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Autore: NeroNoctis    07/03/2016    3 recensioni
All'apparenza Daniel è un normale ragazzo di 20 anni, amante delle più svariate cose e con uno spiccato sarcasmo. Ma nasconde semplicemente la sua vera identità, quella di un soldato dell'organizzazione Sephiroth.
Organizzazione che caccia "Loro", creature assetate di sangue che vagano per il mondo, che a prima vista non sembrano avere un obbiettivo, ma che tramano qualcosa da dietro le quinte, perseguendo un oscuro obbiettivo. E proprio "Loro" hanno sterminato la famiglia di Dan anni prima.
In un mondo dove "Loro" si nutrono di umani, Dan dovrà viaggiare per trovare la sua sorellina scomparsa e vendicarsi delle creature che han cambiato per sempre la sua vita.
Sullo sfondo paranormale popolato dai Wendigo, prenderanno vita numerosi personaggi il cui destino di andrà ad incrociarsi con quello di Daniel e della sua partner Lexi, per svelare un segreto rimasto sepolto per anni.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sephiroth'
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Tessa si ritrovò fuori casa con un Simon totalmente diverso da quel che si aspettava. Se il ragazzo si era presentato in lacrime alla porta, adesso era totalmente l'opposto: il suo sguardo era serio, deciso e carico di rabbia, risentimento, senso di colpa e anche odio. Un mix letale che nessuno vorrebbe mai incrociare. La ragazza cercava ancora di metabolizzare quanto accaduto: Simon che arriva, l'abbraccia, entra in casa e le racconta ogni singola cosa. Lei non riusciva a crederci e senza sapere bene il perché, si sentiva un po' in colpa, non che fosse lei la responsabile certo, ma una parte di lei sentiva che avrebbe potuto far di più per quella coppia madre-figlio così problematica ma contemporaneamente amorevole. Ricordava alcuni episodi davvero dolci tra i due: la madre a letto malata e Simon che si premurava a prepararle colazione, pranzo e cena, mentre sbrigava le faccende di casa. Una volta si addormentò anche accanto a lei, mentre leggevano un libro assieme, cosa che fece nascere un sorriso sul volto di Tessa, sorriso che tuttavia morì poco dopo, realizzando che probabilmente quei momenti non sarebbero più tornati. Il suo ragazzo era fermamente convinto di una cosa: il colpevole. Continuava a ripetere che era stato suo padre a portarla via, ad ucciderla, perchè si, era convinto che sua madre era ormai morta. Tessa provava a rincuorarlo, dopotutto se c'è una cosa che non deve mai morire è la speranza, non c'erano indizi che lei fosse morta, nonostante quella scia di sangue che trovò a casa.
"L'ha uccisa lui... l'ha uccisa lui..." diceva tra un singhiozzo e l'altro tra le braccia di lei, che non sapeva bene come reagire. Gli carezzava i capelli, come una mamma con un figlio dopo un brutto incubo. Un incubo, forse era proprio quello che stava vivendo Simon, non poteva essere vero. Non doveva essere vero, almeno Simon doveva star bene. 
– A cosa pensi? – chiese lui, così diverso dal ragazzo singhiozzante che era fino a qualche tempo prima, nella camera di lei. Fissava dritto l'orizzonte, noncurante di nulla se non di camminare. Il suo sguardo sempre serio era attento ad ogni singolo movimento mentre nella sua mente lui sapeva cosa fare. Non voleva coinvolgere Tessa in quello che stava per fare ma lei era l'unica cosa che le rimaneva, attualmente Tessa era la sua ultima stella, stella che doveva continuare a brillare alta nel cielo.
– A tutto... Simon, devi solo reagire, non essere così pessimista, non è detto che...
– Lo so. Ma è nelle sue mani, l'ha sempre minacciata. Devo fermarlo.
Tessa non rispose, si limitò a camminare insieme al suo ragazzo, stringendosi al suo braccio, mentre le nuvole iniziavano a coprire il sole, così come le nuvole di una tragedia coprirono il volto solare di quel ragazzo.


