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Autore: Old Fashioned    03/07/2016    8 recensioni
Il principe Wieland sarebbe disposto a tutto pur di ritrovare Lady Amilda, la sua promessa sposa. Un Veggente gli predice che riuscirà a ricondurla a sé, ma gli svela anche che nell'impresa perderà la persona che ama di più al mondo. Che cosa significa la misteriosa profezia?
Wieland ritiene che sia Lady Amilda la persona che ama di più al mondo. Come può rincoquistarla e perderla nello stesso momento?
P.S.: questa storia non era originariamente strutturata in capitoli. L'ho divisa qui perché è piuttosto lunga e non volevo mandarla tutta in una volta.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 4

Lo svegliò la luce dell’alba, che filtrava ancora fioca all’interno della grotta. Non aveva fatto la guardia, ma probabilmente in quel luogo gelido e inospitale essa era la minore delle negligenze.
Il fuoco era spento da tempo, ma la presenza dei tre cavalli aveva comunque riscaldato il piccolo ambiente.
Wieland era ancora contro di lui, il capo appoggiato al suo petto, i capelli a coprirgli il volto. Lo toccò constatando con sollievo che era tiepido.
Con insospettata dolcezza gli scostò le morbide ciocche corvine dal viso e gli accarezzò una guancia. Gli posò un delicato bacio sulla fronte. A quel tocco il giovane principe aprì gli occhi. Sulle prime parve piuttosto stupito di trovarsi nudo e abbracciato al corpo parimenti nudo del suo capitano delle guardie, poi lentamente gli tornarono in mente gli ultimi avvenimenti. “Il lago era ghiacciato…” mormorò, “stavo annegando…”
Perdonami, ma saresti morto di freddo se non avessi fatto così.”
Perdonarti? Mi hai salvato la vita, Aldric.”
L’avrei fatto a prezzo della mia, se fosse stato necessario.”
L’altro lo fissò colpito, poi appoggiò nuovamente il volto sul suo petto. Evitando di guardarlo sospirò: “Ma poi chi avrebbe badato a me fino al Palazzo dell’Eterno Dolore?”
Sai badare a te stesso.”
Non è vero. Senza di te non sarei nemmeno uscito vivo dal Cadwald. Non saprei dove accamparmi, come preparare i giacigli per la notte, o come sellare il cavallo senza fargli venire una fiaccatura sul garrese.”
Tu sei un principe, non ti serve sapere queste cose.”
Ecco perché ho bisogno di te.”
La frase fu seguita da un lungo silenzio, poi Wieland alzò gli occhi dorati fino a fissarli in quelli celesti di Aldric. “Non lasciarmi,” mormorò in un soffio.
L’altro gli prese il volto fra le mani. Lo baciò di nuovo sulla fronte, però non disse nulla. Il suo sguardo era appassionato ma carico di una struggente amarezza.
Subito dopo si sciolse dall’abbraccio e si alzò. “Sarà meglio che ci prepariamo a partire,” disse con voce dura.

Nei giorni successivi abbandonarono le nevi eterne dei Monti Vjelen per addentrarsi nella desolazione del Morvynnet. La regione, quanto mai selvaggia e inospitale, era essenzialmente una pianura che si perdeva all’orizzonte, coperta di radi arbusti spinosi e disseminata di pietre dai bordi taglienti. Ogni tanto vi erano degli avvallamenti, lunghi e stretti come canali, nei quali si immaginava potessero passare corsi d’acqua in un’ipotetica stagione delle piogge, ma che comunque erano secchi e polverosi al pari del resto.
Gli unici abitanti della zona, per quanto Aldric ne sapeva, erano i Morvan, un popolo nomade dedito alla caccia e alla pastorizia, ma che non disdegnava la razzia qualora se ne presentasse l’occasione. Poiché normalmente attaccavano solo se in superiorità numerica di almeno venti a uno, era di vitale importanza evitare ogni contatto.
Per giorni comunque non incontrarono anima viva. Sembrava che neppure gli animali vivessero nel Morvynnet, gli unici suoni che si udivano erano il sibilo del vento e qualche raro grido di rapace.
All’inizio vi era anche qualche sorgente d’acqua, ma procedendo verso la Valle dei Lamenti esse si erano fatte sempre più rare, e l’acqua al loro interno sempre più fetida e contaminata.
Nessuno dei due aveva più fatto allusioni a quello che era successo nella grotta. Per la verità, non avevano praticamente più parlato. Col passare dei giorni Aldric si era fatto sempre più cupo e capitava spesso che cavalcasse qualche lunghezza avanti a Wieland, come per fargli capire che non desiderava essere interpellato.
Questo naturalmente dispiaceva al principe per più di una ragione, non ultima quella che avrebbe voluto sfruttare le conoscenze del capitano della guardia sulla Valle dei Lamenti. Aveva sentito dire molte cose su quella morta contrada e nessuna di esse rassicurante.
Si narrava per esempio che quel luogo maledetto fosse popolato di mostri che non erano né vivi né morti e che il Palazzo dell’Eterno Dolore potesse essere trovato solo spargendo il sangue di qualcuno che fosse nobile e intrepido, ma soprattutto disposto a morire per amore. La leggenda non specificava però come dovesse essere utilizzato tale prezioso fluido per trovare la dimora del Signore dei Morti.
La verità era che nessuno era mai stato nella Valle dei Lamenti ed era tornato per raccontare ciò che aveva visto, quindi Wieland non sapeva neppure se augurarsi di essere sufficientemente nobile e intrepido per riuscire nell’impresa.

