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Autore: Carme93    05/10/2016    1 recensioni
Anno 2020.
L'ombra sta nuovamente calando sulla comunità magica inglese (o forse europea) ed ancora una volta toccherà ad un gruppo di ragazzi fare in modo che la pace, con tanta fatica raggiunta, non venga meno.
Tra difficoltà, amicizie, primi amori e litigi i figli dei Salvatori del Mondo Magico ed i loro amici saranno coinvolti anche nel secolare Torneo Tremaghi, che verrà disputato per la prima volta dal 1994 presso la Scuola di Magia e stregoneria di Hogwarts.
Questo è il sequel de "L'ombra del passato" (l'aver letto quest'ultimo non è indispensabile, ma consigliato per comprendere a pieno gli inevitabili riferimenti a quanto accaduto precedentemente).
Genere: Avventura, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Un po' tutti | Coppie: Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo ventesimo

Tradizioni da sconvolgere
 
«Buongiorno a tutti, ragazzi. Ho qualche annuncio da farvi. Il Ballo del Ceppo si terrà la sera del 22 dicembre. La tradizione vorrebbe che fosse la sera di Natale, ma ho ritenuto opportuno apporre un cambiamento in modo che, se vorrete, potrete trascorre le festività con le vostre famiglie. Al Ballo potranno partecipare i ragazzi dal quarto anno in su. Gli altri potranno festeggiare nelle rispettive Sale Comuni, sotto la sorveglianza di Prefetti o Caposcuola. Naturalmente, com’è inevitabile, quest’anno la Festa dell’Amicizia non avrà luogo».
Appena la Preside si risedette mettendosi a parlare con il professor Paciock, gli studenti iniziarono a discutere su quanto avevano ascoltato.
«Devo chiedere a Benedetta di venire con me! Come faccio?».
Robert fulminò l’amico e decise di intervenire, prima di perdere la pazienza totalmente: erano giorni che lo tormentava con quella storia. «Benedetta, James ti deve parlare».
James si affogò con una fetta biscottata e Benedetta, incuriosita, sollevò gli occhi dal volume quinto di Incantesimi.
«Ehi Jamie, Benedetta. Riunione straordinaria con i Caposcuola prima dell’inizio delle lezioni» annunciò Mary Anne Parker, Prefetto Grifondoro del sesto anno.
«Ok, arriviamo» replicò Benedetta, alzandosi.
Robert imprecò a mezza voce contro la Parker ed i Prefetti e James, avvilito, le seguì in silenzio.
«Sarà una questione di pochi minuti, se ci mettiamo d’accordo» attaccò subito Matthew Fergusson. «Dobbiamo dividerci i compiti per la sera del Ballo. I Caposcuola dovranno controllare i corridoi a turno, mentre almeno uno o due Prefetti devono rimanere nelle rispettive Sale Comuni a sorvegliare i ragazzi più piccoli. Allora chi si propone per questo compito?».
«Io» disse Gabriel Fawley.
«Bene, chi altro?» continuò Matthew segnando il nome del Serpeverde su un blocchetto.
«Anche io».
A James venne un colpo: no, Benedetta, no. «NO» strillò e tutti si voltarono verso di lui.
«Perché no?».
«I-io…». Oh, Merlino dov’era Robert quando serviva?
«Potter, non abbiamo tempo da perdere» lo redarguì Camilla Smith.
«Perché lei ha già un cavaliere» buttò lì.
«Cosa? Non è vero!» intervenne stupefatta Benedetta, guardandolo con tanto d’occhi.
«E chi è che la inviterebbe?» chiese ironica Elettra Granbell, una Serpeverde del loro anno.
«Io… Io sono il Campione… e ehm ho bisogno di una dama».
Tutti lo stavano fissando come se fosse impazzito.
«Ok, intanto che i Grifondoro si decidono, segna me Fergusson» disse Jack Fletcher.
«E me per i Corvonero» disse Laurence Roberts, Prefetto del sesto anno.
«Per i Grifondoro sono disponibile io» dichiarò Conrad Avens, uno dei compagni di Fred.
«Scusami, scusami, scusami…».
«James, smettila dobbiamo andare a lezione. Siamo in ritardo per Trasfigurazione» sbottò Benedetta. Dalla conclusione della riunione James non aveva fatto altro che blaterare scuse.
«No, no, aspetta dobbiamo… devo spiegarti…».
«Cosa devi spiegarmi?».
«Non essere arrabbiata! Era un pezzo che volevo chiedertelo e quando hai detto di voler rimanere in Sala Comune ho pensato che era la mia ultima occasione! Sono stato pessimo, lo so… ma non sapevo come fare, lo giuro…».
Il volto di Benedetta si addolcì: «Non sono arrabbiata, ma molto confusa…».
«Davvero?».
«Già, non mi aspettavo che me l’avresti chiesto…».
«Quindi verrai al Ballo con me?».
«Sì, ma alla fine non ho comprato il vestito… e non so ballare… e tu sei il Campione, non posso farti fare brutta figura».
«Non dire fesserie! Per il vestito troveremo una soluzione e… ehm… io… insomma nemmeno io so ballare…».
Benedetta ridacchiò: «Allora siamo una coppia perfetta».
«Già… o cavolo… hai visto che ore sono? Altro che Ballo, Teddy ci ucciderà prima… muoviamoci…».
«Scusi il ritardo».
«Scusa, cioè scusi…».
Entrambi rimasero a bocca aperta, dalla cattedra non li osservava severamente Teddy Lupin, ma la Preside.
«Cinque punti in meno a Grifondoro. Potter, Merinon prendete posto».
James scivolò, ancora sconvolto, nel posto libero accanto a Robert.  «Che cavolo è questa storia?» gli sussurrò subito.
«Tuo fratello è assente e mia zia lo sostituisce».
«Perché?».
«Potter, Cooper avete qualcosa da dire?»
«Sì, perché Ted-…  il professor Lupin è assente?».
«Potter, sono affari suoi. Se sei interessato lo chiederai a lui quando ritornerà domani mattina. Ed adesso iniziamo la lezione» disse in tono definitivo la professoressa McGranitt.

