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Autore: Carme93    13/11/2016    1 recensioni
Anno 2020.
L'ombra sta nuovamente calando sulla comunità magica inglese (o forse europea) ed ancora una volta toccherà ad un gruppo di ragazzi fare in modo che la pace, con tanta fatica raggiunta, non venga meno.
Tra difficoltà, amicizie, primi amori e litigi i figli dei Salvatori del Mondo Magico ed i loro amici saranno coinvolti anche nel secolare Torneo Tremaghi, che verrà disputato per la prima volta dal 1994 presso la Scuola di Magia e stregoneria di Hogwarts.
Questo è il sequel de "L'ombra del passato" (l'aver letto quest'ultimo non è indispensabile, ma consigliato per comprendere a pieno gli inevitabili riferimenti a quanto accaduto precedentemente).
Genere: Avventura, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Un po' tutti | Coppie: Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo ventiduesimo
Brancolare nel buio
 
“Gli Auror brancolano nel buio
di Rita Sketeer
 
25 Dicembre 2020. La tradizionale cena di Natale, presso l’antico maniero dei Burke nel Wiltshire, è stata interrotta dall’arrivo di colei che ormai abbiamo iniziato a temere e che viene chiamata Signora Oscura e dei suoi Neomangiamorte. La popolazione magica è nel panico ed il Ministro si rifiuta di rispondere alle nostre domande, così come il Capitano Potter. Nonostante l’intervento degli Auror, i Neomangiamorte sono riusciti a fuggire insieme alla loro padrona. Come ci ha riferito questa mattina il vice sotto Capitano Lewis sono stati arrestati solo tre mercenari, che adesso attendono di essere interrogati, nelle celle del Ministero. Non vi sono stati morti fortunatamente, «Perché la Signora Oscura non aveva intenzione di uccidere il fior fiore della nostra comunità, ma di fare proseliti» ha dichiarato uno scosso giudice Shafiq, prima di lasciare la tenuta insieme alla famiglia. Vi sono stati, però, diversi feriti, due dei quali gravi. A quanto pare due giovani Allievi Auror, Raphael Fawley e Arion Greengrass, hanno coraggiosamente affrontato da soli la Signora Oscura e i suoi uomini, disarmati come tutti i presenti dalla Signora in persona, sono stati poi colpiti ripetutamente dai Neomangiamorte per mostrare alla comunità magica che cosa succederà a chi si opporrà alla sua ascesa.
I due giovani si trovano adesso all’Ospedale per Malattie e Ferite Magiche San Mungo e non ci è stato permesso di incontrarli. Il primario, Anthony Goldstain, ha dichiarato che i due ragazzi sono fuori pericolo e si riprenderanno presto.
Un’ondata di violenza si è scatenata in tutta Londra nella notte. Molti Babbani e maghi sono rimasti feriti; mentre gli Auror perdevano tempo al maniero dei Burke, quello che può essere considerato un vero e proprio esercito di Neomangiamorte scatenava il caos nella Capitale.
L’infallibile Potter ha fallito, a quanto pare. Che cosa diranno ora i suoi fan?  Maghi oscuri a piede libero e il nostro Salvatore non riesce a fermarli. Non siamo protetti, chi dovrebbe difenderci non è pronto ad intervenire e il Ministero si rifiuta di darci risposte. In che mani siamo?”
«Per le più consunte mutande di Merlino, se questa mezza troll scrive certe stronzaggini è logico che si scatena il panico!» sbottò Ron gettando con mala grazia il giornale sul tavolo.
In prima pagina svettava l’immagine dell’Uroboro evocato la notte prima sul maniero dei Burke.
«Non avrei mai pensato di dirlo, ma questa volta la Sketeer ha ragione» sospirò Hermione premendosi le mani sulle tempie.
«Non abbiamo la più pallida idea di quali fini abbia quella donna. Siamo diventati il suo giocattolino!» quasi gridò Harry, sbattendo un pugno sulla scrivania e facendo volare tutti i documenti che vi erano accatastati disordinatamente. «Sono mesi che ci attira in ogni angolo dell’Inghilterra scatenando disordini e paura, per poi scappare prima del nostro intervento!».
«Harry». Gabriel Fenwick entrò nell’ufficio, cupo in volto.
«Se ci sono altre lettere di protesta, bruciale! E non ti azzardare a mostrarmele!» soffiò minaccioso Harry.
«È arrivata una chiamata. Ci sono dei Neomangiamorte vicino ad Hyde Park».
Harry emise un verso strozzato, mentre Ron imprecò a mezza voce. «Manda Adrian, insieme ai ragazzi che non erano di turno stanotte».
Gabriel uscì per riferire gli ordini e per un attimo si sentirono urla e imprecazioni, poi dalla porta lasciata aperta entrò la segretaria.
«Che succede, signora Matthews?».
«Oh, non niente Capitano. Delle strillettere hanno presso fuoco» rispose ella, avvicinandosi alla scrivania. «Il vice sotto-Capitano Lewis vi aspetta per iniziare l’interrogatorio».
«Ora andiamo, grazie» la congedò Harry.
«Signore, voleva vedermi?» chiese Gregory Carter entrando dopo aver bussato.
«Ah, sì» bofonchiò Harry, passandosi una mano sul volto stanco. Non aveva dormito per niente quella notte e non sapeva quando sarebbe potuto tornare a casa a riposarsi. E si era anche dimenticato di aver detto a Carter di presentarsi nel suo ufficio prima di prendere servizio. Accidenti! «Ron, Hermione, iniziate ad andare. Portate con voi Gabriel». Attese che gli amici lasciassero la stanza e poi si rivolse al giovane Auror. «Carter, vorrei che tu mi spiegassi che diamine ti è saltato in mente di metterti a discutere con il vice sotto Capitano Lewis» disse stizzito.
«Era un brutto momento ed ho perso il controllo. Ho chiesto scusa a Lewis, anche se non ha voluto sentire ragioni» replicò in un sospiro mesto Gregory.
Harry aveva una vaga idea delle difficoltà e delle situazioni famigliari di tutti i suoi uomini, ma in quel momento non era per nulla incline a conciliare. «Questa non è una giustificazione! Hai estratto la bacchetta contro di lui! Ti rendi conto che questo è sufficiente per buttarti fuori?! Senza contare che Lewis ti stava rimproverando per i tuoi continui ritardi e oggi sei arrivato ugualmente tardi! Hai un’idea di che ora sia? Wilson è dovuto andare a Londra con una squadra, nella quale avresti dovuto esserci anche tu!».
«Mi dispiace, signore» replicò Gregory, passandosi una mano tra i capelli corti. «Sono consapevole di aver commesso un errore… anzi più di uno negli ultimi tempi, ma la prego mi dia ancora una possibilità… Le assicuro che il mio è stato un gesto impulsivo, non so nemmeno io come mi sia saltato in mente».
«Il sotto vice Capitano non vuole più averti tra i suoi sottoposti. Dovresti sapere che Lewis non perdona l’insubordinazione».
«Capitano, la prego…» tentò Gregory, ma Harry lo bloccò.
«Sei un valido Auror, solo Merlino sa quanto abbiamo bisogno di uomini come te. Avrai una nota di demerito e non prendo ulteriori provvedimenti solo perché non ti posso allontanare dal gruppo operativo in questo frangente. Da questo momento in poi, però, sarai agli ordini diretti di Adrian Wilson. Niente più cazzate, però. Adrian è l’unico sotto vice Capitano che ha accettato di sua volontà di averti tra le sue file. Dubito che avresti un’altra possibilità se dovessi sprecare questa. È chiaro?».
