Storie originali > Drammatico
Segui la storia  |       
Autore: Celtica    10/03/2016    13 recensioni
| Storia pubblicata su Amazon: Myricae - il giorno che ti ho perso |
Un cane, quando viene abbandonato, si sente in colpa.
Pensa di essere stato lui, di aver sbagliato, di aver agito male. Cerca il padrone perduto, lo aspetta, lo desidera e lo teme.
Davanti a lui può esserci la fine, o un nuovo inizio.
Esattamente come nella vita di Marta, la ragazza che l'ha abbandonato, e di Tobia e Luna, due amanti dei cani.
Lui è il filo conduttore che li lega.
Storia in pausa, ma ancora per poco.
Genere: Angst, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Cap 2

Capitolo secondo

Luna non dirmi che a quest'ora tu già devi scappare

in fondo è presto l'alba ancora si deve svegliare

bussiamo insieme ad ogni porta

se sembra sciocco cosa importa, Luna.

(Luna, Gianni Togni)


Sta ancora aspettando.
È fradicio di gocce di pioggia, tiene la coda tra le gambe e il muso chino. Non riesce a guardare la strada, non riesce nemmeno a dormire.

Si sente estremamente solo.

Dovrebbe cercare un riparo, con l’arrivo del buio ha visto alcune luci in lontananza. Ma non osa andare, non osa lasciare il punto in cui il suo padrone tornerà a prenderlo.
Perché lui è certo che arriverà.

Finalmente, dopo quello che è sembrato un tempo infinito, i fari di un’auto compaiono in lontananza. Li guarda muoversi e intanto sente il cuore accelerare il battito.
Si alza, e prende a correre verso la luce, dimentico dell’acqua. Non è più stanco, d’improvviso è tornato a sentire l’energia dentro di sé, e la speranza, quella speranza che lo ha spinto ad aspettare, sembra essere stata ricompensata: non ha mai dubitato del ritorno del suo padrone.
Batte le zampe sull’asfalto, spostando tutto il peso da una parte all’altra, attraversa le pozzanghere formate nei tratti di strada avvallata, e va incontro al suo amore.

Prestò tornerà a casa.

Con la lingua a penzoloni continua il suo galoppo, mentre la pioggia si placa.
È vicino, le luci diventano sempre più grandi e illuminano la pioggia che scende trasversale.

Ma quando l’auto rallenta, quando il finestrino si abbassa e lui fa un balzo per aggrapparsi alla portiera, non è il suo padrone quello che trova. È una donna.
Una donna che non conosce.
Torna con le zampe a terra e tutta la frenesia, che aveva colmato la sua solitudine, scompare.

È di nuovo solo, adesso.

Sente il suono del freno a mano, quello che ha imparato a riconoscere aspettando il ritorno del suo padrone nel giardino di casa. Ma non è lui.
La delusione spinge di nuovo le orecchie verso il basso e la coda tra le gambe. Si volta per tornare nel punto di attesa. Ma la donna lo chiama, scende dall’auto e si avvicina.

A lui non importa.
Non gli importa di quella donna, non gli importa di essere chiamato da lei, gli importa solo del ritorno del suo padrone.
Con passo mesto si allontana.

«Aspetta!» grida la donna. «Vieni qui, vieni bello… Dai, vieni…»

Quelle parole gli ricordano tanto Marta. La sua Marta.
Volta il capo e la aspetta. È bassa e tozza, molto diversa dalla sua compagna di giochi. Ha uno strano cappello, uno di quelli che Marta gli infilava in testa per poterlo fotografare.

«Non ti faccio niente…» La donna parla con dolcezza, e i suoi movimenti sono lenti, meditati, quasi timorosi. Eppure non ha paura, lui lo sa. «Bravo… Bravo, bello…»

Vede la sua mano allungarsi verso il collo e resta a guardarla. Lascia che se le sue dita frughino nel pelo, finché non è lei ad allontanarle. Le riavvicina per fargli una carezza.

«Non c’è… Non sei perso, piccolo. Però adesso come faccio a farti salire in macchina? Ci verrai con me?»

