cosa che pensa è che è carina, che le gambe che le spuntano dai pantaloncini sembrano proprio da mordere, e che vorrebbe sapere cosa ascolta. E avere anche lui un maledetto I-pod.
Poi, lei si ferma davanti a lui, e si sfila una cuffia.
«Scusa, qui c’ero io»
Lui la fissa, stranito.
«No. Erano quattro posti vuoti» la contraddice, tirandosi a sedere diritto.
«Mi spiace, ma c’ero io» insiste lei con un sorriso quasi minaccioso, e due minuscole rughe si formano attorno ai suoi occhi verdi, mentre lo fa. «Sono stata in bagno per un istante, qualunque persona del vagone può dirtelo»
«Quando sono arrivato i posti erano vuoti. Ed è vietato usare i bagni durante le soste del treno» puntualizza lui, con un filo di irritazione.
«Avevo bisogno dello specchio, nel bagno» si impunta lei, e quasi ad avvalorare la sua tesi si passa una mano tra i capelli, di un rosa discutibile.
«Beh, ci sono tanti altri altri posti» sbuffa lui, tornando a fissare fuori dal finestrino. «Scegline uno e accomodati»
Gli occhi di lei si assottigliano minacciosi. «Si dà il caso che questo fosse il mio posto. Per questo motivo sarebbe molto più logico che fossi io a consigliarti gentilmente di cercarne un altro»
Lui la guarda di nuovo, voltando la testa lentamente. «Senti, parliamoci chiaro. Fa caldo, sto andando a dare un esame per il quale probabilmente verrò bocciato in tronco, mi sono dovuto alzare alle quattro per ripassare le ultime cose, e l’ultima tentazione che potrei mai avere è di litigare con una squinternata sul treno»
«Squinternata?» ripete lei, a voce leggermente più alta, e qualche testa si volta nella loro direzione. «L’educazione non cresce sugli alberi di questi tempi, ma tu sei largamente l’essere umano più maleducato che io abbia incontrato negli ultimi sei mesi!»
«Quando una si presenta dicendo che un posto a caso sul treno è suo, e lo fa con un colore di capelli assurdo quanto il tuo, è piuttosto naturale prenderla per una fuori di testa!» si giustifica lui, scaldandosi.
«Non ci credo» lei ruota gli occhi, sollevando le mani. «Sto davvero litigando su un treno con uno sconosciuto, e per una ragione idiota, oltretutto. Lo sapevo che non sarei dovuta uscire di casa, l’oroscopo mi consigliava di chiudermi dentro!»
«Ci mancava solo l’oroscopo!» grugnisce lui, sarcastico, e lei lo fulmina con lo sguardo.
Ma prima che possa ribattere, il treno ha un sussulto improvviso e frena bruscamente, facendole perdere l’equilibrio. Lui si trova con una mano di lei su metà faccia e le cuffie dell’I-pod che penzolano davanti al naso, ancora perfettamente in funzione, e non appena lei si stacca si piega su sé stesso, gemendo con una mano sullo zigomo.
«Porca vacca!» impreca, un occhio pieno di lacrime. «Che male!»
«Tutto bene?» chiede lei con una leggera ansia, chinandosi su di lui. «Dove ti ho preso? Scusa, non ho calcolato... Fa’ vedere»
«Col cavolo! Che vuoi farmi ora?» si difende lui, scostandosi.
«Niente» sbuffa lei, prendendogli il mento a forza e voltandolo nella sua direzione. «Sono una laureanda di medicina e un volontario della Croce Rossa, oltre che una squinternata»
All’improvviso lui se la trova vicina, troppo vicina, e scopre che sotto i capelli rosa gli occhi sono verdi e intelligenti. Senza una ragione precisa si trova ad arrossire, e prega ardentemente che si confonda nel livido che sicuramente gli sta crescendo sulla guancia.
«Niente di rotto» decreta lei dopo averlo tastato delicatamente. «E scusa ancora»
«Mh...» mugugna lui, distogliendo lo sguardo non appena è libero di muoversi.
La ragazza a questo punto sembra incerta. Forse vorrebbe insistere per avere indietro i suoi posti, ma a quel punto le sembra discretamente sconveniente. E poi si accorge all’improvviso del mormorio che si diffonde lungo il vagone.
