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Autore: Melian    22/07/2015    1 recensioni
"«Questo è il Grande Segreto della nostra razza», concluse gravemente Demetrius quando Sanakht non volle più continuare a parlare." Qual è il Grande Segreto che si cela a proposito dei Vampiri? Cos'è accaduto quando Alphonse è sparito, subito dopo aver detto addio ad Alexandra? Riuscirà a ricongiungersi a lei? E come potrà Alexandra seguirne le tracce, se non con l'aiuto dei Vampiri più antichi che Alphonse ha potuto conoscere durante la sua lunga esistenza? In un'avventura che catapulta Alphonse e tutti i suoi amici fino ad Alessandria d'Egitto, finalmente il duca di Benavia potrà svelare il mistero che a lungo aveva inseguito.
[Sequel di "Letter to Alexandra" e "L'Eco del Sangue"]
Genere: Avventura, Dark, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mondo di Tenebra'
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L'ALBERO DELLA VITA

 

 

 

 

Per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte.”
(K.Gibrain)

 

 

 

 

 

*

 

 

PROLOGO

 

 

Gennaio 1806

 

Il suo passo era leggero come quello di un gatto. Sulla colte di neve che aveva ammantato i cortili del maestoso castello, Alexandra lasciava piccole impronte, orme sfuggenti accompagnate dal trillare della sua risata squisitamente fanciullesca.
Il turbine dei capelli biondi e del candido avorio della mantella orlata di pelliccia di visone faceva spuntare il sorriso sui volti dei servi che si affaccendavano nella maison.
Da quando il padrone della tenuta era partito, Alexandra aveva preso la signoria del castello: si respirava un'aria nuova, priva della cupezza che aveva sempre accompagnato la vita di Alphonse di Benavia, sapida di una vitalità tipicamente femminile.
Alexandra, sospesa tra l'adolescenza e l'età adulta, sul confine sottile di una bellezza virginale ancora in boccio e dalle suadenti promesse, conservava il fascino di una creatura ora forte e indipendente, ma infinitamente dolce grazie ai lineamenti delicati e alle labbra che si atteggiavano ad un leggero, adorabile broncio quelle rare volte in cui era contrariata.
Eppure, nessuno dei servi sospettava come dietro al candido sorriso nascondesse la propria più intima natura: quella, cioè, del giovane Vampiro assetato di sangue.
La neofita, trasformata da Alphonse prima che fosse costretto a fuggire per colpa del Demone con cui aveva stretto un patto secoli prima proprio per salvare sua figlia, stava imparando con una moltitudine di difficoltà a disciplinare il bisogno di nutrirsi, scoprendo spesso e volentieri un tormento che non poteva alleviare, se non catturando una preda e uccidendola. Nei momenti in cui si trovava tra la gente giù in città o nelle feste nei saloni dell'alta società, la ragazza era grata al Sangue antico del proprio Creatore che la sosteneva.
Non aveva mai ucciso prima della notte in cui Alphonse l'aveva Abbracciata e trasformata in una Bevitrice di Sangue, dandole in eredità i propri poteri e la propria sapienza. Uccidere le suscitava una sensazione inesplicabile: una parte di lei, la più selvaggia e crudele, godeva del momento in cui la vita della sua preda si spegneva, cullata dal battito del cuore che si fermava; il suo lato ancora aggrappato all'umanità, invece, provava un intenso orrore nel fissare il cadavere riverso ai suoi piedi, con il collo martoriato inclinato in una posizione innaturale e la pelle livida che aveva perso ogni tepore.
Cacciare senza la guida di Alphonse si rivelava complicato: aveva dovuto imparare da sola come adescare le vittime e persino a non spezzarne il collo nella concitazione del pasto prima di dissetarsi Anche liberarsi dei cadaveri non era stato sempre agevole e le era costato molti passi falsi.
Infatti, nella contrada si stava ormai diffondendo la storia della Dama Bianca che si aggirava di notte nei crocicchi per attirare gli ignari viaggiatori e ucciderli, cavandolo loro fino all'ultima goccia di sangue.
Quella diceria, condita da una superstizione galoppante, sarebbe costata troppo ad Alexandra: se qualcuno avesse sospettato di lei, avrebbero potuto attaccare il castello in pieno giorno e dare tutto alle fiamme, distruggendo lei e tutto ciò che apparteneva ad Alphonse.
Eppure, insieme a quel timore, provava un senso di inebriante esaltazione: il sottile gioco delle maschere a cui era stata chiamata la ammaliava e la spronava ad investire tutto il suo intuito e il suo fascino per assicurarsi che mai nessuno nutrisse sospetti sulla sua vera vita.
Quando la sua famiglia umana saliva lungo lo stesso sentiero che si arrampicava sul fianco della collina e raggiungeva il castello dei Benavia, Alexandra si presentava sempre e solo dopo il tramonto, con la scusa dei propri doveri di dama del castello e di moglie. Non aveva confidato ai suoi genitori, tanto meno alle sue sorelle e ai fratelli, che Alphonse era sparito, bensì che fosse fuori per affari.
Per quanto ancora poteva andare avanti quella farsa? Quanto tempo ci avrebbero impiegato a comprendere che lei non invecchiava di un solo giorno dalla notte in cui Alphonse l'aveva fatta sua?
La ragazza si chiedeva cosa avrebbero pensato, se l'avessero mai potuta accettare; più ci rifletteva, più arrivava alla conclusione che nessuno dovesse conoscere il suo segreto.
Se solo Alphonse fosse stato lì... se solo fosse stato con lei!
La vecchia carrozza nera su cui il suo Creatore aveva sempre viaggiato non si era più vista dalla notte di Ognissanti e anche Nuberus, il Demone cacciatore di anime che aveva stretto un mefistofelico patto con Alphonse, era irrintracciabile.
Alexandra avrebbe pagato tutto l'oro del mondo pur di capire cose fosse realmente successo la notte in cui Alphonse le aveva scritto la lettera in cui le confessava tutto ciò che provava e le narrava della sua vita.
Aveva setacciato ogni angolo del castello, leggeva tutti i diari dei viaggi del suo Creatore, eppure non aveva scovato alcun indizio per capire cosa gli fosse realmente accaduto.
Tutti i suoi interrogativi restavano confinati in un triste limbo senza risposte.
Il dono più importante che Alphonse le aveva fatto, comunque, era la piena libertà di essere ciò che desiderava, indipendente e forte. E questo non poteva essere cancellato.