La donna lo guarda come ad aspettarsi una risposta. Ma lui non ha niente per lei. Né un guaito, né un lamento, non riesce a sentire niente di diverso dalla gratitudine. Gratitudine per quella mano sul suo pelo, per quel tono dolce, per le carezze.

«Vieni, dai… Vieni, piccolo.»

Lei continua a chiamarlo, a chiedergli di seguirla. Ma non può… Cosa direbbe il suo padrone se si allontanasse?
È triste, e non ha voglia di scodinzolare. O forse, semplicemente, non ne ha la forza. Perché tutte le sue speranze sono svanite nel momento in cui il finestrino si è abbassato e, lui, non ha scorto l’uomo che aspettava…

«Com’era il numero da chiamare? Oh, non lo ricordo più! Dai vieni, bello. Vieni con me.»

La donna batte le mani sulle cosce, come a dirgli di seguirla.
Non sa perché, sa solo che è sbagliato, ma va da lei. Arriva all’auto, allo sportello aperto e, senza pensare, senza più chiedersi nulla, sale in macchina.

«Vedrai, starai bene. Non posso tenerti, ma troveremo qualcuno. Non finirai in canile. Non tu.»

                                                                ┌

Chi non ha mai posseduto un cane non sa cosa significa essere amato.

(Arthur Schopenhauer)

                                                        ┘


Sfoglia il libro in riva al mare.
La spiaggia è sassosa, e sembra quasi unirsi al paese che si inerpica sulle colline. L’acqua che ha davanti sembra racchiusa dai due lunghi perimetri di costa che ha intorno.
Tobia si è appena liberato della giacca primaverile. Fa troppo caldo per poterla tenere, Luna lo sa, ma resta coperta.

«Non c’è nessuno» mormora Tobia sedendole accanto. Stringe gli occhi per il sole, e Luna segue il suo sguardo: sono soli.
«Motivo in più per studiare.»

Si porta una ciocca di capelli dietro l’orecchio e lascia che il vento volti pagina per lei. Non è davvero intenzionata a studiare, sa che non è il luogo adatto. Non per lei.

«Qui? Eddai, Luna…»

Lei sposta lo sguardo dalle scarpe da tennis al volto di Tobia. È arrabbiata.
È arrabbiata perché vorrebbe che fosse già venerdì sera, per poter prendere il treno e tornare a casa. È arrabbiata perché sa di dover studiare, ma non ne ha voglia. Ed è arrabbiata anche con Tobia, anche se non sa perché.

«Allora interroghiamoci. Sarà come studiare.»

La fronte di Tobia si sta bagnando di sudore. Non è nemmeno giugno, eppure lui soffre già il caldo. Scuote la testa per dirle di no, che non gli va.
Rimangono un momento in silenzio; Luna distende le gambe sui ciottoli, lascia cadere il libro sul fianco e resta a fissare il mare. È scomoda e dolorante, ma questo non fa altro che farla sentire viva, come se essere sola, in riva al mare, seduta sui sassi, potesse solo farla stare bene.
C’è Tobia con lei, è vero, ma è talmente abituata alla sua presenza da non considerarlo un altro.
È Tobia, il suo amico di scuola, il suo coinquilino fuori sede, che segue i suoi stessi corsi.

«Arriva qualcuno» mormora lui, chinandosi vicino al suo orecchio.

È sempre così silenzioso da farle chiedere come possa fare tanto rumore quando si muove. Ma ha detto la verità: in lontananza una figura si avvicina di corsa, tanto da farle pensare a una madre con un bambino.
Ma non è così.

«C’è un cane!» grida Luna spostando il peso del corpo in avanti. Sorride a Tobia.

L’animale corre sulla battigia insieme al suo padrone. È libero, il mantello crema luccica al sole, e le zampe schizzano acqua salata.
Luna può vedere le gocce splendere di luce. Ma è il cane che osserva, i muscoli che danzano nel galoppo, il muso nero rivolto al ragazzo che è con lui, la lingua di fuori, che rende espressivo il suo muso.
Ma poi lei muove le braccia per farsi notare.

