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Autore: Carme93    28/07/2016    1 recensioni
Anno 2020.
L'ombra sta nuovamente calando sulla comunità magica inglese (o forse europea) ed ancora una volta toccherà ad un gruppo di ragazzi fare in modo che la pace, con tanta fatica raggiunta, non venga meno.
Tra difficoltà, amicizie, primi amori e litigi i figli dei Salvatori del Mondo Magico ed i loro amici saranno coinvolti anche nel secolare Torneo Tremaghi, che verrà disputato per la prima volta dal 1994 presso la Scuola di Magia e stregoneria di Hogwarts.
Questo è il sequel de "L'ombra del passato" (l'aver letto quest'ultimo non è indispensabile, ma consigliato per comprendere a pieno gli inevitabili riferimenti a quanto accaduto precedentemente).
Genere: Avventura, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Un po' tutti | Coppie: Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo tredicesimo

Il segreto di Paracelso
 
«Basta, sono stanca» decretò Roxi stiracchiandosi.
«No! Roxi, attent-» tentò Gretel, ma il suo avvertimento non arrivò in tempo. Roxi urtò con il braccio un serie di coppe poste proprio ai margini dello scaffale dietro di lei. Quando il rumore si spense, Roxi mormorò: «Accidenti».
Proprio in quel momento la porta della Sala Trofei si aprì, Roxi e Gretel trattennero il respiro.
«Tutto ok, ragazze?».
Riconoscendo lo zio Neville, Roxi sospirò sollevata.
«Cavoli, mi hai fatto prendere un colpo! Pensavo fosse Sawyer!» borbottò.
«Il signor Sawyer, Roxi. Come hai fatto a farle cadere?» chiese.
«Le ho urtate, mentre mi stiracchiavo. Sto morendo di sonno! Questa non è una punizione! È una tortura bella e buona!» si lamentò la ragazzina.
«Non credo che tu sappia cosa sia una tortura Roxi. Per fortuna, direi» replicò dolcemente Neville, porgendole una mano. «Non dovreste stare sedute sul pavimento freddo».
«È la posizione più comoda che abbiamo trovato» biascicò Roxi, assonnata.
Neville, mentre aiutava anche Gretel ad alzarsi, non poté trattenersi dal sorridere: Roxi si stava stropicciando gli occhi e sembrava molto più piccola della sua età.
«Bene, per questa sera la tortura è finita. Magari la prossima volta evitate di schiantare i vostri compagni» sospirò Neville. «Vi accompagno in Sala Comune».
Ormai settembre aveva lasciato il posto ad ottobre e la notte faceva davvero freddo. Le due ragazzine si strinsero il mantello di lana addosso sotto lo sguardo vigile di Neville.
La Sala Comune era immersa nel silenzio e vi era solo una persona addormentata in una delle poltrone vicino al fuoco.
«Frankie» lo scosse delicatamente Roxi. «Non dovevi aspettarci!».
«Invece sì. È colpa mia se siete finite nei guai» sospirò il ragazzino.
Beh sicuramente ci è andata meglio di quei tre pensò poco dopo Roxi, mentre si sdraiava. Per l’ennesima volta in quei giorni non poté fare a meno di pensare alle parole che la Preside aveva rivolto loro alla fine dell’anno precedente: zero tolleranza. Sinceramente, aveva preso sottogamba la minaccia, ma avevano appena avuto tutti la prova che la Preside non minaccia mai a vuoto: Calliance, Granbell ed Hans erano stati sospesi per una settimana e rispediti a casa. Chissà cosa sarebbe accaduto al loro ritorno. Sospirò e nascose la testa sotto il cuscino. Era preoccupata per Frank.