*

Frank sospirò ringraziando mentalmente Merlino che le vacanze di Natale fossero ormai alle porte. Quel terzo anno si stava rivelando abbastanza pesante. Aveva lasciato Roxi e Gretel nell’aula di Difesa a copiare il tema che avrebbero dovuto consegnare quel giorno ed era tornato in dormitorio a recuperare il manuale che aveva dimenticato. Camminava di fretta per paura di arrivare in ritardo, anche se mancavano ancora dieci minuti al suono della campanella.
«Paciock, aspetta».
«Dobbiamo fare due chiacchiere».
«È troppo tempo che rimandiamo».
Frank, fino a quel momento immerso nei suoi pensieri, si riscosse bruscamente: di fronte a lui c’erano Calliance, Granbell ed Hans. Non li aveva nemmeno sentiti mentre si avvicinavano.
«Non abbiamo nulla di cui parlare» replicò tentando di mantenere la voce ferma, ma nonostante ciò essa tremolò.
«Come no? E la nostra sospensione?» chiese sarcastico Calliance.
«Non dimentichiamo facilmente» aggiunse Hans.
«Ve la siete cercati» sbottò Frank, con più coraggio di quanto credeva di possederne. Calliance si fece avanti e lo spinse contro il muro. «Stai alzando troppo la cresta, quattrocchi».
«Mi sono semplicemente stancato di sopportarvi».
I tre emisero una risata falsa e poi Calliance si avvicinò di più a Frank, con il respiro mozzo per aver sbattuto contro il muro e la paura di non essere realmente in grado di contrastarli che si faceva strada in lui.
«Da oggi ci farai tutti i compiti, chiaro?» chiese con cipiglio minaccioso Calliance.
«E mi raccomando devono valere almeno 7» aggiunse Hans, con Granbell che annuiva sicuro al suo fianco.
«Voi siete pazzi».
«Lo farai o con le buone o con le cattive» replicò Calliance schioccando le dita. Subito Hans e Granbell si avventarono su Frank strappandogli con forza lo zaino dalle spalle, per poi consegnarlo a Calliance.
«Ehi!» strillò il ragazzino indignato.
«Imparerai ad obbedirci» sibilò Calliance, mentre apriva lo zaino e senza molti complimenti ne svuotava il contenuto nel corridoio. Per un attimo le proteste di Frank, bloccato dagli altri due, si mescolarono al rumore del vetro infranto. Calliance si voltò trionfante verso di lui. A Frank le parole erano morte in gola mentre vedeva l’inchiostro macchiare inesorabilmente gli appunti, i libri e la ricerca di Storia della Magia, che tanto tempo aveva impiegato a scrivere. Un senso di ingiustizia, impotenza ed infine anche rabbia gli invase il cuore.
«Possiamo fare di peggio, lo sai» minacciò Hans.
«Il tuo poco coraggio è già sparito?» cantilenò Granbell, parlando per la prima volta.
Frank desiderò ardentemente farli sparire quelli stupidi ghigni; così prima che loro potessero reagire estrasse la bacchetta e formulò con calma glaciale: «Forunculus».
Il viso di Granbell si riempì rapidamente di brufoli dall’aspetto rivoltante e probabilmente fastidiosi tanto da farlo strillare. Frank teso disse: «Adesso lasciatemi in pace».
«Hai firmato la tua condanna!» scattò Calliance, tentando di menargli un pugno. Il ragazzino si scansò e pronunciò un nuovo incantesimo: «Evertestatim». Colpì in pieno Hans, che cadde a terra gemendo per il dolore e la sorpresa.
«Combatti alla babbana se ne hai il coraggio, mago dei miei stivali!».
«Anche tu sei un mago!» ansimò Frank, nell’ennesimo tentativo di evitarlo. Gli puntò contro la bacchetta, ma tentennò: era scorretto attaccare un mago disarmato, non avrebbe dovuto colpire nemmeno Granbell ed Hans. L’indecisione gli costò cara perché un fiotto di luce rossa lo colpì e la bacchetta gli volò dalle mani.
«Chi ti credi di essere, Paciock? Se solo un magonò quattrocchi completamente inutile!» ringhiò Hans, che si era rimesso in piedi ed estratto la bacchetta.
«Ora ti farò passare la voglia di giocare con noi» sibilò Calliance buttandosi addosso a lui e facendolo ruzzolare sul pavimento.
«Smettila!» strillò Frank, spaventato.
Calliance per tutta risposta gli tirò un calcio sul fianco, che lo lasciò senza fiato. Ebbe comunque la prontezza di spostarsi di lato prima che l’altro lo colpisse di nuovo. E facendosi forza sulle braccia si alzò, ma anziché andare contro Calliance come questi si aspettava, si buttò addosso ad Hans, facendoli perdere l’equilibrio e la presa sulle bacchette.
«Tarantallegra» disse puntando la bacchetta, appena recuperata, verso Hans, che iniziò a muoversi scompostamente.
Anche Calliance estrasse la bacchetta, ma Frank tentò di colpirlo lo stesso: «Densaugeo!».
«Non mi hai preso! Non hai mira, Paciock!» lo derise, indifferente al fatto che l’incantesimo avesse preso il suo amico Hans.
«Ti odio, Calliance» sputò con rabbia Frank. «Che cosa ti ho fatto? Perché ce l’hai con me?».
«Perché, Paciock? È molto semplice: trovo ingiusto che tu sia una mago con una famiglia che gli vuol bene! Mio padre odia me ed i miei fratelli… io lo vedo dai suoi occhi… ogni volta che ci guarda sembra chiedersi come ha fatto a mettere al mondo dei mostri. Ogni santissima volta. Voglio solo farti soffrire come soffro io» sbottò Calliance. «Non ho chiesto di diventare un mago. Non ho chiesto io di venire in questo posto!».
«Ora basta. Mi sembra che abbiate esagerato. Riponete le bacchette» disse una voce autoritaria.