«Ehi!» grida, rivolta all’animale.

E lui la vede.
Il ragazzo si ferma a riprendere fiato mentre il mastiff passa al trotto per raggiungerla. Scodinzola, e Luna si solleva sulle ginocchia per fargli segno di avvicinarsi.

«Ti prenderà per pazza…» sussurra Tobia, facendo un cenno verso il padrone.

Ma a lei non importa.
Adesso la cosa che più vuole è poter accarezzare il cane, e rubargli un briciolo d’amore.

Quando lui è a un passo da lei, Luna allunga la mano per fargliela annusare. Si presenta, così da non spaventarlo, anche se sa già di non essere temuta.

«Argos!» grida il ragazzo facendo qualche passo per avvicinarsi.
Luna sente i suoi occhi impazienti addosso.

«Ciao, Argos…» gli sussurra con dolcezza fra una carezza e l’altra.
Ha il viso vicinissimo al suo muso, e riconosce lo sbuffo di Tobia.

«Scusate, vuole solo giocare. Non vi fa niente» dice il padrone, e sembra abituato a ripetere quella nenia.
Luna gli lancia un’occhiata veloce, sorride, e torna a preoccuparsi del cane. È un bel ragazzo, è riuscita a notare il fisico atletico e i lineamenti decisi.
«Non è un fastidio» risponde Luna scostando le ciocche ribelli. «Anzi.»

Al sole i suoi capelli appaiono rossi, tanto da attirare lo sguardo di lui. Luna sposta gli occhi dal ragazzo a Tobia, e nota la sua espressione contrita.

«Grazie.»
Il padrone di Argos sorride, ed è un sorriso sincero quello che Luna si trova ad ammirare.
«Non sono in molti a fargli i complimenti.»

Argos continua a scodinzolare, tenta di leccarla, e sembra felice delle sue attenzioni.
«Ah no?» chiede Luna rivolta al cane. Solleva il muso con le mani e lo guarda. «E chi è che dice che non sei bello, tu? Eh? Ma chi è che lo dice…»

Argos uggiola e cerca di salirle sopra, spinge le zampe contro di lei e riesce a rovesciarla a terra.
«Basta! Basta, Argos!» Il ragazzo lo afferra per il collare, togliendoglielo di dosso. «Mi dispiace! Scusa!»
Allunga una mano per aiutarla a tirarsi su, e Luna la accetta, sorridendo.

«Ci sono abituata.»

Si scambiano un’occhiata, un istante che sembra durare a lungo, e Luna sente una scossa scenderle lungo la schiena. Lo vede voltare il capo verso la spiaggia, come se fosse tentato di andarsene.
Ma poi ci ripensa.

«Vieni spesso a studiare qui?»
Luna segue lo sguardo di lui, puntato verso il libro di diritto privato. Arrossisce, perché sa di non aver letto nemmeno un paragrafo. Solleva il mento.
«Forse…»
«Che significa forse?»
Luna scrolla la testa e ride: è un gioco al quale non è abituata.

«Significa che forse vengo, forse no…Dipende.»

Il ragazzo la guarda stranito, ma non smette di sorridere.
«Da cosa?»
Luna non gli risponde, gli lancia una lunga occhiata prima di riavvicinarsi ad Argos. Lo accarezza.
«Lo porto qui tutti i giorni» spiega il ragazzo, allentando la presa sul collare. «Se ti va di rivederlo…»

Tobia dà un colpo di tosse quando lei continua a rimanere in silenzio.

«Allora a presto, Argos…» mormora Luna, grattandogli le orecchie.
Lo lascia andare, e il padrone deve tirarlo per riuscire ad allontanarlo da lei. La guarda ancora e ancora, come se si aspettasse qualcosa.

«Il tuo nome?» chiede il ragazzo.
Luna si aspettava quella domanda.

«Luna, e non ricordo mai i nomi dei padroni. Solo dei cani.»
Vuole essere una richiesta, e infatti lui sorride.