*

 «Benvenuti alla seconda partita di quest’anno!» strillò il nuovo commentatore, Alexander Parker, un Corvonero proprio come il suo predecessore Hermes Pratzel. «Tassorosso contro Corvonero».
«Ciao, ragazzi» disse Scorpius scivolando nel posto libero accanto ad Albus.
«Ti sei ripreso?» chiese Al, senza riuscire a trattenere una nota divertita nella voce.
«Ridi, ridi. Non è mica colpa mia! Katie Baston è disperata».
«Per aver perso contro di noi?».
«Perso, Al?» sbraitò Scorpius, tirandogli un pugno giocoso sulla spalla. «Ci avete letteralmente distrutto! Cavoli 330 a 60!».
«Vi mancavano giocatori importanti!» provò a consolarlo Albus. «Vedrai che la prossima partita ci raggiugerete…».
«Ho i miei dubbi… Steeval e Warrington sono stati squalificati dalla Shafiq in persona e Katie non ha trovato due sostituti alla loro altezza. Due cacciatori su tre non vedono gli anelli, Al! Quest’anno saremo umiliati!».
«Mi dispiace».
«Ecco le squadre che scendono in campo» continuò Parker. «I Tassorosso capitanati da Albert Abbott. Poi ci sono Daniel Mcnoss, Rimen Mcmillan, Melissa Goldstain, Amber Steeval, Arthur Weasley e Jack Fletcher… Invece i Corvonero sono guidati da Florian Fortebraccio… Non si è capito perché proprio lui, che l’anno scorso era solo una riserva e non Matthew Parker…».
«Parker! Non è il momento e non ti permettere di mettere in discussione le mie decisioni!» sibilò la Preside, che fu sentita da tutto lo stadio.
«Sì, sì va bene scusi… Gli altri Corvonero: Smithy, Benson, Baston, Baston, Davies ed appunto Parker… Madama Jones lancia la pluffa e la partita inizia…».
«Ma Jonathan l’hai visto?» chiese Albus a Scorpius.
«No. Perché?».
«Continua a sparire e salta i nostri appuntamenti in biblioteca».
«Anche io lo farei» borbottò Scorpius.
«Idiota! Lo sai che stiamo cercando! E lui ha abbandonato lo studio di quel volume di Aritmanzia Avanzata!».
«Boh… che ne so… Ma la sai una cosa? L’ultima volta l’ho visto fuori dalla mia Sala Comune dopo il coprifuoco. Gli ho chiesto che faceva e mi ha risposto in modo vago».
«E tu che ci facevi in giro a quell’ora?».
«Io e Rose avevamo da fare».
«Non sarete andati all’Archivio?» sussurrò Albus.
«Certo che sì. Rose non te l’ha detto?».
«No. Avrà avuto paura che mi arrabbiassi!» sbottò Albus.
«Non sei arrabbiato?».
«Sì… No… Forse… Siete due scemi! Basta che non lo sappia mio padre…» borbottò Albus.
«Vuoi sapere o no quello che abbiamo scoperto?».
«Sentiamo».
«Bellatrix Dolores Selwyn è un’ex-Serpeverde. È entrata ad Hogwarts nel 2001. Non è mai stata Prefetto e non ha mai fatto parte della squadra di Quidditch. Secondo il fascicolo aveva problemi comportamentali e non aveva remore ad inneggiare a Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato. Comunque è una strega abile e potente. Ha preso ben 10 G.U.F.O. con il massimo dei voti e così anche i M.A.G.O. La materia in cui eccelleva era Pozioni. A quanto pare era la migliore dell’intera Scuola».
«Quindi la pietra?».
«Non lo so. Quello che non capiamo è perché ce l’abbia con i pozionisti più accreditati del mondo».
«È come se mancasse un tassello» sospirò Albus.
«E la Goldstain segna di nuovo! 150 a 30 per Tassorosso!» gridò Parker, palesemente desolato.
«Stiamo cercando altre informazioni» gli annunciò Scorpius.
«E dove?».
«C’è uno stagista di mio padre che posso convincere a fare il nostro gioco».
«Eh?».
«È giovane e inesperto, ma soprattutto non mi conosce a fondo. Quest’estate mio padre me l’ha presentato quando sono andato in ufficio da lui. Si farà in quattro per obbedirmi! È terrorizzato da mio padre» ridacchiò Scorpius. «E mio padre deve avere informazioni su quella donna!».
«Non lo farà… tuo padre lo ucciderebbe. Non sono informazioni che si possono divulgare e meno che mai a te».
«Lascia fare a me» ghignò Scorpius.
«Assurdo» gemette Parker, «Weasley ha preso il boccino. Tassorosso vince».
«Per essere precisi: abbiamo stravinto! 300 a 40!» strillò Edward Zabini, strappandogli il megafono dalle mani.

*

«Emma, ascoltami» disse imperiosa Lucy Weasley.
Il compagno chiuse il libro che stava leggendo ed attese.
«Si tratta di mia cugina Fabiana. La Corvonero. Hai presente?».
«Sì, visto che è del nostro anno e seguiamo diverse lezioni insieme».
«Beh, lei si è presa una cotta per te».
Emmanuel la fissò: di tutto quello che si sarebbe aspettato, quella era decisamente l’ultima. «Te l’ha confidato lei?».
«Sì».
«E perché diavolo sei venuta a dirmelo? Se era una confidenza, avresti dovuto tenerla per te!».
«Per chi mi hai preso? Per una di quelle che parla fino allo sfinimento dei ragazzi che le piacciono!? Mi chiedeva di te! Merlino, che disgusto!».
«Grazie tante, eh» borbottò Emmanuel.
La botola dell’aula di Divinazione si aprì e la voce dura e distaccata del professore li intimò di entrare.
«Allora?» insisté Lucy, facendo passare gli altri avanti.
Emmanuel rifletté per qualche secondo, poi disse: «Alla prima uscita ad Hogsmeade dì a Fabiana ed alle sue amiche di unirsi a noi». Poi si diresse in classe, ignorando le sue imprecazioni contro i Corvonero e le sue lamentale sul fatto che lei non voleva trascorrere nemmeno un minuto con loro.

*

«Un attimo di attenzione, prego» disse la Preside dopo aver fatto tintinnare il suo calice. Quando ebbe l'attenzione dell’intera Sala Grande annunciò: «Su richiesta di Caposcuola e Prefetti ho deciso di autorizzare un ballo in maschera per la sera di Halloween. Naturalmente mi aspetto un comportamento impeccabile. Vi ricordo che ci saranno i nostri ospiti stranieri e vi giuro che non tollererò nessun comportamento che metta in ridicolo la Scuola!».
Un brusio eccitato si diffuse tra i ragazzi, ma la professoressa lo interruppe immediatamente: «Come ormai saprete sabato ci sarà la prima uscita ad Hogsmeade. Gli Auror e la Squadra Speciale Magica stanno facendo di tutto per darci la migliore delle protezioni. Mi raccomando non vi allontanate da High Street e non fate nulla di sciocco che potrebbe mettervi in pericolo. Si intende che il vostro comportamento anche in questo caso non deve essere motivo di vergogna per la Scuola. Vi assicuro che non la passereste liscia! Ed ora continuate pure a cenare».