– Eccoci qua. – esordì Simon guardandosi intorno. Il quartiere non era il top di Chicago, anzi, era forse uno dei quartieri più poveri dove la gente non osava mai stare. Il tanto discusso South Side di Chicago era così, bande qua e là, quartieri più malfamati di altri, ma alla fine, dopotutto, la vita non era malaccio se sapevi adeguarti, così come la gente che nonostante le apparenze era unita e collaborava (non sempre, ma Simon e Tessa si ritenevano abbastanza fortunati sotto questo punto di vista, piccole eccezioni a parte.)
La ragazza non amava troppo quel quartiere, continuando a scrutare attentamente i dintorni: immondizia qua e là, bottiglie di birra vuote, una macchina parcheggiata con i vetri distrutti e un atmosfera pungente, come se fosse degradata anche quella. Il cielo nuvoloso offriva una cornice grigia e ancor più triste a quel posto, ma Simon non pareva curarsene, lui sapeva chi stava cercando e perchè lo stava cercando.
– Non amo questo posto. – rispose lei, dopo aver ispezionato ogni singolo dettaglio, compreso un topo che stava rosicchiando qualcosa dalla dubbia provenienza. Certo, la sua camera era comunque più disordinata di quel marciume là, ma era una cosa differente, non aveva i topi, o almeno sperava. Simon parve leggerle nel pensiero, così a dispetto dalla situazione, fece una battuta sulla sua stanza. 
Entrambi risero, ma era una risata nervosa, per stemperare la tensione e i cattivi pensieri, esorcizzando i demoni che divoravano lentamente ma inesorabilmente l'anima e il cuore di Simon, stringendolo in una morsa soffocante dalla quale non trovava via d'uscita.
– Devo incontrare Steve. – disse infine lui, non guardando negli occhi Tessa, che cambiò subito espressione. Steve non era quello che si poteva definire un bravo ragazzo, anzi, era uno spacciatore di qualunque cosa, mentre nel tempo libero andava in giro a rubare qualcosa, quando non era impegnato con qualche ragazza... aveva la fama di essere un vero playboy. Tessa si chiese cosa ci vedessero le ragazze in lui, ma non fece neanche in tempo a rispondersi che lo vide arrivare.
Indossava una canottiera bianca e dei jeans malandati, così come le scarpe. I capelli erano all'indietro, mentre i suoi occhi verdi scrutarono i due quasi con sospetto, ma alla fine si avvicinò accennando un sorriso beffardo, mentre si infilava una sigaretta (non proprio una sigaretta a dire il vero) in bocca.
– Ehy Davis. – disse, rivolgendosi a Simon. Lui odiava essere chiamato per cognome, era un retaggio lasciato dal padre, non voleva sentirlo... ma non disse nulla, non poteva adesso e poi Steve non era un tipo con cui si poteva conversare apertamente, rischiavi sempre di prenderti una coltellata nell'addome se lo infastidivi. In effetti qualche diceria di accoltellamento girava su di lui, ma era meglio non indagare.
– Steve. – rispose lui, tentando di essere il più naturale possibile. Anche lui come Tessa odiava quel luogo, non volendo aver a che fare con gente del genere. Ricordava che a scuola Steve era un vero e proprio pericolo ambulante, il classico bullo della situazione se lo provocavi. Non andava in giro ad estorcere soldi per il pranzo, ma era meglio non infastidirlo nemmeno in quel luogo apparentemente più sicuro della città. Il ragazzo stava quasi per picchiare un tizio occhialuto soltanto per essergli finito addosso, l'esito fu una fuga quasi disumana, con conseguente volo degli occhiali e rovinosa caduta. Steve sorrise e andò via.
– Hai i soldi? – chiese, aspirando dalla canna e fregandosene di sputare il fumo altrove, facendo tutto ciò sul viso dei due, senza troppi problemi. Tessa si allontanò di qualche passo, ma non staccò gli occhi dai due. Simon annuì e uscì qualche banconota che l'altro contò distrattamente, successivamente annuì e gli diede una pistola con sei munizioni. Un revolver, per l'esattezza: una pistola di piccola taglia con un caricatore a tamburo da sei colpi, facile da nascondere ma lenta nella ricarica. Steve salutò i due e tornò verso casa o chissà dove, lasciando i ragazzi da soli con quel ferro letale tra le mani. Tessa rimase impietrita. Simon non era per niente un ragazzo violento, figuriamoci impugnare un'arma. Certo, sapeva benissimo difendersi, ma da qui ad impugnare un'arma ne passava. Il ragazzo sembrava capire le preocuppazione della sua fidanzata, e messa la pistola dentro un borsello che aveva al collo, si avvicinò a Tessa.