«Sì, signore. Grazie, signore» mormorò Gregory.
«Sono contento che ci siamo capiti» disse Harry alzandosi. «Vieni con me. Dobbiamo interrogare i mercenari che abbiamo arrestato».
In silenzio lasciarono il Quartier Generale in subbuglio per le continue proteste che giungevano dalla comunità magica, che si sentiva in dovere di dire la propria nonostante non avesse la minima idea di ciò che stava succedendo sobillata da articoli di parte come quello della Sketeer. I potenti del Ministero che cosa volevano? Far saltare lui ed Hermione? E poi? Non avevano certo maggiori informazioni rispetto a loro. A differenza di quanto facevano credere ai maghi più ingenui, bramavano solo potere e prestigio. Premette con rabbia il bottone dell’ascensore. Fortunatamente era vuoto, ma pullulava di aereoplanini di carta. Inevitabilmente per la maggior parte degli impiegati le vacanze si erano interrotte prima quell’anno e parecchio bruscamente.
L’ascensore scendeva sbatacchiando rumorosamente, mentre una voce femminile metallica annunciava i vari livelli. Harry non poté dire nulla a Gregory anche se avesse voluto, perché a quello successivo salirono un paio di uomini della Manutenzione Magica, che li salutarono con deferenza. Solo quando la voce annunciò «Ufficio Misteri» scesero con grande sollievo di Harry, che era ancora più arrabbiato perché un Folletto, salito al quarto livello, non aveva fatto altro che mormorare insulti verso tutti i maghi e lui e Gregory si erano ritrovati a dover fungere da servizio d’ordine, visto che i presenti non l’avevano presa bene. Il tutto nello spazio ristretto dell’ascensore.
«Ma che problema aveva quel folletto?» borbottò Gregory. «Ci manca solo una rivolta dei Folletti».
«Non dirlo neanche per scherzo. Quelli non aspettano altro. Hermione mi ha detto che la situazione è tesa, e quel cretino di Dareus White non fa che inasprire i rapporti con loro» ribatté Harry.
«Che cosa vogliono?».
«Che accettiamo e firmiamo la Carta dei Diritti dei Folletti che avevano presentato già negli anni ’90. Naturalmente a quel tempo Caramell e Scrimgeour avevano ben altre priorità».
Percorsero in fretta due rampe di scale, scendendo sempre più in basso e poi un lungo corridoio di pietra, illuminato solo da torce.
«Questo posto è sempre più freddo» si lamentò Gregory.
Harry non replicò, ma si maledisse mentalmente per non aver preso il mantello. Quella parte del Ministero ricordava i sotterranei di Hogwarts, ma erano privi di quel calore che ti può suscitare un luogo famigliare.
«Harry, aspettavamo te» lo accolse subito Ron, quando entrarono in una delle tante sale che si affacciavano sul corridoio.
I tre mercenari erano ammanettati e sedevano su un lato di un lungo tavolo. Non vi era altro mobile in quella stanza.
«Quali sono i vostri nomi?» chiese senza ulteriori indugi.
Erano tre uomini di colore, con i capelli rasati a zero che per un istante li ricordarono i marines americani nei film che i ragazzi lo costringevano a guardare con loro. Ma dei marines avevano solo questo, perché per il resto si vedeva lontano un miglio che non fossero addestrati o allenati: il più giovane dei tre teneva gli occhi bassi ed era così emaciato e sembrava non facesse un pasto decente da molto tempo; quello, che sembrava il più anziano, aveva la barba mal rasata che presentava già diversi fili bianchi, gli occhi acquosi e la schiena completamente piegata in avanti; il terzo, doveva avere all’incirca la sua età, ma era un po’ in carne.
«Allora?» tuonò alzando la voce e facendo sobbalzare il più giovane. «Non parlate l’inglese?».
«Più o meno» mormorò il più giovane. «Io essere Adisa Gamal».
«Di dove sei?».
«Tristan da Cunha».
«Come sei arrivato in Inghilterra? Non hai il permesso, dico bene?».
«Portato via me e la mia famiglia! Ci hanno chiuso su barca e dopo giorni toccato terra. Noi non sapeva che questa è Inghilterra! Poi con Passaporta hanno portato noi in castello. Separati dalle donne e dai bambini e chiuso in celle buie. Poi hanno addestrato noi a combattere. Io non vedere mia mamma e mia sorella da mesi. Vi prego!».
Harry si morse il labbro e gettò un’occhiata ai suoi amici: quelle erano solo altre vittime, delle bestie mandate al macello.
«Avete controllato se hanno qualche simbolo?» chiese a Ron e Gabriel.
«Non ce l’hanno» rispose Gabriel.
«Quanti anni hai, Adisa?» chiese tornando a fissare il giovane.
«Sedici».
Harry strinse le mani al tavolo così forte che le nocche persero colore.
«Chi è che vi addestrava?».
«Diversi uomini. A noi non dicevano loro nome. A parte uno che temevano tutti. Veniva ogni tanto e si divertiva a torturarci o toccava nostre donne».
«Dimmi il suo nome, Adisa» lo sollecitò Harry.
«Gregory Goyle, mi pare» disse il ragazzo aggrottando la fronte nello sforzo di ricordare.
Harry annuì, mentre Ron imprecò.
«In pratica il pesce piccolo. Solo uno come Goyle poteva gridare il proprio nome ai quattro venti» sospirò Hermione.
«Dimmi di ieri notte».
«Stanotte io non so. Portato noi con passaporta in castello e poi detto di entrare al buio. Io non essere bravo con magia e voi arrestato me».
«Chi ti ha insegnato a usare i tuoi poteri? So che c’è una Scuola in Africa. Hai sedici anni, dovresti essere a Scuola in questo momento» intervenne Hermione.
«Sì, abbiamo Scuola. Uogaudou. Ma io non vado, perché dovevo lavorare. Mia sorella sì, ma loro hanno preso noi in estate».
«Lavorare? Ci sono delle leggi internazionali che prevedono l’istruzione dei giovani maghi» commentò Hermione.
«Mia mamma insegnare me» spiegò Adisa.
«Che lavoro fai?» chiese la donna, Harry la osservò interrogativa: che importanza aveva in quel contesto? Se erano state violate delle leggi internazionali, avrebbero riferito a chi di dovere.
«Lavoro per famiglia Enoka».
Harry sgranò gli occhi e per la milionesima volta in vita sua benedisse l’arguzia dell’amica. La famiglia Enoka era una delle più potenti di Tristan de Cunha. «Quindi conosci Aalif Enoka?».
«Sì, signore. Essere mio padrone».
«Il tuo padrone? Questo è assurdo, Harry! Viola i diritti dei Maghi sanciti dalla Confederazione Internazionale dei Maghi dopo la Seconda Guerra Magica!».
«E meno male che ci ha recitato la parte della vittima» bofonchiò Ron.
«Il tuo padrone ha legami con la gente che vi ha rapiti?».
«Non sapere signore» disse il giovane.
Harry annuì e si rivolse agli altri due uomini. «Tu come ti chiami?» domandò al più anziano.