«Paciock, li stavi uccidendo!» strillò un’altra voce.
«Ora non esagerare» sbottò il professor Williams, lanciando un’occhiata esasperata alla professoressa Campbell. «Qui nessuno uccide nessuno. Sono solo dei ragazzini».
«Ha cominciato lui!» disse subito Calliance, indicando Frank.
«Non è vero!» ribatté quest’ultimo con un filo di voce.
«Sì che è vero! Guardate cosa ha fatto ad Halley ed Alcyone» insisté Calliance.
«Accompagniamo loro due in infermeria e lasciamo che sia Neville a dirimere la questione più tardi, in fondo sono tutti e quattro Grifondoro» propose il professore Williams, mentre con un gesto pigro della bacchetta faceva smettere alle gambe di Hans di muoversi anche se i denti continuavano a crescere. Frank deglutì, non provava la minima soddisfazione nel vederlo in quel modo, anzi era terrorizzato.
«Neanche per sogno!» si oppose la professoressa Campbell. «Portiamo Paciock dalla Preside! Non è giusto che sia suo padre a decidere».
Il professore che aveva aiutato Halley Hans ad alzarsi, la scrutò con attenzione e poi sospirò: «Sì, va bene, ma anche Calliance. Non sappiamo come siano andate le cose».
«Io non mi sento bene» disse subito quest’ultimo. «Ho bisogno di andare in infermeria».
«Hai visto?» strillò la Campbell. Williams lanciò un’occhiata di sufficienza al ragazzino.
«Ci credo poco» asserì. «Allora accompagnali tutti e tre. Peter li rimetterà in sesto subito. Vi aspetto a lezione, in caso contrario dovrete prepararvi una scusa molto più convincente». Poi raccolse tutte le cose di Frank nel suo zaino con un colpo di bacchetta e glielo consegnò. «Seguimi».
Frank obbedì quasi meccanicamente, sentendosi completamente svuotato. Una parte di lui avrebbe voluto giustificarsi in qualche modo, l’altra avrebbe voluto sparire e che quello fosse solo un incubo. Sentì lacrime calde scendere lungo le guance ed automaticamente vi passò una mano sopra nella speranza che Williams non se ne accorgesse. Avrebbe voluto dirgli veramente qualcosa, ma era certo che se avesse aperto bocca sarebbe scoppiato a piangere seriamente. Il che avrebbe reso la situazione ancora più imbarazzante.
Il professor Williams si voltò verso di lui dopo aver pronunciato la parola d’ordine della Presidenza.
«Racconta alla professoressa McGranitt quello che è successo, ti aspetto a lezione».
Frank boccheggiò quando si vide lasciato solo e poi, sapendo di non aver scelta, salì il primo gradino della scala a chiocciola e si lasciò trasportare fino alla porta di quercia con un batacchio a forma di grifone. Non era mai stato in Presidenza e ciò lo spaventava ancora di più. Sentendosi troppo stupido a fissare immobile la porta si decise a bussare.
«Avanti».
Frank entrò senza pensarci sopra, se l’avesse fatto forse non si sarebbe più mosso.
«B-buongiorno, p-professoressa» disse balbettando lievemente.
La professoressa McGranitt lo fissò per un attimo attraverso le lenti squadrate e sembrò analizzarlo dalla testa ai piedi. «Buongiorno, Paciock. Come mai qui?».
Frank aprì la bocca, ma la richiuse immediatamente incerto su quello che avrebbe dovuto dire. Insomma Williams avrebbe potuto almeno fare rapporto!
«Paciock, siediti» lo invitò la Preside, indicando le sedie di fronte alla sua scrivania. «Prendi un biscotto» disse poi avvicinandogli una scatola di latta. Il ragazzino fu preso in contropiede da quell’offerta, ma automaticamente afferrò uno zenzerotto e lo mise in bocca. Almeno così aveva una scusa per non parlare! Stranamente, però, dopo aver inghiottito si sentì anche meglio, nonostante la morsa dolorosa in cui lo stomaco si era chiuso da quando erano intervenuti la Campbell e Williams non accennasse ad andarsene. Che cos’era paura? Senso di colpa? O peggio, entrambi?
«Allora Paciock, dimmi perché sei qui» ripeté la professoressa.
«I-io… io e Calliance, Granbell e Hans abbiamo… litigato… ehm… in corridoio…».
«Litigato in che senso? Spiegati meglio» disse rigida e severa come sempre, ma senza rabbia nella voce.
«Io… ehm… ho… ecco vede, io ho affatturato Hans e Granbell e non ho preso Calliance perché l’ho mancato… poi… ehm… noi… cioè io e Calliance ci siamo scontrati alla babbana…».
La professoressa McGranitt inspirò bruscamente, segno che la conversazione iniziava ad irritarla. «E per quale motivo?».
Frank ci pensò su per qualche istante, poi decise che arrivati a quel punto tanto valeva dire tutta la verità. «Volevano vendicarsi perché li ho fatti sospendere. Volevano che facessi i compiti per loro. Io mi sono stancato di subire…» gli venne un groppo in gola e si zittì.
«Prendi un altro biscotto».
Il ragazzino la osservò sorpreso: insomma pensava che gli avrebbe urlato contro. Per nulla dispiaciuto prese un altro zenzerotto.
«Chi vi ha fermato?».
«Il professor Williams e la professoressa Campbell» rispose dopo aver deglutito, iniziando a chiedersi se quei biscotti fossero ripieni di pozione calmante o qualcosa di simile.
«E per quale motivo ti hanno mandato qui e non se ne sono occupati loro?».
Frank la fissò incredulo. Che razza di domanda era? Possibile che lei sapesse che la Campbell non si fidasse di suo padre?
«Minerva, su, che domande fai al giovane Paciock?» chiese, palesemente divertito, il ritratto di Albus Silente.
«Non credo di averti mai disturbato in quarant’anni per una rissa tra ragazzini. Meno che mai per i miei Grifondoro» replicò ella a tono. «E soprattutto non ci trovo nulla di divertente».