La Valle dei Lamenti fu infine raggiunta. Aldric e Wieland si fermarono prima di discendervi, fissandola con sgomento. Per quanto il Morvynnet fosse desolato e inospitale, esso sembrava un giardino al paragone del luogo che i due giovani stavano con orrore contemplando. L’aria era resa opaca da esalazioni fetide e tutt’intorno vi era uno sterile ribollire di fanghi. Dove era più solido, il terreno era solo una crosta screpolata e polverosa, nella quale non avrebbe attecchito neppure la più disperata delle piante.
Erano ancora fermi sul ciglio della discesa che menava a quella desolata miseria quando Aldric notò dei movimenti all’orizzonte. Subito li indicò a Wieland, che li scrutò a sua volta preoccupato.
Arriva qualcuno,” disse poi il principe.
Lo vedo,” ringhiò l’altro, “e non è una buona cosa.” Valutò rapidamente il da farsi. Quelli in avvicinamento erano senza dubbio Morvan, il che significava che entro breve si sarebbero trovati addosso una torma di guerrieri urlanti armati di archi e lance. Non che quel popolo fosse composto da combattenti di valore, anzi tendevano piuttosto alla viltà, ma una sproporzione di venti a uno aveva comunque il suo peso.
Abbiamo un’unica possibilità,” disse infine, “li dobbiamo attaccare noi per primi e fare più morti possibile, sperando che si spaventino e preferiscano rinunciare alla cattura di due prede troppo ostiche.”
Non credi sia meglio andare subito nella Valle dei Lamenti? Secondo me non oseranno seguirci lì dentro.”
Vuoi trovarteli addosso quando uscirai con Lady Amilda al seguito?”
No, certo che no,” rispose il principe senza esitazione.
Allora tira fuori la spada e seguimi.”
Ora i Morvan erano più vicini. Erano un’accozzaglia disordinata di uomini scuri su piccoli cavalli dal pelo ispido. Non sembrava neppure esserci un capo, davano piuttosto l’impressione di un branco di belve che si sarebbero azzuffate anche fra di loro una volta abbattuta la preda, per accaparrarsi i pezzi migliori.
Aldric spronò il grande destriero da battaglia, che subito balzò in avanti con un nitrito. Sapeva che Wieland era alle sue spalle, ma sperava di distanziarlo almeno di qualche lunghezza, in tal modo sarebbe stato lui il primo ad impegnare i Morvan in combattimento.
Arrivò sui nemici al galoppo sfrenato, incurante delle frecce, che rimbalzavano sulla sua cotta di maglia e sulla corazzatura pettorale del cavallo. Travolse quelli che gli si erano fatti incontro per fermarlo ed entrò direttamente in mezzo alla torma di cavalieri. Il primo che osò opporglisi cadde a terra decapitato di netto, un altro fu abbattuto con un fendente, il terzo perì passato da parte a parte, ma già l’orda che al suo arrivo si era dispersa urlando si stava stringendo inesorabile intorno a lui.
Wieland, che era rimasto più indietro, si era accorto della cosa. Per quanto possibile cercò di impedirlo, in modo che l’altro avesse comunque una via aperta per la ritirata.
Si scatenò una battaglia violentissima. Furiosi per non riuscire a prevalere su due soli avversari, i Morvan li attaccavano con impeto suicida, finendo talvolta per essere abbattuti per troppa brama di colpire i più forti antagonisti.
Come Aldric aveva previsto, però, dopo un po’ si videro i primi cavalieri spostarsi ai margini della mischia abbandonando la contesa. Alcuni addirittura misero gli animali al piccolo galoppo e tornarono da dove erano venuti, ritenendo evidentemente il valore della preda sproporzionato allo sforzo effuso per conseguirla.
In breve non restarono che pochi Morvan a combattere, sfortunatamente i più forti e i più esperti.
Ve n’era uno particolarmente robusto. Aveva il volto coperto di tatuaggi, un segno di valore presso la sua gente, e portava una rozza lorica di cuoio decorata con punte di freccia e artigli d’animale. Stringeva in pugno un giavellotto dalla lucida punta di metallo.
Avanzò al piccolo trotto, Aldric s’accorse con orrore che stava puntando verso Wieland. Il principe non poteva vederlo, e anche se l’avesse visto aveva altri due nemici che lo stavano impegnando in combattimento. Sarebbe stato trafitto.
In un attimo si liberò dei suoi antagonisti, quindi spronò il cavallo per raggiungere Wieland. In quello stesso momento il Morvan tirò il giavellotto. C’era solo una cosa che Aldric potesse fare, e la fece: si parò davanti al principe.
Lanciata con forza terribile, l’arma gli penetrò nel petto per almeno quattro dita, squarciando la cotta di maglia e l’imbottita come fossero state di carta.
Il capitano delle guardie riuscì a strapparsi via la lancia e ad abbattere con un fendente colui che l’aveva colpito, poi continuò a combattere apparentemente come se niente fosse.