«Dalmar Emenike» disse con voce aspra. «Io ero un insegnante di Incantesimi della Scuola Uogaudou. Conosco perfettamente l’inglese. Sono andato in pensione da qualche anno. Sono stato attaccato nella mia casa sul mare dagli uomini di Abdul-Azeem Kasem. Se conoscete Enoka, allora saprete di chi parlo. Le loro famiglie sono rivali da secoli. Abdul collabora con la Signora Oscura. La prima volta che ho incontrato di persona questa donna è stata proprio stanotte. Se chiedete ai vostri colleghi che mi hanno arrestato vi diranno che non ho opposto la minima resistenza. Chiunque con un po’ di sale in zucca, avrebbe fatto lo stesso. Non siamo mercenari. Vi sbagliate, non abbiamo visto un soldo. Almeno io non lo sono, come questo ragazzo. Nelle celle del castello ci stanno quelli che come noi sono stati rapiti. I mercenari hanno altre sistemazioni. Le nostre donne ed i bambini sono giuochi nelle loro mani. Sono crudeli e senza rispetto. Fanno allenare i bambini con noi. O meglio dovremmo esercitarci su di loro con le maledizioni. Non insegnano a combattere, insegnano a ferire ed uccidere. Che è diverso. Gli uomini di Kasem hanno ucciso mia moglie sotto i miei occhi: era troppo anziana per loro. Non avrei mai preso quel veleno che ci hanno messo nella tunica, perché prima di morire voglio almeno togliermi la soddisfazione di avere giustizia».
«Il castello sa dove si trova?».
«No, nessuno ci ha mai detto nulla. E gli spostamenti avvengono sempre con la passaporta. È in campagna. Non si vedono altre case o costruzioni nelle vicinanze. E comunque è cinto da alte mura e noi non potevamo vedere che rari sprazzi di quello che c’è là fuori. E nessuno degli aguzzini ha mai fatto un nome particolare. A parte Londra od Hogwarts, che è la vostra Scuola, se non erro».
Harry annuì pensieroso e si rivolse al terzo uomo, facendogli le stesse domande, ma comprese immediatamente che aveva di fronte una personalità diversa dalle altre due.
«Mi chiamo Kenon Camara. Sono un mercemago. Ve lo dico tanto so che contatterete anche il Ministero del Sud Africa. Io sono originario di lì. Non so molto più di loro. Il castello è in piena campagna. Ai mercemaghi sono concessi alloggi al primo piano, soldi e cibo decente, ma non certo maggiori informazioni. Il mio Ministero vi chiederà di consegnarmi a loro, perché non ho commesso ancora molto qui, ma vi assicuro che la mia lista di crimini è molto lunga» replicò con sorriso sbieco, rifiutandosi di aggiungere altro.
«Riportateli in cella» ordinò seccato a Ron, Gregory e Gabriel. «Mettete il ragazzo con il professore» sussurrò all’orecchio del primo.
«Che ne pensi, Harry?» chiese Hermione, quando si avviarono insieme verso i piani superiori.
«Faremo le dovute verifiche. Ho bisogno di un mandato per perquisire le proprietà di Goyle e un altro per arrestarlo».
«Te li farò avere entro mezz’ora».
«Perfetto. Sarà un pesce piccolo, ma saprà sicuramente molte cose».
Tacquero appena salirono sull’ascensore.
«Capitano!».
«Merlino, Alexis, mi hai fatto prendere un colpo».
Una giovane Auror gli era apparsa davanti appena le porte dell’ascensore si erano aperte.
«Mi scusi, signore» arrossì lei. «Stavo venendo a cercarla».
«Perché?» chiese Harry, facendo un cenno di saluto ad Hermione.
«Il sotto vice capitano Wilson vorrebbe parlarle. È urgente».
«Va bene, grazie» replicò Harry, entrando in fretta nel Quartier Generale.
«L’aspetta nel suo ufficio» aggiunse la ragazza.
«Adrian, che succede? Li avete pre-». Harry si bloccò vedendo l’affollamento nel suo ufficio. «Che diavolo è questa storia?».
«Niente Neomangiamorte. Solo dei ragazzini che si sfacciano per tali» soffiò irritato Adrian. Seduti nelle sedie di fronte alla scrivania, dietro alla quale prese immediatamente posto Harry, vi erano cinque ragazzi. «Ho provveduto a convocare i loro genitori» aggiunse Adrian.
«In realtà le ho fatto notare più di una volta che io sono maggiorenne. Credevo che gli Auror fossero più intelligenti» intervenne uno dei ragazzi.
«È il figlio di Terry» rispose Adrian al cenno interrogativo di Harry.
«In realtà mi chiamo Jesse Steeval. No Il Figlio Di Terry. Capitano, credo che dovrebbe fare più attenzione quando sceglie i suoi ufficiali».
Harry ed Adrian lo fulminarono con lo sguardo.
«Chi sono gli altri?».
«Alan e Norris Avery. Alan non ha neanche compiuto quattordici anni. Charles Harper e Bartolomè Calliance».
«Se vogliamo essere pignoli, avete commesso anche un altro errore» intervenne quest’ultimo ghignando. «I miei genitori sono Babbani. Non possono venire qui».
«Oh, sì che possono» replicò Adrian. «Accompagnati da uno dei nostri uomini».
Il ghigno scomparve dal volto del ragazzo.
«Spiegatemi che cosa vi è saltato in testa» chiese Harry con voce severa, che tradiva la rabbia che gli ribolliva dentro.
«Volevamo giocare un po’» rispose Jesse Steeval con un gesto vago della mano.
«GIOCARE? VI SEMBRA UN GIOCO QUELLO DI FAR ACCORRERE GLI AUROR?» urlò Harry, la cui pazienza ormai era andata a farsi strabenedire da un bel po’.
«In realtà hanno creato davvero confusione. Hanno fatto scoppiare il panico. Ad Hyde Park c’erano famiglie che sono scappate appena li hanno visti, le hanno colpite con semplici incantesimi. Una squadra di Obliaviatori sta ancora lavorando!» sbottò Adrian.
«Signore!» disse la segretaria, agitata, irrompendo nell’ufficio. «Ci sono delle persone che vogliono vederla, dicono che le ha convocate lei! Anche il Capitano Steeval e dei Babbani!».
«Li faccia entrare» sospirò Harry.
«Harry, che…» le parole morirono in gola a Terry quando entrò, probabilmente per la sua divisa, per primo nell’ufficio.
«Buongiorno, signori. Anzi non è nemmeno un buongiorno. Vi abbiamo convocato perché i vostri figli hanno creato il caos ad Hyde Park indossando le vesti dei Neomangiamorte».
«Neo-cosa?» chiese un uomo sulla cinquantina, lievemente stempiato, ma con una corporatura ancora solida.
«Lei è il signor Calliance, vero?» intervenne Adrian. Al cenno affermativo dell’uomo, aggiunse: «I Neomangiamorte sono dei criminali che usano la magia oscura».
L’uomo rimase senza parole e boccheggiò qualche istante.
«Lei chi è?» chiese Adrian, rivolto ad un uomo, che indossava una veste tradizionale da mago di un bordeaux appariscente. «Rudolph Krueger, sono il tutore di Charles Harper».
«I miei genitori non verranno mai» annunciò Norris Avery. «Vi odiano, fatevene una ragione».
«Ragazzo, tu non sai che cosa state rischiando» sibilò Harry.
«Che cosa?» chiese pallidissimo il signor Calliance.
«Hanno commesso più di un reato: hanno attaccato delle famiglie, per lo più di Babbani; hanno violato il Decreto di Restrizione delle Arti Magiche tra i Minorenni, usato la magia di fronte a Babbani e si sono sfacciati per Neomangiamorte. Ce n’è a sufficienza per trattenervi e sbattervi in cella» rispose senza mezzi termini Harry.
«Mio figlio ha solo sedici anni» sussurrò, evidentemente spaventato il signor Calliance.
«Io sono maggiorenne» cantilenò Jesse Steeval, ignorando l’occhiata di fuoco del padre accanto a lui.