«La professoressa Campbell non riteneva corretto che se ne occupasse il nostro Direttore» replicò Frank arrossendo.
La Preside non sembrò troppo sorpresa, ma assunse un’aria particolarmente infastidita. «Dove sono Calliance, Granbell ed Hans?».
«In infermieria» mormorò sentendosi ancora più in colpa. Anche se il fianco sinistro che pulsava, gli ricordò che non era stato l’unico a comportarsi male.
«Credi di aver risolto qualcosa in questo modo?».
Frank sollevò gli occhi sul ritratto di Albus Silente, per poi riabbassarli subito e sussurrare: «No, signore. Sono pentito…» tentennò un attimo come se volesse dire altro, ma alla fine tacque.
«Che altro c’è, Paciock?» gli domandò la Preside.
«Sono anche confuso» ammise dopo qualche secondo.
«Confuso?» ripeté la professoressa, mentre Silente sorrideva dolcemente.
«Sì, credevo che reagire alle loro prepotenze avrebbe risolto ogni problema invece mi sento in colpa… quindi non capisco… non c’è soluzione? Loro continueranno a comportarsi così?».
«Spero per loro di no e che quello che è accaduto oggi serva da lezione a tutti e quattro» replicò la Preside severa. «Ci si può solo illudere che la violenza possa risolvere i problemi, Paciock».
«Molti uomini più grandi ed esperti di te si sono lasciati trascinare da quest’illusione. Non essere severo con te stesso, l’importante è che tu l’abbia compreso in tempo» mormorò Silente.
«Comunque sarà tuo padre a decidere come punirvi, è compito suo. Lo informerò alla fine delle lezioni. Ora vai».
Frank salutò e si diresse a lezione di Difesa, come Williams gli aveva ordinato. Prese posto accanto a Roxi e tirò fuori il manuale, ignorando le sue domande. Arrendendosi la ragazzina gli mostrò dove erano arrivati nella lettura, anche se dovette fare molta fatica per seguire. Alla fine della lezione il professore lo trattenne e mogio si avvicinò alla cattedra chiedendosi se quella giornata potesse andare peggio.
«Conosci l’incantesimo Farfallus Explodit?».
La domanda lo prese di sorpresa, visto che si aspettava un rimprovero. «No, signore».
«È l’incantesimo che ha usato James per distrarre il serpente marino. L’ho spiegato ai ragazzi del quarto anno da poco. Credo che sia una buona strategia quella di tenere lontani i bulletti con questo incantesimo per rivolgersi ad un insegnante nel frattempo. Così da evitare scontri come quello di oggi. Se sei d’accordo puoi iniziare a leggere la teoria durante le vacanze, al rientro ti aiuterò ad esercitarti».
«Va bene, grazie, signore» mormorò Frank, realmente grato per avere un soluzione concreta ai suoi problemi.
«Senti» disse poi con un ghigno Williams, «il tema che avevo assegnato per oggi?».
Il ragazzino rimase a bocca aperta in quanto il tema ce l’aveva ancora Roxi e non sapeva proprio come giustificarsi. Tutto sommato quella giornata poteva andare peggio, anzi lo sarebbe stata visto che ancora doveva affrontare il padre.
«Per questa volta chiuderò un occhio, ma, come ho già detto alle due furbette, d’ora in avanti ognuno eseguirà i compiti autonomamente. Chiaro?».
«Sì, signore».
Per il resto della giornata Frank evitò accuratamente di incrociare il padre. Era consapevole di non poterlo fare in eterno e prima o poi sarebbe stato lui a chiedere spiegazioni, ma non era ancora pronto; così alla fine delle lezioni si rintanò i biblioteca per fare i compiti.
«Frank?».
Era così concentrato che James lo fece sobbalzare.
«Ciao» replicò a voce bassa.
«Ciao.  Allora, è vero quello che si dice in giro?».
«Ti prego, Jamie» sospirò Frank.
«Deduco che sia vero. Non sono venuto qui per chiedertelo, però. Ho incontrato zio Neville e mi ha chiesto di cercarti e dirti che ti aspetta nel suo ufficio».
Frank impallidì ed annuì: era la prima volta che suo padre lo cercava e non viceversa.
«Dai tranquillo, sono sicuro che lo zio capirà. Insomma io avrei dato una lezione a quei tre già da tempo. Dove sono Roxi e Gretel?».
«In punizione con la Shafiq» rispose raccogliendo i suoi libri e le pergamene.
«Che hanno fatto?» chiese l’altro dandogli una mano.
«Hanno fatto un disastro nell’ultimo compito e nell’interrogazione… comunque ora devo andare, a dopo» disse pensieroso Frank.
Appena entrò nell’ufficio del padre gli venne il dubbio di essersi perso qualcosa. Non era da solo, anzi c’erano anche Alice e loro madre. Era consapevole di essersi comportato parecchio male, ma non così tanto da chiamare la mamma. Era certo che per quanto potesse essere arrabbiato suo padre non avrebbe mai chiesto alla moglie di andare fin lì con la piccola Aurora ed una sempre più riottosa e capricciosa Augusta cui badare. A meno che non volesse espellerli, ma non poteva no? L’espulsione era un po’ troppo, no? Tentando di tranquillizzarsi salutò la sua famiglia, anche se non fu naturale come avrebbe voluto, ma comunque non fecero commenti sul suo nervosismo. Alice aveva un’espressione scocciata e rispose al saluto senza alcun entusiasmo.
 «Bene, ora che ci siete entrambi io e vostra madre dobbiamo parlarvi di una cosa importante» esordì Neville, palesemente preoccupato.
«Non sapevamo se dirvelo, ma poi abbiamo pensato che non siete più dei bambini e…» iniziò Hannah.
«E comunque qui dentro le notizie girano velocemente, spesso distorte quindi preferiamo dirvi noi come stanno le cose» concluse Neville.
«Qualche sera fa vostro nonno ha ricevuto una lettera… era da parte dei Neomangiamorte».
«Cosa?!» sbottò Alice. Frank si limitò a sgranare gli occhi ed a comprendere lo strano presentimento che aveva percepito entrando nella stanza.
