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Autore: Carme93    01/05/2016    1 recensioni
Anno 2020.
L'ombra sta nuovamente calando sulla comunità magica inglese (o forse europea) ed ancora una volta toccherà ad un gruppo di ragazzi fare in modo che la pace, con tanta fatica raggiunta, non venga meno.
Tra difficoltà, amicizie, primi amori e litigi i figli dei Salvatori del Mondo Magico ed i loro amici saranno coinvolti anche nel secolare Torneo Tremaghi, che verrà disputato per la prima volta dal 1994 presso la Scuola di Magia e stregoneria di Hogwarts.
Questo è il sequel de "L'ombra del passato" (l'aver letto quest'ultimo non è indispensabile, ma consigliato per comprendere a pieno gli inevitabili riferimenti a quanto accaduto precedentemente).
Genere: Avventura, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Un po' tutti | Coppie: Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo quinto

Stelle cadenti
 
«Buongiorno a tutti i maghi e le streghe in ascolto! Bentornati su Radio Strega Network! Un caloroso saluto da Glenda Chittock ed Azzurra Stars! Oggi, però, non è un giorno come gli altri, vero Azzurra?».
«Eh, già. Oggi abbiamo qui con noi il nostro Ministro della Magia che deve farci un annuncio importante. Prego, signor Ministro».
«Vi ringrazio. Buongiorno a tutta la Comunità magica. Sarò breve. Dopo una lunga e travagliata riflessione ho deciso di dare le dimissioni. Vi assicuro che non si tratta di una decisione affrettata. Ci stiamo avviando inesorabilmente verso un periodo di oscurità e di crisi. Proprio per questo posso immaginare che molti di voi giudicheranno negativamente la mia decisione. Un Ministro non può mollare la sua Comunità quando ha più bisogno. Purtroppo, però, non sono più nelle condizioni di ottemperare ai miei compiti, perciò sarebbe stato altrettanto imperdonabile non ammetterlo solo per continuare ad occupare la mia posizione in un momento così delicato. Spero ardentemente di aver compiuto al meglio il mio dovere in questi ventidue anni, in caso contrario me ne scuso. Sono sicuro che il mio successore sarà perfettamente in grado di guidarci verso un nuovo periodo di serenità».
La voce profonda e pacata di Kingsley Schacklebolt fece in poco tempo il giro dell’intera Gran Bretagna.

*

«Ti diamo la possibilità di entrare nel nostro gruppo».
«Sempre se ne hai abbastanza coraggio» aggiunse un altro ragazzino.
Era un gruppetto eterogeneo di ragazzi tra gli undici ed i tredici anni, che al momento circondava un coetaneo. L’unica bambina e la più piccola dei presenti, stringeva la mano di quest’ultimo, osservando imbronciata gli altri.
«Che volete che faccia?».
«Stamattina accidentalmente il mio pallone è finito in casa della vecchiaccia, dopo aver rotto il vetro naturalmente». Tutti risero, consapevoli che non vi era stato nulla di accidentale. «Si è rifiutata di restituirmi il pallone, a meno che non vado con mio padre a scusarmi. Ma vi pare?». Gli altri risero nuovamente: il padre dell’amico era il preside della scuola del quartiere e conoscevano perfettamente la sua severità, per ciò nessuno si aspettava che il figlio gli avrebbe raccontato qualcosa. «Il tuo compito è molto semplice, Brian. Devi riprendere il pallone».
«Ma non me lo darà mai! Dai, Andreas, lasciaci in pace e basta. Che ti costa?».
«Mica glielo devi chiedere per favore! Entri in casa di nascosto e te lo prendi. Se ci riuscirai, ti rispetteremo per sempre; se non ci riuscirai, dirai che il pallone è tuo e che è tutta colpa tua. Poi mi darai un pallone che sia quello od il tuo… in effetti ne hai uno bello di cuoio e non ci giochi mai…».
«Mi stai chiedendo di compiere un’effrazione?» si lamentò Brian.
«Stai sempre ad usare paroloni, eppure sei sempre stato l’ultimo della classe». Nuove risate si levarono dai ragazzi.
«Non voglio» s’impuntò Brian.
Andreas con un rapido gesto lo prese per la maglia e lo scosse, costringendolo a mollare la mano della sorellina. «È un ordine! Fallo o te ne farò pentire». Schioccò le dita e due compagni presero a tirare i capelli alla bambina, che strillò.
«Lasciate stare Sophie. Farò quello che volete» si arrese Brian.
«Sei meno stupido di quanto penso, allora! Bene, Connor verrà con te».
Il ragazzino in questione deglutì vistosamente e chiese: «Io che centro, Andreas?».
«Dovrai verificare che non faccia scherzi».