«I ragazzi potranno tornare con voi, ma saranno comunque processati. Dovrete pagare una cauzione, però. A meno che non abbiano già dei precedenti» rispose Harry, guardando Adrian.
«Ho controllato» rispose prontamente quest’ultimo. «Hanno la fedina penale pulita, anche se Avery è uno dei ragazzi che si sono scontrati ad Hogsmeade con tuo figlio e il suo amico».
«Quello non può andare a carico mio. È successo a Scuola» disse sprezzante Avery.
«No, non può» concesse Harry sempre più furioso.
«Quanto costa la cauzione? E per il processo? Insomma sono solo ragazzi! Avete anche voi maghi cose come il servizio civile o simili, no?».
«Non mandiamo un ragazzo ad Azkaban, la nostra prigione di massima sicurezza, a cuor leggero» lo rassicurò Harry.
«La cauzione è di cento galeoni» disse Adrian.
«Quante sterline sarebbero?» chiese il signor Calliance, ma le sue parole furono coperte da Alan, che scoppiò a piangere e strillò: «Mio padre è un Neomangiamorte. Non verrà mai a qui. Vi prego, non voglio andare in prigione. Mi ha obbligato lui! Mi avrebbe cruciato se non l’avessi fatto!».
«SEI MORTO!» gridò Norris alzandosi di scatto nel tentativo di colpirlo, ma Adrian gli puntò la bacchetta alla gola con una rapidità che lo lasciò di stucco. Harry era in piedi con la bacchetta in mano.
«Ammanettalo» ordinò a denti stretti.
Adrian obbedì e poi spinse il ragazzo sulla sedia.
«Corrispondono a cinquecento sterline» spiegò Harry facendo impallidire ancora di più il signor Calliance, che annuì a fatica. Qualcuno bussò e Harry gli diede il permesso di entrare.
«Capitano» disse concitato Rick Lewis. «Il Ministro ha mandato dei documenti affermando che sono urgenti».
Harry prese le pergamene che gli stava porgendo e le scorse velocemente. «Perfetto. Preparatevi ad intervenire. Tu e Gabriel procedete con l’arresto. Dora e tu, Adrian, andrete a fare le perquisizioni. Mandatemi qui un paio di ragazzi».
«Sì, signore» risposero Adrian e Rick in coro.
«Ah, Adrian dì alla signora Matthews di mandarmi un magiavvocato. Alan Avery non può tornare a casa».
«Harry, non ho intenzione di pagare la cauzione».
Harry si voltò di scatto verso Terry Steeval e lo fissò sorpreso.
«Stai scherzando, vero?» sbottò Jesse. «E io dove li prendo cento galeoni? Mi dai una miseria per paghetta!».
«Fatti una notte in prigione. Ti farà bene» replicò Terry, uscendo e sbattendo la porta, che poco dopo fu riaperta da quattro Auror, che si posizionarono all’ingresso in attesa di ordini.
Harry si passò una mano tra i capelli, esasperato. «Ok, mi sembra che non c’è altro da dire. Alexis, Samuel e Laurence portate via Steeval e Avery. Quanto a voi, signor Calliance, signor Krueger, che intenzioni avete?».
«Ecco i cento galeoni» disse il secondo, mettendo sulla scrivania un sacchetto sonante. «Posso portare via Charles?».
«Sì, naturalmente».
«I-io devo recuperare le cinquecento sterline. Non le ho qui con me. Mi deve dare solo un’oretta».
«Bene, terremo suo figlio sotto sorveglianza nel frattempo. Austin, accompagna fuori i signori».
«Allora Alan, siamo rimasti soli» esordì Harry scrutando il volto del ragazzino, ancora in lacrime. «Raccontami qualcos’altro di tuo padre. Voglio solo aiutarti».
«Non so niente delle sue attività» rispose con voce acquosa. «Ne parla a malapena con Norris».
«Ok, va bene Alan» sospirò Harry togliendosi gli occhiali per pulire le lenti.
*
«Papà, ti devo chiedere un favore» disse Frank avvicinandosi. Neville annuì distrattamente, mentre leggeva un tema. Frank si sedette accanto a lui sul divano. Era tardi e la casa era silenziosa, tutti, tranne loro due, dormivano.
«Di che si tratta?» domandò Neville, visto che lui non apriva bocca.
«Domani potresti parlare con zia Angelina?».
Neville tirò una linea rossa e mise un enorme punto interrogativo vicino a una frase. «Perché mai?».
«Per dirle che la punizione che ha dato a Roxi non serve a nulla» disse Frank tutto di un fiato.
Neville si accigliò, segnò una grossa D rossa in cima al foglio e si voltò a osservarlo. Chiunque aveva scritto quel tema, sicuramente non gli aveva reso un bel servizio. Forse una E avrebbe reso suo padre più ben disposto.
«Non ne ho intenzione. Angelina ha tutti i diritti e Roxi se l’è meritata».
«Sì, ma è inutile, capisci?».
«No, non capisco. Spiegamelo» replicò prendendo un altro compito.
«Roxi è arrabbiata. Per principio non studierà mai da sola e soprattutto costretta! E se non studia, non ha senso. Ma se le permettesse di studiare insieme a me, allora insieme faremmo molto di più. In più non può sequestrarle le cose per il disegno, perché lei ci sta male e si arrabbia di più. Non serve a niente!».
«Frank» iniziò Neville serio, ma il ragazzino lo interruppe. «Ti prego, ragionaci.  Io non ho detto che Roxi non abbia sbagliato ultimamente, ma questa non è la soluzione. Così è peggio».
Suo padre sospirò e, probabilmente per prendere tempo, lesse le prime righe del tema che aveva preso dal mucchio. «Che ti costa farlo notare a zia Angelina? Ti prometto che studieremo e non perderemo tempo».
«Lo spero bene. Parlerò con Angelina e le dirò di pensarci. Le dirò che è meglio se lavorate insieme o qui o a casa sua, in modo che qualcuno di noi vi possa controllare. Per quanto riguarda il disegno, se vuoi glielo accenno, ma non tenterò di convincerla. È una delle principali fonti di distrazione per Roxi, anche a lezione, negli ultimi tempi, non ha fatto altro che disegnare. Guarda che Fred mi ha detto del parapiglia che è scoppiato in treno a causa delle sue vignette».
«Ci dovete controllare, perché non ti fidi? E poi è colpa di Fred quello che è successo in treno, Roxi ci è rimasta malissimo. Non vorrai censurarla!?».
«Censurarla, che parole Frank. Non farò un bel niente, né ora né quando torneremo a Scuola. Ho consigliato a Fred di comportarsi in modo adeguato alla sua età. Tra poco diventerà maggiorenne e litiga ancora per certe cose con sua sorella più piccola. Vi teniamo sotto controllo, tutto qua. Mi fido di te».
«Sì, ok. Ti devo parlare anche di un’altra cosa, però. È un po’ che ci penso».
Neville sospirò. «Non possiamo rimandare a domani? Volevo finire di correggere i temi del quinto anno».
«Solo cinque minuti» lo pregò Frank e a un cenno affermativo del padre continuò. «Quando mi sono azzuffato con Calliance e gli altri, ho chiesto a Calliance perché ce l’ha con me se io non gli ho mai fatto nulla».
«Ah, e cosa ti ha risposto?».
«Che è invidioso perché voi mi volete bene, mentre suo padre non accetta che lui e i suoi fratelli siano maghi».
«Ti ha detto proprio così?».
«Sì, ha detto che quando li guarda è come se si chiedesse perché non sono normali».