«Hai capito» tagliò corto Hannah. «Vorrebbero che si unisse a loro, così come lo zio Charles».
«Ma non lo farebbero mai, vero?» chiese Frank, spaventato dalla risposta.
«Certo che no, ma tuo nonno, pur essendo un ex-Tassorosso, alle volte ha idee molto da Grifondoro, così ha deciso di scrivere una risposta ai Neomangiamorte e di farla pubblicare sulla Gazzetta del Profeta».
«Il nonno è un grande!» proruppe Alice.
Neville ed Hannah si scambiarono un’occhiata preoccupata.
«Li sta provocando, vero? Si vendicheranno? E questo che temete?» sussurrò Frank. Il sorriso si congelò sul volto di Alice.
«Sì» mormorò Hannah mettendosi a piangere.
Neville si alzò dalla poltrona, su cui era seduto, e l’abbracciò stretta. «Credevo che fosse tutto finito! Credevo che non avremmo più sofferto a causa loro!» singhiozzò.
«Andrà tutto bene, te lo prometto» le sussurrò Neville concitato.
«Non mi promettere qualcosa che non dipende da te» replicò ella. Ci vollero dieci minuti buoni perché si calmasse. «Scusate» disse rivolta ai figli, che si avvicinarono e la abbracciarono. Frank sentì la runa pesargli: Albus aveva detto che quelle rune erano la chiave per comprendere la Profezia e sconfiggere i Neomangiamorte.
«Mi raccomando, state attenti. Almeno voi non fatemi preoccupare» li pregò Hannah osservandoli uno per uno. Frank abbassò gli occhi.
«Tra poco mamma deve andare a casa. Aurora ed Augusta la stanno aspettando. Alice, puoi lasciarci soli con Frank, per favore?».
La ragazzina scosse energicamente la testa. «Assolutamente no! Che cosa gli dovete dire? Se è per quella storia della lite, non dovete rimproverarlo! Avrebbe dovuto farlo un sacco di tempo fa! Ora quei tre ci penseranno bene prima di attaccarlo di nuovo!».
«Ali, tesoro» la chiamò Neville, prendendole delicatamente il viso tra le mani. «Vogliamo fare solo due chiacchiere. Stai tranquilla, su vai».
Alice esitò, ma alla fine si convinse e salutò la madre.
«Sentite, mi dispiace» disse immediatamente Frank, appena rimasero da soli.
«Stai bene?» domandò, invece, Hannah scrutandolo con attenzione come se si aspettasse di trovare qualche ferita. «Ho avuto paura che ti avessero fatto male! Tu non sai fare a pugni! Mi è preso un colpo quando l’ho saputo!» disse stritolandolo tra le sue braccia.
«Sto bene, solo un po’ ammaccato» mormorò.
«Anche i tuoi compagni, come avrai avuto modo di notare, stanno benissimo» gli comunicò Neville.
«Io pensavo che foste arrabbiati».
«Un po’» ammise Neville.
«Ma era inevitabile. Tanto tiri la corda che si spezza» commentò Hannah.
«Frankie, non dimenticare mai che per quanto potremmo essere arrabbiati, potrai sempre contare sul nostro aiuto» mormorò Neville abbracciandolo a sua volta. «E comunque anche io l’ho fatto una volta».
«Sul serio?» domandò sorpreso Frank.
«Non lo sapevo nemmeno io» commentò curiosa Hannah.
«Sì ehm… eravamo al primo anno. Malfoy era sempre insopportabile, così durante la partita di Grifondoro contro Tassorosso io e Ron abbiamo fatto a pugni con lui e i suoi amici, Tiger e Goyle».
«La McGranitt e la nonna si sono arrabbiate molto?».
«Non l’hanno mai saputo ed è meglio che continuino a non saperlo» borbottò Neville in risposta. «Erano tutti attenti alla partita. Non se n’è accorta nemmeno Hermione che era vicino a noi».
«Sì, ma Frank questo non significa che si debbano risolvere le contese così» disse Hannah fulminandoli entrambi con lo sguardo.
«Sì, mamma. L’ho capito, stai tranquilla».
«Sono d’accordissimo. Era solo per dire che tutti possiamo sbagliare, non vorrei che i nostri figli si convincessero che siamo perfetti» si giustificò Neville. Hannah lo guardò male, poi sorrise e lo baciò.
 
*

«Stai benissimo» sussurrò James, incantato.
«Grazie» replicò Benedetta rossa come un pomodoro. «Il vestito… insomma non dovevi… costava troppo…».
«Te l’ho detto, consideralo il tuo regalo di Natale».
La ragazza sorrise dolcemente ed annuì.
«Sul serio Jamie, come cavolo hai fatto?» gli domandò sottovoce Robert.
«Ho lasciato detto che avrebbe pagato mio padre… sai, ogni tanto è comodo essere figli di Harry Potter, la gente tende a fidarsi».
«Ma sei impazzito?! E lui lo sa? Cioè 60 galeoni! Io ti ammazzerei!».
«Molto gentile… Comunque ho scritto a mia madre, lui è molto impegnato. Ultimamente risponde sempre mamma alle nostre lettere. Le ho detto quello che avevo fatto e che sono disposto a considerarlo come un anticipo sulle prossime paghette. Le ho chiesto di non mandarmi una strillettera, perché insomma sarebbe stato imbarazzante con Benedetta, no? Mamma mi ha risposto che avremmo fatto i conti a Natale» sospirò.
«Sei proprio cotto James. In un certo senso hai appena detto addio a più di un anno di paghetta!».
«Ragazzi, noi siamo pronte» li chiamò Demetra.
La Sala Comune era davvero strana quella sera: di solito era affollata di divise nere, ora, invece, era multicolore; anche ai più piccoli era stata data la possibilità di vestirsi a proprio piacimento.
«Allora scendiamo».