«Che è successo?»
«Non lo so, dove siamo?»
«Non c’è una stazione, solo campi...»
«La prossima è xxx, vero?»
«Sì, ma qua non ci muoviamo...»
Corrucciata, si guarda attorno per un lungo istante.
«Che succede?» si azzarda a chiedere a voce alta, e lui finalmente si riscuote dal suo torpore meditabondo e riacquista contatto con la realtà.
«Siamo fermi» dice, con aria smarrita.
«Ma dai?» replica lei ironica. «Solo che non sappiamo perché»
«Aspetta... Siamo fermi? No, cazzo no! Io devo darlo quel maledetto esame!» esclama lui tutto a un tratto, balzando in piedi.
«Ma due minuti fa non sostenevi che saresti stato bocciato?»
«Sì, ovvio! Ma bisogna sempre tentarla! Dov’è il controllore?»
«Avanti» pronta, la ragazza addita la porta che separa il vagone da quello successivo, e il ragazzo afferra lo zaino con l’angoscia dipinta sul volto.
«Ciao» bofonchia in fretta, senza nemmeno guardarla, e un attimo dopo sforza i muscoli per aprire la porta, quello successivo è tra i vagoni, e quello dopo ancora è scomparso.
La ragazza sbuffa, guardandosi attorno nel vagone tranquillo, e poi riprende finalmente possesso dei posti che erano suoi di diritto, e stende le gambe nude fino all’altro sedile. Con un minuscolo sorriso, allora, sfila dallo zaino un libro voluminoso e comincia a sfogliarlo.

Il treno resta fermo per qualche minuto, forse una decina. Fuori dai finestrini la campagna si stende immobile, e di tanto in tanto gli intercity sfrecciano sul binario accanto, spavaldi sbeffeggiatori dei più modesti regionali. Poi, all’improvviso, il treno riparte con uno scossone, e dall’altoparlante si diffonde un messaggio.
«Informiamo i signori passeggeri che a causa di un problema tecnico, il treno dovrà effettuare una sosta forzata nella stazione di xxx. Ci scusiamo per il disagio»
La reazione di disappunto è pressoché immediata. I bisbigli ricominciano, le domande si susseguono irritate, e la ragazza alza gli occhi dal manuale di anatomia e corruga leggermente la fronte. Naturalmente non hanno detto per quanto resteranno fermi.
D’istinto, senza ragioni particolari, il suo pensiero corre al maleducato che pretendeva di rubarle il posto, e si trova a chiedersi come farà con l’esame. Un po’ gli fa pena, realizza, e intanto mette via il libro, perché sa già che alla stazione di xxx scenderà per chiedere delucidazioni al capotreno.
Di lì a poco i sussulti dei binari si fanno meno frequenti, e il treno perde velocità. Ai lati della linea si snodano le prime case, cascine fatiscenti circondate da magri orti, e poi, ben prima del previsto, la stazione cadente.
Il treno si arresta fischiando, e con un ultimo scossone è immobile. La ragazza si assicura che lo zaino sia ben chiuso, e solo allora si alza, sulla scia dei passeggeri che già hanno deciso di cercare il capotreno.
Si mette pazientemente in colonna, aspetta di raggiungere l’uscita, e balza a terra con un piccolo salto. Una volta lì, perde un istante a guardarsi attorno: nient’altro che campi e cascine a perdita d’occhio. Un paese grande come lo sputo di un gigante, e con la vita notturna di un ospizio. Splendido.
Sbuffando, cerca il capotreno con lo sguardo e incrocia il controllore alla fine del treno, circondato da un paio di vecchiette mezze sorde. Con passo marziale lo avvicina, si fa largo tra la folla, e sfoggia il suo sorriso semi-professionale da volontaria della Croce Rossa.
«Salve, mi scusi, che succede?» domanda con cortesia esasperata.
Il controllore, un ragazzo dall’aria annoiata che avrà sì e no tre anni più di lei, le scocca un’occhiata irritata e sbuffa.
«C’è un gregge di pecore sul binario» annuncia atono. «Siamo a malapena riusciti ad allontanarle da una linea, passano solo i treni veloci»
«Un cosa?» allibisce la ragazza, spalancando la bocca.