Meno di un quarto d’ora dopo Brian e Connor si avviavano lungo le ordinate villette a schiera che caratterizzavano il quartiere. 
«Spero per te che tu abbia un piano» disse scocciato Connor.
Brian si voltò verso di lui, alzando gli occhi da terra e mostrò la sua espressione tra lo spaventato ed il risentito. La vecchiaccia come veniva comunemente chiamata dai ragazzi del quartiere, non era altro che la signora Dennis, una vedova che viveva sola ed aveva un bruttissimo carattere. Ogni tanto andava al trovarla il suo unico figlio e raramente portava con sé la sua famiglia. Suo padre gli aveva detto di starle lontano e non infastidirla in alcun modo: era una donna anziana, inasprita dalla solitudine e dalle amarezze della vita.
«Non ho un bel niente! Mi ci avete costretto!».
«Che palle che sei, Brian».
«Io? Andreas poteva anche lasciarla in pace! Sapeva benissimo che si sarebbe arrabbiata!».
«Le azioni del capo non si discutono» replicò Connor senza molta convinzione. Ormai avevano raggiunto la villetta della signora Dennis. «Nascondiamoci dietro quel cespuglio».
Brian lo seguì senza dire nulla, sentiva il cuore battere all’impazzita ed avrebbe voluto essere molto lontano da lì.
«Senti, tocca a te decidere che cosa fare. Hai sentito Andreas, no? Io sono qui solo per controllarti, però ti prego trova un modo per non farci beccare. Se mio padre dovesse sapere solo metà di questa storia, mi ritroverei in punizione per il resto di agosto e non voglio! Anche il tuo si arrabbierebbe, no?».
«Sì, sì» replicò Brian distrattamente. Ciò che lo preoccupava molto era l’aver lasciato Sophie al parco, fortunatamente c’erano le mamme delle sue amichette dell’asilo ed aveva chiesto loro di darle un’occhiata in sua assenza. Erano tutte molto gentili con lui e gli avevano detto di non preoccuparsi. Storse la bocca: era più amico con delle donne tra i trenta ed i quaranta anni che con i suoi coetanei; d'altronde loro lo consideravano tenerissimo ad occuparsi della sorellina. Ecco cosa ispirava: tenerezza e compassione. Sentimenti che i suoi coetanei non conoscevano e per questo lo disprezzavano. Volevano il pallone? Lo avrebbero avuto. Spezzò il borbottio lamentoso di Connor, che non aveva minimamente ascoltato: «Il tuo capo riavrà il suo pallone e voi non mi direte più che sono un fifone inutile, è chiaro?». Non aveva bisogno della compassione di nessuno né dell’amicizia di un gruppetto di bulletti, che avevano sempre ciò che volevano.
Connor sorpreso dal suo tono sicuro e rabbioso, annuì. Brian gli fece cenno di tacere e rimasero ad osservare la vecchia che si muoveva per casa, attendendo il momento più adatto. Trascorse più di un quarto d’ora prima che Brian scattasse in piedi, facendo sobbalzare l’altro.
«Adesso, è in giardino ad appendere i panni lavati. Abbiamo giusto il tempo di prenderci il pallone ed andarcene».
Connor dovette sbrigarsi a raggiungerlo, perché parlando aveva già saltato lo steccato che circondava il giardinetto della villetta e si appropinquava alla finestra aperta. Brian con un po’ di difficoltà, che il compagno in quel momento non si sognò di deridere, si arrampicò sul davanzale e si buttò dentro la piccola cucina tentando di non far rumore. Aveva il cuore in gola, ma vide subito il pallone a terra vicino a tavolino nell’entrata. Per un attimo si immaginò trionfante mentre consegnava il pallone ad Andreas e gli diceva che se non se ne faceva niente della sua amicizia, magari sotto gli occhi ammirati di tutti quelli che come lui avevano sopportato le sue angherie per anni. Connor si era già impossessato del pallone ed erano pronti ad uscire. Fuori gli avrebbe detto di non fare il furbo. I suoi sogni di gloria però furono infranti dal campanello che suonò ripetutamente, costringendo la vecchia a rientrare in casa. I due ragazzini gelarono sul posto, ma Connor si riprese subito: rimise il pallone dov’era e spinse Brian dietro il divano, proprio nel momento in cui la vecchia arrivava borbottando irritata. Osservò dallo spioncino ed aprì la porta.
«Ah, sei tu. Che vuoi?» disse, accogliendo freddamente, quello che i ragazzi riconobbero come il figlio.
«Come che voglio?» chiese questi, evidentemente sorpreso. «Hai chiamato a casa mia ed hai detto di aver bisogno di me urgentemente. Mia moglie mi ha chiamato in ufficio e sono venuto subito da te. Mi sono solo cambiato perché so che a te danno fastidio i nostri vestiti. Stai bene?».