– Cosa significa, Simon? 
– Non è come credi. Non ho intenzione di uccidere nessuno con questa. E' solo per protezione. Lui mi ha già portato via mia madre, se lo troviamo non so come reagirà. Non ho intenzione di perdere anche te, voglio solo proteggerti. 
– E pensi che una pistola nelle tue mani sia una valida scusa? – Tessa era a dir poco infuriata, non voleva che Simon facesse qualcosa di cui potesse pentirsi. Lo capiva, sapeva cosa stava passando, o tentava di immaginarlo... ma aveva una paura tremenda che le spaccava le ossa e le si irradiava in tutto il corpo. Si rese conto di aver alzato troppo la voce, si rese conto anche che Simon diceva il vero, voleva solo proteggerla da quel mostro che un tempo chiamava papà. Sospirò, per poi scusarsi col ragazzo, che di tutta risposta le stampò un bacio sulle labbra. Sapeva di sale, sudore e lacrime, ma a Tessa quel sapore andava bene, era il sapore di Simon dopo una nottata difficile e ne voleva ancora, così ricambiò quel bacio facendolo diventare più appassionato di quel che immaginava, dimenticandosi per un istante di sua mamma, della pistola e del quartiere in cui si trovavano. Esistevavano solo lei e Simon, il resto del mondo poteva aspettare. Era il loro piccolo momento fuori da ogni preoccupazione, problema o altro e quando stavano assieme, sembrava che anche il mondo si fermasse a guardare quanto fossero belli insieme, erano due pezzi di puzzle che si completavano l'un altro e non avevano voglia di staccarsi.
– Andiamo a mangiare qualcosa. Okay? – propose lui, stringendole le mani. Lei annuì, specchiandosi negli occhi castani di lui e insieme, camminarono verso la loro prossima meta.


Steve era arrivato a casa. Fissò l'abitazione che sembrava sul punto di crollare da un momento all'altro ed entrò. Si guardò intorno, notando sul divano suo fratello che dormiva, tremava. Si avvicinò a lui e gli mise una coperta addosso, carezzandogli i capelli. Il bambino aveva circa otto anni, era l'eredità lasciato dalla madre dei due, morta durante il parto per un mix di droghe, probabilmente. Non erano il classico quadretto familiare felice, soprattutto per via di quel padre sempre assente e conservatore che avevano. Violento, soprattutto, Anche drogato. Steve aveva sentito voci sul padre di Simon, sentendo che condividevano quasi lo stesso destino, un genitore che definirlo tale era una presa in giro, per questo si decise a dargli quell'arma, certo che potesse servirgli a fare la cosa giusta. Ma qual'era la cosa giusta per Steve e suo fratello Josh? Quando il padre sperperava tutto in droga e alcool, a loro non rimaneva niente, costringendo Steve a furtarelli e azioni più o meno legali per assicurare un pasto a quella piccola creatura innocente, nata nel posto sbagliato e al momento sbagliato. L'unico svago di Steve era Jeremy, il suo ragazzo. Lui era tutto l'opposto di Steve: famiglia felice, normale e con un lavoro. Andava bene a scuola ed era un ragazzo pieno di sogni e questo faceva sentire Steve non all'altezza. Jeremy, d'altro canto, lo amava con ogni cellula del suo corpo e questo bastava a Steve per avere un minimo di felicità, felicità che tuttavia non poteva esternare, complice il padre che odiava a morte gli omosessuali, nonostante il 2015 fosse un anno avanzato mentalmente... seh, certo. I bigotti erano all'ordine del giorno e se il padre odiava i gay definendoli "abomini di un Dio che non li vuole", figuriamoci quanti in quel quartiere pensavano lo stesso. Steve sarebbe finito picchiato a morte dal padre se avesse saputo una cosa del genere... meglio non rischiare. Andò in cucina, stappò una birra e pensò a cosa comprare per Robert e lui, dato che le cose da mangiare erano ormai finite. Finì velocemente di bere ed uscì, dirigendosi al supermercato vicino casa per soddisfare il fratellino, pagando con i soldi della vendita di quel revolver dato a Simon.