«Gregge-di-pecore» sillaba il controllore, sotto occhi di un nero assolutamente inespressivo. «Sono bianche e puzzano»
«So cos’è una pecora! M-Ma perché sono sui binari?»
«In tutta franchezza, penso che dovrebbe chiederlo al pastore»

«Non ci credo! Ma che idiozia!» sbotta il ragazzo, scompigliandosi furiosamente i capelli.
Accucciato su un pavimento polveroso, accanto a una biglietteria chiusa e deserta, si lascia andare a un grido che sembra quasi un ringhio, e poi alza uno sguardo frustrato sul foglio bianco che campeggia un metro più su della sua testa.

Siamo al lavoro per fornirvi un servizio ancora migliore,
ci scusiamo per il disagio.
La biglietteria riaprirà il 12 gennaio.

La polvere di luglio si è posata su tutti gli angoli della stazione, ricoprendo ogni superficie piana e non, e il nastro adesivo che sorregge il messaggio ha perso aderenza da molto tempo.
Il ragazzo sbuffa furioso e si tira su, pensando che ci sarà sicuramente un servizio sostitutivo. Deve solo prendere per il collo un controllore, o un capotreno, o qualcosa di simile, e potrà andare a dare il suo maledetto esame. E’ un pensiero abbastanza concreto da fargli scrocchiare le nocche delle mani, e quando si volta di scatto è così battagliero che solo per un soffio non finisce addosso alla ragazza alle sue spalle.
«Piano» lo ammonisce lei, scoccandogli un’occhiataccia.
«Oh, sei tu» fa lui, riconoscendo immediatamente il ciuffo rosa sulla sua testa. «E’ chiuso» aggiunge poi, additando la biglietteria alle sue spalle. «Niente biglietti, niente informazioni»
«Cosa?» esclama lei, strappando l’avviso sulla porta polverosa. «Non ci credo!»
«Sì invece. E infatti volevo andare a cercare un controllore...»
«Lascia perdere. Ci ho già provato io, e sono stata a tanto così dal prenderlo a schiaffi. Non sanno niente neanche loro, a parte che c’è un gregge di pecore sui binari»
«Un cosa?»
«Gregge di pecore. Lo so, sembra assurdo, ma dicono che dobbiamo solo aspettare»
«Aspettare quanto?» chiede il ragazzo nervosamente.
«Ovviamente non lo sanno» sbuffa lei. «A che ora è il tuo esame?»
«Tra due ore. Dio, dio, dio, non posso crederci...» mormora, passandosi una mano tra i capelli biondi scompigliati. «Ma porca vacca, proprio oggi!»
«Già, proprio oggi» concorda la ragazza, incrociando le braccia. «Non c’è neanche un bus?»
«E a chi lo chiediamo?» si lamenta lui, alzando le mani impotente. «Non c’è un’anima»
«Beh, ci sarà un bar aperto di fronte alla stazione... C’è sempre» risponde lei accigliandosi.
«Io non mi muovo da qui» borbotta lui, sulla difensiva. Se il treno riparte senza di me sono fottuto. Qui non si fermano neanche i carri del bestiame»
«E allora stai fermo» la ragazza rotea gli occhi e sistema meglio lo zainetto su una spalla, poi, scuotendo i capelli con stizza, oltrepassa il ragazzo e si dirige in fondo al binario, verso il cartello arrugginito che segna l’uscita.
Lui rimane lì, a fissarla con un filo di irritazione, e sposta lo sguardo alternativamente dal cartello al treno. No, no e poi no. Non si muoverà di lì. Non può perdere il treno, se riparte senza di lui è morto. E non gliene frega niente se la ragazza è stronza ma carina! Insomma, nella vita di un uomo ci sono cose più importanti di un bel paio di gambe e un I-pod, e poi non la vedrà mai più, e in fondo un po’ per quell’esame ha studiato, e certo che la piazzola di quel buco di posto è ancora più squallida della stazione, ora che la vede bene. E perché diavolo è arrivato fin lì?
Mentre ancora se lo chiede, vede la ragazza avviarsi verso l’unico bar – polveroso come tutto il resto – e spingere la porta per entrare.