«Certo che sto bene! Ti piacerebbe che schiattassi, vero?».
«Ma mamma che dici! Sai che non è vero! Io ti voglio bene, sei tu che non vuoi accettarmi per quello che sono! Te l’ho detto un milione di volte di venire a vivere da me! I tuoi nipoti ne sarebbero felici».
«Io? In mezzo a dei mostri? Mai. Vattene da casa mia!».
L’uomo sospirò rassegnato ed annuì. Si sentì uno scrocchio, che fece sobbalzare tutti, compresi i due ragazzini nascosti. Brian conosceva perfettamente quel suono e spaventato osservò l’uomo che era apparso dal nulla. Connor era a bocca aperta, ma Brian sapeva che a quel punto la violazione del decreto di segretezza internazionale era il minimo: il nuovo arrivato indossava una lunga veste nera ed una maschera argentata in volto. Aveva visto più volte negli ultimi mesi foto uguali sulla Gazzetta del Profeta, suo padre gli aveva solo detto che erano molto pericolosi e poi non era andato oltre nascondendosi anche dietro il segreto professionale. Il signor Dennis era sbiancato ma, con sorpresa di Brian, estrasse la bacchetta; però era stato troppo lento. Il Neomangiamorte lo disarmò e rise: «E bravo Elias, su questa casa non c’è la minima difesa. Eppure ci tieni a mammina, vero? Secondo te quanto ci vuole ad imitare la voce di una lurida babbana?».
«Chi sei? E cosa vuoi da me?».
Il Neomangiamorte rise di nuovo, dando i brividi a Brian e Connor.
«Cosa voglio? Ti credevo più intelligente, capo. A quanto pare avrei dovuto capirlo quando hai rifiutato la bellezza di cinquemila galeoni. “Io non mi faccio corrompere da nessuno”. Povero, illuso. Quelle erano le buone maniere. Tu mi hai licenziato perché ho osato provare a corromperti. Ora perderai ogni cosa. Avada Kedavra».
Brian chiuse istintivamente gli occhi, mentre l’urlo della donna accompagnava la caduta del figlio. «Contenta donna? Il figlio che hai ripudiato ingiustamente, è morto. E tutto perché non hai voluto che questa casa venisse protetta dal Ministero della Magia. Tutto perché tuo figlio era un mago. Voi babbani dovreste morire tutti!» disse l’uomo con disprezzo. Puntò la bacchetta contro di lei, che accasciata a terra stringeva a sé il corpo inerte del figlio urlando e singhiozzando.
Brian era terrorizzato e guardava la scena sotto shock e non fece in tempo a bloccare Connor, che uscì allo scoperto.
«ASSASSINO!» urlò il ragazzino e prima che il Neomangiamorte si voltasse gli tirò in testa un grosso portacenere di marmo e gli fece perdere i sensi.
Brian prese in mano le due bacchette e le allontanò dall’uomo.
«Sei scemo?» gli chiese ansimante ed in lacrime Connor.
«Tu non sai a che servono queste. Se si dovesse risvegliare ucciderebbe anche noi» disse con voce incerta e si accorse che anche lui stava piangendo.
«Lo so. Adesso però hai lasciato le tue impronte digitali. È morto davvero?».
«Tu sei un mago?» chiese sorpreso Brian.
«Sì, l’ho scoperto qualche settimana fa. Voi ci chiamate Nati Babbani, giusto?».
Brian annuì e poi vedendo che l’amico tentava di avvicinarsi al signor Dennis, lo fermò: «Ha usato l’Anatema che Uccide».
«E non esiste un controincantesimo?».
Brian scosse la testa e si mise a piangere più forte: «LA MAGIA È INUTILE» urlò sorprendendo Connor. Mollò le bacchette, che toccando terra produssero un suono inquietante. Si sentì soffocare. Sembrava che le pareti si stessero restringendo fino a circondalo e soffocarlo. Si sentì mancare e cadde in ginocchio.
«Brian?» la voce incerta di Connor, gli giunse come da molto lontano. «Che hai? Ti prego, non so che fare».
Brian sobbalzò quando Connor gli diede un ceffone ed alzò gli occhi su di lui. «Non ho idea di che cavolo ti passa per la mente, ma quello non ci metterà molto a riprendere i sensi!». Detto ciò cominciò a legarlo nella fodera che aveva tolto dal divano, la scena era così assurda che lo fece riprendere più dello schiaffo. La vecchia per conto suo continuava a piangere e strillare. Si sollevò con le gambe tremanti e disse a Connor: «Dobbiamo chiamare mio padre».