Lexi era seduta sul tavolo che mangiucchiava del pane con qualcosa recuperato dal forno. Erano circa le dieci del mattino, tutti si chiedevano come faceva a mangiare così già dalla mattina, ma si risposero semplicemente con un "è Lexi." Lei era molto golosa, forse fin troppo, ma aveva la fortuna di avere un metabolismo che le permetteva di mangiare tanto e non mettere su un chilo. 
– Dovremmo mangiare te. – scherzò Jake, facendo ridere la ragazza che continuò comunque a mangiare. 
– Ha preso tutto dal padre. – esordì la mamma di Lexi, una donna sulla cinquantina con una lunga chioma bionda, mentre il padre, sentendo quella battuta, recuperò un pezzo di pane e si mise a mangiare accanto alla figlia. Avevano entrambi il fisico atletico, segno di una vita passato al servizio dei Sephiroth. Molti Nezakh venivano messi fuori dalle operazione già a partire dalla cinquantina, con i genitori di Lexi che avevano rispettivamente 54 e 60 anni, nonostante fossero ancora membri dell'organizzazione, così come Jake, anch'esso Nezakh. Lexi aveva avuto la fortuna di avere un partner, complice anche l'influenza del padre, ma molti di loro andavano in azione in solitaria, o in coppia genitore-figlio durante i primi mesi di servizio. I Nezakh, ossia i cacciatori di Wendigo non erano moltissimi, è vero, ma fortunatamente le minacce Wendigo nel mondo non erano troppe. Ne venivano avvistati una decina al mese, quando andava male, tutti debellati tempestivamente dai Nezakh. Alcuni cadevano in battaglia, ma i casi erano rari: uno dei più famosi casi avvenne a Madrid, dove un Wendigo di Classe A, il più alto grado di Wendigo avvistato fino ad quel giorno, uccise il Nezakh Ricardo. Poche settimane dopo intervennero un gruppo di mentori Nezakh, debellando la minaccia che mietè più di trenta vittime. Tutto insabbiato, ovviamente.
Le ore nella tenuta di campagna passarono, il pranzò fu consumato in allegria, con Lexi che ripulì circa cinque piatti e bevve avidamente almeno un paio di bicchieri di vino rosso, sotto lo sguardo di Jake che si divertiva... e pensava. Ripensava al messaggio che aveva ricevuto, al cercare Daniel, il partner di Lexi e consegnarlo a quelle persone che lo minacciavano. E minacciavano soprattutto Lexi.
– Tutto bene? – chiese Lexi, che nel frattempo era uscita fuori seguendo il ragazzo.
– Si, sono solo pieno! – sorrise lui.
– Io no... sento che ho mangiato poco.
– Avresti sfamato mezzo terzo mondo con quel cibo che hai mangiato. 
– Ma smettila! – rispose lei calciandolo scherzosamente.
Jake si poggiò alla staccionata, successivamente afferrò Lexi e la portò sotto un albero, dove parlarono del più e del meno, com'erano soliti fare sin da bambini.
– Così non ha accettato l'invito eh? – chiese Jake, giocando con i capelli di lei, cosa che la rilassava terribilmente.
– No, aveva altro da fare... come ogni anno, d'altronde. 
– Con Victor?
Lexi ci pensò su. Non era la prima volta che Daniel passava quei momenti ad addestrarsi col suo mentore, ma quando i due si salutarono, Lexi sapeva che stavolta Victor non c'entrava nulla.
– Non saprei. – si limitò a dire, mentre Jake analizzava la situazione. Era amico di Lexi, anche di Daniel, anche se il suo carattere non era quello che si poteva definire amichevole, ma comunque non lo odiava o gli dava fastidio. Non voleva dargli la caccia, ma c'era in ballo la vita di Lexi, vero punto debole di Jake, oltre ad una questione che non aveva mai detto a nessuno... ovvero le scorte di una medicina sperimentale che quegli uomini gli somministravano, tutto lontano dagli occhi indiscreti dei Sephiroth.
Droga? No, ma la dipendenza era tanta, così come l'utilità maggiore.
Lexi si addormentò, così Jake estrasse una fiala dalla tasca e la mandò giù tutta d'un fiato.
Doveva trovare Daniel... ne valeva la sua vita e quella della ragazza.

   
 
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