 

Fece un balzello agile, superando lo scalone antistante il portone d'ingresso, e si infilò nell'atrio, dove l'eco dei suoi passi riecheggiò bruscamente.
Il sangue della sua ultima preda le danzava ancora sulle gote, rendendole rosse come quelle di una bambina dopo una corsa mozzafiato. La sublime delizia del formicolio del sangue sottopelle riusciva a dominarla in modo tale che Alexandra si guardava sovente allo specchio, ricercando il più minuto cambiamento della propria immagine.
Scivolò con passo agile lungo il corridoio e raggiunse quello che, un tempo, era stato lo studio di Alphonse: non aveva toccato nulla e tutti i mobili erano rimasti nella medesima disposizione; pennino e calamaio sembravano attendere di essere solo impugnati dal loro proprietario, persino il clavicembalo ambiva ad essere suonato con la maestria spaventosa dei Vampiri.
Però, non appena la giovane aveva messo piede nella sala, la sensazione di non essere sola l'aveva colpita con improvvisa violenza: qualcuno si era seduto sulla poltrona di velluto rosso di Alphonse, sprofondando nell'alto schienale e lasciando le braccia abbandonate sui braccioli.
«Finalmente. Ti stavo aspettando, mia cara».
Con una lieve spinta dei piedi, la poltrona venne voltata quel tanto che bastava a rendere visibile la figura elegante di una donna dai capelli scuri acconciati in una crocchia lassa e fluida, punteggiata d i piccole perle candide. Aveva gli occhi grigi puntati inesorabilmente sulla ragazza colmi di un'antichità pressante, di una ferocia inumana e – assieme – di un languore che solo una creatura conscia del suo enorme fascino e potere avrebbe potuto possedere.
Alexandra si sentì stordita: qualcosa in lei si ribellava e, al tempo stesso, era soggiogata da quella presenza inattesa e sconosciuta che aveva violato con evidente semplicità il suo rifugio.
I suoi sensi non l'avevano ingannata: quella donna era una Vampira. Fece un passo indietro, prudente quanto un giovane lupo davanti all'anziano.
La Vampira le sorrise e, in quel sorriso, vi era un'evidente divertimento che si mescolava ad una dolcezza quasi materna quando le rivelò: «Io sono Violate».