*

«Jamie, per Merlino! Su, andiamo a farci un giro. Non puoi continuare a guardarli così» sbottò Robert, alzandosi e trascinando l’amico fuori da I tre manici di scopa. Lontano da Danny e Tylor.
«Arriviamo fino alla Stamberga Strillante» propose timidamente Benedetta.
«Ti ho spiegato che non è stregata per niente».
«Non essere scontroso, Jamie!» lo richiamò Robert.
«Scusa» sussurrò James rivolto a Benedetta. La ragazza scrollò le spalle.
Passeggiarono per un po’ in silenzio, evitando gli altri ragazzi. Jamie aveva litigato di nuovo con Danny e Tylor quella mattina ed era di umore nero. Era, inoltre, una giornata molto fredda.
«Sentite, perché non torniamo al castello? Che senso ha rimanere qui, se non ne abbiamo voglia? Io sto morendo di freddo e sembra che stia per piovere» disse Robert, scrutando preoccupato le nuvole nere che si erano addensate in cielo.
«Forse è meglio» lo appoggiò Demetra Norris.
«A me non interessa. Facciamo come volete voi» borbottò James.
Benedetta annuì e continuò a fissarlo preoccupata. Così si avviarono verso il castello. Robert e Demetra tentarono di intavolare una conversazione, ma né Benedetta né James li diedero retta.
«Io l’avevo detto che non voglio fare il Prefetto… gliela regalo la spilla… anzi gliela faccio ingoiare… così non rompe più o sì… e chi lo vuole fare il Prefetto…» James mormorava tra sé.
«Ora basta! Hai rotto le pluffe!» sbottò Robert prendendolo per il mantello e spingendolo contro il muro dell’Ufficio Postale.
«Robi!» strillarono Benedetta e Demetra all’unisono.
«È più di un mese che fa così!» disse il ragazzo senza mollare la presa. «Ti vuoi dare una calmata? Non ti è passato neanche per un attimo in quel minuscolo cervellino che forse quei due non meritino più o peggio non hanno mai meritato la tua amicizia? Oppure stai facendo tutto questo macello perché alcuni emeriti cretini pensano che tu sia stato scelto perché sei il figlio di Harry Potter?» sibilò.
«Dai, lo stai strozzando. Mollalo» disse spaventata Benedetta cercando di tirarlo per un braccio.
«No. Mi sono stancato. Questo idiota deve capire. Tuo padre è mai stato un Prefetto, James? Rispondi!».
«No, ma che centra?» biascicò il ragazzo non distogliendo il suo sguardo sorpreso da quello dell’amico.
«Centra! Tu non sei tuo padre! E non sei nemmeno tuo nonno» replicò Robert, allentando lievemente la presa. Ad un estraneo quelle parole sarebbe sembrate assurde, ma James, anche se separati da un intero oceano, si era sempre confidato con lui. Robert conosceva ogni sua singola paura. E James Sirius Potter sentiva il peso del suo cognome e dei suoi due nomi tanto quanto poteva sentirlo suo fratello Albus. L’unica differenza è che l’aveva sempre nascosto dietro ad una maschera da buffone che aveva tratto quasi tutta la Scuola in inganno per quattro anni. Aveva sempre avuto intimamente paura di non essere all’altezza dei nomi che portava. James Potter e Sirius Black, tra i ragazzi più brillanti che la Scuola avesse mai visto, ma anche i più confusionari ed i più ammirati; membri dell’Ordine della Fenice e destinati a divenire dei grandi Auror se solo ne avessero avuto il tempo. E James, inoltre, era sempre stato un grande giocatore di Quidditch. Senza contare suo padre: Harry James Potter. L’uomo dei record: unico al mondo ad essere sopravvissuto all’Anatema che Uccide, cossicchè all’età di un anno aveva messo fine ad un regime di terrore perdurante da almeno undici anni, facendo scomparire un mago che non temeva nessuno se non Albus Silente; era diventato il più giovane Cercatore di Grifondoro da almeno un secolo a quella parte, fin dal suo primo anno aveva affrontato Voldermort; a dodici anni aveva sconfitto un serpentone che uccideva con lo sguardo; imparato ad evocare un patronus a tredici; a quattordici aveva partecipato al Torneo Tremaghi, duellato con Voldermort e gli era sfuggito ancora una volta; a quindici aveva fondato un esercito ed insegnato a combattere ai suoi coetanei; a sedici gli erano state consegnate le chiavi per salvare il mondo magico e tra i diciassette ed i diciotto c’era riuscito. E lui? La gente si aspettava che lui diventasse un grande mago. Tutti. Nessuno eccetto. Fin da quando era piccolo aveva capito che tutti si aspettavano anche che egli divenisse un Malandrino proprio come suo nonno e Sirius Black; tutti trovavano perfettamente normale che il suo cugino preferito fosse Fred, degno erede dei gemelli Weasley. E si era fatto trascinare. Doveva essere un campione di Quidditch, inoltre. Aveva sempre seguito il copione. Voleva che lo ritenessero all’altezza di suo padre. Voleva che la gente lo vedesse al suo fianco e pensasse che fosse il suo degno figlio. In realtà ora non ci capiva più nulla. Cominciava a non sopportare più Fred ed a chiedersi perché dovesse fare quello che diceva lui per forza. Li costringeva ad allenamenti lunghi e spossanti e tutto perché pretendeva di vincere la coppa. Avevano litigato. Non era mai successo. Lui voleva solo divertirsi giocando e suo cugino era diventato asfissiante. In quei giorni a