La Sala d’Ingresso era affollatissima, James prese Benedetta per mano. «Così non rischiamo di perderci» mormorò arrossendo. Robert gli scoccò un’occhiata divertita in un momento in cui le ragazze erano distratte. Gli studenti di Beauxbatons e Durmstrang erano già presenti. Apolline, che indossava un lungo vestito argentato, era al fianco di Jesse Steeval; mentre Dumbcenka era a braccetto di una francesina molto graziosa. James fece un cenno a Matthew Fergusson mano nella mano con Domi, che ancora si rifiutava di parlargli. Sua cugina era più bella del solito quella sera nel suo lungo vestito bordeaux. Se fosse stato in Matthew non avrebbe tollerato tutti gli sguardi languidi che i ragazzi le lanciavano. Dominique sapeva di essere bella e spesso lanciava occhiate di sfida alla cugina. Salutò anche Elphias ed Isobel e con sorpresa vide accanto a loro Rose insieme ad Edward Zabini. Si era perso qualcosa? Avrebbe indagato, poco ma sicuro; avrebbe rischiato il linciaggio da zio Ron in caso contrario. Rispose al cenno di saluto di Dexter Fortebraccio accompagnato da Dorcas e sorrise vedendo Alastor mano nella mano con sua sorella Lily. Quella ragazzina quando si metteva qualcosa in testa nessuno la fermava. Suo padre faceva bene ad essere preoccupato. Comunque le aveva permesso di partecipare perché con lei c’era Alastor. Quel ragazzo era un santo: Lily l’aveva ricattato tirando fuori delle vecchissime foto di quando erano bambini, molto ma molto imbarazzati. Alice, invece, era riuscita a convincere Scorpius a portarla con sé a patto che dopo l’avrebbe lasciato ballare con le ragazze della sua età. Hugo e Marcellus non avevano avuto la stessa fortuna: nessuna ragazza più grande si era presa la briga di portarli al Ballo.
«Ciao, ragazzi. State benissimo» disse un sorridente Neville Paciock. «I Campioni devono aspettare tutti qui. Vi dirò io quando entrare. Robert, Demetra voi potete iniziare ad andare».
Le porte della Sala Grande infatti si erano aperte e gli studenti stavano già entrando.
«Ci vediamo dopo» disse Robert prima di avviarsi con Demetra.
Alla fine rimasero solo i Campioni con i rispettivi partner.
«Bene, seguitemi» disse Neville.
All’ingresso dei Campioni tutti applaudirono. James rimase a bocca aperta: non aveva mai visto la Sala Grande così bella: i tradizionali dodici abeti erano decorati con fatine vive, candele di diversi colori, e forme di ghiaccio. Le pareti era coperte di brina d’argento con ghirlande di edera e vischio e nell’aria galleggiavano stelle di ghiaccio, tra cui la stella cometa più grande delle altre ed al centro.
«È bellissima» sussurrò Benedetta.
«In fondo dobbiamo dimostrare di non aver nulla di meno degli stranieri» ironizzò James con lo stesso sorriso stampato in faccia.
I tavoli delle Case erano stati sostituiti con una serie di tavolini più piccoli, ciascuno illuminato con una lanterna decorata con una stella di Natale. All’estremo della Sala vi erano due tavoli rotondi decisamente più grandi e lì li guidò Neville. Già vi erano seduti i Presidi, Mullet e Malfoy. Era il tavolo riservato a giudici e Campioni, mentre nell’altro si stavano già accomodando gli altri i professori. Dumbcenka prese subito posto vicino al suo Preside, James strinse la mano di Benedetta e la guidò silenziosamente all’estremo opposto e si sedette accanto a Malfoy. La ragazza gli lanciò un’occhiata interrogativa, ma lui non disse nulla ripromettendosi di spiegarglielo meglio in seguito. Solo qualche mese prima avrebbe fatto carte false pur di sedere accanto ad un Campione di Quidditch del calibro di Mullet, ora la situazione era cambiata. Porse educatamente la mano a Malfoy, che ricambiò dopo averlo fissato per un attimo. Probabilmente non se l’aspettava nemmeno lui. La verità è che c’era qualcosa che non lo convinceva in Mullet. Apolline e Jesse avevano preso posto vicino a loro. James e Jesse si guardarono male.
«Evita. Non è la serata adatta per le risse» gli sussurrò a voce bassissima Benedetta.
«L’importante è che lui mi stia lontano» replicò James.
«Hai visto i menu?» chiese allora la ragazza, nel tentativo di distrarlo.
James afferrò il menu più vicino e lo avvicinò all’amica, perché potesse leggere anche lei. Vide la McGranitt osservare il suo piatto e dire «Roastbeef», dando così inizio al Banchetto e contemporaneamente mostrando a tutti il meccanismo.
«Che prendi?» domandò James a Benedetta.
«Pasticcio di carne e purè di patate» rispose lei e nel piatto d’oro apparve subito ciò che aveva chiesto.
«Costolette di maiale» ordinò allora James, senza riuscire a trattenere un sorrisetto.
«Che c’è?».
«Immagina se potessi fare così tutti i giorni! È magnifico!».
Benedetta ridacchiò.
«Certo mia mamma mi ucciderebbe se solo glielo proponessi e penso che anche la nonna non ne sarebbe felice».
Per quanto lo scopo del Torneo fosse quello di avvicinare i ragazzi tra loro, era evidente che nemmeno per quello stava andando secondo i piani: la McGranitt e Madame Maxime parlavano amabilmente tra loro, ma i toni si raffreddavano quando nella conversazione si inseriva anche Vulchanova; Dumbcenka e la sua dama non avevano aperto bocca da quando si erano seduti; Jesse e James non potevano vedersi quindi si stavano ignorando bellamente, nonostante Apolline avesse mostrato più volte di voler parlare con il secondo. Verso la fine della cena Draco Malfoy si rivolse a James.
«Potter, fammi il favore di riferire un messaggio a mio figlio».
Il ragazzo sollevò il capo dalla sua torta al cioccolato e lo fissò sorpreso.
«Non si deve più impicciare del mio lavoro. Ho licenziato lo stagista».