Violate fece scivolare la stola drappeggiata sulle sue spalle fino alla poltrona, mentre si alzava senza fretta. Molto più alta della sua ospite, dovette abbassare il capo pur di incontrarne lo sguardo. Rispetto ad Alexandra, colta nel fiore della giovinezza e con i lineamenti ancora sporcati dalla rotondità dell'adolescenza, Violate appariva una donna altera e matura, dalla silhouette sinuosa e slanciata come la lama di un coltello, inguainata in un aderente abito di velluto nero con un ampio scollo che ne denudava la schiena. Non sarebbero potute essere più diverse l'una dall'altra.
«Capisco perché Alphonse ti ha scelta e ti ha voluto donare il suo Sangue», mormorò la Vampira con voce bassa e morbida, così delicata da apparire una lieve, passeggera increspatura nel silenzio.
Alexandra, invece, non riusciva a mostrare null'altro se non il violento shock di trovarsi dinanzi a quella donna dai modi tanto raffinati e dallo sguardo rapace. Socchiuse le labbra tremanti e cercò di articolare parola, finendo con l'accigliarsi e rimanere in un silenzio pensieroso.
«Mi conosci solo dai racconti di Alphonse, non è così? Non sono venuta qui per nuocerti, bambina mia. Trovo che abbia dello straordinario il fatto che tu sia riuscita a sopravvivere da sola e senza alcun incidente, fino ad ora», aggiunse Violate.
Tese la mano e raccolse una ciocca dei capelli della neofita, sgranandosela tra le dita con delicatezza, tanto da strapparle un inatteso brivido di piacere. Se avesse potuto ancora arrossire, Alexandra lo avrebbe certamente fatto. Di solito, anche con le nobildonne non le era mai mancata la parola e neppure l'abilità di misurarsi con loro a testa alta, ma una profonda, innata soggezione la spingeva ad essere molto più cauta nei confronti di Violate: l'aura emanata dall'Antica era inequivocabile.
«Ho letto di voi in una lettera di Alphonse. Una lettera che mi ha lasciato prima di...»
«Sparire», fu Violate a concludere la frase con tono greve. Si mosse con leggerezza, misurando la stanza a passi languidi fino alla finestra; tirò la spessa tenda damascata e contemplò la valle ai piedi del castello, «pochi mesi fa ho ricevuto anche io una sua lettera. Desiderava che tornassi e mi prendessi cura di te, la sua creatura, il suo amore, perché presagiva il peggio. Non aveva torto, in fondo.»
Alexandra sgranò gli occhi, incredula: «Lui aveva fatto questo, per me? Credevo fosse morto, perduto nella luce dell'alba, ma invece non ne ho trovato le ceneri come avevo temuto. Semplicemente non c'era e, con lui, anche la carrozza su cui viaggiava sempre e nemmeno Nuberus. Voi... voi non sapete dove sia andato?»
«Lo ignoro. Mi aveva parlato di Nuberus e del loro patto, ma quel Demone è stata sempre una figura sfuggente, nei suoi racconti. Come se nemmeno Alphonse ne sapesse davvero abbastanza e si fosse accontentato di grattare la superficie, legando scelleratamente il suo destino a quella di una creatura tanto misteriosa e subdola», rispose allora Violate, voltandosi ad offrire il profilo del proprio volto alla ragazza con la mano destra agganciata al fianco, una violenta pennellata candida contro la stoffa scura. Ci fu un lungo silenzio e, per un solo istante, il suo imperscrutabile volto rivelò una improvvisa ansia, una vulnerabile malinconia, «credo che sia in pericolo.»
«Allora dobbiamo scoprire dov'è. Ma come?» Alexandra ritrovò il proprio spirito pronto e battagliero; si imbronciò mentre fissava la Vampira.
«Sono qui proprio per scoprirlo. Ma abbiamo bisogno di aiuto, perché da sole – malgrado tutto – non possiamo farcela», rivelò Violate e passò accanto ad una libreria, osservando le costine dei diari con i titoli scritti in inchiostro dorato con un elegante ghirigoro.
Quando riconobbe la grafia di Alphonse fu tentata di sfilare uno dei volumi, ma – dopo averlo inclinato – optò per rimetterlo a posto senza aprirlo, come se le costasse troppa fatica.
Alexandra rimase in silenzio ad osservarla e, infine, non riuscì a trattenere la domanda che la ossessionava: «Come fate a sapere che lui è ancora vivo?»
«Il Legame di Sangue che mi lega ad Alphonse», rispose Violate con assoluta certezza, «se fosse stato distrutto, avrei avvertito il Legame spezzarsi irrimediabilmente. Io, invece, lo sento: sento ancora la sua presenza, remota, fioca, ma esistente. Prima che si assottigli questo vincolo e io smetta di percepirlo, dovremo trovarlo. Ma anche tu, se ti concentri davvero, può sentire il filo rosso che vi unisce: il Creatore e la sua creatura sono legati per sempre e potranno percepirsi, se solo lo vogliono. I Legami di Sangue dei Vampiri sono i più forti in assoluto, persino più viscerali di quelli tra gli umani.»
«Io non lo avrei mai creduto..», si giustificò Alexandra, spalancando gli occhi, punta sul vivo. Strinse la stoffa della gonna tra le dita, annichilita da quella nuova rivelazione di cui non aveva avuto alcuna consapevolezza fino a quel momento.
«Non potevi saperlo e dunque non tormentarti. Ora che sono qua ti educherò, proprio come feci con Alphonse», replicò l'Antica e le fece un gesto leggero, indicandole il piccolo sofà accanto alla poltrona su cui tornò ad accomodarsi, «ma, prima di tutto, lascia che ti racconti di me, bambina. Vuoi?»
Alexandra rimase ipnotizzata dalla curva del collo di Violate, dal modo con cui teneva, seducente e inconsapevole, il capo reclinato. Si sorprese a fissare avidamente il reticolo di vene bluastre che spiccavano sotto la pelle candida e che, ai suoi occhi di Vampira, apparivano come rilievi invitanti. Si costrinse a battere le palpebre, scacciando il guizzo cremisi che le aveva colorato la sclera, e annuì.
«Molto bene. Prepara i bagagli, allora: partiremo tra un'ora, prima che arrivi l'alba. Strada facendo ti narrerò parte della mia storia», ordinò Violate in tono pratico.