lui interessava più trovare un modo per dichiararsi a Benedetta e trascorrere del tempo con lei. Doveva ammettere che non capiva come Albus si fosse ficcato dentro la questione dei Neomangiamorte. James, per conto suo, avrebbe voluto solo essere felice e vivere spensierato; ma Fred, Danny e Tylor lo guardavano come se si aspettassero chissà cosa da lui, come se lui fosse sbagliato. Come se il suo comportamento non fosse degno del suo cognome. Non stava facendo quello che la gente si aspettava da lui. Mai una volta aveva solo discusso su come partecipare al Torneo nonostante fosse minorenne, cosa che quei tre non smettevano di sottolineare. Non andava tronfio per i corridoi a schiantare tutti quelli che avevano un minimo di legame con i Mangiamorte o per colpe che avevano commesso i loro genitori, come, invece, avevano iniziato a fare suo cugino ed i suoi ex-amici. E soprattutto l’imminente partita con i Tassorosso non era un pensiero fisso per lui.
«Jamie» lo chiamò Benedetta preoccupata.
James si voltò verso di lei e si rese conto che Robert l’aveva mollato. I tre ragazzi lo fissavano preoccupati. Aprì la bocca volendo dire qualcosa di sensato, ma delle urla si levarono poco lontano. Le mani dei quattro volarono verso la bacchetta. La lezione di Williams era stata abbastanza chiara. Lui e Robert si mossero immediatamente verso il punto da cui provenivano le urla. Quando vide cosa stava succedendo, sentì una rabbia montare dentro di lui come mai. Strinse la bacchetta e si avvicinò al gruppo: tre Serpeverde, a lui fin troppo noti, stavano infastidendo due Tassorosso ad occhio e croce del terzo anno. Sentì la bacchetta fremere.
«Sei un Prefetto» gli sussurrò Robert.
«Allora che sta succedendo qui?» la sua voce risuonò forte ed irata nel vicolo. I cinque, che non li avevano sentiti arrivare, sobbalzarono. Uno dei due ragazzini era a terra e sanguinava dal naso, l’altro era appoggiato al muro ma respirava a fatica. James ebbe un lampo e rivide se stesso quasi un anno prima. No, non può essere. Non qui ad Hogwarts pensò disperatamente. Eppure la parte razionale del suo cervello sapeva cos’era successo a quel ragazzino e le urla dovevano essere state le sue.
«Potter, non sono affari tuoi. È una questione di famiglia» disse uno dei tre ragazzi.
«Avery, non vedo cosa centri la famiglia» sibilò James.
«Vedi, idiota, questo essere qui, è il mio caro fratellino. Alan» rispose il ragazzo, indicando il Tassorosso appoggiato al muro.
«Non mi interessa. Ora mi seguirete al castello» disse autoritario.
I tre risero.
«E con quale accusa?» chiese Avery.
«Di prepotenze contro due ragazzi più piccoli. Consegnatemi le bacchette».
I tre risero ancora e poi Avery disse: «Densaugeo».
«Protego» fu la pronta reazione di James.
Contemporaneamente Robert gridò: «Mangialumache», mentre Benedetta e Demetra tiravano fuori dalla linea del fuoco i due ragazzi più piccoli.
A loro volta, però, anche i due compagni di Avery aveva scagliato degli incantesimi. James e Robert fianco a fianco li respinsero. In pochi secondi nello stretto vicolo era scoppiato il caos. Un incantesimo colpì la finestra di una casa vicina ed una donna urlò improperi contro di loro, ma si tenne, prudentemente, lontana dall’apertura.
Ad un certo punto James sentì la bacchetta sfuggirli dalle mani.
«Cazzo, gli Auror» sbottò Avery. Tutti si voltarono verso un gruppo di uomini in divisa scarlatta. Per un attimo rimasero come sospesi, mentre iniziava a piovigginare.
«Se fossi in voi non fuggirei, o saremo costretti a schiantarvi» disse l’Auror più vicino. James si riscosse e vide che i tre avevano puntato verso la parte opposta del vicolo. «Chi siete?» domandò lo stesso Auror.
«Adrian, te lo dico io chi sono» disse una voce famigliare. Maximillian Williams raggiunse l’Auror di nome Adrian senza problemi, anzi gli altri uomini si erano spostati per farlo passare.
In fondo è uno di loro pensò James.
«Norris Avery, sesto anno. Anthony Warrington e Jesse Steeval, settimo anno. Poi abbiamo Robert Cooper, Benedetta Merinon, Demetra Norris e James Potter del quinto anno» disse Williams. «Alan, Scott» aggiunse poi avvicinandosi preoccupato ai due ragazzini.
«Maxi, i ragazzi stavano duellando» gli comunicò Adrian.
«James, spiegati» ordinò Williams, dopo aver verificato le condizioni dei due Tassorosso.
«Abbiamo sentito delle urla e siamo venuti a controllare. Abbiamo trovato Scott a terra ed Alan appoggiato al muro. Ho detto ai Serpeverde di seguirmi al castello e loro si sono rifiutati e ci hanno attaccato. Le ragazze hanno messo al sicuro i Tassorosso» rispose James. «Io penso che abbiano usato una qualche maledizione su Alan… magari la Cruciatus…».
«Ragazzino, la tua accusa è grave» sbottò un altro Auror.
«Dawlish, qualunque cosa abbia colpito Alan sicuramente non è stato uno schiantesimo» replicò serio Williams. «Adrian, devo portare Alan e Scott in infermieria. Per piacere, fai scortare i ragazzi al castello?».
«Certo. Elisabeth, Willow, Laurence e Samuel venite con me. John a te il comando in mia assenza» ordinò Adrian.