Neville scosse la testa. «Temo che abbia frainteso. Quest’estate dopo che mi hai raccontato che facevano i prepotenti con te sono andato a parlare con i loro genitori. Ti assicuro che il signor Calliance è stato il più disponibile e gentile, se fosse stato ostile verso il nostro mondo non credo sarebbe stato così bravo a fingere. L’ho rivisto anche quando ho sospeso Charles. Abbiamo parlato tranquillamente».
«Dici che Charles mi ha mentito?» chiese Frank accigliandosi.
«Magari no, lo pensa realmente. Alle volte noi genitori non sappiamo spiegarci o siete voi che ci fraintendete. Io penso che sia andata così. Parlerò con il signor Calliance nei prossimi giorni, così forse risolveremo questa storia una volta per tutte».
«No, no, poi magari si arrabbia e se la prende con Charles e Charles se la prenderà con me».
Neville sbuffò. «Non sopporto questi discorsi, è chiaro?» disse in tono tagliente.
Frank annuì e distolse lo sguardo.
«Bene, se non mi devi dire altro, va’ a letto».
«Sì, papà. Buonanotte» replicò Frank, chinandosi e dandogli un bacio sulla guancia. Neville lo trattenne e gli sussurrò: «Anche se ti sembra difficile, bisogna combattere, non subire passivamente». Lo baciò sulla fronte. «Buonanotte».
*
«James? James!»
James smise di battere la bottiglia contro la scala di legno del letto a castello e si rivolse alla nonna. «Che c’è?».
«Che stai facendo?».
«Cerco di aprire la bottiglia» rispose come se fosse normalissimo tentare di aprire una bottiglia in quel modo.
«In quel modo? Pensavo che qualcuno di voi stesse litigando» borbottò nonna Molly.
«È la bottiglia del Torneo, non si stappa in nessun modo. I Babbani hanno un proverbio: “A mali estremi, estremi rimedi”».
«Lasciali stare a tuo nonno i Babbani. E comunque non credo che sia la soluzione più adatta».
James sbuffò lanciando la bottiglia sul letto con un gesto di stizza e sedendosi. «Non ho idee migliori» bofonchiò.
«Beh, rompere il letto non ti aiuterà» replicò la nonna. «Hai vestiti da lavare?».
«No».
«Jamie, che hai?» chiese a bruciapelo Albus entrando nella camera, appena lasciata dalla nonna.
«Non riesco ad aprire la bottiglia» soffiò irritato James.
«Non fammi ridere, tu non ti preoccupi delle scadenze se non pochi giorni prima del termine… come i compiti in classe…».
«Non è un compito in classe!» sbottò James. «Rischio la vita!».
«James, qual è il vero problema?» replicò testardamente Albus, scansando il cuscino che James gli tirò in risposta. Albus attese pazientemente.
«Benedetta. I suoi genitori non vedono di buon occhio il fatto che si sia fidanzata! Sono troppo asfissianti! Non serve a niente nemmeno il fatto che sono figlio di Harry Potter! Miseriaccia!».
«Non ti conoscono neanche!» commentò solidale Albus.
«Il problema è il fatto in sé» intervenne Robert, cui non erano sfuggite le loro parole, mentre entrava. «Lui è un maschio e sta troppo vicino alla loro bambina».
«Non gli piacerò mai» si lagnò James. «Forse se fossi tu Al…».
«Che c’entro io?».
«Come che c’entri?!» ribatté James fissandolo infastidito. «Tu sei tranquillo e bravo a Scuola! Tutti i genitori ti vorrebbero come fidanzato per la propria figlia!».
«Tu sei fuori! Vuoi aiuto con quella bottiglia?».
«No! No! Non me ne frega niente!» quasi urlò James, lanciando la bottiglia dall’altra parte della camera. Fece un gran fracasso, ma rimase intatta. «Porco Merlino».
«Jamie…?» chiamò Robert preoccupato.
«Mi manca Benedetta» sussurrò lui, buttandosi sul letto.
«Scusate, posso entrare?».
Albus e Robert si voltarono di scatto verso la porta, dove si era fermata Apolline.
«Sparisci» ringhiò James senza nemmeno alzare la testa dal cuscino.
«Ma…».
«HO DETTO SPARISCI!» urlò James sollevandosi bruscamente e fulminando la ragazza con lo sguardo. «Lasciatemi solo anche voi» disse poi ai due ragazzi.
*
Roxi sospirò e mise da parte il manuale di Pozioni, il rotolo di pergamena e l’inchiostro, poi fissò con desiderio l’album sul letto e sospirò. Aveva abbandonato il disegno soprattutto per Frank: fatto il tema, lo avrebbe potuto aiutato più facilmente. Adesso, però, non avrebbe avuto più motivi per non terminare il disegno che aveva iniziato. E lo doveva sempre a Frank: era grazie a lui che la madre le aveva restituito il materiale per disegnare. Sospirò di nuovo e si diresse in cucina. Doveva ancora fare una cosa. Sua madre era sul divano e ascoltava con attenzione la radio.
«Turner prende la pluffa e la passa a Barsley… si avvicina agli anelli… ecco che tira… per la miseria! Grande parata di Hurst! Il punteggio rimane fisso sul trecento a centotrenta per i Ballycastle Bats. Di questo passo i Cannoni di Chudley finiranno ultimi in classifica anche quest’anno!».
«I Cannoni sono messi così male?» chiese Roxi, scivolando seduta accanto alla madre.
«Sì. L’unico giocatore decente è Audley. È un Cercatore molto giovane e promettente. Però non si vince da soli, vedi anche se dovesse riuscire a prendere il boccino quasi sicuramente i Bats vinceranno, perché i suoi giocatori sono molto più forti».
«Voi quando affronterete i Bats?».
«Fra due settimane. Sarà una partita decisiva, per ora sono primi in classifica. Se vinceremo avremo la possibilità di superarli. Per questo ho dato vacanza alle ragazze, nelle prossime settimane dovremo mettercela tutta».
«Sono sicura che ce la farai».
«Speriamo» replicò Angelina con un sospiro.
«E i Bats segnano ancora!» strillò il cronista.
«Mamma, ce l’hai ancora con me?» chiese Roxi.
«No, naturalmente. Ero solo arrabbiata, mi dispiace. Sono stata troppo dura, ma ho sbagliato. Ho dimenticato che con te è il modo peggiore di comportarsi. Quando Neville è venuto a parlarmi, mi sono sentita tanto zio Percy!».
Roxi ridacchiò.
«Per fortuna non sei zio Percy!» disse abbracciandola di slancio. «Pace fatta?».
«Certo. Tu, però, non mi fare preoccupare… arrabbiare non te lo dico proprio, tuo padre si chiederebbe con chi l’ho tradito altrimenti!».
Roxi rise più forte e sorrise.
«E Audley prende il boccino! Signori, questo ragazzo è un portento! Ha superato di gran lungo Garner! I Bats vincono comunque per trecentodieci a duecentottanta!».
«È assurdo!» disse Roxi ridendo. «Ha preso il boccino!».
«Te l’ho detto che è promettente!» replicò Angelina sorridente. «Mi mancava il tuo sorriso».
Roxi fece un ampio sorriso che fu prontamente ricambiato.
*
«Ce l’abbiamo fatta, evvai! Grazie mille, Virginia, da solo ci avrei messo molto più tempo».
«Figurati… sono contenta di averti aiutato… Albus».
«Hai guardato il libro che ti ho mandato?».
«Sì. Mi sembra molto raro, come hai fatto ad averlo?».
«Mia zia Hermione quando si tratta di libri è insuperabile».