«Allora è inutile che te lo dica.»

Luna li guarda allontanarsi, ricambia l’alzata di mano volta a salutarla, e si sente bene. È davvero una bella giornata per lei.

Solo allora sembra ricordarsi di Tobia, e quando si gira lo trova intento a osservare il mare. Ha l’espressione corrucciata di quando litiga con Luna, o di quando lei gli fa qualche torto.
Ma ora non è successo nulla, non hanno nemmeno parlato… Luna non riesce a capire.

«Che hai?» gli chiede, decidendo finalmente di togliersi la giacca.

La mano corre al girocollo di velluto nero, e ne segue i tratti finché non trova il ciondolo. È bello, d’argento, a forma di cane. Luna lo aveva desiderato qualche mese prima, a una fiera; ed era stato Tobia a comprarglielo.

«Niente.»
«Non è vero. Guarda che ti vedo.»

Esce il vento in quel momento, un vento che increspa le onde del mare, facendole apparire minacciose. Sembra riflettere l’animo di Tobia.
Ed è allora che lui si volta a guardarla. Stringe fra le mani la sua giacca leggera, tanto da far diventare bianche le nocche, e arriccia le labbra.

«Hai una fissazione con questi cani…»

Suona come un insulto e, se Luna non lo conoscesse bene, se non sapesse che parla così solo perché è arrabbiato, tuonerebbe contro di lui, dando vita a un vero scontro.
Invece sospira, spinge indietro i capelli e, di nuovo, una ciocca rimane incastrata nell’anello.
È Tobia, con un gesto rapido, a liberarla.
Luna sente le mani di lui bollenti, e si chiede come possa avere così caldo. Forse, pensa, è la rabbia.

«Lo sai che ci tengo.»

Sembra una giustificazione, ma Tobia scrolla le spalle. Non la guarda in faccia, come quando è lui a sbagliare, e Luna si chiede perché.
È strano. Tobia si comporta in modo diverso.

«Tieni solo a loro…»

Luna lo guarda accigliata. Il fuoco, quella fiamma che tiene vivi i suoi ideali, torna a bruciare dentro di lei.

«Non è vero!» grida, sollevandosi in piedi.
Sente le gambe indolenzite per le pietre, ma non lo dà a vedere.

«Non è vero, Tobia! Non puoi dirmi così!» Indossa in fretta la giacca, e sembra pronta ad andare via. A tornare al loro piccolo appartamento in affitto, quello che paga sempre Tobia. «Io ci sono per te. Io ci sono sempre stata. Non so perché hai scelto di seguire i miei stessi corsi, ma l’ho apprezzato, perché vuol dire che sono come una sorella per te» Riprende fiato, sente gli occhi bruciare al sole, e cerca quelli di Tobia. «Mi hai detto di non preoccuparmi per la casa, che ci avresti pensato tu. E non l’ho mai dimenticato. Prendiamo il treno per tornare dalle nostre famiglie insieme, anche se io potrei partire il giorno prima, ma ti aspetto. Non sei solo tu a tenerci.

«Anche tu, per me, sei come un fratello.»

Tobia sgrana gli occhi, come se avesse appena ricevuto uno schiaffo in pieno viso.

«È perché non ho ancora un cane, vero?» suggerisce lui, alzandosi a sua volta. Ha un che di minaccioso, ma Luna lo affronta da vicino. «È solo per i cani che fai così! Tu te ne approfitti, Luna!»

Le sue parole sono incomprensibili per Luna.
E le fanno male.

Improvvisamente perde la voglia di litigare. Scuote la testa e fa per andarsene. Afferra il libro abbandonato, lo zaino, e fa qualche passo sulla spiaggia.

Il sapore della salsedine è sulle sue labbra, eppure, mentre pronuncia quelle parole, Luna sente un gusto amaro in bocca.

«È perché non l’hai mai avuto. E non hai idea di cosa significhi» dice.
Poi si volta e se ne va.

                                                        ┌

Auschwitz inizia quando si guarda un mattatoio e si pensa: "sono soltanto animali."