In breve i due rimasero padroni del campo. I Morvan superstiti avevano preferito fuggire abbandonando i loro morti sul terreno, e di certo non sarebbero tornati tanto presto a recuperarli, se mai l’avrebbero fatto.
Wieland li seguì brevemente con lo sguardo mentre si allontanavano al galoppo, poi si voltò soddisfatto verso Aldric. Questi, che aveva ancora la spada in pugno, fece per riporla, ma mancò il fodero e l’arma incrostata di sangue cadde a terra.
Mentre il principe osservava stupito l’insolito fenomeno, il capitano delle guardie crollò giù da cavallo e rimase al suolo immobile.
Aldric!” esclamò Wieland angosciato. Si precipitò accanto a lui e lo fissò ansioso. Egli giaceva privo di sensi dov’era caduto, aveva il petto coperto di sangue e il volto mortalmente pallido. Dall’angolo della bocca un rivolo scarlatto gli scendeva lungo il mento.
Aldric!” chiamò ancora, sempre più disperato, “Aldric, non lasciarmi, ti prego!” Sentì le lacrime scendergli copiose lungo le guance. Era sgomento all’idea che lui morisse. No, era più che sgomento: era annientato.
Con mosse febbrili gli scoprì il petto, mettendo a nudo la ferita sanguinante. Essa era vicino al cuore, ma per qualche miracolo non l’aveva ucciso. “Grande Aunus, ti ringrazio,” mormorò. Corse a prendere la sua scorta di sostanze medicamentose, le applicò sulla piaga affinché fermassero il sangue, poi le coprì con le bende. Quando ebbe fatto tutto ciò che poteva dal punto di vista pratico, giunse le mani ed invocò piangendo il Sommo Edgewen, Padre delle Battaglie, affinché risparmiasse la vita di Aldric.
Terminata che ebbe la preghiera, si voltò a guardare il ferito e non poté trattenere un’esclamazione di stupore. Ecco cos’aveva al collo, ora lo vedeva bene.
E ricordò.
Era l’ultimo giorno che lui e Aldric passavano insieme. L’indomani infatti l’amico sarebbe partito per Ermyn Goter, dove sarebbe divenuto un guerriero seguendo la Via dell’Acciaio.
Aldric aveva un ciondolo al collo, un oggetto particolarmente caro dal quale non si separava mai. Era una misera medaglietta di metallo, niente di prezioso, ma aveva il valore inestimabile della conquista. Egli infatti l’aveva strappata dalle corna di un toro da combattimento con una prodezza che gli era quasi costata la vita.
In quell’ultimo giorno insieme se l’era tolto e gliel’aveva solennemente consegnato. “Tieni questo,” gli aveva detto con espressione grave, “così ti ricorderai di me.”
Non potendo fargli dono di un oggetto altrettanto prezioso, lui gli aveva dato in cambio una catena d’oro con un ciondolo che rappresentava un cavaliere, dono di suo padre per aver fatto non ricordava neanche più cosa.
E comunque da quel giorno non s’era più tolto dal collo il ciondolo di Aldric, non abbandonandolo neppure nelle occasioni ufficiali, dove esso aveva fatto bella mostra di sé, sopra i gioielli che per rango e nascita gli spettava portare.
Poi era arrivata Lady Amilda. Aveva voluto conoscere la storia di quel modesto ornamento dal quale il suo promesso sposo non si separava mai, e saputala aveva decretato che l’oggetto fosse troppo prezioso per rischiare di perderlo. “Potrebbe slacciarsi,” aveva detto, “potrebbe cadere senza che tu te ne accorga. Dallo a me, amore mio, te lo conserverò gelosamente.”
Lui aveva rifiutato. Quello era un regalo che il suo amico Aldric aveva fatto a lui. Voleva essere lui a custodirlo.
Lady Amilda aveva pianto, come solo lei sapeva fare. “Io lo faccio per te” aveva detto fra le lacrime “voglio solo che tu sia felice con me. Restituisci quel brutto ciondolo, dimentica ciò che è stato. Ora ci sono io, e ti donerò mille ornamenti più belli di quello.”
E lui aveva ceduto. L’aveva restituito ad Aldric. L’aveva chiamato mio bravo capitano mentre lo faceva, e aveva evitato di guardarlo in faccia. Poi non si erano più parlati. Forse non ce n’era più stata l’occasione. Un principe non parla col capitano delle guardie, sono cose che competono al Re.
E adesso quel ciondolo era lì, al collo di Aldric, infilato in un laccio di cuoio assieme al ciondolo d’oro a forma di cavaliere.