*

«È assurdo che l’abbiano passata liscia!» si lamentò James.
«Tecnicamente non l’hanno passata liscia. La Preside ha punito tutti e tre, inoltre nella clessidra dei Serpeverde ci sono molti smeraldi in meno» lo contradisse Benedetta.
«Peter ha detto che Alan è stato colpito dalla Maledizione Cruciatus e a quanto pare non è la prima volta! La magia lascia sempre traccia! La Preside avrebbe dovuto espellerli! E dovrebbero affrontare il Wizengamot per questo!».
«Jamie, gli Auror hanno usato l’Incantesimo Reversus su tutte le nostre bacchette. Quella che ha scagliato la maledizione appartiene ad Alan».
«Non ci vuole un genio a capire che gliel’hanno presa e l’hanno usata contro di lui!».
«Alan ha detto che è stato lui a pronunciare l’incantesimo. Voleva vedere quale fosse il suo effetto e l’ha provato su un topo».
«Mentiva! È terrorizzato da suo fratello! La Preside l’ha pure punito! Ti sembra giusto?».
«No, Jamie. Tu hai ragione ad essere indignato. Ed a questa storia non ci credono né gli Auror né la Preside. Hai sentito Williams! Per lanciare una maledizione del genere ci vuole un’enorme forza e bisogna volerlo profondamente. Un ragazzino di tredici anni difficilmente potrebbe usarla; ma non possono farci nulla! Non hanno prove contro quei tre ed Alan è troppo terrorizzato, l’hai detto anche tu».
«Avery la pagherà!» sbottò James. «A proposito dove stiamo andando? Non dovremmo entrare nella foresta».
«Fidati. Rimarremo ai margini» replicò Benedetta.
James la seguì, non riuscendo a togliersi dalla mente la scena della mattina. Sentiva la testa sul punto di scoppiare. Aveva bisogno di tempo per rimettere in ordine ogni pensiero. Le parole di Robert avevano fatto breccia ed ora sapeva di dover prendere una decisione. Ad un certo punto iniziarono ad incespicare in una specie di collinetta terrosa, cui poi si sostituirono delle rocce.
«Non conosco questa zona» disse perplesso.
«Non so quante persone la conoscano. Siamo quasi arrivati. Attento a non scivolare».
Iniziarono a scendere e rischiò di cadere un sacco di volte. Aveva il cuore in gola: non gli piacevano le rocce così vicine. Quando uscì dalla strettoia, in cui la ragazza l’aveva guidato, rimase a bocca aperta. Erano su una sponda del Lago Nero, un po’ distante dal castello. Era bellissimo.
«Perché sei così pallido?».
James si riscosse e decise di dirle la verità: «Ho paura dei serpenti. Sono ofidiofobico».
«Da prima o dopo lo scherzo dei Serpeverde dell’anno scorso?».
«Prima. Ecco perché l’hanno scorso non mi sono difeso. Ero terrorizzato».
Benedetta sorrise. «Qui puoi stare tranquillo. Nessun serpente si avvicinerà».
«Come fai ad esserne sicura? Si nascondono sotto le rocce. Per quello che ne sappiamo potrebbero essercene centinaia là sotto».
«No. Perché questa è ofite».
«È cosa?».
«Ofite. I serpenti odiano questa pietra. Se si brucia l’ofite loro rimangono storditi dal fumo e scappano».
«Non lo sapevo».
«Io l’ho scoperto al primo anno. Ero curiosa di sapere che roccia fosse e l’ho cercata nei lapidari in biblioteca».
«Come hai fatto a scoprire questo posto?».
«Beh i primi mesi ad Hogwarts sono stati difficili per me. Non ero abituata all’Inghilterra. Ci venivo solo in vacanza. Al contrario di ora, insomma. Mio padre lavorava al Ministero italiano. È così che ha conosciuto mia madre. Quando ho compiuto undici ha deciso che avrei frequentato Hogwarts e non la Scuola italiana».
«Ce n’è una?».
«Sì. I miei cugini ci vanno e si trovano bene. Mio padre comunque era rimasto legato alla Scuola. Ha detto che vi aveva trascorso sette dei più bei anni della sua vita. Diciamo che si è diplomato quando tuo padre era al primo anno. I suoi anni di Scuola non sono stati segnati da tutte quelle follie, dagli attacchi di Voldermort e dei Mangiamorte».
«Ma alla fine non sei contenta di essere qui?» chiese ansioso James.
«Sì, Hogwarts mi piace. Ma l’Italia mi manca. Il tempo qui è sempre brutto. I primi tempi, comunque ti dicevo, sono stati difficili. Ho subito fatto amicizia con Demetra. Lei è una Nata Babbana e si sentiva estranea a questo luogo quanto io all’Inghilterra; ma per il resto non riuscivo a fare amicizia con gli altri. Soprattutto la Granbell trovava divertente stuzzicarmi, che fosse per il mio Stato di Sangue o per il fatto che io non sia ricca come lei. Così un giorno in cui ero particolarmente giù, sono scappata nella foresta ed ho cominciato a vagare. Sono rimasta sempre ai margini, non volevo finire in guai seri. Anche se, beh non dovremmo essere qui, immagino che gli insegnanti non considerano o meno i margini della foresta quando dicono che è vietato entrarci. Comunque, quel giorno sono stata molto incosciente. Mi sono allontanata parecchio e sono arrivata fino a qui».
«Non ti hanno beccato, vero?».
«No, sono rientrata al castello poco dopo la cena. Sei la prima persona che vede questo posto e cui racconto tutto ciò. Ci sono tornata più volte, almeno fino alla fine del terzo anno».