«L’ho sfogliato tutto, è davvero roba complessa» sussurrò Virginia. Suo padre Adrian era sdraiato sul divano e si riposava perché quella sera avrebbe avuto il turno di notte. «E ho letto con attenzione le pagine che mi hai indicato. Non possiamo chiedere alla De Mattheis, vero?».
«Secondo te ci aiuterebbe?» replicò scettico Albus.
«No, non credo che la prenderebbe bene. Non vorrei che insomma fosse un po’ azzardato da parte nostra. Non sarebbe meglio che ne parlassimo con qualcuno?».
«E con chi? Zio Neville? Non credo che ne sarebbe felice».
«Questo, però, vale per tutti… Non lo so, è che penso sarebbe più saggio parlarne con un adulto… Williams? È un Auror».
«Forse… comunque meno persone sanno meglio è».
«Ok».
«Virginia! Ancora così sei?».
I due ragazzi e lo stesso Adrian, che si era lievemente assopito, sobbalzarono.
«Mamma, ti avevo detto che sarebbe venuto il mio amico…» bofonchiò Virginia.
«E io ti avevo detto che puoi seguire le lezioni di danza solo durante le vacanze. Gli amici possono aspettare».
«E quando pensi che sia il momento giusto per nostra figlia di stare con gli amici?» domandò infastidito Adrian, che si era messo a sedere.
«Nel cambio delle ore e qualche volta durante l’intervallo» replicò la donna rivolgendogli un sorriso gelido. «Avanti, Virginia ti voglio pronta in cinque minuti».
«Sì, mamma» mormorò Virginia, senza il coraggio di guardare Albus.
«E comunque gradirei che venisse chiesto anche il mio parere sulle persone che frequenta nostra figlia» disse ancora la donna.
Adrian la fulminò con lo sguardo e le disse: «Guarda che io sto attento a chi frequenta nostra figlia. Non osare insinuare certe cose!».
«E approvi questa frequentazione? Non hanno fatto nulla di Scuola per tutto il pomeriggio».
«Ci siamo esercitati in Antiche Rune» intervenne Albus in aiuto dell’amica.
«Nessuno ti ha chiesto di parlare, ragazzo».
«Ashley, non esagerare» sibilò Adrian.
«Ashley, sono pronta». Una ragazza dai lunghi capelli biondi entrò in cucina.
«Lara» l’accolse la donna con un sorriso. «Vedi, Virginia dovresti imparare da Lara. Ha ottimi amici, ottimi voti ed è un’ottima ballerina».
«Sì, mamma» rispose Virginia, scappando al piano di sopra.
«Ragazzo, evita di importunare mia figlia» sussurrò la donna.
«Ashley!» la richiamò Adrian.
«Dì a tua figlia che l’aspetto fuori» replicò ella ignorandolo.
Virginia ritornò in cucina meno di cinque minuti dopo con un sacca. «Scusami, Al. Se posso ti mando un gufo. Ci vediamo a Scuola». Dopo un momento di titubanza gli diede un bacio sulla guancia e mentre correva dalla madre, Albus ripensò alle parole che James gli aveva detto pochi giorni prima. Quanto aveva torto!
*
«Su, Benji concentrati» sospirò Dorcas, spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«La fai facile tu» si lamentò il ragazzino.
«Sei stanco?» gli chiese pazientemente.
«Sì, basta. Andiamo a letto» borbottò nervoso Benji.
«Se vuoi posso aiutarti a fare i compiti anche a Scuola. Qualche ora il pomeriggio. Così non ti combini di nuovo come ora».
«Lo faresti davvero? Non devi fare i compiti anche tu?».
«Li faccio prima o dopo e se non riesco a finirli possiamo sempre farli insieme».
«Come quando eravamo entrambi a casa?».
«Sì, certo».
Il ragazzino la abbracciò di slancio e Dorcas sorrise. «Grazie, pensavo che non avessi tempo!».
«Che scemo che sei! Siamo fratelli, no?».
«Sì. Sono uno scemo».
«Siete ancora svegli?».
I due fratelli sobbalzarono: il padre era sulla soglia della camera di Dorcas e stava indossando in fretta la casacca della divisa.
«Che succede?» chiese allarmata Dorcas, vedendo la madre in vestaglia fare capolino dietro il padre.
«C’è stato un attacco. A quanto pare stavolta è grave. I ragazzi di turno sono già intervenuti, ma il Capitano ha chiesto anche i rinforzi. Voi?» replicò rapidamente Gabriel Fenwick. «Lascia stare, ho capito» la precedette. «Benji non aveva fatto ancora i compiti delle vacanze. Domani faremo i conti, ora devo scappare».
Dorcas voleva dire qualcosa in difesa del fratellino, ma il padre baciò rapidamente entrambi e corse via, ebbe a malapena il tempo di sussurrargli «Torna presto» sentendosi terribilmente infantile. Non era più una bambina. Sapeva che fare l’Auror era un mestiere pericoloso. Quando la madre tornò indietro dopo aver accompagnato il marito fino all’ingresso dove si era smaterializzato, li osservò eloquentemente. «Beh non avete sonno? È tardissimo!».
Benji si riscosse, diede un bacio a Dorcas e alla madre e scappò nella sua stanza.
«Sei una sorella fantastica» sussurrò la mamma accarezzandola. Dorcas la fissò per un momento, poi non riuscendo a trattenersi le chiese: «Come fai?».
«A far che?».
«A vederlo correre via così senza sapere se tornerà».
«Non dire così, Dorcas. Ti prego… Siamo sposati da quasi sedici anni e ci conosciamo da molto di più. Abbiamo vissuto una guerra…» sussurrò. «Essere un Auror è una parte di lui, quando l’ho sposato lo sapevo. Soffro tantissimo quando lo vedo scappar via, ma che cosa vuoi che faccia? Che mi metta a strillare? A lamentarmi? E voi che direste? Bisogna imparare a essere forti» sospirò. «Su, ora dormi. Sono sicura che la piccola peste avrà ancora bisogno del tuo aiuto domani».
Dorcas annuì e si mise a letto, ma ebbe difficoltà a prendere sonno. Quando aprì gli occhi non penetrava luce dalla finestra, ma la sveglia segnava le nove passate. Stava piovendo e parecchio. Sentì delle voci in corridoio e saltò fuori dalle coperte. «Papà, sei tornato!» quasi strillò.
«Shhh» la fermò sua mamma. «Svegli Benji e Doc così!».
«Sto bene» prevenne la sua domanda Gabriel.
«Hai una faccia però» mormorò.
Gabriel sospirò e annuì. «Vieni ti devo parlare».
Dorcas si inquietò sentandolo così serio e si lasciò condurre nella sua camera e si sedette sul letto. Gabriel prese posto accanto a lei.
«Sei una ragazza intelligente, quindi è bene che tu sappia quello che è accaduto questa notte… I Neomangiamorte hanno smesso di giocare e hanno iniziato ad attaccare le famiglie purosangue che difficilmente si schiererebbero dalla loro parte».
«Chi hanno attaccato?» quasi bisbigliò Dorcas.
«I Mcmillan».
«Cosa? Stanno bene?».
«Sono stati attaccati i genitori del tuo professore e lui ha tentato di aiutarli prima che una nostra squadra intervenisse. Purtroppo non ha fatto in tempo. I due anziani sono stati uccisi ed Ernie Mcmillan è stato gravemente ferito. Fortunatamente il resto della famiglia se l’è cavata meglio. Susan Mcmillan e il figlio Rimen sono stati colpiti di striscio».
«Che cosa succederà adesso?» chiese Dorcas, dopo aver provato a metabolizzare le informazioni ricevute.
«Non lo so. Tu stai attenta, però. E non perdere d’occhio tuo fratello. Sai che è troppo impulsivo e non pensa mai prima di agire».
