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Autore: Ayr    25/09/2016    5 recensioni
Duncan, Cavaliere dell'Aquila Rossa caduto in disgrazia, cerca un riscatto per la figlia Selene, tenuta prigioniera da Loyd lo Sciacallo, viscido usuraio con cui si è indebitato e l'unica occasione che gli si presenta è il Torneo delle Due Ere: uno spettacolo abominevole, sanguinoso e letale ma che permetterà a Duncan di estinguere il debito e salvare la figlia.
Per Duncan il torneo non si rivelerà solo uno scontro in cui occorre rimanere vivi, ma anche un tuffo in un passato doloroso che preferirebbe dimenticare, impregnato di sangue e segreti.
[Terza classificata nel concorso "A song of Fantasy and Science" indetto da Toms98J e MirtillyKilljoys sul forum di EFP]
Genere: Drammatico, Fantasy, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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II

A reason to fight



I’ve got a reason to fight
Every day we choose
We might win or lose
This is the dangerous life[1]

 

«I miei complimenti!»
Duncan non si sprecò nemmeno ad alzare lo sguardo dal suo boccale di birra, conosceva perfettamente quella fastidiosa vocina melliflua e non aveva alcuna intenzione di incrociare lo sguardo del suo possessore.
«Sei a un passo dalla finale» continuò quest'ultimo, imperterrito «Il modo in cui sei riuscito a battere l'Assassino Bianco è stato davvero magistrale.»
Duncan aveva un vago ricordo del famigerato Assassino Bianco: un arrogante pallido e biondo che estraeva pugnali dalla palandrana scura e li lanciava a velocità impressionante; purtroppo non era stato abbastanza veloce per deviare il fendente che gli aveva staccato la testa dal collo, con grande entusiasmo del pubblico.
«E tu sei a un passo dall'avere i tuoi soldi» rispose il nano in tono aspro.
«Suvvia, perché queste maniere così brusche?»
L'uomo che sedette davanti a Duncan era alto e ben vestito: indossava un'elegante giacca di velluto bordeaux con code, rifiniture di seta nera e bottoni dorati, abbinata ad un panciotto di seta nera da cui proveniva il lieve scintillio dorato di una catena di orologio;il cappello a cilindro e un bastone da passeggio dal pomolo in ottone potevano far pensare che si trattasse di un ricco e raffinato borghese, ma Loyd lo Sciacallo era tutto fuorché un raffinato borghese.
Nessuno avrebbe potuto sospettare che quell'uomo magrolino, dall'aria distinta, lo sguardo mite e i capelli candidi, fosse in realtà il peggiore usuraio di tutta Westlebrook, il più meschino e spietato, che aveva fondato il suo ingente patrimonio sulla disperazione altrui e la speculazione disonesta.
Come sempre era accompagnato da due scimmioni armati di schioppo, che si posizionarono ai lati della sedia su cui Loyd prese posto; l'uomo appoggiò il bastone al tavolo e ordinò alla cameriera che gli passava accanto un bicchiere di whisky.
«Non annacquato, per favore. L'unico posto dove tollero l'acqua è il bagno» ci tenne a precisare, prima di tornare a puntare i suoi piccoli occhi di un azzurro slavato su Duncan.
«Forse perché sono indebitato con te di almeno ventimila grifoni d'oro e non perdi occasione per ricordarmelo» riprese il discorso il nano.
Le labbra sottili di Loyd si piegarono in un sorriso sgradevole, creando una ragnatela di rughe sul viso pallido, rasato di fresco.
«In realtà, il debito è salito a ventimila grifoni e duecento... Per gli interessi, sai» lo corresse con noncuranza.
Duncan si trattenne dallo strozzarlo con il fazzoletto di seta che gli avvolgeva il collo: prima di potersi anche solo avvicinarsi all'usuraio si sarebbe trovato un proiettile piantato in fronte. Così il nano si limitò a digrignare i denti sotto lo sguardo divertito dell'altro.
Loyd sapeva che il suo lavoro poteva, la maggior parte delle volte, risultare pericoloso e sgradito, per questo si era munito di quei due scimmioni che aveva l'ardire di chiamare "guardie del corpo"; non tutte le persone con cui aveva il piacere di trattare erano ragionevoli e calmi, anzi, per la stragrande maggioranza si trattava di teste calde imbottite di alcol e disperazione, con una spiacevole tendenza a prendere in mano più velocemente il coltello del portafogli.
«Non c'è alcuna necessità di essere così scontroso nei miei confronti. In fondo io non c'entro nulla: tu sei venuto a cercarmi, è stata una tua scelta. L'unica persona che puoi biasimare e con cui prendertela è te stesso» gli ricordò Loyd, prendendo un sorso del suo whisky.
Duncan si trovò costretto ad ammettere che aveva maledettamente ragione.
Più volte si era domandato cosa lo avesse spinto a rivolgersi proprio a lui: la disperazione, probabilmente, e la totale mancanza di un appiglio. Dopo essere fuggito dai campi del Westeron, Duncan si era ritrovato privato del titolo di Cavaliere e di tutti i privilegi annessi a esso, era diventato un comune soldato, povero, mutilato, in fuga e con una taglia sulla propria testa. Loyd era stato il primo relitto capace di farlo galleggiare che si era trovato davanti, e per non affogare si era aggrappato a lui con tutte le sue forze.
E ora lo Sciacallo chiedeva di essere pagato per averlo salvato.