Aldric riprese i sensi poco dopo. Aprì gli occhi e vide Wieland chino su di lui, che lo fissava con espressione preoccupata. “Come stai?” chiese subito il principe.
Sarà meglio che andiamo,” disse il capitano per tutta risposta.
Ma sei ferito!”
Appunto, non c’è tempo.”
Che significa? Non possiamo entrare nella Valle dei Lamenti con te in queste condizioni. Devi riposare, devi riprenderti.”
Dobbiamo andare,” replicò l’altro caparbio, “dammi solo una mano a salire a cavallo.”
Ma Aldric…”
Non discutere!”
Wieland andò a prendere i destrieri senza aggiungere altro. Aiutò Aldric a montare in sella, quindi si diressero verso la Valle dei Lamenti.
Visto da vicino, il luogo che si trovarono ad attraversare era al di là di ogni descrizione: non vi era altro che miasmi venefici, fango ribollente ed incrostazioni che tingevano la terra screpolata di un innaturale colore biancastro. Schermata dai fumi, la luce del sole non giungeva fino al fondo della Valle, che quindi era sempre gravato di una densa caligine grigiastra. L’aria era piena degli sfiati dei geyser e del rumore sordo delle bolle di fango che scoppiavano liberando nuvole di gas velenoso.
Per quanto poterono, i due avanzarono a cavallo. Poi, quando il terreno si fece troppo accidentato, essi abbandonarono gli animali e si mossero faticosamente a piedi.
D’un tratto emersero dalla nebbia delle forme scure. Sembravano tozzi pilastri approssimativamente disposti in cerchio. Wieland avanzò lentamente in quella direzione sostenendo Aldric, che ormai camminava con fatica appoggiato alla sua spalla.
Vuoi riposarti?” gli chiese preoccupato, fissando il suo volto pallido e teso.
No, andiamo avanti.”
I pilastri si rivelarono essere statue di pietra nera dalla forma vagamente umana. Dovevano essere molto antiche, perché la loro superficie era ruvida e corrosa. In alcuni punti erano talmente consunte che era rimasto solo un abbozzo dei tratti che un tempo dovevano averle caratterizzate.
Nello spiazzo che esse delimitavano vi era un pavimento sempre di pietra nera coperto di simboli sconosciuti.
Wieland lo fissò perplesso, chiedendosi in quale direzione si trovasse il Palazzo dell’Eterno Dolore. Senza un’indicazione avrebbero potuto trascorrere giorni ad aggirarsi inutilmente in quella caligine malsana.
Aiutò Aldric ad appoggiarsi ad una delle statue, poi fece qualche passo lì intorno alla ricerca di qualche indizio. Ad un trattò percepì una possente vibrazione sotto i piedi, poi udì un lento raschiare di pietra su pietra. Si voltò e vide che nel pavimento era comparsa un’apertura rettangolare. Da lì partivano delle scale che si perdevano nel buio verso il basso.
Com’è possibile?” chiese stupito.
Non ne ho idea.” Ripose l’altro esausto.
Non importa, credo che il Palazzo sia qui sotto.”
Allora non perdiamo tempo.”
La tua ferita ha ricominciato a sanguinare.”
Lo so.”

