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Autore: Ayla    17/01/2018    0 recensioni
La storia partecipa al contest indetto da E.Comper sul forum EFP, ‘Fairy and Spirits - Raccontami una Favola.
"Molti secoli fa, grazie ai portali, la Terra era in contatto con un mondo fantastico, completamente diverso: esso rispondeva al nome di Faeria. Essa era una terra fertile, rigogliosa; ricca di foreste, campi, fiumi e laghi; punteggiata da cittadine e grandi castelli occupati da re, regine, principi e principesse. Ma un giorno la loro esistenza sarà messa in pericolo e solo una persona potrà tentare di salvarli..."
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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DUE

 

Una luce intensa fece percepire a Dalen un mondo luminoso dietro le palpebre serrate, quando sentì che cominciava a dargli fastidio si ridestò aprendo pigramente gli occhi. Era ancora scosso da tutti gli avvenimenti precedenti, lentamente un ronzio che risuonava nelle sue orecchie si tramutò in un insieme di suoni ovattati e gli ci volle un bel po’ per capire che non si trovava più nella sua città ma in un vicoletto a lui sconosciuto. I suoni ovattati presero sempre più forma e il ragazzo vi riconobbe i rumori inconfondibili e festosi del mercato, barcollante si alzò e uscì dal vicoletto vuoto, per essere investito da un tripudio di colori, odori ed urla dei mercanti che richiamavano i clienti alle loro bancarelle.
Improvvisamente si ricordò del libro di Noiro, febbricitante controllò di aver portato con sé la borsa e con sommo sollievo la trovò a fianco con all’interno il suo amato tomo; lo afferrò e sfogliandolo capitò su una pagina grazie alla quale comprese dove si trovava: nel più grande Mercato di Eosel, nella città di Zerkatt. A quel punto Dalen si immerse in esso, lasciandosi guidare dagli odori pungenti e delicati dei prodotti veduti, dai colori vivaci e dai suoni frastornanti.
Sollevò lo sguardo e vide che il cielo era di un azzurro limpidissimo, ma osservandolo meglio notò un effetto liquido in perpetuo e lento movimento, sembrava che ci fosse una barriera magica sulla cittadina. Era talmente perso da ciò che lo circondava che non si accorse di una figura incappucciata che, correndo, si scontrò contro di lui per poi cadere a terra rovinosamente sotto gli occhi di tutti.
Dalen alzò lo sguardo e con sua sorpresa, sotto al cappuccio si trovò a fissare due iridi rosse verso la pupilla e che tramutavano in dorato verso il contorno di esse; al di sotto degli occhi due simboli sinuosi, che ricordavano due “E” speculari, disegnavano le guance della figura che si rivelò essere una ragazza.
-Tu… Tu sei una…- furono le uniche parole che riuscì a formulare prima che la sconosciuta gli afferrasse il braccio sollevandolo di peso.
-Fermati ladra!- tuonò una voce dietro di lei, accompagnata dal rumore di ferraglia appartenente alle spade ed armature delle guardie reali.
La ragazza scattò, trascinando con sé anche il ragazzo in una fuga rocambolesca; come una gatta riusciva a sgusciare tra la gente senza alcuna fatica, contrariamente ai loro inseguitori. Improvvisamente lei voltò l’angolo portando dietro di sé anche Dalen, incappando in un vicolo cieco, la ragazza freneticamente si guardò intorno in cerca di una via d’uscita, non prestando attenzione alle domande del ragazzo sul suo conto. Ad un certo punto lei si voltò verso di lui, recuperò una borsetta e gliela mise tra le mani per poi piegare le labbra in un sorrisetto, portarsi due dita alla fronte mimando un saluto militare ed arrampicarsi sul muro di una casetta per saltare da un tetto all’altro. Il ragazzo la guardò stupito, cercò di chiamarla ma senza ottenere risposta; un rumore di ferraglia alle sue spalle, conosciuto poco prima, gli fece capire che era stato ingannato.


Venne trascinato e scaraventato a terra nel salone del trono, all’interno dell’enorme castello; i soffitti erano così alti che lo sguardo si perdeva e si provava un sentimento di smarrimento misto ad inferiorità, i muri adornati con arazzi variopinti raffiguranti le gesta di qualche eroe leggendario, i soldati erano posti lungo tutto il perimetro della stanza e pochi dietro al prigioniero.