Quello sospirò e scosse la testa. Tirò fuori il cellulare dalla tasca e disse: «Chiamerò mio padre. Siamo noi che ti abbiamo trascinato in questo guaio. Me ne assumerò io la responsabilità. Poi mio padre è un avvocato, collabora spesso con la polizia. Saprà cosa fare. Cancellerò le impronte dalle bacchette e nessuno saprà che sei stato qui. Prendi il pallone e dallo ad Andreas, manterrà la parola e non ti darà più noia e poi andremo insieme nella nuova Scuola, no? Sei coraggioso, l’ho visto con i miei occhi. Non ti farò più nulla. Promesso».
«Fermo! Non chiamarlo» gli bloccò la mano. «Tuo padre non può far nulla. Fidati. Quello è il cellulare di tua mamma, vero? Allora chiama la signora Scott e dille ciò che ti dico io».
Connor era sorpreso ma dover aver preso il bastone da passeggio della vecchia per precauzione, nel caso in cui il Neomangiamorte avesse ripreso i sensi (ma la botta doveva essere stata forte perché perdeva sangue). «Pronto, qui casa Scott. Chi parla?» la voce dolce della loro anziana vicina fece trasalire entrambi.
«Signora Scott, sono Connor Mils».
«Oh, ciao tesoro. C’è qui la tua mamma con me, vuoi che te la passo?».
«Dille di chiamare il marito» suggerì Brian.
«Chi c’è con te?» chiese la donna sorpresa.
«Brian Carter, signora. Senta mi può passare suo marito?».
«Non è ancora rientrato dal lavoro. C’è qualche problema ragazzi?» la sua voce ora era preoccupata.
«Che facciamo?» chiese Connor. Brian gli prese il cellulare e parlò lui: «Signora, sono Brian. Per favore chiami gli Auror. Il figlio della signora Dennis è stato assassinato da un Neomangiamorte».

*

«Robert! Non ti aspettavo a quest’ora!».
Se qualcuno fosse passato di lì in quel momento avrebbe visto un giovane sui quindici anni, alto, moro, i muscoli che si notavano dalla maglietta aderente, fronteggiare una donna anziana dall’aria severa e con i capelli legati in uno stretto chignon.
«Ciao zia. Sai benissimo, che mia madre mi tratta come un pacco postale. Ancora due anni, però e poi…» replicò Robert seccato.
«Bentornato» disse, invece, la donna ignorando il suo malcontento. Si spostò e lo fece entrare nella piccola casetta.
Robert si guardò intorno: nei suoi tre anni di assenza non era cambiato nulla. Anzi forse nella libreria c’erano ancor più libri di quando era partito. Se non fosse stato per la magia sarebbe già crollata da un pezzo.
«Non sei contento di essere di nuovo in Scozia?».
Il ragazzo sospirò e si volse verso sua zia: Minerva McGranitt, donna temuta ed ammirata dalla maggior parte del mondo magico inglese.
«Credo di sì. Però ho dovuto mollare di nuovo gli amici che mi ero fatto con fatica e soprattutto la mia ragazza».
«Mi dispiace. Non devi aspettare il compimento dei diciassette anni per decidere. I tuoi genitori sono andati in Africa per alcune loro ricerche e saranno irrintracciabili per mesi, per cui mi hanno lasciato ufficialmente la tua temporanea custodia. A me interessa la tua istruzione e null’altro. Ho detto a tua mamma di portarti qui, perché ho pensato che sarebbe stata la decisione migliore, ma se tu vuoi proseguire i tuoi studi ad Ilvermorny, puoi farlo».
Robert fu prese in contropiede dalle sue parole e la osservò per un momento, poi si sedette sul divano senza dire nulla.
«Hai tutto il tempo di decidere. Questa volta sei l’unico responsabile delle tue scelte».
Il ragazzo annuì: finalmente gli era stata data la possibilità di scegliere, che anelava da anni; ma adesso non sapeva cosa scegliere. Non gli interessava molto della Scuola, ma gli affetti che essa comportava. «Ho bisogno di parlare con Jamie» e nel momento stesso in cui lo disse, capì che aveva preso una decisione e lo comprese anche la zia, le cui labbra si arricciarono in quello che sembrò un sorriso.

*

«Brian, mi raccomando. Stai tranquillo. Il Capitano Potter è bravo. Devi raccontargli ciò che tu e Connor avete visto, ok?».
Il ragazzino annuì al padre e tentò di calmarsi, ma non era facile per nulla. Sentiva lo sguardo del padre su di lui. La signora Scott aveva immediatamente allertato il marito, che era giunto sul posto con una squadra di Auror, compreso suo padre. Quest’ultimo aveva preso lui e Connor e li aveva trascinati fuori dalla casa e solo allora Brian aveva ripreso a respirare correttamente. Poi era scoppiato a piangere senza ritegno e ce ne aveva messo di tempo a calmarsi, tanto che il Capitano aveva ascoltato la testimonianza di Connor, ma aveva rimandato la sua al giorno dopo. Suo padre gli strinse la spalla per fargli sentire la sua presenza. Entrarono insieme nell’ufficio del Capitano Potter.