James riportò alla memoria con difficoltà quanto suo fratello gli aveva raccontato in merito, alla fine non riuscì a trattenersi: «Mi scusi ma domani iniziano le vacanze, non può dirglielo lei? Credevo che Scorpius sarebbe tornato a casa».
«Sì, lo farà» rispose egli con la sua voce strascicata e terribilmente annoiata. «Ma avremo ospiti».
L’uomo tornò a rivolgersi al collega e ai Presidi, mettendo in chiaro che la discussione si chiudeva lì.
James e Benedetta si scambiarono un’occhiata perplessa, poi ripresero a mangiare, consapevoli di non poter dire nulla in quel momento con fin troppe orecchie indiscrete pronte ad ascoltarli.
Quando finì la cena, la professoressa McGranitt invitò tutti ad alzarsi e fece in modo che tutti i tavoli si disponessero lungo le pareti, lasciando pavimento sgombro; infine fece apparire una piattaforma con degli strumenti musicali. Sulla piattaforma prese posto una piccola orchestra di musica classica.
«Credevo che sarebbero venuti i Magic Wizards, come alla Festa dell’Amicizia dell’anno scorso» disse Benedetta.
«Alcuni parlavano anche delle Sorelle Stravagarie, ma non mi sorprende che la McGranitt abbia deciso diversamente».
«Mi sa che dobbiamo andare» borbottò la ragazza imbarazzata, accennando agli altri Campioni che prendevano posto al centro della Sala Grande. James non rispose, ma le porse la mano ed insieme li raggiunsero.
«È un valzer, proprio come aveva previsto Robert» borbottò quando la musica attaccò.
Per cinque lunghissimi minuti furono da soli sulla pista da ballo e James sudò freddo, mentre tentava di non pestare i piedi a Benedetta. Il confronto con gli altri Campioni era disarmante: loro sì che sapevano danzare. Finalmente però furono raggiunti anche dagli altri ragazzi. Hagrid ballava felice con Madame Maxime, occupando una parte della pista, perché molti temevano di essere travolti. La professoressa McGranitt legante come sempre aveva accettato l’invito di Vulchanova, probabilmente in quanto padrona di casa non aveva potuto fare altrimenti. James scoccò un’occhiata a Robert e non si sorprese nel costatare che non perdeva d’occhio la coppia. Era davvero affezionato alla zia.
James ridacchiò nel vedere un goffo Neville in coppia con la professoressa Spinett, che non faceva che ridacchiare ogni volta che l’amico le pestava i piedi. Il professor Williams se la cavava decisamente meglio, mentre faceva volteggiare la professoressa Dawson. Mcmillan, invece, ballava con la professoressa di Aritmanzia.
«Teddy, dov’è?» chiese immediatamente folgorato da quella scoperta: ancora una volta era assente. Benedetta istintivamente si guardò intorno, poi rispose: «Non lo so, Jamie. Gli hai parlato?».
«Sì, mi ha detto di stare tranquillo e che mi spiegherà durante le vacanze».
«Beh allora abbi pazienza».
«Va bene, ok. Tanto domani torneremo a casa».
Alla fine del ballo Robert e Demetra si avvicinarono. «Non ve la siete cavata male. Sembravate sui carboni ardenti ma avete fatto meno pena di Paciock».
«Ha parlato il grande campione di ballo!» sbottò James, mentre Benedetta arrossiva.
«Io so ballare. È questo il punto» ghignò lui. «Questa che stanno iniziando è una mazurka. Seguite le mie indicazioni».
James sgranò gli occhi ed obbedì. Alla fine del ballo trascinò Benedetta ai margini della pista. Robert e Demetra li seguirono.
Robert rideva apertamente.
«Tua zia ha progettato così tutta la serata?» sbuffò James.
«No, naturalmente. Ama la musica classica e ritiene che sia l’unica degna. Ha invitato i Boccini Schiantati, tra poco suoneranno anche loro».
«Davvero?» chiesero all’unisono i tre compagni.
Robert annuì.
«Perché non me l’hai detto prima?» strillò Demetra. «Non ho nulla per farmi fare un autografo!».
I Boccini Schiantati erano una band americana che negli ultimi anni aveva raggiunto l’apice del successo ed i suoi membri erano osannati dai giovani maghi di tutto il mondo.
Dopo una mezz’oretta la piccola orchestra lasciò il palchetto a quattro ragazzi. Gli studenti impiegarono qualche secondo per comprendere il cambiamento, poi la Sala Grande scoppiò in un boato.
«Andiamo?» chiese Robert.
James difficilmente avrebbe dimenticato quella serata, trovava fantastica la compagnia di Benedetta; più volte furono così vicini da fargli battere il cuore fortissimo.
«Beviamo qualcosa?» chiese ad un certo punto la ragazza urlando per farsi sentire.
«Certo».
«Cavoli, sono fantastici» disse Benedetta facendo cenno alla band che continuava a suonare.
«Già» James mormorò la risposta distrattamente. Dentro di lui era in corso una battaglia: cogliere al volo l’occasione e rivelarle finalmente i suoi sentimenti o tornare a ballare rimandando ancora na volta.
«Jamie, che hai?».
«Io? Caldo» bofonchiò.
«Vuoi uscire fuori? So che hanno decorato anche il parco. Potremmo dare un’occhiata».
James annuì leggermente.
«James!».
I due ragazzi, ormai nella Sala d’Ingresso, si voltarono verso un arruffato Albus in compagnia di Virginia Wilson.
«Al? Che cavolo hai addosso?».
Albus si bloccò e si osservò per un attimo stranito come se non sapesse cosa stesse indossando. «Tuta» disse come se fosse la cosa più logica del mondo. James continuò a fissarlo perplesso. In effetti la Preside aveva dato il permesso di vestirsi come volevano per una sera, ma di certo non avrebbe gradito si facessero vedere in quel modo al Ballo.
«Se fossi in te non mi farei vedere da nessuno» borbottò infastidito perché voleva stare da solo con Benedetta.