Duncan aveva creduto che non sarebbe stato un problema restituire i soldi presi in prestito, ma a quei primi cinquemila grifoni, necessari per poter ricominciare, se n'erano aggiunti sempre di più, i debiti si erano accumulati e assommati, mentre gli interessi erano saliti alle stelle, fino ad arrivare a dover restituire a Loyd più del doppio di quanto gli avesse prestato. All'inizio l'usuraio credeva che Duncan l'avrebbe pagato presto e senza problemi, sapeva che era un uomo d'onore e di parola; ma quando dopo mesi non era arrivato ancora nulla, aveva aspettato fino a quando non si era sistemato, dopodiché si era premurato di ricordare al suo debitore a quanto ammontasse il favore che gli doveva e grazie al quale possedeva una casa confortevole e tutto ciò di cui aveva bisogno per vivere decentemente.
Purtroppo Duncan non era ancora riuscito a racimolare la cifra necessaria e aveva chiesto a Loyd più tempo, l'usurario gliel'aveva concesso e il nano, lentamente e a fatica, aveva iniziato a estinguere il suo debito: circa tre quarti di quello che guadagnava con il suo lavoro di mercenario e gladiatore finiva nelle casse dello Sciacallo, lasciando a Duncan e alla sua compagna lo stretto indispensabile per non morire di fame.
Il debito, però, si era ingrossato sempre di più: più veniva trascinato negli anni, più gli interessi crescevano, creando un circolo vizioso da cui Duncan non sarebbe mai riuscito a uscire; Loyd era un osso duro che non mollava facilmente la presa e aveva continuato a pretendere che quei soldi gli venissero restituiti, fino all'ultimo cacio di rame.
«Mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro allora: do ut des, io ho aiutato te e ora tu ripaghi me per l'aiuto che tu mi hai chiesto» gli ricordò per l'ennesima volta Loyd.
E me ne pento ogni singolo giorno della mia vita pensò Duncan, guardando in tralice l'usuraio, che si era messo comodo sulla sedia sgangherata, una mano a reggere il bicchiere di peltro e l'altra a giocherellare con un bottone della giacca, con un sorriso sornione che si allargava sulle labbra, consapevole di avere il nano in pugno.
«Vorrei ricordarti che non c'è solo la tua vita in gioco» continuò, infatti, l'usuraio dopo qualche momento di silenzio, bevendo l'ultimo goccio di whisky.
Loyd era totalmente privo di scrupoli e morale: per far sì che Duncan restituisse i soldi che gli doveva, con annessi interessi, era stato capace di arrivare a rapire Selene e ricattare il nano, per dargli un "incentivo", come diceva lui. L'incentivo lo aveva spinto a partecipare al torneo: ventimila grifoni erano un premio spropositato, ma era quanto serviva a Duncan per saldare, finalmente, il conto che aveva con lo Sciacallo e liberare Selene.
«Se hai osato torcerle anche solo un capello, giuro che ti stacco le mani e te le faccio ingoiare!» si accese Duncan, balzando in piedi; i due energumeni misero subito mano agli schioppi.
«Non mi sembri nella posizione per potermi minacciare» rispose pacatamente l'uomo, facendo cenno agli scimmioni di abbassare le armi «Selene sta bene ed è al sicuro, e vi rimarrà fino alla fine del torneo, quando verrai da me con la somma pattuita. In contanti sonanti, mi raccomando... Altrimenti, sai perfettamente cosa ne farò di lei» aggiunse in tono lugubre.
Il nano si risedette, mordendosi le labbra fino a farle sanguinare: se Duncan non avesse restituito in tempo il denaro, Selene sarebbe stata venduta come schiava.
Duncan non poteva sopportarlo: Selene era la sua unica figlia e l'unica persona cara che gli fosse rimasta dopo la morte di Althea. Avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di sottrarla alle grinfie di quell'uomo avido e infido, persino lasciarsi coinvolgere in quell'assurdo bagno di sangue che avevano l'ardire di chiamare spettacolo, un ricettacolo di criminali e disperati che pur di ottenere quei ventimila grifoni erano disposti a mettere in gioco la propria vita.
Ma a Duncan non era importato quando si era iscritto, ciò che aveva contato davvero per lui era che il torneo si era presentato come una possibilità per salvare Selene, impossibile e mortale, ma l'unica fino a quel momento, e lui l'aveva afferrata senza pensarci troppo.
L'aver vinto gli incontri gli aveva acceso la speranza che non fosse un'impresa così irrealizzabile come aveva pensato all'inizio, forse sarebbe riuscito ad arrivare alla finale e a guadagnare quei dannati ventimila grifoni.
«Avrai i tuoi soldi, Loyd, e tu dovrai mantenere la parola: non appena avrai in mano i tuoi grifoni me la restituirai, e spera che non le sia successo nulla nel frattempo» sibilò il nano con tono deciso e minaccioso.
«Quando mai ho mancato alla mia parola?» rispose Loyd con il suo solito sorriso enigmatico.
L'usuraio cercò di racimolare le ultime gocce di whisky dal fondo del bicchiere e non riuscendoci sbuffò, gettò un paio di caci sbeccati sul tavolo e si alzò.
«Buona fortuna per il prossimo incontro, Cavaliere della Luna» lo salutò lo Sciacallo recuperando il bastone «E ricordati per chi stai combattendo.»
La bocca di Duncan si piegò in un sorriso amaro: nessuno si sarebbe spinto a quel suicidio senza motivo, più o meno tutti i partecipanti ne avevano uno; per lui era Selene: era sceso in campo per lei, era lei che lo faceva sentire invincibile,un terremoto, potente come un maremoto, era lei che lo rendeva forte e lo faceva resistere. Ogni volta che era caduto nella polvere dell'arena, il pensiero di lei l'aveva fatto alzare e continuare a lottare. 
Era lei la ragione per cui combatteva.




[1]Ho una ragione per lottare/ ogni giorno che scegliamo/ potremmo vincere o perdere /questa è la vita pericolosa (Skillet, Feel invincible)

 

   
 
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