«Buongiorno, signore. Scusi il ritardo. Ho dovuto lasciare la bambina alla signora Scott».
«Non ti preoccupare, Gregory. Come stai Brian?».
«Non ha dormito tutta la notte» rispose per lui il padre. Brian era intimorito dalla presenza di tutti quelli uomini in divisa scarlatta.
«Non è stato l’unico. Ti ricordo che abbiamo arrestato un alto membro del Ministero. Non so se hai notato i giornalisti» rispose Harry, che era di pessimo umore. «Ciò che mi fa rabbia è che c’è qualcuno qui dentro ancora più in alto che ha comandato l’omicidio. E sai chi è secondo me?».
«Denver Green?» chiese Gregory.
«Esattamente. Ed indovina chi è stato nominato stamattina presto come sostituto di Dennis? E chi ha votato a favore di quel maledetto Torneo?».
«Merda» sbottò Gregory, «Ce l’hanno fatta».
«Hanno ucciso un padre di otto figli pur di raggiungere lo scopo. Sì, per ora hanno vinto loro».
«Avanti Harry, ascoltiamo Brian» lo esortò Gabriel Fenwick. «Dobbiamo andare avanti con le indagini».
«Hai ragione. Brian siediti per favore e raccontaci tutto quello che è accaduto ieri pomeriggio».
Brian obbedì e raccontò loro ogni cosa. Non disse nulla di nuovo rispetto a Connor. La sua testimonianza fu solo più precisa, in quanto Connor non conosceva ancora le peculiarità del mondo magico.
«Va bene. Grazie, Brain. Puoi andare, grazie del tuo aiuto. Gregory va’ a casa con lui. Hai la giornata libera» disse Harry.
«Grazie, Capitano. Posso sperare che i nomi di Brian e Connor non verranno resi noti?».
«Capisco la tua preoccupazione e vorrei tanto dirti di sì, ma purtroppo è molto probabile che durante il processo verrà nuovamente richiesta la loro presenza. Essendo, Konrad Ralphs, un alto membro del Ministero, tenterà di far forza sulla sua posizione. Per ora nessuno saprà che sono stati loro».
Gregory annuì e si congedò portando con sé Brian.
«Harry, che pensi?» chiese Gabriel.
«Che Hogwarts da ottobre sarà il teatro della Signora Oscura. Non capisco quale sia il suo obiettivo, ma ormai è chiaro che come temevo la storia del torneo non è casuale. Dobbiamo aumentare le difese, ma soprattutto quelle interne. Sono contento che Maximillian abbia accettato di insegnare Difesa, mi sento più tranquillo».
«So che a parte lui ci sono altri nuovi arrivi ad Hogwarts… Ne hai parlato con la Preside?» chiese Gabriel.
«Potrebbe esserci qualche infiltrato» aggiunse Ron.
«Sono tutti incensurati» rispose Harry pensieroso.
«Non credo sia abbastanza rassicurante come cosa» borbottò Ron.
Harry sbuffò. «Non posso decidere per la McGranitt! Maximillian sarà il nostro occhio interno. Altro non possiamo fare».
«Sei il capo degli Auror, Harry! Puoi fare tutto tu!» sbraitò Ron, beccandosi un’occhiataccia dal suo migliore amico.
«Non dire scemenze. Dite a Terry che ho urgente bisogno di parlargli ed anche a Malfoy».
«Malfoy? Che centra lui?» si alterò Ron, ma Gabriel lo prese per un braccio e lo trascinò fuori dall’ufficio.

*

«Ciao, papà. Ti aspettavo».
«Ciao, Al. Tutto ok?».
«Sì sì, tutto normale. Oggi con il nonno siamo andati in una biblioteca babbana a Londra».
«Ah, bene. Ti sei divertito?» chiese distrattamente Harry, mentre cercava la cena che la suocera gli aveva lasciato in forno.
«Papà, mi stai ascoltando?».
«Sono molto stanco Al» si giustificò Harry.
«Senti gli altri mi stanno aspettando fuori. Abbiamo messo i sacchi a pelo per guardare le stelle…».
«Ah, ok. Divertiti».
«Papà! Ascoltami. Un minuto solo».
Harry volse lo sguardo su di lui e lo scrutò in attesa.
«Ho scoperto chi è lo Stagirita».
«Sul serio? E che aspettavi a dirmelo!».
«Se non mi ascolti! Comunque Stagirita indica un abitante di Stagira, una città della Grecia».
Harry sbuffò: «Quindi potrebbe essere chiunque…».