«Ascoltami! Siamo stati in biblioteca. Volevo far vedere a Virginia il libro di Aritmanzia Avanzata, quello che avrebbe dovuto studiare Jonathan prima che ci mollasse…».
«E allora?» lo sollecitò spazientito James.
«Qualcuno ha strappato la pagina dell’incantesimo. Quello che interessava a noi».
«Dici che l’hanno fatto apposta?».
«Sì. Ho chiesto al signor Bennett, ma non mi ha saputo dire chi l’ha preso».
«Sentite, ora non possiamo fare nulla. Ne riparliamo con calma, ok?».
Albus sbuffò, ma poi annuì. «Sì, sì certo scusa se ti ho disturbato. Ciao Benedetta».
James alzò gli occhi al cielo e lo osservò mentre si avviava lungo la scalinata di marmo.
«Vuoi andare da lui?» gli domandò gentilmente Benedetta.
«No, non possiamo fare nulla a quest’ora sul serio. Andiamo nel parco?».
Lungo il prato era stato creato un sentiero illuminato dal candele ed anche qui vi erano delle fatine che svolazzavano vicino ai cespugli, ma soprattutto vi erano delle bellissime statue di ghiaccio dalle forme più disparate. Per un po’ i due ragazzi si divertirono a riconoscerle.
«Questa è una fenice» esclamò James.
«È la più bella di tutte» sussurrò Benedetta.
«E non hai visto nulla ancora» mormorò il ragazzo prendendola per mano. Il sentiero si apriva in una specie di gazebo fatto solo di edera e fiori dai colori bellissimi. Al centro c’era una fontana zampillante con delle fatine che saltellavano da una parte all’altra. I due rimasero senza parole per qualche istante non riuscendo a smettere di sorridere.
James istintivamente la tirò delicatamente al centro, poco distante dalla fontana. «C’è il vischio» disse indicando il tetto vegetale. «Sai i Babbani hanno una tradizione…» iniziò con voce tremante.
«Sì, mia mamma è babbana, conosco la tradizione» mormorò lei in risposta.
«Quindi… ehm… dovremmo rispettarla?» chiese, mentre erano sempre più vicini. Non lo erano mai stati così tanto. 
«Se ti va…» sussurrò incerta Benedetta, quando le loro labbra era ormai vicine. Pochi secondi dopo James sentì il cuore esplodere per quanto batteva forte mentre finalmente appoggiava le sue labbra su quelle dell’amica.
Delle voci che si avvicinavano li fecero sobbalzare e dopo essersi fissati un momento imbarazzati, decisero di allontanarsi. Una volta giunti sulle sponde del Lago Nero continuarono a restare in silenzio. Nessuno dei due sapeva che cosa dire.
«Nevica!» esclamò all’improvviso Benedetta, allungando la mano davanti a sé. James sorrise: era la prima neve dell’anno, erano giorni che tutti l’aspettavano.
«Fantastico. Iniziavo a temere che questo Natale saremmo rimasti per la prima volta senza neve. Io ed i miei cugini abbiamo sempre fatto una battaglia di palle di neve la mattina di Natale. È una tradizione».
«Guarda, ne hai un fiocco sui capelli» disse la ragazza accarezzandogli la testa con una mano, poi imbarazzata la ritirò di scatto.
«Anche tu. Di questo passo avremo i capelli bianchi prima dei miei» ridacchiò nervoso James.
«Ho freddo» borbottò Benedetta.
«Accio mantello» disse subito James e nemmeno un minuto dopo poggiò un elegante mantello sulle spalle dell’amica. «È la prima neve, non possiamo mica perdercela» si giustificò.
«Ti voglio bene, James» mormorò Benedetta e cogliendolo ulteriormente di sorpresa gli sfiorò le labbra con le sue.
Pochi secondi dopo si rincorrevano ridendo e scherzando sotto la neve, proprio come due bambini.
 
 
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Ecco un nuovo capitolo! Spero che questo vi piaccia più dei precedenti.
Sono accadute cose abbastanza importanti per i protagonisti: Frank ha finalmente affrontato i bulli e James e Benedetta si sono finalmente baciati.
Non posso fare a meno di immaginare che Silente e Piton siano molto più attivi di tutti gli altri ritratti e che consiglino spesso la McGranitt (oltre naturalmente impicciarsi quando parla con gli studenti). La McGranitt è la mia insegnante preferita di tutta la saga ed ho sempre pensato che nonostante sia una persona rigida e severa, voglia anche molto bene ai suoi allievi (in un certo senso quasi materna nei loro confronti), da qui il suo modo di comportarsi con Frank. Inoltre ho notato che nella saga difficilmente gli studenti venivano spediti da Silente se non per atti molto gravi (per esempio Harry accusato di aver pietrificato Nick-Quasi-Senza-Testa e Justin), senza contare che Silente sempre nel secondo libro ha detto chiaramente che toccava alla McGranitt decidere la sorte di Harry e Ron dopo aver fatto volare la Ford Aglia fino ad Hogwarts, quindi penso che i Direttori della Case abbiamo molto potere. Ditemi voi cosa ne pensate o se sbaglio ;-)
I Neomangiamorte si stanno muovendo nonostante i ragazzi ne siano all’oscuro; naturalmente leggono i segnali: quel poco che c’è scritto sul giornale, Harry sempre occupato. Il culmine naturalmente è quanto Neville ed Hannah comunicano ai figli.
Nella descrizione delle decorazioni per il Ballo del Ceppo ho fatto ampio riferimento al romanzo, aggiungendo poi qualcosa di mia invenzione.
Inoltre immagino che la McGranitt ami la musica classica ed abbia voluto darne un assaggio ai suoi studenti ed offrire uno spettacolo di una certa levatura ai suoi ospiti. I Magic Wizards sono una banda inglese, di mia invenzione. I Boccini Schiantati, invece, vengono citati dalla Rowling stessa in quell’articolo sulla Coppa del mondo di Quidditch del 2014 (pubblicato su Pottermore), il numero dei cantanti e la loro popolarità sono di mia invenzione.
Al prossimo capitolo,
Carme93
 
 
 
   
 
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