«Come mai hai smesso di venirci?».
Benedetta lo osservò intensamente e poi rispose: «Dall’inizio dell’anno scorso non ne ho più avuto bisogno».
«Come mai?» ripeté James.
Benedetta sospirò. «Ho avuto la bellissima idea di farmi interrogare da Finch-Fletchley al posto di un altro Grifondoro e da quel momento lui ha deciso che sarei stata sua amica».
James aprì la bocca, ma la richiuse immediatamente in quanto non sapeva cosa dire, così l’abbracciò. Aveva capito che spesso i gesti erano più eloquenti di mille parole.
«Ora tocca a te, però».
«A me?».
«Già. Raccontami perché hai paura dei serpenti».
James annuì ed iniziò a raccontare: «Ero piccolo, potevo avere sì e no sei anni. Ero alla Tana dai miei nonni. Con i miei cugini giocavamo sempre in giardino. La casa dei nonni, però, è lontana dal villaggio ed è in piena campagna. Naturalmente, avevamo l’assoluto divieto di uscire dal giardino da soli. Potrai ben capire che attrazione avesse su dei bambini come noi il fascino del proibito. Fred usciva sempre appena gli adulti voltavano le spalle. E come immaginerai sfidava noi altri a fare altrettanto. Le prima volte ci limitavamo ad allontanarci solo lievemente, di norma un adulto interveniva sempre. E giù ramanzine a non finire su quanto fosse pericoloso allontanarci. Poi un giorno Fred mi sfidò. Era inverno. Eravamo tutti radunati nel salotto a giocare. Abbiamo approfittato di una distrazione degli adulti e siamo usciti in giardino. Aveva piovuto da poco ed era tutto pieno di pozzanghere. In più era tardi. Non mancava molto al tramonto. Però noi non ci pensavamo mica. Nessuno ci ha fermato, perché nessuno si aspettava che fossimo in giardino con quel freddo. Probabilmente appena notarono la nostra assenza ci cercarono ai piani superiori od aspettarono un po’ per cercarci perché pensavano che fossimo saliti a prendere qualcosa. Insomma nessuno ci fermò e quella volta ci allontanammo. Iniziammo a correre nella sterpaglia. Fred urlava che eravamo liberi ed i più forti del mondo. O una cosa del genere. Me lo ricordo ancora, perché poco dopo iniziai a sentire solo l’eco della sua voce. Sempre più lontana. Non credo di essermi mai spaventato così tanto in vita mia. Praticamente persi di vista lui e mi persi io. I dettagli del mio attacco di panico sono piuttosto umilianti, quindi te li risparmio. Fatto sta che ad un certo punto sono scivolato a causa di una pozzanghera. Si era rimesso a piovere. Ma no, non ero già stato abbastanza sfortunato. Da sotto un sasso è uscito un serpente. O per essere più sinceri ho dato un calcio al sasso per la rabbia. Ma non sapevo che ci fosse lui là. Ti giuro che da allora non prendo più a calci i sassi se non sono sicuro che non siano la tana di qualcuno. Il serpente non è stato contento e mi ha morso».
«Oh» commentò Benedetta, osservandolo ad occhi sgranati. «Era velenoso?».
«No. Ma ho dato di matto. Urlando e piangendo».
«Qualunque bambino avrebbe reagito in quel modo, Jamie!».
«Comunque mi trovarono poco dopo. Probabilmente anche grazie alle mie strilla».
«E da quel giorno…».
«… non ho potuto più vedere un serpente» completò James sospirando.
«Chi ti ha trovato?».
«Mio padre. Era tornato da poco dal Ministero. Sono usciti lui, zio Ron e zio Bill a cercarci. Sai qual è la cosa più assurda di quello che è successo dopo?».
«Quale?».
«Ho visto zio George arrabbiato! È stata la prima ed ultima volta. Ci ho messo anni a capire perché. Aveva avuto paura che succedesse qualcosa a Fred».
«Ma anche i tuoi…?».
«Sì, ma lui di Fred ne aveva già perso uno. Durante la guerra il suo gemello è stato ucciso. Non voleva che accadesse qualcosa anche al figlio».
Rimasero in silenzio per un po’, poi James parlò di nuovo: «Sai a quell’età non sapevo quel che aveva fatto mio padre, ma quando l’ho visto sotto la pioggia mentre con un po’ di scintille rosse scacciava il serpente… io… è stato in quel momento che è diventato il mio eroe… Sai, Robert ha ragione… Avevo dimenticato questo episodio… In quel momento io non sapevo niente di Voldermort e nemmeno che cosa fosse un Auror… avrei pagato comunque per essere come lui… Quella sera mi sgridarono sia lui che la mamma, ma io non mi volli staccare da mio padre nemmeno quando mi curarono il morso del serpente. Ho paura di deluderlo, Benedetta» ammise James.
«Credo che quando quel suo sotto-ufficiale Wilson gli racconterà come oggi hai difeso i due Tassorosso, sarà molto fiero di te».
«Lo spero» sussurrò James, mentre un sorriso genuino fioriva sul suo volto.
Non dissero più nulla finché non furono vicini al portone di ingresso poco prima di cena, quando James bloccò Benedetta.
«Dì al quel Grifondoro che hai salvato da Finch-Fletchley l’anno scorso che è un emerito idiota».
«Per quale motivo?» chiese sorpresa.
«Perché avrebbe dovuto accorgersi prima di te e non sprecare tre anni di amicizia».