«No. La Profezia si riferisce ad Aristotele. Visse nel IV secolo a.C. È un filosofo molto importante e il pensiero occidentale si fonda anche su di lui. Inoltre si è occupato anche di etica e qui si arriva alle virtù: prudenza, giustizia, fortezza, temperanza, coraggio, liberalità, magnificenza, magnanimità, mansuetudine, arte, saggezza e sapienza, che si divide in scienza ed intelletto. In realtà il manuale di filosofia che mi ha gentilmente mostrato la bibliotecaria spiegava concetti più complessi, ma credo che questo sia ciò che ci interessa di più. I dodici della Profezia sono dotati ciascuno di una di queste virtù, ma non ho capito ancora come sapere chi siano».
«Era un babbano? Non ci capisco niente. Come hai fatto a scoprirlo?».
«Ho chiesto direttamente alla bibliotecaria… Ho pensato che non ci sarebbe stato nulla di male, ed il nonno era d’accordo… al massimo ci avrebbe presi per pazzi… invece mi ha guardato sorpresa… dovevi vederla era felicissima di rispondere alle mie domande, a quanto mi ha detto sono pochi i ragazzi che si interessano seriamente alla filosofia… certo quando ha cominciato a fare nomi strani ho dovuto ammettere di non saperne molto…».
«Hai detto al nonno della Profezia? Avevo chiesto a te, Rose e Cassy di tenerlo per voi» si crucciò Harry.
«Non gli ho detto nulla. A nonno è bastato sapere che dovevo fare una ricerca importante e mi ha accompagnato… sai che è sempre felice di andare nella Londra babbana».
«Sei stato bravissimo, Al».
«Grazie, ora raggiungo gli altri».
Albus uscì fuori nel giardino, occupato da una serie di sacchi a pelo blu notte. James si era messo più in là con Robert, Danny e Tylor e parlavano fitto fitto. I Malandrini erano dalla parte opposta ed indicavano le stelle ridendo. Fred era il più distante di tutti, con lui c’era July, che per quello che aveva potuto intendere aveva detto al padre che avrebbe trascorso la notte con la sua migliore amica, Melissa Goldstain. I due si baciavano. Louis e Lysander Scamander facevano ancora a gara a chi riconoscesse più costellazioni, come prima che entrasse in casa a parlare con il padre. Lorcan, il gemello di Lysander, era appiccicato ai Malandrini.
Albus si buttò sul suo sacco accanto a Rose e Frank. Loro tre, Roxi, Alastor, Cassy, Scorpius, Isobel, Dorcas e Jonathan formavano un gruppo disordinato al centro del giardino.
«Hai parlato con zio Harry?» gli sussurrò Rose.
«Sì».
«Io direi di lasciar perdere le ricerche per ora. Abbiamo bisogno della biblioteca di Hogwarts».
«Sono d’accordo».
«Ehi guardate una stella cadente» gridò Louis eccitato.
Albus alzò gli occhi appena in tempo per vedere una striscia luminosa in cielo. Desidero che questa storia finisca al più presto e bene pensò con intensità.

*

Harry tentò di sistemare i capelli del figlio maggiore, ma inutilmente: erano ribelli quanto i suoi. James sbuffò e corse fuori dalla casa. Era una soleggiata mattina d’agosto e vicino alla finestra stava iniziando a sudare e decise di raggiungere la moglie nel giardino, ma qualcuno entrò nella stanza.
«Harry».
Egli alzò i suoi brillanti occhi verdi sulla donna che era appena entrata: il suo viso era ormai pieno di rughe; ogni ruga era una sofferenza; i suoi occhi, però, erano ancora vispi. Andromeda Tonks si avvicinò ad Harry e tentò di sorridere.
«Ti volevo ringraziare».
Una lacrima silenziosa solcò il volto della donna, una volta fiero ed orgoglioso.
«E di cosa?».
«Lo sai. Non fare il modesto. Senza l’aiuto tuo e di Ginny non ce l’avrei mai fatta a crescere Teddy».
«Ma che dici! Hai fatto tutto tu, Andromeda! Io e Ginny eravamo dei ragazzi. Hai avuto la forza di reprimere il tuo immenso dolore solo per il bene di Teddy. Non tutti avrebbero avuto il tuo coraggio».
Lei scossa la testa: «Sei sempre stato un importante punto di riferimento per lui e…».
«Andromeda, smettila per piacere. Remus mi ha nominato suo padrino: ho fatto solo il mio dovere. Teddy ha subito la mia stessa disgrazia, purtroppo io non ho avuto la fortuna di crescere con Sirius. Credo che alla fine tutti trovino un po’ di bene: io l’ho trovato nei Weasley, Teddy in tutti noi».
«E ve ne sarò sempre grato».