Resta un po’ fermo dove si trova, giocherella con un sasso ai suoi piedi, e poi sbuffa, maledice sé, lei e le sue gambe, e si affretta a seguirla.
Il bar all’interno è, se possibile, ancora più squallido. Il bancone è di legno rigato e macchiato, gli espositori sono quasi vuoti, fatta eccezione per un paio di confezioni scadute di caramelle, e il pavimento si rivela appiccicoso. Il proprietario, poi, sembra uscito da Hazzard, fasciato nella sua camicia a quadri e jeans anni settanta, e probabilmente non ha ancora afferrato il concetto di rasoio, perché ha un paio di baffi neri assolutamente orribili, su un viso che già ha poco di bello. Se non altro guarda la ragazza con uno sguardo così apatico che è impossibile pensare a delle molestie.
«Non passano bus?» sta chiedendo in quel momento lei, sconvolta. «Neanche uno schifosissimo bus?!»
«Hanno tolto la fermata nel... uhm, millenovecentosettanta... sette, se non sbaglio. O otto» commenta l’uomo, sereno.
«Che schifo, schifo, schifo di posto!» esplode la ragazza, pestando un piede a terra.
«Nel retro ho un telefono, se vuole chiamare un tassì»
«Come se avessi abbastanza denaro!»
«Forse se dividiamo per due...» interviene il ragazzo, scrollando le spalle con leggero imbarazzo.
La ragazza finalmente si accorge della sua presenza, e gli lancia uno sguardo stralunato.
«Non dovevi restare accanto al treno?» chiede stupita.
«Sì, ehm, ho cambiato idea» si schiarisce la voce lui. «Comunque, quanto verrà un taxi fino a xxx?»
«Troppo, per me» sospira lei, allontanandosi dal banco fino a raggiungerlo. «Mi conviene aspettare che il treno riparta...»
Con un cenno saluta il barista, che ricambia laconico buttandosi in bocca un chewing gum che sembra antico come lui, e insieme escono sulla piazza assolata.
«E quindi?» sospira lui, afflitto. «L’esame salta»
«Orale?»
«Sì»
«Sei uno dei primi?»
«Che? Scherzi?! No! Ma l’appello lo fa all’inizio»
«Oh. Mi spiace. Non credi che ascolterebbe le tue spiegazioni?»
Il ragazzo affonda le mani in tasca e avanza, diretto verso la stazione. «Sì, beh, non è che sia un esame poi così importante... Nel senso, sicuramente mi boccerà. E poi dove sto io non si fa mai un cazzo, è normale che la gente non si presenti agli appelli»
«Dove stai tu?»
«DAMS*, il paradiso dei nullafacenti» Con un ghigno sarcastico, lui la guarda. «Abbiamo un paio di lezioni di fianco al dipartimento di Medicina, sai? Ma le cose in comune finiscono qui»
«Ma no, dai...» commenta lei, con un leggero imbarazzo. «Non è la facoltà dei nullafacenti, se ti piace. Come tutte le cose, si può fare bene o male»
«Ah, sì sì. Ma io la faccio male, fidati. Oh, quante palle! Niente esame, stop. La mia giornata sarà un po’ meno stressante! Anzi, ti offrirei volentieri un gelato, se non fossimo in questo buco di posto»
Silenzio.
Il ragazzo deglutisce, conscio di aver fatto il passo più lungo della gamba. Solo venti minuti prima la stava insultando sul treno, e ora le propone un gelato. Mille a uno che si è tirato la zappa sui piedi.
Con lentezza, estrema lentezza, si azzarda a voltarsi quel tanto che basta per spiarla con la coda dell’occhio. Se il silenzio si protrarrà ancora cinque secondi, la butterà sul ridere e cambierà argomento.
La vede che si guarda attorno, ma non riesce a capire se sia imbarazzata, lusingata o infastidita. Pensa che le donne sono sempre creature maledettamente complesse, e quando già sta per fingere una risata asciutta, la vede fissarlo all’improvviso.
«Beh, se non dai l’esame me lo puoi offrire quando arriviamo» butta lì.
Il ragazzo si volta di scatto, sorpreso, e finalmente la vede arrossire.