Da dietro la tenda pesante, che metteva in comunicazione il salone con il resto degli interni, emerse un uomo, alto, con fare regale, seguito da un piccolo capannello di persone a testa bassa, si sedette sul trono e posò il suo sguardo altero sui presenti.
Una delle guardie si inginocchiò di fronte al re spiegando che avevano trovato uno sconosciuto in compagnia della ragazza del mercato che, come Dalen sospettava, era una Úmarth. Un altro soldato si fece avanti con la borsa della faeriana, rivelando il contenuto che consisteva in cibo ed alcune erbe che il ragazzo non aveva mai visto prima.
Gli occhi severi del regnante fissarono quelli smarriti del prigioniero e, con voce tonante e dura, gli chiese chi fosse e da dove provenisse.
-Mi chiamo Dalen e vengo dalla Terra- disse lui ritrovando la sua sicurezza, aveva capito che da lì sarebbe iniziata la sua avventura e aveva intenzione di abbattere qualsiasi ostacolo, fosse esso un regnante o meno. L’uomo battè un pugno sul bracciolo del trono: -Bugiardo!- urlò -Sono millenni che i portali tra Faeria e la Terra sono stati sigillati! Nessun umano può attraversarli-.
-Io sono un faeriano! Faccio parte di quei pochi che in passato hanno trovato l’unico portale sfuggito alla dea Nimrodel scampando a questa guerra!-.
Il re si adirò ancor di più, sostenendo fermamente la sua tesi, un’altra guardia si avvicinò al regnante con in mano un oggetto molto familiare a Dalen: era il suo libro; si abbassò in un inchino sussurrando qualcosa all’uomo mentre glielo passava. Quest’ultimo prese a sfogliare il tomo, trovando molte informazioni sulla sua gente e Faeria, lo richiuse con un gesto secco, lo sguardo imperscrutabile.
-Lavori per lui? Sei una sua spia?- chiese duro, Dalen non capiva, “lui”? Chi era questo “lui” che anche i suoi genitori avevano nominato? Non ottenendo alcuna risposta, il re aprì bocca per formulare la sua sentenza, quando il portone d’ingresso si spalancò.
Una decina di guardie trascinarono a fatica la sconosciuta del mercato e la costrinsero ad inginocchiarsi a fianco del ragazzo, e le strapparono di dosso un’altra borsa nella quale trovarono altro cibo. Lei cercò di dimenarsi e nel farlo il cappuccio cadde sulle spalle liberando la folta e lunga capigliatura mora, le orecchie leggermente appuntite; puntò i suoi occhi bicolore rabbiosi sulla figura del re e storse la bocca in una smorfia di sdegno.
-Ma guarda chi è tornata a farci visita, la nostra ladruncola Eleswin. Hai deciso di trovarti un compagno di giochi?- disse il sovrano.
-Non ho mai visto questo ragazzo prima di oggi- rispose lei.
Soddisfatto, il re si alzò dal trono e tutti i presenti si misero sull’attenti: -Bene, allora direi di procedere. Io, re Leithan di Zerkatt accuso la ladra Eleswin di furto e la condanno ad essere portata domani mattina sui monti Úroth- poi si voltò verso il ragazzo -Inoltre, ordino che il prigioniero venga interrogato stanotte stessa, in quanto sospettato di spionaggio-.
Detto questo si ritirò, ma prima di vederlo sparire, Dalen urlò: -Io posso porre fine a questa guerra! So come fare! Ascoltatemi!- l’uomo si girò e subito dopo l’attenzione dei presenti venne catturata da un’apparizione: per un breve tempo, in mezzo alla sala comparve l’alce bianco. Un’ombra passò sul volto del re, ma svanì subito dopo e scrollando la testa sparì dietro al tendone. I due ragazzi vennero scaraventati nella stessa cella fredda ed umida, i soldati che li avevano accompagnati si allontanarono ridendo e scherzando tra loro.
La ragazza si lanciò verso le inferriate inveendo contro le guardie e promettendo di riuscire a scappare come sempre, ma non appena toccò le sbarre si ritrasse emettendo un grido di dolore.
-Dannazione… C’è una barriera antimagia- mugugnò a denti stretti, si andò a sedere in un angolo della cella premendo i palmi delle mani tra loro.