I due si voltarono ed incrociarono gli occhi di un Teddy elegantissimo. Indossava un completo bianco, con il collo della giacca ricamato; sotto di essa si intravedeva un doppio petto scuro ed una candida camicia bianca. Abbracciò la nonna e le disse:
«Su, nonna, non piangere. Ti ricordo che mi devi accompagnare all’altare».
Andromeda tentò di sorridergli e disse: «Hai ragione, sono una sciocca. Vado a sciacquarmi il viso».
I due uomini rimasero soli e Teddy si rivolse al padrino: «Ti ricordi la nostra discussione di qualche giorno fa?».
«Certo. Mi dispiace se è degenerata. Non era mia intenzione».
«Neanche mia. Non volevo arrabbiarmi. Negli ultimi giorni ci ho riflettuto molto… mi ha aiutato anche Vic… Ho capito che hai ragione tu: ho sempre cercato di essere il migliore in ogni mia attività. Desideravo solo eguagliare i miei genitori. So che tu non volevi mettere in dubbio le mie capacità, ma decisamente devo scegliere tra l’essere Auror ed insegnante. Anzi, ho già scelto: preferisco la vita accademica. Ne sei deluso?».
«Come no», rispose ironico, «Il mio figlioccio si è diplomato con il massimo dei voti ad Hogwarts, è un animagus, ha superato gli esami per diventare Auror ed insegna ad Hogwarts alla veneranda età di ventidue anni… ma non fare lo stupido! I tuoi genitori sarebbero molto fieri di te. Ed ora muoviti, è la sposa che arriva in ritardo».
Harry gli diede una pacca affettuosa sulla spalla e lo condusse al piano di sotto.
Teddy e Victoire avevano deciso di sposarsi a casa Tonks: la villetta era piccola, ma era circondata da un ampio giardino, nascosto agli occhi dei Babbani da una fitta rete di rampicanti, in cui vi erano una serie di alberi che rispondevano anche alla necessità degli invitati di proteggersi dalla calura estiva.
Uscirono in giardino, dove ormai si stavano radunando tutti gli invitati. Strinsero la mano a parenti ed amici, mentre si dirigevano verso il tendone che era stato eretto appositamente per la cerimonia. All’interno erano state sistemate due ali di sedie e tra di esse un lungo tappeto rosso, cosparso di petali di fiori.
Harry percepì l’emozione del figlioccio e sorrise per incoraggiarlo, ma non poté fare a meno di osservare la moglie in un elegante tubino blu, che parlava con Angelina, che, invece, indossava una vestito beige più largo alla fine. Ginny era semplicemente meravigliosa. Con un tuffo al cuore le immagini del suo matrimonio si riaffacciarono alla sua memoria, con una sensazione di malinconica felicità: erano già trascorsi sedici anni.
Strinse la mano a Lee Jordan e scambiò qualche parola con lui; Teddy al suo fianco diventava sempre più taciturno.
Il figlioccio aveva invitato anche tutti i suoi colleghi di Hogwarts. Harry ridacchiò nel vedere figli e nipoti evitare accuratamente di incrociare il cammino di Louise Campbell, antipatica insegnante di Astronomia; Fred chiacchierava amabilmente con i coniugi Mcmillan insieme al padre. Poco dopo giunsero anche la professoressa McGranitt ed il professor Vitious, ma probabilmente si sarebbero congedati presto a causa dell’età.
Neville ed Hannah si avvicinarono loro con la piccola Aurora in braccio.
«Alice è scappata non so dove con Lily ed Hugo» disse ad Harry dopo che si furono salutati, con un certo grado di esasperazione nella voce.
«Lily mi ha dato la sua parola che si comporteranno bene» li tranquillizzò Teddy.
«Meglio così. Ho proprio bisogno di trascorrere una giornata tranquilla» sospirò Neville.
«Aurora non ha smesso di scambiare il giorno e la notte?» chiese Harry.
«Sì, per fortuna. Ogni tanto si sveglia, ma non ci mette molto a riaddormentarsi. Però ci pensano gli altri a farmi preoccupare. Augusta non ha ancora accettato la sorellina ed Alice ne combina sempre qualcuna».
«Meno male che c’è Frank allora».
«Già, è un ragazzino fantastico. Ci aiuta sempre» replicò Hannah.
«Andiamo a prendere posto» disse Neville.
«A dopo».
Harry spinse Teddy verso il lato opposto del tendone e prese posto accanto alla moglie. Per un attimo cercò i figli con lo sguardo per assicurarsi che si stessero comportando bene: James, che Ginny aveva costretto a mettere la camicia nei pantaloni, era insieme a Tylor, Danny e Robert; Albus, poco distante da loro, come sempre era in compagnia di Rose, alquanto impacciata in un vestitino che la madre l’aveva costretta ad indossare, di Alastor e Scorpius; con difficoltà scovò Lily in fondo al tendone, indossava un vestito, celeste con un fiore sulla spallina destra, che aveva scelto personalmente.