Dorcas annuì, spaventata da quelle parole. «Ma il professore…?». Lasciò a metà la domanda, incerta su come concluderla.
«Al San Mungo. I medimaghi sono positivi. Naturalmente avrà bisogno di tempo per riprendersi completamente».
*
«Al, ti devo dire una cosa importante» disse Rose, sedendosi sul suo letto.
Albus annuì distratto e continuò a leggere.
«Al! È davvero importante! Se non lo dico a qualcuno impazzisco!».
«Ti ascolto» concesse il ragazzo dopo aver chiuso il libro con un sospiro.
«Misonopresaunacottaperunragazzo» disse Rose velocissimamente, tanto che Albus fece faticare a comprendere.
«Una cotta? Sei già uscita con Zabini, Fortebraccio, Moore e persino Gabriel Fawley del quinto anno! Non è una novità!».
«Quelle non erano vere cotte! Beh a parte Fawley che, per essere secchione e Serpeverde, è bellissimo. Stavolta sono davvero persa!».
Albus la osservò scettico e chiese: «Chi sarebbe?».
«Scorp» mormorò a voce bassissima Rose, ma suo cugino riuscì a capire lo stesso e sgranò gli occhi.
«Oh, Merlino» fu l’unico commento che proferì Albus.
«Sul serio? Ma sai che piace anche a me!» strillò una voce. Lily Potter era entrata nella stanza con le braccia incrociate al petto. Dalle mani le pendevano un paio di orecchie oblunghe. Albus e Rose sobbalzarono.
«Lily! Bussa prima di entrare in camera mia! E non origliare! Lo dico alla mamma!» strillò Albus irritato.
«Sì, come no… e io dico a tutti che Rose è cotta di Scorp».
«Non. Ti. Azzardare» sibilò Rose puntandole contro la bacchetta.
Albus saltò giù dal letto e si affrettò a dividerle. «Smettetela per Merlino! Non vorrete finire nei guai gli ultimi due giorni di vacanza? E Rose posa quella bacchetta, potreste farvi male sul serio!».
Rose posò la bacchetta, ma prese Lily per i capelli. «Attenta a quello che fai!» le sibilò nell’orecchio, tirandole la coda.
«Io faccio quello che voglio» replicò la più piccola tirandole un calcio sulla gamba.
«Ahi!» imprecò Rose, mollandola. «Non ti mettere contro di me!».
«Non ho paura» disse Lily spingendola. Rose la placcò alla vita e la buttò sul tappetto. La più piccola si lamentò un attimo e poi le tirò i capelli. Albus tentò di tirare Rose per le spalle.
«Che Merlino state facendo?».
Rose e Lily scattarono così velocemente in piedi, che Albus fu sospinto indietro.
«Niente!» trillarono all’unisono le due cugine, ansimando lievemente.
Harry Potter li fissava sospettoso e serio dalla soglia della porta. Alla loro risposta inarcò un sopracciglio. «Ripeto. Cosa stavate facendo?».
«Era solo un piccolo scambio di opinioni!» trillò Lily facendo un largo sorriso.
«Oh, sì» annuì con convinzione Rose.
Harry le scrutò ancora per qualche secondo. «Spero per voi che abbiate trovato un punto d’accordo. Forza, ora, scendete, Neville è arrivato e la cena è pronta».
«Un punto d’accordo?» mormorò Albus. «Quando siamo io e Jamie a litigare…».
Harry che aveva osservato le ragazze scendere rapidamente le scale bisbigliando, si voltò verso di lui. «Non ho pazienza stasera. Tua sorella non è mai contenta se non ha l’ultima parola». Albus alzò gli occhi al cielo: la principessa di papà. «Probabilmente se avessimo continuato, avrei affatturato la lingua a entrambe. Non posso affatturare due ragazze».
«Mentre a me e Jamie, sì» borbottò Albus.
Harry ghignò e non rispose. «Stavano litigando per qualcosa di serio?».
«No».
«Bene, allora scendiamo anche noi, prima che mamma cominci ad urlare».
Albus non se lo fece ripetere due volte e salutò allegramente i Paciock, per poi sedersi accanto a Frank e Alastor che era arrivato il giorno prima dalla Francia.
«Quindi tuo padre ora sta bene?» chiese Frank.
Alla fine le notizie sui problemi di salute di Kingsley Schacklebolt erano trapelate e ormai ne era a conoscenza tutta la comunità magica.
«Sì. È rimasto in Francia con la mamma per la convalescenza. Tra un mese dovrebbero tornare. Mamma sta tentando di tenerlo lontano da tutte le brutte notizie che vengono da qui, ma lui non riesce proprio a stare tranquillo» rispose Alastor.
«A proposito, come sta il professor Mcmillan?» chiese Albus, spostando lo sguardo dal padre agli zii Neville e Ron.
«Sta meglio» rispose Harry. «Ma avrà bisogno di almeno un mese per riprendersi del tutto».
«Chi lo sostituirà?».
«Rose, non parlare con la bocca piena!» la rimproverò Hermione.
«La professoressa McGranitt sta ancora cercando un supplente» rispose Neville.
«Speriamo non lo trovi» sentenziò Rose, facendo ridere tutti i ragazzi.
«Tu non puoi essere mia figlia» borbottò Hermione. «Se non ti avessi partorita io, avrei pensato che tuo padre mi avesse tradito con Lavanda Brown!». Questa volta furono gli adulti a ridere. Rose assunse un’aria contrariata.
«Tranquilla mamma, ci sono io!» dichiarò Hugo con un ampio sorriso, che si tramutò in una smorfia quando Lily gli pestò un piede.
«Oh, lo so amore» replicò dolcemente Hermione. Rose fece finta di vomitare, ma per fortuna la donna non se ne accorse.
«E Rosie è una campionessa di Quidditch! Un figlio per ciascuno Hermione!» intervenne felice Ron.
La cena trascorse tranquillamente e tra le risate generali, anche gli adulti, che per giorni erano stati seri e preoccupati, si sciolsero e si rilassarono. Dopo aver mangiato un’ottima torta alla melassa si trasferirono tutti nel piccolo salotto. Ginny sparecchiò la tavola con decisi gesti della bacchetta. Solitamente obbligava i figli a farlo, ma stasera anche ella sembrava voler evitare ogni polemica.
«Ehi zio, posso dirti una cosa?» chiese Frank a bassa voce. Harry annuì incuriosito. «Ho incontrato una persona, che mi ha chiesto di te… ehm dice che non ti vede da molto tempo e le manchi…».
Harry aggrottò la fronte tentando di capire di chi stesse parlando. «Uhm e dove l’hai incontrata?».
«A Scuola» rispose vago Frank.
«Ah, e chi sarebbe?».
«Ti prego, non ti arrabbiare. Io le ho promesso che saresti andata a trovarla almeno una volta».
«Frank, ti chi stai parlando?» ripeté Harry.
«Mirtilla Malcontenta» rispose abbassando ancora di più la voce, ma non abbastanza per non farsi sentire da Harry. «Non mi ammazzare, ti prego» supplicò. Harry lo fissò allibito per qualche secondo, poi scoppiò a ridere attirando l’attenzione di tutti.
«O Merlino, erano settimane che non ridevo così!» sospirò Harry, una volta calmatosi.
«Perché non fate ridere anche noi?» chiese Ginny, sedendosi sul bracciolo della poltrona di Harry e sfiorandogli le labbra con un bacio. Frank arrossì alla richiesta. «Oh, Ginny, tesoro, si tratta di una mia vecchia fiamma» sorrise Harry.