Dalen si mosse verso di lei per vedere come aiutarla, ma lei si mise sulla difensiva: -Non ti avvicinare!- gli urlò -Sei stato tu a far apparire quell’alce?- il ragazzo la guardò basito, quando accadeva sulla Terra nessuno a parte lui riusciva a vedere l’animale e quando lo stesso evento era accaduto nel castello, invece, sembrava che tutti lo avessero notato.
Nonostante la poca luce proveniente da alcune fiaccole e dalle piccole finestrelle sbarrate delle segrete, la Úmarth notò l’espressione stupita del giovane.
-Ehi, sto parlando con te… Sei stato tu?- richiese.
-L-l’hai visto? Non è stata un’allucinazione?- chiese Dalen.
-Ovvio che l’ho visto! Così come lo hanno visto tutti in quella stanza! Non passa di certo inosservato…- si bloccò perché si accorse del ciondolo che era scivolato fuori dalla maglia del suo interlocutore. Il ragazzo lo notò, si mise a sedere afferrando il ciondolo: -Ah, questo- distese le labbra in un sorriso amaro -A quanto pare inizialmente apparteneva a mia madre… Io l’ho ricevuto poco prima di trovarmi catapultato qui-.
-Non può essere…- sussurrò la sua compagna di cella -È un evento rarissimo e non si hanno notizie di un avvenimento simile recente…-.
Dalen le chiese di cosa stesse parlando e lei rispose che quello che indossava era un oggetto che apparteneva solo agli Hybris: figli delle ninfe e serviva loro per imparare a controllare i propri poteri; ma era raro trovarne uno poiché esse non erano in grado di innamorarsi, solo in pochissime occasioni avveniva e i loro figli erano molto potenti.
-Mia madre sarebbe una ninfa?- guardò l’alce inciso nel legno -E l’alce? Cosa significa?-.
La ragazza lo guardò basita: -Ma non ti hanno insegnato nulla? Tua madre ha rinunciato alla sua natura di ninfa per poterti dare alla luce. Il suo potere è passato a te e, siccome lei non è più in grado di insegnarti ad usarlo, ha creato questo amuleto con il tuo spirito guida equivalente al suo spirito di ninfa-.
Dalen ascoltava attentamente, per la prima volta non si sentiva l’emarginato della situazione, si sentiva a casa. O meglio, era finalmente a casa.
-L’alce, quindi, è lo spirito di mia madre? E cosa farebbe questo spirito guida?- era sempre più curioso.
-Mi hai preso per un libro di risposte?- chiese indispettita -Credo che ogni volta che appaia sia per aiutarti, per guidarti nel tuo cammino e forse per vegliare su di te mentre usi i tuoi poteri-.
Il giovane cominciava a capire: quando appariva voleva che ricordasse da dove venisse e quella volta del parco era per controllare che lui non perdesse il controllo. Strinse più forte il cilindro in legno, credendo che così facendo si avvicinasse alla madre.
-Credo che sulla Terra nessuno lo vedesse poiché quello non era il suo ambiente, appartiene a Faeria e qui si può manifestare in tutta la sua grandiosità- continuò la ragazza.
Il faeriano si rizzò: -Allora tu mi credi!- si sporse in avanti in trepida attesa.
Eleswin indietreggiò leggermente: -Certo che ti credo… A quanto pare le voci che giravano nel mio villaggio su alcuni faeriani scappati dall’altra parte erano vere…-.
-Quindi non pensi che io sia una spia- la incalzò.
-No, non lo penso e credo che anche il re se ne accorgerà. Tu sei un Hybris e quel tiranno non ti avrebbe tenuto con sé, bensì avrebbe prosciugato la tua energia per diventare più potente. La vostra specie possiede grandi poteri e chiunque ne sarebbe attratto, coloro che ti hanno portato via da qui hanno fatto bene-.
Calò il silenzio che ruppe Dalen dopo un bel po’: -Il re è sempre così severo?- la Úmarth sollevò lo sguardo chiedendogli a cosa si riferisse -Per un piccolo furto di cibo ti manda su uno dei monti Úroth. Da quello che so io, la dea Nimrodel ha riempito la catena montuosa di sue creature per evitare che gli eoseliani potessero mettere piede a Faerith. Non sono molto affettuose con gli estranei, non è esagerato?-.