«Sì, beh, sempre se non dai l’esame, cosa che comunque dovresti fare, almeno per provare, no? Lo hai detto tu» si affretta a spiegare lei, in tono sostenuto.
«Oh... Oh sì, certo» annuisce lui, con un mezzo sorriso. «Vediamo come è messo il treno, ok?»
Con aria fintamente rilassata, la ragazza scrolla le spalle e insieme si avviano oltre l’arco della stazione, verso i binari roventi. Il treno è ancora fermo al secondo binario, e l’aria che lo sovrasta tremola nella calura di luglio.
«Ma tu hai ancora lezioni?» chiede lui, mentre si avviano verso il sottopassaggio più fresco.
«E’ un seminario non obbligatorio... Colgo l’occasione per fare una piccola ricerca in biblioteca» risponde lei, mentre l’eco dei loro passi risuona sulle scale. «La fregatura quando studi medicina è che non tutte le informazioni si trovano sul web»
«Ah beh, io posso solo immaginarlo... Non credo che avrò mai il coraggio di mettere piede a Medicina... Direi che non fa proprio per me!»
Il ragazzo ride, e la sua risata si diffonde e rimbalza lungo il cemento, insieme a un rombo lontano cui nessuno fa caso. I due raggiungono il secondo binario, e salgono il primo gradino.
«In effetti sono abbastanza delle iene» sospira lei, passandosi una mano sulla fronte sudata. «Ma se impari a mordere sei a posto»
«Ah, no grazie. Al DAMS saremo cazzoni, ma almeno ci diamo una mano a vicenda»
La ragazza sorride, e lui ricambia.
E’ così che sbucano sul binario, nel sole di luglio, nell’afa già soffocante della mattinata.
Ed è così che scoprono che il loro treno sta trottando in fondo alla stazione, e lo sentono fischiare nell’aria riarsa.
Il ragazzo spalanca la bocca.
La ragazza rimane immobile, pietrificata.
«Non ci credo...» mormora lui, con una mano sulla fronte. «Cazzo, cazzo, cazzo!» esclama poi, facendo un giro su sé stesso e dando un pugno all’aria. «Che coglione!»
«Oddio, mi dispiace... Che idiota... Se non fossi andata...» inizia lei, preoccupata, ma lui con un cenno la zittisce.
«Lascia perdere, per favore. Sono un imbecille integrale!» esclama, accucciandosi e quasi strappandosi i capelli, da quanto li scompiglia. «E quelle pecore! Ahh, io le odio le pecore! Stupide, coglionissime pecore!»
Suo malgrado, la ragazza si lascia scappare una risatina. Poi esita un istante, e tira giù lo zaino, iniziando a frugarci dentro. Bastano pochi secondi perché trovi quello che cerca, e quando lo fa si avvicina al ragazzo e si accuccia al suo fianco.
«Ho controllato nel portafoglio, forse ce la facciamo a dividere un taxi» dice, sfoggiando con un sorriso un paio di banconote. «Ci stai?»
Il ragazzo la fissa stupito, troppo sorpreso per ricordarsi di essere furioso, e poi sbatte le palpebre.
«Magari passa un altro treno...»
«Sì, forse uno al giorno. E non d’estate»
«Ah, certo. Ma... insomma, mi spiace farti spendere tutti quei soldi... Poi magari non arriviamo in tempo comunque»
«E se non arriviamo in tempo, mi offri quel gelato»
Il ragazzo esita, combattuto. Ha davvero tutta questa voglia di dare l’esame? Tanto da spenderci quei soldi?
E però in taxi starebbero ancora vicini, magari con l’aria condizionata, e avrebbero tutto il viaggio per parlare, e forse scambiarsi i numeri di telefono, e chissà che...
«Ok» annuisce, improvvisamente convintissimo. «Davvero, non so come ringraziarti... Ah, che imbecille, tra una scemenza e l’altra non mi sono nemmeno presentato»
Si alza, e lei con lui, e finalmente si stringono la mano, dopo essersi insultati, inseguiti e quasi picchiati.
«Naruto Uzumaki»
«Sakura Haruno, piacere»



* DAMS: discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo. Non chiedetemi cosa si studi, sarebbe troppo lungo da spiegare! XD


  
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