La scala era larga, con ampi gradini di pietra nera, ed era meno buia di quanto i due si sarebbero aspettati. Vi erano infatti strane fiammelle verdastre che tremolavano lungo gli scalini muovendosi come dotate di vita propria. La luce che emettevano era fioca, ma sufficiente ad illuminare il cammino.
I due discesero molte rampe, poi si trovarono su una superficie pianeggiante all’interno di quello che a giudicare dagli echi e dalla temperatura dell’aria doveva essere un locale ampio e dal soffitto alto.
Tutt’intorno a loro vi era un inquietante tramestio denso di sussurri.
Che cos’è?” chiese Wieland cercando di penetrare con lo sguardo l’oscurità picea che li circondava. La sua voce echeggiò come riverberata da volte gigantesche.
Sono i morti. Vengono a vedere chi siamo.”
Come fai a saperlo?”
Guarda tu stesso.”
Il principe osservò con attenzione ed in effetti appena i suoi occhi si furono abituati al buio vide centinaia di piccoli globi che emanavano una lattiginosa fosforescenza. Essi brillavano nel cavo di orbite vuote, in volti di cui ormai rimanevano solo le ossa.
Sarà meglio muoversi,” disse cercando di evitare quegli sguardi vuoti ma carichi di avidità e rimpianto.
A quelle parole i morti sembrarono disporsi in modo da lasciare libero solo un corridoio, così che Aldric e Wieland si trovarono a muoversi fra due file di occhi fosforescenti, accompagnati da sussurri e scricchiolii d’ossa.
Avanzarono in questo modo per parecchio tempo, sempre scortati dalla torma silenziosa attraverso freddi saloni dalle immani volte di pietra.
Giunsero infine ad una stanza più grande delle altre. Essa era anche più illuminata, perché nugoli di fuochi fatui vagavano senza posa sul suo pavimento, che era nero e lucido come giaietto.
Al centro della grande sala vi era un trono, nero al pari del resto e pesantemente scolpito. Dinnanzi al trono vi erano due splendidi sarcofagi riccamente ornati: uno era di marmo bianco e sul coperchio vi era una magnifica scultura che rappresentava una fanciulla dormiente, l’altro era di pietra grigia e il suo coperchio era piatto e liscio.
I due fecero qualche passo nella sala guardandosi intorno perplessi. Gli scheletri non li seguirono. Diedero loro un’ultima occhiata dalla soglia poi si dissolsero in una lieve nebbia azzurrina. Calò un silenzio perfetto, rotto solo dal rumore dei passi del due giovani e dal respiro di Aldric, che si faceva sempre più ansante e faticoso.
Wieland osservò preoccupato il capitano delle guardie. “Come stai?” gli chiese per l’ennesima volta, passandogli una mano sul viso madido di sudore.
Non preoccuparti.”
Come puoi dirmi che non devo preoccuparmi? Guarda in che condizioni sei. Hai bisogno di cure e riposo.”
Presto non avrà più importanza. Aiutami piuttosto ad appoggiarmi lì.” Indicò il sarcofago grigio.
L’altro fece quanto gli era stato chiesto e quando fu accanto al sarcofago bianco si accorse che la fanciulla scolpita altri non era che Lady Amilda. Soffocò un’esclamazione: pareva impossibile che una statua di marmo – perché il materiale era marmo, il più puro ed il più bianco che si fosse mai visto – potesse riprodurre con quella fedeltà le fattezze di un volto umano: ogni capello, ogni pelo delle sopracciglia, il turgore delle guance, la piega morbida delle labbra, tutto sembrava perfetto e vibrante di vita. Se il tatto non l’avesse rivelata come fredda pietra, la fanciulla si sarebbe detta addormentata e pronta a risvegliarsi da un momento all’altro.
Amilda…” mormorò rapito.
In quel momento i due udirono una spettrale risata.