Ginny assottigliò lo sguardo e tutti gli altri risero di gusto. «Ah, e chi sarebbe?» sibilò.
«Mirtilla Malcontenta».
Una nuova, sonora risata risuonò nel salone. «Amico, ma ti sei bevuto il cervello?» sghignazzò Ron.
«Se vuoi lasciarmi per lei, non c’è problema» sussurrò Ginny. «Ma lei non ti bacerà mai come faccio io» aggiunse baciandolo dolcemente. Hermione e Hannah applaudirono, mentre Rose e James fischiarono divertiti. Di sotto fondo si sentì la risatina di Aurora, che non aveva capito nulla naturalmente, e allungava le manine verso gli occhiali di Albus.
«Mai, amore mio!» replicò Harry baciandola a sua volta.
«Molto divertente, ma ora finitela» disse Lily, alzandosi dal tappeto dov’era seduta vicino ad Alice e buttandosi letteralmente sulle ginocchia del padre, che emise un gemito. «Stai invecchiando» commentò la ragazzina facendo ridere tutti.
«O sei tu che stai crescendo» borbottò Ginny, andando a giocare con Aurora sul tappeto.
«Ma come ti è venuta in mente Mirtilla?» chiese Ron divertito.
«Frank» rispose Harry.
«Ehm è una storia lunga» bofonchiò il ragazzino, sentendosi fissato. «Veramente ha chiesto anche di Draco Malfoy».
A quest’affermazione vi fu un nuovo scoppio di risa. Ron, Harry e Neville impiegarono parecchio tempo a riprendersi.
«Glielo diciamo, Harry? Ti pregoooo» disse Ron, con ancora le lacrime agli occhi.
«Meglio di no» replicò Harry, ricomponendosi. «Non parliamo di Malfoy stasera». Albus, infatti, li aveva gettato un’occhiata curiosa: Scorpius era stato costretto a tornare a casa, ma che suo padre si fosse unito ai Neomangiamorte sembrava loro molto probabile e non comprendeva come lo zio pensasse di scherzare con lui come se nulla fosse.
«Ti devo dire una cosa, papà» dichiarò Lily, abbassando la testa all’indietro per guardarlo in volto.
«Dimmi tutto, principessa» replicò Harry, mentre prendeva il bicchiere di whisky che gli porgeva Ron. Albus e James si scambiarono un’occhiata divertita.
«Mi sono presa una cotta per un ragazzo» gli comunicò candidamente la ragazzina. Harry sputò il whisky, provocando nuove risate, cui stavolta non si unì. «Ehm principessina, non sei troppo piccola?».
«Mamma aveva dieci anni quando si è innamorata di te».
Ron era piegato in due dalle risate, quindi Harry cercò l’aiuto di Ginny con lo sguardo, ma ella lo ignorò. James era pietrificato, sempre più convinto di avere la sensibilità di un cucchiaino come lo zio Ron, visto che non si accorgeva di nulla; Albus, invece, dialogava silenziosamente con Rose, improvvisamente seria.
«Sì, ma ci siamo messi insieme quando lei aveva quindici anni».
«Solo perché tu non la vedevi!».
«Lui ti vede?» chiese con fare innocente Ginny. Harry la fulminò con lo sguardo.
«Sì, è sempre così premuroso».
«Questo è l’importante, tesoro» commentò Ginny.
«Ho paura che, però, a te non piaccia papà» disse Lily dolcemente.
Albus, James e Rose si fissarono per un attimo: era una brava attrice.
«Perché non dovrebbe?» chiese incerto e preoccupato Harry.
«Perché si tratta di Scorpius Malfoy… Tu odi la sua famiglia» rispose Lily. L’effetto fu immediato: Harry rimase a bocca aperta, così come Ginny, Ron smise di sghignazzare e assunse uno sguardo sgomento. Rose e Albus si pietrificarono sul posto. Hermione e Hannah risero maliziosamente; mentre Neville si grattava la testa imbarazzato, similmente Alastor non sapeva che dire, Robert tentava di non ridere, Alice osservava ammirata l’amica, Augusta era perplessa.
«I-io… beh… ehm… Scorpius è un bravo ragazzo…» bofonchiò Harry.
«Davvero, papà?».
«Sì, ma, piccola mia, non vorrai crescere troppo in fretta?».
«Ma no! Tranquillo, nessuna fretta! Però volevo vedere come l’avresti presa in futuro. Ora sono tranquilla!».
«Dopotutto saresti un ipocrita in caso contrario. Ci hai insegnato tu a non giudicare una persona dal suo nome o dal suo Stato di Sangue» intervenne Albus. Harry annuì, ancora preoccupato per le parole di Lily.
«Ma che ipocrita e ipocrita! Harry! Miseriaccia, stiamo parlando di Malfoy! È tutta colpa vostra!» sbottò Ron indicando Rose e Albus. «Non avreste dovuto diventare suoi amici!».
«Zio ma che dici?» replicò incredulo Albus.
«Ron!» lo richiamarono Hermione, Harry, Ginny e Neville.
«Ron, un corno! Lily, devi stargli lontano!» insisté Ron.
«Cambia argomento» sussurrò Albus a James, accennando con il capo a una Rose particolarmente scossa. James li osservò stupito, poi annuì. «Ehi vecchi! Vi va una sfida a twister?».
Varie proteste si levarono dai presenti, soprattutto dalle donne, che furono le prime ad accettare la sfida. Albus lo ringraziò con un cenno. Da quel momento in poi la serata trascorse tranquillamente senza altre discussioni.
 
«Papà» chiamò Lily. Harry che era andato nella sua camera per darle la buonanotte si sedette sul ciglio del letto. «Sei il migliore del mondo» dichiarò, dandogli un bacio sulla guancia.
«Uhm come mai mi sono meritato questo titolo stasera? Fino all’altro giorno hai detto che non volevi più vedermi!».
«Ero arrabbiata» replicò Lily con noncuranza. «Saresti disposto ad accettare un Malfoy per suocero pur di vedermi felice!».
«Già, sono proprio cotto» sorrise Harry.
«Sì, ma tranquillo sul serio, eh! Io sarò ancora la tua principessina per un po’! Scorpius non mi piace più di te! Mi piace come Al e Jamie!».
«Ma Al e Jamie sono i tuoi fratelli» ribatté Harry, non riuscendo a comprenderla.
«Appunto».
«Non capisco».
Lily sbuffò spazientita. «Mamma ha ragione che sei proprio tonto in queste cose! Come Albus, in effetti, ma non glielo dire che si offende».
«Ehm perché non mi spieghi?».
«Promettimi che non lo dici a nessuno però».
«Nemmeno alla mamma?».
«Mamma non conta, lei sa sempre tutto. Non dirlo a zio Ron. Promettilo!».
«Lo giuro!».
«Rose ha una cotta per Scorp. Volevo dimostrarle che può fidarsi di me, non solo di Al. Volevo mettere zio Ron alla prova. Rose stava per piangere, non l’ho mai vista così» mormorò Lily sinceramente dispiaciuta.
Harry sospirò. «Su, non ti preoccupare. Zio Ron è testardo, ma alla fine cambia idea. Non ci pensare, ora. Dai, mettiti a dormire».
«Buonanotte, papà».
«Buonanotte, principessina».
«Ah, papà».
«Sì, amore?».
«Non rinuncerò ai Malandrini, come pensa zia Hermione. Io e Alice troveremo qualcuno che ci sosterrà più di Hugo e Marcellus. Comunque prima di cena abbiamo fatto pace con Hugo, non posso tenergli il muso».
«Sono contento per te».
 
   
 
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