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Autore: syila    16/02/2018    6 recensioni
"... Se vorrai rivedermi dipenderà da te; posso fare molto di più che darti qualche consiglio via E-mail, togliere di torno la concorrenza o rapirti da un corteggiatore molesto. Posso darti lezioni di canto, di portamento e di dizione, posso fare di questa ballerina di fila una etoile di prima grandezza; posso farti innamorare di nuovo di questo mestiere, perché io vedo la passione che hai dentro e che invece tu pensi di avere perso"
Questa storia ha partecipato alla challenge di Halloween (Ripopoliamo i Fandom!) indetta dal gruppo facebook
Il Giardino di Efp e prende spunto da "Il Fantasma dell'Opera"
Genere: Angst, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Christophe Giacometti, Phichit Chulanont, Victor Nikiforov, Yuuri Katsuki
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti
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A te ne vengo come a un santo altar!
Oh! come furon lunghi i dì lontan da te,
E come mi struggeva il desio di rivederti!


La Wally – Atto IV° - Luigi Illica

Oh! Come furon lunghi i di lontan da te

Dopo una buona mezzora passata immobile davanti al numero diciassette di Rue des Minimes Yuuri cominciava a non sentire più le gambe, i piedi li dava già per persi a causa di un inevitabile processo di assideramento.
Foderarsi in lana e piumino d'oca non era bastato; il freddo di metà Gennaio mordeva in modo implacabile Parigi, che, dismesse le luminarie dei giorni di festa, mostrava il suo volto gelido e grigio.
La metropoli appariva indifferente, insensibile, quasi inospitale.
Una sfumatura che solo lui coglieva, forse a causa del sedere che si stava congelando e non lo invitava ad afflati poetici sulla Ville Lumière.
Oltretutto qualcuno cominciava a notare la presenza di quella figura imbacuccata ferma sul marciapiede a fissare il portone chiuso senza risolversi ad entrare e, in tempi di continue allerte terrorismo, poteva quasi sembrare sospetta.
Il giovane giapponese sospirò e una nuvoletta di vapore si fece strada tra gli strati della sciarpa.
Non era arrivato fin lì dopo un delirante carosello di ricerche, per farsi fermare e identificare da una pattuglia della Gendarmerie.
Prese la chiave di tasca, la osservò alla scarsa luce dei lampioni stradali e la infilò nella serratura del piccolo portoncino. Girava a meraviglia.



Trascorse le quarantottore canoniche in osservazione Yuuri era stato dimesso con due settimane di prognosi e una terapia a base di antidolorifici.
Tac e radiografie avevano evidenziato solo una lieve commozione celebrale, mentre gli esami avevano escluso altri tipi di traumi e, come la casistica prevedeva, la memoria cominciò a tornargli già dal giorno successivo.
All'inizio furono dei brevi flash, sensazioni, frammenti d'immagini: la corsa lungo i corridoi bui, un volto bianco che emergeva dall'oscurità, il fragore delle acque nel pozzo di raccolta.
Allo psicologo dell'ospedale però raccontò solo il minimo necessario e Phichit chiese, ed ottenne con la sua petulante insistenza, che lo lasciassero tranquillo; tanto non avrebbe potuto fornire elementi utili alle indagini, nessuno dei presenti alla festa avrebbe potuto.
L'amico lo teneva al corrente degli sviluppi, dato che Yuuri sembrava interessato a capire che fine avesse fatto Cho-cho san. Chiunque nelle sue condizioni lo sarebbe stato; quella pazza pericolosa era ancora in libertà e poteva farsi viva di nuovo; per questo avevano messo sotto controllo il suo cellulare e fatto piantonare con discrezione la sua stanza in ospedale.
Raramente uno stalker rinunciava alla sua vittima.
Yuuri aveva convenuto ringraziando i funzionari di polizia e il suo amico della loro sollecitudine, ma aveva taciuto un piccolo, piccolissimo dettaglio che ora lo rendeva complice dell'inafferrabile Madama Butterfly: la polizia cercava una donna, mentre lui non aveva detto ad anima viva che in realtà la geisha era un uomo.
Una volta a casa era stato messo a riposo forzato dalla signora Chulanont; niente attività fisiche pericolose, il massimo che gli era consentito era sollevare le bacchette per il ramen e rispondere al telefono.
I suoi genitori erano stati informati dell'accaduto ed era arrivato il consueto tsunami di chiamate a cui aveva dovuto rispondere con snervanti sessioni di rassicurazioni, corredate da opportune prove fotografiche di referti medici, radiografie e scatole di medicinali.
Yuuri apparteneva a quella categoria di figli che anche in capo al mondo non avrebbe mai reciso il cordone ombelicale con la famiglia, ma sentire sua madre strepitare al telefono “Ti mando Mari!” come se si trattasse di spedire la sorella dal lattaio e non a migliaia di chilometri di distanza forse era troppo perfino per lui.
Dopo i primi giorni di assoluta nullafacenza il giovane giapponese cominciava ad andare in smania; non poteva esercitarsi nel canto, perché faceva parte di quelle attività sconsigliate durante la convalescenza, ed era stato costretto a sciropparsi decine di televendite e quegli insulsi programmi noti come TV del dolore perché inducevano all'autolesionismo i poveri telespettatori!
L'unica nota positiva era che il suo caso aveva smesso quasi subito di suscitare clamore; venne archiviato in fretta dai titoli di giornali e notiziari diventando di competenza esclusiva della polizia, che con discrezione continuava le indagini.
Con tutto quel polverone era inutile aspettarsi un tentativo di Cho-cho san di mettersi in contatto con lui; la casella mail restava vuota e gli unici pacchi che gli avevano recapitato erano fiori e cesti della Direzione del Teatro dell'Opéra e dei suoi colleghi del coro. Al solito Christophe Giacometti aveva voluto strafare inviandogli un cesto talmente grande da passare a malapena dalle scale; secondo Phichit e sua madre, avrebbe potuto tranquillamente sfamare un famiglia di quattro persone per un mese.