 

La carrozza era piuttosto spaziosa, ma dall'aspetto discreto, con i finestrini chiusi da scurini e fitte tendine. Il legno della fiancata era percorso da un semplice ornamento floreale dorato e le ruote erano grandi, cambiate di recente. Due bauli formavano il bagaglio delle due dame, ben assicurati da robuste cinghie. Il cocchiere che sedeva a cassetta, reggendo i finimenti dei due cavalli bianchi e il lungo frustino, era vestito in maniera sobria ed elegante: era un uomo sulla quarantina, con i capelli brizzolati e sbarbato.
«Fabien è un brav'uomo: è alle mie dipendenze da quando era solo un giovane garzone. Conosce la mia vera natura e mi è fedele; in cambio, lui non chiede altro che un sorso del mio sangue. Come, del resto, tutti gli umani che mi servono: è così che mi assicuro che non tradiscano sbadatamente i miei segreti», cinguettò Violate nel presentare il proprio servitore ad Alexandra.
La servitù del castello dei Benavia era schierata in due file ai lati dell'ingresso; la cameriera personale di Alexandra, con gli occhi umidi di lacrime trattenute, le consegnò una piccola borsetta a sacca di velluto, sussurrandole: «Buon viaggio, signorina. Fate attenzione e tornate presto.»
Alexandra le sorrise, dandole un colpetto sul dorso della mano, incoraggiante: «Prometto che ti scriverò, Jolie.»
Il maggiordomo richiamò la cameriera all'ordine con un piccolo cenno della mano guantata e si inchinò alle due donne: «Vogliate raccogliere i nostri omaggi, signore. Vi auguriamo un sereno viaggio e vi assicuriamo che il castello sarà gestito con professionalità, fino al vostro ritorno.»
«Grazie mille, Stuart. Conto su di te. A presto!», trillò Alexandra gioviale, prima di salire la scaletta e sedersi sul comodo sedile della carrozza, subito seguita da Violate.
Il valletto chiuse lo sportello e rifilò un cenno al cocchiere che, dando di piglio ai finimenti, fece partire il veicolo.
«Sono rammaricata per la fretta con cui siamo dovute partire, ma non possiamo tardare: ci aspettano ed ogni minuto è prezioso», incalzò ancora Violate, enigmatica. «Fabien sa già dove portarci e ci proteggerà durante il giorno: non avere paura.»
Alexandra non rispose, ma si aggrappò al finestrino e spinse fuori il capo biondo: guardò il cortile del castello, l'ingresso e lo scalone allontanarsi, la servitù ritirarsi e Jolie salutarla con uno sventolare della mano. I suoi capelli biondi si gonfiarono al vento della notte e il solitario grido di un gufo appollaiato su uno degli alberi la fecero corrucciare; gli occhi si posarono sul profilo della cappella del castello, chiusa dall'ultima sua visita a chiunque, se non ai pipistrelli.
Così, mentre la carrozza lasciava le mura del castello e scivolava lungo il sentiero serpeggiante attorno alla collina, Alexandra credette di sentire un nodo di malinconia serrarle la gola, nonostante un Vampiro non potesse provare una sensazione simile. Ma che altro nome dare a quell'emozione provata mentre abbandonava il suo rifugio sicuro e la dimora dove poteva trovare conforto nel ricordo di Alphonse ad ogni angolo?
Violate, invece, era impassibile, incommensurabilmente calma e intrecciò le mani in grembo, osservando direttamente la ragazza: «Non hai mai lasciato queste terre troppo a lungo, me ne rendo conto, ma tornerai presto e, molto probabilmente, sarai persino cresciuta in consapevolezza.»
«Non sopporto questo senso di vuoto che sento nell'abbandonare il castello. Vi prego, raccontatemi di voi: me lo avevevate promesso.»
Violate restò in silenzio a soppesarla. Dopo qualche istante, però, cominciò a parlare.


 
   
 
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