Eleswin portò le ginocchia al petto, circondandole con le braccia: -Non per un Úmarth. Il nostro nome significa “mala sorte”, portiamo sventura a chiunque ci offra ospitalità. Viviamo relegati in piccole radure delle foreste, evitati da tutti e l’unico modo che abbiamo per sopravvivere è rubare nei villaggi vicini. Io sono stata incaricata di trovare approvvigionamenti a Zerkatt. Secondo tutte le altre creature l’unico modo che hanno per proteggersi è uccidere qualunque mezzo elfo maledetto-.
-È per via di quella leggenda?- Dalen ricordava le storie di suo nonno prima di andare a dormire, e quella non l’avrebbe mai scordata.

 

Dopo secoli di corteggiamento la dea Nimrodel e il dio delle Acque Eöl convolarono a nozze. Ci furono giorni e giorni di festeggiamenti, a tutti era gradita quell’unione tranne che alla dea della Guerra e degli Inganni Balcthel. Ella era gelosa di quella felicità e decise di fare alla sorella il suo “regalo” di nozze, andò dalla dea delle Illusioni Thiades e la sfidò, dicendole che lei non sarebbe mai riuscita a far apparire alcuna mortale più bella della dea della Natura. Poi andò dal dio dell’Amore Adasser insinuando che lui non sarebbe mai stato in grado di far innamorare un dio, come Eöl, di una semplice mortale. I due, ignari di essere caduti nella trappola della dea degli Inganni, fecero come era stato sfidato loro e il risultato ottenuto fu che il dio della Memoria si innamorasse sotto incantesimo di una delle creature più care alla sua sposa: di un elfo puro, a cui era stato proibito cadere tra braccia dell’amore per un qualsiasi essere diverso da loro, fosse anche un dio.
I due amanti si vedevano di nascosto, lontano da occhi indiscreti, ma un giorno Balcthel convinse la sorella a pedinare il marito, di cui tanto si fidava. Quando scoprì il tradimento andò su tutte le furie e si adirò ancor di più quando scoprì che l’elfo era incinta, il marito tentò di ottenere il perdono, ma non vi fu modo di farla ragionare. La dea si accinse a giustiziare la figlia ingrata, ma tempestivamente giunse Heturin, protettore degli orfani e amante dei bambini, per farla desistere proponendo di prendersi lui carico di quel bambino, definito “impuro”. Nimrodel accettò, ma non prima di lanciare una maledizione sugli elfi e la loro progenie: qualsiasi mezzo elfo avrebbe preso il nome di Úmarth; questi avrebbero portato sfortuna a chiunque altra specie li avesse tenuti con sé e le madri saranno costrette ad abbandonarli per non essere punite. Infine la dea lasciò il suo marchio indelebile per riconoscerli: due simboli sinuosi speculari simili a due “E”.


-Sì, è per colpa di quello stupido evento- la ragazza portò la mano sotto la casacca e tirò fuori una collana con un piccolo cristallo ovale -E questo fa parte della “magnanimità” di Nimrodel. Poteri grandiosi ma incapacità di gestirli, se non grazie a questi amuleti donatici dalle nostre madri-.
Passarono altre ore in completo silenzio e solitudine, il cielo fuori lentamente si stava tingendo dei colori della sera e da dietro le sbarre si poteva veder fare capolino la prima delle due lune di Faeria. Ad un certo punto Eleswin prese la parola: -Hai detto di sapere come porre fine a questa guerra… Quale sarebbe il tuo piano?-.
Dalen si grattò il collo imbarazzato: -Erm, non ho un piano. O meglio, la mia intenzione sarebbe cercare mio nonno e chiedergli se ha scoperto qualcosa-.
La ragazza lo guardò come se volesse incenerirlo sul momento: -Mi stai dicendo che non hai idea di cosa fare? Ci hai ingannati solo per essere sicuro di uscire di qui!-.
-Non ho ingannato nessuno! Forse in tutti questi anni ha trovato qualcosa-.
-Nel caso non lo trovassi? O se fosse morto? Cosa farai?- disse lei guardandolo negli occhi, severa.
-Io… Mi inventerò qualcosa, ma mi serve il mio libro e l’unico modo per riprenderlo è sperare che il re mi creda. Come hai fatto tu-.
Poco dopo arrivarono due guardie di fronte alla cella, chiamarono Dalen per portarlo al cospetto del re per essere interrogato da lui stesso. Il ragazzo si accodò alle guardie, prima lanciò uno sguardo a Eleswin, ma lei si era già girata dall’altra parte.