*

«Corri!».
«Siamo spacciati» disse Drew bloccandosi improvvisamente. «Sento dei passi che vengono dalla parte opposta».
«Siamo fregati» piagnucolò Brian.
«No. Siamo vicini alla statua di Paracelso» annunciò Louis, come se una statua avrebbe potuto essere la soluzione ai loro guai.
Lo seguirono fino alla statua che indica la strada più breve tra la Torre di Grifondoro e la Guferia.
«Louis, non per farti fretta. Ma Sawyer si sta avvicinando!» disse Drew, mentre il compagno osservava la statua.
«Lo sapete che Paracelsus è stato un alchimista, anche se il suo vero nome…».
«Louis!» questa volta fu Annika a richiamarlo, «Non ci avrai fatti venire qui per Paracelsus? Siamo già nei guai!».
Il ragazzino si riscosse dai suoi pensieri e ruotò il naso della statua di 360°. Si aprì il muro alle sue spalle.
«Ah, però» commentò Drew.
«Forse è meglio se entriamo» li sollecitò Annika, mentre il suono di passi era sempre più vicino.
Appena entrati Louis toccò di nuovo il naso di un altro Paracelso, questa volta dipinto. «Ehi buono ragazzino, non osare» borbottò quello svegliandosi.
«Scusi, mica l’ho inventato io questo metodo» si giustificò Louis.
«Dove siamo?» chiese sbalordito Drew.
«È il laboratorio di Alchimia».
«E tu come Merlino lo sai?» continuò Drew, mentre Annika esplorava l’aula.
«È scritto su Storia di Hogwarts. In teoria agli allievi degli ultimi anni è permesso studiare alchimia, ma il corso viene aperto solo se c’è un numero minimo di studenti» spiegò Louis.
«Dalla polvere che c’è qui, immagino che quel numero non si raggiunga da secoli» commentò con una smorfia Annika, passando la punta di un dito sulla superficie del banco più vicino.
«Non capisco perché tutti odino pozioni così tanto».
Drew e Brian si scambiarono un’occhiata, ma nessuno dei due si prese la briga di replicare. Tanto sarebbe stato inutile.
L’aula era abbastanza spaziosa; più che di banchi si doveva parlare di veri e propri tavoli in legno massello. Su ognuno di essi troneggiava un set di provette e di alambicchi altrettanto polverosi. In fondo alla stanza al posto della consueta cattedra vi era un lungo tavolo, sempre di legno massello, accanto ad esso c’era una lavagna; dietro di esso, invece, la parete era ricoperta da un’altra grande lavagna lunga quasi quanto il tavolo. Le altre pareti presentavano alcuni quadri, che rappresentavano importanti alchimisti, una libreria in cui erano riposti volumi molto antichi e strani disegni.
«Processi alchemici» disse Louis estasiato osservandone uno.
«Lou, non possiamo rimanere qui tutta la notte. È stato stupido accettare la sfida di Zender. Avremmo dovuto pensare che sarebbe stata una trappola» disse Annika.
«Questa non è colpa mia» mormorò Louis con gli occhi fissi su un altro disegno.
«Sì, beh… non l’ho fatta apposta…» mormorò Drew.
«Ti abbiamo seguito, Drew. È colpa di tutti e quattro. Ora, però, torniamocene in Sala Comune senza farci beccare» disse impaziente Annika, acciuffando Louis per il colletto del pigiama.
«Ma è troppo interessante!» si lamentò Louis.
«Se lo dici tu. Comunque questo posto è in disuso ed è nascosto dietro un passaggio segreto. Non dovremmo essere qui!».
«Dimentichi che è l’una e mezza di notte» ricordò Drew.
«Sì, infatti. Louis, vieni o ti trascino di peso» minacciò Annika.
I quattro con molta difficoltà riuscirono a rientrare nella Torre di Corvonero senza essere visti da nessuno.
«Questo sì che un miracolo» sbuffò Drew buttandosi su un divano. Il fuoco del camino si era quasi spento.
«Andiamo a letto o domani non mi alzerò mai» li esortò Annika, tirando Drew su ed ignorando le sue lamentele. «Come lo spieghi ai Prefetti domani mattina che ti sei addormentato qui?».
«Mica è vietato… sono sonnambulo…» polemizzò Drew, ma poi ognuno si avviò verso il proprio dormitorio.
«’Notte, ragazzi» bofonchiò Annika sbadigliando.
I tre biascicarono una risposta più o meno intelligibile ed iniziarono a salire le scale. Appena entrati nella camera si gettarono sui loro pigiami senza una parola.
«Ascoltate, potremmo vedere quello che è successo stanotte come una piccola avventura. Insomma mio fratello va in continuazione in giro dopo il coprifuoco».
«Ne avrei fatto a meno» borbottò Brian.
«In effetti è stato fantastico. Non credevo che avrei mai visto il laboratorio alchemico!» disse Louis felice.