Sul trono era comparsa una figura completamente ricoperta di un sudario che emanava una sinistra luminescenza biancastra.
Wieland si girò fulmineo sfoderando la spada, ma la figura non fece che ridere nuovamente, con ancora maggiore scherno.
Chi sei tu che osi brandire un’arma contro il Signore dei Morti?” provenne da sotto il sudario.
Io sono Wieland di Theoburg e sono qui per reclamare la vita della mia promessa sposa, Lady Amilda Lethianna di Glensnaeven!”
La figura ghignò. “Un’anima per un’anima,” proferì solennemente.
Che significa?” chiese Wieland dopo un lungo silenzio.
Se tu vuoi che io renda l’anima alla tua diletta, devi darmi la tua. Un’anima per un’anima.”
Il principe deglutì. Era quello dunque il significato della profezia? La persona che amava di più era forse se stesso? Ricordò le parole di suo padre: un principe ha dei doveri verso la sua gente, prima che verso di sé. Per chi aveva intrapreso quel viaggio che ora lo stava portando alla rovina? Non certo per il popolo di Theoburg.
Stava per rispondere al Signore dei Morti quando Aldric gli si parò davanti. “Se devi prendere qualcuno, ebbene prendi me!” esclamò il giovane guerriero.
Aldric, ma cosa dici?” chiese il principe angosciato, “la tua ferita guarirà, non può essere così grave, non puoi sacrificarti al posto mio!”
Ma l’altro lo zittì con un gesto. “Ricordi la notte del temporale? Il giorno dopo tuo padre il Re mi chiese di accompagnarti fino a qui.”
Lo ricordo, sì.”
Ebbene, quella notte ricevetti la visita di un Mago Veggente di Rhias. Egli mi disse che avrei affrontato un viaggio, al termine del quale avrei dato la vita per salvare la persona che più amo al mondo.”
A quelle parole Wieland rimase raggelato. “Ma… ma non può essere…” balbettò incerto. Ecco che tante cose assumevano di colpo significato.
È così, Wieland. Io ti amo, ti ho sempre amato. Avrei voluto rimanere ancora accanto a te, ma se il mio destino è quello di dare la mia vita per salvare la tua, ebbene lo accetto di buon grado.”
Il principe lo abbracciò con impeto. “Aldric, non lasciarmi,” gemette, mentre le lacrime ricominciavano a sgorgare dai suoi occhi bagnando il volto dell’altro, “ti prego, resta con me.”
Non è possibile. L’hai sentito anche tu, un’anima per un’anima.”
Prese il volto di Wieland fra le mani, lo baciò prima sulla fronte e poi gli posò un delicato bacio sulle labbra. “Addio, e sii felice,” gli sussurrò.

Wieland! Wieland!” Era una voce femminile che lo chiamava, la più splendida e melodiosa che si potesse immaginare.
Il principe si rialzò faticosamente guardandosi intorno. Doveva essere svenuto. Era ancora nella grande sala, ma il trono era vuoto. Sul sarcofago bianco non c’era più la statua.
Wieland! Sei sveglio per fortuna!”
Il giovane alzò gli occhi: c’era Lady Amilda in piedi di fronte a lui, più bella che mai, con indosso un abito bianco. Sui capelli biondi e serici aveva una semplice coroncina d’oro. “Sei viva…” mormorò felice, ma subito dopo gli tornò in mente Aldric. Si girò e vide che sul sarcofago grigio era comparsa una statua. Era un magnifico giovane guerriero in armi, il volto dall’espressione severa ma tranquilla. La statua era così realistica che si sarebbe detto appena addormentato, pronto in un attimo a balzare in piedi brandendo la spada che teneva sul petto.
Sulla pietra c’era qualcosa che brillava debolmente. Wieland lo raccolse: era il laccio di cuoio con i due ciondoli, il luccichio proveniva dal cavaliere d’oro.
Aldric…” mormorò sfiorando con dita cariche di rimpianto il volto gelido della statua. Ora gli era tutto chiaro. Perderai la persona che ami di più.

Il regno di Re Wieland fu lungo e prospero. Egli compì grandi imprese e donò pace e giustizia al suo popolo. La sua legittima sposa, la Regina Amilda, la più soave e leggiadra fra le donne, gli diede molti eredi, e tutti crebbero sani e forti.
Nonostante sembrasse benedetto dalla fortuna, però, il Re aveva smarrito il sorriso. Non lo rallegravano le feste, non andava a caccia. Nulla sembrava lenire il suo tormento. Solo un menestrello aveva il potere di allietarlo: era Devel il Bardo. Accompagnandosi con l’arpa, egli cantava la leggenda di Aldric l’intrepido.

   
 
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