Percorsero corridoi diversi da quelli attraversati per raggiungere le carceri, arrivati di fronte ad un grande portone lo lasciarono entrare da solo, dopo aver bussato e ottenuto il consenso del governante. Il ragazzo si trovò catapultato in una stanza enorme in cui i muri erano ricoperti da immense librerie piene di libri e con al centro una riproduzione in scala del mondo di Faeria; il sovrano lo invitò ad accomodarsi di fianco a lui, su una sedia posta vicino al modellino.
Con fare cauto Dalen si sedette, guardandosi attorno ed aspettando di essere interpellato, poi notò che l’uomo teneva in mano il suo libro.
-Anche se sono il re di Zerkatt, sono comunque un uomo e come tale posso sbagliare. Ti chiedo scusa- il giovane guardò stupito il sovrano, il quale gli sorrideva dispiaciuto.
-Devi sapere che questa è un’isola serena all’interno della quale vive in armonia chi cerca rifugio dalla tirannia di Brax, un mago già potente di suo, ma che improvvisamente molti anni fa divenne ancora più forte, soggiogando quasi tutta Eosel. Del mio grande regno iniziale mi rimane solo ciò che hai visto all’interno delle mura. Grazie alla mia barriera magica e ai miei valorosi soldati la città resiste, ma sento che durerà ancora poco- fece una breve pausa e poi continuò -Proprio grazie a questo libro e a quella apparizione di prima, ho capito che tu non sei una persona qualunque. Tuo nonno era Noiro, vero?- a quel nome il giovane rizzò la schiena. Il re gli ridiede il tomo e la borsa, poi continuò a parlare spiegandogli che sfogliando il tomo si accorse di averlo già visto: anni prima era giunto un uomo accompagnato da un suo caro amico, era appena scoppiata la guerra e quest’ultimo cercava disperatamente un posto sicuro dove fare alloggiare il suo accompagnatore. Il governante accettò di ospitarlo; quando scoprì che stava raccogliendo le storie che il suo popolo si tramandava, gli chiese per chi lo stesse facendo e l’uomo si giustificò dicendo che erano per suo nipote, poiché se ne sarebbe dovuto andare presto e quello sarebbe stato il suo regalo. Col passare del tempo i due stabilirono un forte rapporto di fiducia e l’anziano rivelò la sua identità al re.
Dalen non sapeva cosa dire, per la prima volta in vita sua qualcuno aveva bisogno di lui e aveva una traccia di suo nonno: -Sapete dove fosse diretto?- il re fece segno di no con la testa, sapeva solamente che sarebbe dovuto andare lontano perché credeva di aver trovato ciò che avrebbe fermato la guerra. L’Hybris cercò di ottenere altri indizi e chiese se sapeva almeno dove trovare quel suo amico e la risposta lo spiazzò: -Il mio più caro amico era tuo padre-.
Quell’affermazione ebbe il potere di far scoppiare il suo cuore.
Non solo quello.
Uno scricchiolio fece rivolgere l’attenzione dei due verso una delle grandi finestre nella stanza, vistose crepe si stavano formando sulla barriera magica e penetrava una luce forte dalle fessure. Il re si alzò e chiamò le guardie, le quali entrarono in stanza poco prima che l’unico scudo della città esplose in minuscoli frammenti luminosi, mischiati ai pezzetti di vetro delle finestre. Si potevano sentire le urla dei cittadini fuori dal castello che scappavano in cerca di salvezza. Un boato poco lontano fece correre Dalen, il re e le guardie fuori dalla stanza: era crollato buona parte dei muri del castello e si poteva benissimo vedere cosa stesse accadendo fuori. Fiumi di figure scure imperversavano nel mercato più bello e grandioso di Eosel, buttando giù porzioni abbondanti di mura.
Con orrore l’Hybris osservava imponente la distruzione delle bancarelle, il fume nero veniva interrotto in certi punti da uno variopinto, composto dagli abitanti di Zerkatt che tentavano di resistere o mettersi in salvo. Una sfera luminosa atterrò poco lontano da loro, distruggendo un’altra buona parte del castello.
Ad un certo punto dal cielo arrivò un numeroso gruppo di maghi incappucciati e da esso se ne staccò uno, Re Leithan assunse una postura fiera di fronte allo sconosciuto. Il mago lentamente atterrò di fronte a loro, ridendo sinistramente.