«Dopo un’avventura del genere non possiamo non diventare migliori amici» continuò eccitato Drew eccitato.
«Mio zio Ron mi ha detto che lui e zio Harry sono diventati amici di zia Hermione dopo aver incontrato un cane a tre teste» disse Louis.
«Wow, fortissimo» commentò Drew.
«Ok, ok diventiamo migliori amici ora. Non mi piace l’idea di un cane a tre teste e meno che mai uscire un’altra volta dal dormitorio di notte» disse subito Brian.
«I migliori amici, però, non si nascondono nulla» mormorò Louis. «Dovete sapere che io ho un quoziente intellettivo molto al disopra della norma».
Brian e Drew lo fissarono per un attimo, poi il secondo rise: «Questo è evidente, Lou! Pensi davvero che non avessimo capito? Ci fai così scemi?».
«Ah… e non vi interessa? Cioè, voglio dire alla Scuola babbana mi prendevano in giro…».
«Forse i Babbani non capiscono… qui, però gli insegnanti ti guardano come se fossi destinato a diventare un grande mago… il che probabilmente è vero… insomma Lou hai preso il massimo in tutte le materie… in due mesi non hai mai preso un voto inferiore al dieci… non credo che molti altri studenti possano vantare un risultato simile! Forse tua zia… ma come vedi, retrocediamo già agli anni ’90 del secolo scorso!» disse Drew.
«Neanche a me interessa, purché non ti venga in mente di andartene a fare esperimenti alchemici di notte» borbottò Brian. «Anch’io comunque ho un segreto».
«Quale?» chiese Drew. «E comunque quello di Louis non vale come segreto».
«Williams è il mio padrino. Lui e mio padre si conoscono da prima di Hogwarts e sono sempre stati molto legati anche se sono stati smistati in due Case diverse» confessò Brian, abbassando lo sguardo sulla moquette blu.
Drew spalancò la bocca per la sorpresa, Louis, invece, non sembrò minimamente toccato dalla cosa.
«Non fa alcuna preferenza e… e comunque non lo vedevo da molti anni e quindi non ho confidenza con lui» si difese subito Brian.
«Che Williams non faccia preferenze è evidente, stai tranquillo» lo rassicurò Drew, riprendendosi. «Anzi al contrario ti costringe sempre a parlare! Io non vorrei essere al tuo posto!».
«Dice che sono troppo timido» borbottò Brian.
«Su questo ha ragione» rise Drew, che si era lasciato alle spalle il sonno.
«Ora tocca a te. Sei l’unico che ancora non ha detto nulla» gli fece notare Louis.
Drew annuì, ora serio. «Io da grande vorrei fare il medimago, ma non l’ho mai detto a nessuno».
«Perché?» chiese sorpreso Louis.
«Perché mia mamma non fa che ripetere che appena mi diplomerò, entrerò al Ministero. Sapete, non navighiamo nell’oro, anzi. Quindi lei spera che io possa dare un po’ di solidità economica alla famiglia. Invece, mio padre pensa che io debba giocare a Quidditch in una squadra professionistica. Aveva questo sogno anche per mio fratello, ma si è reso conto che è un po’ scarso. E poi non sapete quanto costano i corsi di Medimagia…» raccontò affranto.
«Oh, sì. Ti ricordo che mia sorella maggiore è al terzo anno» disse Louis.
«Comunque, siamo ancora piccoli. In sette anni cambieranno un sacco di cose, anche noi stessi» fece notare saggiamente Brian.
«Ora, vi dico un vero segreto» sospirò Louis. «Quest’estate quando io, Domi e Valentin siamo scappati dai Neomangiamorte abbiamo trovato il laboratorio segreto di Nicolas Flamel e così anche il grimorio. L’ho preso e l’ho portato via. Quella notte l’ho consegnato a zio Harry. Però non riuscivo a dormire, così sono entrato nella sua stanza l’ho preso e ne ho letto una parte».
Ora sì che i compagni lo guardavano sbalorditi.
«E ti ricordi qualcosa?» chiese Drew.
«Sì».
«Ma i Neomangiamorte come hanno fatto a trovare il laboratorio segreto? Chi ne è a conoscenza?» domandò perplesso Brian.
«Solo gli Auror francesi e zio Harry».
«Quindi tra gli Auror francesi c’è una talpa» comprese Drew.
Gli altri due concordi annuirono con espressione grave.
«Lou» disse preoccupato Brian, «non raccontare questa cosa a nessun altro o i Neomangiamorte se la prenderanno con te».
Quando finalmente si misero a letto, Louis lasciò vagare la mente al laboratorio alchemico: ricordava perfettamente quello che aveva letto sul grimorio ed aveva un desiderio bruciante di metterlo in pratica.
 
 
 

 
   
 
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