(Theodor Wiesengrund Adorno)

È una bella giornata di sole.
Marta si chiede se Anna la accompagnerà a fare una passeggiata sulla strada che dà sul mare. Sarebbe bello parlare un po’ con lei; quando sono sole, Anna è più dolce e sembra anche più disposta a confidarsi.

«Esci?» È la prima cosa che le chiede sua madre quando la vede prendere la giacca.
«Mando un messaggio ad Anna e guardo se viene con me… Altrimenti vado da sola.»
Sua madre non sembra contenta. Storce il naso e incrocia le braccia sul petto.
«Posso venire io con te, se vuoi…»

«No.»

La risposta di Marta è immediata. In quel momento pensa che se il suo cane fosse ancora con loro, potrebbe portarlo al parco, come faceva sempre. Senza Anna.
Ma adesso che lui non c’è, ora che Marta è costretta a uscire da sola, non le va di andare al parco, e non le va di rimanere senza nessuno. Per questo estrae il cellulare dalla tasca dei jeans e cerca il nome di Anna.

Lungomare?

È una parola sola.
Ma Marta è sicura che Anna capirà e deciderà di accompagnarla. In fondo è la sua migliore amica.
Ha anche aggiustato i capelli per lei, e vuole farle vedere il lavoro benfatto di Becca.

«Io vado, ciao!»

Mentre richiude la porta, lo sguardo corre alla casetta vuota in cortile. Si chiede dove sia ora, cosa stia facendo, se si ricorda ancora di lei.
Ma si risponde di no, perché suo padre le ha spiegato come sono i cani.

«Sono animali, Marta. Sono solo animali.»

Marta tira verso il basso la maglia della tuta nuova, quella piena di glitter che le ha regalato Anna per il suo compleanno. È di un blu scuro, e Marta riesce a pensare solo che prima, quando c’era ancora lui, non l’ha mai indossata. Non voleva che si riempisse di peli, non voleva che si rovinasse.
Ma ora può.

In fondo ci sono cose positive dalla separazione da lui. Non ha ancora ben capito cosa, ma ci sono.

Aveva paura di essere morsa, anche se il medico, dopo aver chiesto la stazza del cane, le ha spiegato chiaramente che non era un verso morso. Le ha detto che se il suo animale le avesse voluto fare male, lo avrebbe fatto. E non sarebbero bastati dei punti per rimettere insieme i pezzi.

Ma suo padre è stato chiaro: niente più cani.
Lei ne vorrebbe prendere un altro, un cucciolo magari. Uno piccolo, così da non correre rischi.
E anche sua madre è contraria…

Non posso.

È la risposta di Anna.
Marta si chiede perché non possa uscire con lei, cosa ci sia di più importante. Pensa che forse suo padre ha ragione, sono soltanto animali, ma il suo cane non le ha mai detto di no.
Non si è mai sentita rifiutata da lui.
Non come ora si sente rifiutata dalla sua migliore amica…

Prende le cuffie e le infila nelle orecchie, saranno la sua unica compagnia quel giorno. Perché sì, saranno soltanto animali, ma se il suo cane fosse ancora con lei, ora non sarebbe sola.

                                                            ┌

È il momento di separarsi.

Lei non sa cosa dire, sa solo che è giusto così.

Perché questo è solo un nuovo inizio…

                                                        ┘

Luna che cosa vuoi che dica non so recitare

ti posso offrire solo un fiore e poi portarti a ballare

vedrai saremo un po' felici

e forse molto più che amici... Luna!

(Gianni Togni)

nn

Note dell’autrice:

Non vi ho ancora svelato il perché del titolo.
Non sarà una storia veloce, forse proprio perché nella mia mente è nata come one shot, per poi diventare una mini long… Adesso invece è una long a tutti gli effetti. Ci sono cose che voglio approfondire, ma rimane una storia, e devo poter dare un soffio di vita a tutti i personaggi.
Alla prossima!
Celtica

   
 
Leggi le 13 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: Celtica