-Finalmente ci incontriamo… Vostra maestà- disse lui con falsa riverenza, inchinandosi beffardamente.
Le guardie si misero davanti al sovrano come scudo.
Una di loro attaccò il mago, dopo di lei un’altra e un’altra ancora. Tutte si stavano mobilitando per dare tempo a Re Leithan di scappare.
Così fece, portando con sé il figlio del suo amico; lo trascinò fino a quella che era rimasto della sala del trono, l’unico sopravvissuto intatto era l’imponente trono che, silenzioso, osservava inerme quella feroce distruzione, raggiunsero il portone che ore prima l’aveva condotto in cella.
A quel ricordo gli venne in mente la Úmarth, ancora rinchiusa in cella. Doveva andare a salvarla.
Nel frattempo arrivò anche il mago, minaccioso. I due si fissarono dritti negli occhi e Dalen percepì chiaramente il nome sussurrato dal re a denti stretti: Brax. A quel nome l’interpellato sorrise malignamente, calò il cappuccio rivelando un volto per metà rovinato in modo raccapricciante da una crosta nerastra, i vasi erano canalini rosso fuoco e l’occhio interessato dalla malformazione completamente bianco. Brax spostò la sua attenzione verso di lui, guardandolo come se avesse notato qualcosa in lui.
Quel momento durò poco perché il re lanciò un incantesimo che colpì dritto al petto del nemico, prima egli che si riprendesse, il governatore fece un’ultima richiesta al ragazzo: -Voglio chiederti un favore, che chiesi anche a tuo nonno. In passato avevo una bellissima moglie e diciotto anni fa diede alla luce la nostra primogenita, purtroppo non la vidi mai poiché quello stesso giorno sparirono sia lei che la mia sposa. Ti prego, ritrovale-.
Dopo aver fatto cenno affermativo con la testa, Leithan lo spinse dietro la porta e con un gesto fece crollare parte del muro davanti.

L’Hybris si trovò da solo con i rumori della battaglia all’esterno, dopo un momento di smarrimento si ricompose e corse verso le segrete dove era rinchiusa la faeriana.
Quando le raggiunse trovò che la lotta aveva provocato dei crolli anche lì sotto e febbricitante si mise a cercare la ragazza. Sentì un lamento, lo seguì e trovò la Úmarth incastrata sotto ad alcuni massi caduti all’interno della cella.
Non appena lei lo vide avvicinarsi alle sbarre, lo bloccò ricordandogli della barriera antimagia e insistette di mettersi in salvo. Dalen non volle sentir ragioni, l’avrebbe tirata fuori di lì a tutti i costi, solo non sapeva come.
Un leggero bagliore colto con la coda dell’occhio lo indusse a voltarsi, trovandosi di fronte il suo spirito guida: l’alce passò il suo sguardo da lui alle inferriate, poi si spostò verso esse. Il ragazzo, per la prima volta, capì cosa volesse dirgli e si concentrò.
Un venticello leggero si levò ed Eleswin guardò stupefatta ciò che stava avvenendo, ma richiamò il ragazzo capendo il suo intento: -Dalen, fermati! Ti ho detto che non puoi usare la magia. Vattene, mettiti in salvo. A nessuno importa una come me, ti porterei solo sfortuna-.
L’Hybris non accennò a fermarsi, anzi il vento cominciò a turbinare lentamente verso la cella: -Non ho alcuna intenzione di lasciarti qui. E poi io non uso la magia- il vento si fece più forte, roteando vorticosamente attorno alle sbarre piegandole ed infine strappandole via -Posso controllare un elemento della natura: il vento e non mi fermerò davanti a nulla-. Aiutò la ragazza a liberarsi dai massi e uscirono dalle carceri.
All’esterno era calato il buio e non era di certo un vantaggio per gli abitanti di Zerkatt, mentre lo era per i seguaci di Brax, il quale stava ingaggiando una lotta furibonda con il re.
La giovane tirò verso di sé Dalen, schivando un lampo e, come era successo quando si erano incontrati, sgusciò tra le genti e le macerie riuscendo ad uscire dalle mura.
Cominciarono a correre in mezzo ai campi, diretti verso la foresta che si intravedeva in lontananza.
Poi improvvisamente qualcosa colpì Dalen e svenì, privo di sensi.

  
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