I Malfoy erano stati invitati in quanto erano gli unici parenti in vita di Andromeda; con grande dispiacere di quest’ultima Narcissa e Lucius si erano rifiutati. Draco ed Astoria, invece, avevano accettato e si erano mostrati molto cortesi nei confronti dell’anziana zia.
Harry aveva invitato anche gli zii ed il cugino Dudley con la sua famiglia e straordinariamente erano venuti tutti; certo zio Vernon e zia Petunia si guardavano intorno spaventati, come se qualcuno dovesse attaccarli da un momento all’altro, ma insomma non poteva pretendere troppo.
Teddy era stato raggiunto dai suoi testimoni: Laurence Landerson e Samuel Harper, due indisciplinatissimi Auror e suoi migliori amici fin dai tempi della Scuola.
Gli ultimi a sedersi furono Fleur, Louis, Valentin e Domi accompagnata dal suo ragazzo. I coniugi Delacour e Gabrielle Flamel avevano occupato posti molto distanti tra loro.
Tutti si alzarono all’entrata di Victoire: dava il braccio al padre. Roxi e Lucy le tenevano il lungo strascico. Bill con un ampio sorriso stampato sul volto e, anche se non l’avrebbe mai ammesso, sul punto di commuoversi, la consegnò a Teddy che le strinse la mano.
L’officiante, fino a quel momento rimasto in disparte, prese la parola: «Siamo qui riuniti oggi per celebrare l’unione di due anime fedeli, Ted e Victoire…».
Harry strinse la mano a Ginny; Molly già piangeva, come Hagrid seduto in ultima fila si soffiava sonoramente il naso.
«Vuoi tu, Ted Remus, prendere Victoire Apolline come tua sposa?».
«Sì, lo voglio».
Adesso anche Andromeda singhiozzava silenziosamente nel suo fazzoletto di seta scura.
«Vuoi tu, Victoire Apolline, prendere Ted Remus come tuo sposo?».
«Sì, lo voglio».
L’officiante levò la bacchetta sopra le loro teste ed una pioggia di stelle li coprì, avvolgendoli in una spirale mentre si abbracciavano. I presenti applaudirono ed una serie di palloncini bianchi e candide colombe furono fatti volare. Gli sposi furono circondati dagli invitati che si volevano congratulare con loro e nel frattempo qualcuno spostò le sedie e fece apparire i tavoli per il buffet. Una volta liberi Teddy e Vic diedero il via alle danze.
Harry ballò a lungo con Ginny: era sempre impacciato, ma erano settimane che non avevano un po’ di tempo solo per loro. Nel vedere Albus trascinato in pista da un’agguerrita Alice, rise insieme alla moglie.
«Potter, facciamo cambio di dame».
La voce fredda e strascicata di Draco ruppe l’incantesimo e lo riportò alla realtà.
«Sei impazzito, Malfoy?».
Volteggiarono un altro po’ in silenzio, Harry con la palese intenzione di allontanarsi da Draco, ma senza riuscirvi.
«I Babbani lo fanno. Tu non adori i Babbani?».
Harry era sul punto di rispondergli che non gliene fregava nulla dei Babbani, ma l’altro fu più rapido ed ebbe a malapena il tempo di stringere la mano di Astoria. Troppo stupito per l’audacia dell’altro non si ribellò subito e la donna si accostò di più, tanto che i loro nasi quasi si sfiorarono.
Astoria sussurrò: «I Neomangiamorte ci hanno contattato. Vogliono che ci uniamo a loro».
Harry le fece fare una giravolta, turbato dalle sue parole.
«Draco ha litigato con Lucius, non si parlano da settimane. O ci uniamo a loro o ne subiremo la vendetta».
L’altro la fece volteggiare ancora, senza proferire parola.
«Draco vorrebbe fare come Severus Piton. Ti prego dissuadilo».
Harry sbigottito non seppe cosa replicare.
«Almeno proteggi Scorpius. È solo un ragazzo, non ha nessuna colpa» supplicò Astoria.
«Stai tranquilla».
Con un gesto rapido Astoria e Ginny si scambiarono di nuovo. Le due coppie si allontanarono, per non destare più attenzione di quanto avessero già fatto. Harry percepì addosso lo sguardo perforante di Kingsley poco distante.
«Draco parlerà con te alla prossima riunione per il Torneo Tremaghi. Ti chiede di non mandare mio fratello, perché finirebbero per schiantarsi a vicenda» gli comunicò Ginny, attirando la sua attenzione.
«Andrò personalmente».
«Harry, quant’è grave la situazione?».
«Non è il momento. Parleremo poi. Ora festeggiamo».
   
 
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