Una settimana più tardi, invece, il corriere gli recapitò un pacchettino leggero, dalle dimensioni contenute che aveva come mittente un piccolo studio di registrazione poco fuori Parigi. In genere studi come quelli consentivano anche a cantanti emergenti, con pochi mezzi, di produrre demo decorose da inviare alle Major o, ancor meglio, di caricare i video direttamente in rete.
Si prestavano poi a tutta una serie di servizi accessori: montaggio, riversamento di tracce magnetiche sul digitale, fino alle canzoni personalizzate per feste e compleanni. Yuuri le conosceva, ma non capiva perché avessero inviato a lui quel CD assolutamente anonimo che si rigirava tra le mani senza decidersi ad infilarlo nello stereo.
A calamitare la sua attenzione era l'altra busta contenuta nel pacchetto; di quelle imbottite col pluriball, un materiale adatto a proteggere oggetti fragili o preziosi; dall'esterno si faticava ad indovinarne il contenuto; ma di certo non era un altro CD; il giovane l'aveva tastata, rigirata e soppesata facendo alcune ipotesi a riguardo e adesso aveva paura di trovarvi riscontro.
Alla fine però la curiosità aveva avuto la meglio; nella busta morbida aveva trovato esattamente ciò che immaginava e il suo cuore aveva sobbalzato nell'estrarre dall'imballaggio una preziosa maschera da geisha.
Veloce infilò il CD nello stereo aspettandosi di trovare un messaggio vocale di Cho-cho san e invece sulle prime rimase stupito e un po' deluso del suo contenuto: si trattava di una traccia presa dal Don Giovanni di Mozart; il duetto di Don Giovanni e Zerlina per essere precisi.
“Là ci darem la mano” era un'aria famosa, in cui si erano cimentati moltissimi tenori, fino a stelle di prima grandezza come Domingo e Pavarotti, però non riusciva ad identificare il cantante maschile; il suo timbro aveva qualcosa di familiare all'orecchio, un accento straniero, quasi impercettibile; dove lo aveva già sentito?
All'improvviso gli si accese la proverbiale lampadina: non riusciva a riconoscere la voce, perché l'aveva udita coi postumi della botta in testa e attraverso lo schermo deformante di una maschera; quella era la voce di Cho-cho san, che libera da impedimenti poteva dispiegarsi in tutta la sua estensione!
Fece ripartire la traccia una volta, due, tre; il brano era molto breve e anche prestando attenzione non riusciva a cogliere altri indizi, parole, rumori che lo aiutassero a decifrare il messaggio del suo rapitore.
Tanto la sua mente era un groviglio contorto e contraddittorio quanto la sua voce era limpida, ariosa e potente.
Magari non doveva cercare significati criptati, forse il messaggio era proprio il testo stesso del duetto: una coppia clandestina che progetta una fuga il giorno prima delle nozze di lei.
No, non gli stava suggerendo di fuggire con lui, probabilmente gli stava dando un appuntamento o un'indicazione su dove raggiungerlo!
Allo studio di registrazione?
Yuuri aveva controllato l'indirizzo, un sobborgo malfamato di Parigi in cui il meno che poteva capitare era di essere rapinati.
Possibile che lo volesse attirare in un posto del genere?
Nella scatola non c'era nient'altro; niente biglietti, post-it o lettere.
Alla fine il suo interesse si appuntò ancora sulla maschera: un oggetto pregiato, un pezzo unico, decorato da una mano esperta e un artigiano è solito firmare i suoi lavori.
A Yuuri bastò guardare all'interno per trovare stampigliato il nome e l'indirizzo del laboratorio che l'aveva creata.
Conosceva quel posto, perché era vicino all'Opéra; talvolta le sarte e i costumisti del teatro si servivano di loro per decorazioni e oggetti di scena.
Aveva dannatamente senso.
L'indomani il giovane cantante, eludendo la sorveglianza di Phichit e della madre, sgattaiolò fuori dalla sua prigione dorata e andò a bussare alle porte del Théâtre des rêves.
Il laboratorio era qualcosa a metà tra un magazzino, un robivecchi e un museo; c'erano oggetti enormi: capitelli scolpiti, cavalli e animali a grandezza naturale, armi e armature e naturalmente una marea di costumi e maschere.
Il proprietario, un omino delicato, che sembrava fatto di cartapesta come le sue creazioni, riconobbe subito l'oggetto mostratogli da Yuuri e alla prevedibile richiesta di sapere chi lo aveva commissionato e se lo aveva visto di persona il fragile omino canuto annuì e partì col snocciolare una descrizione dettagliata del soggetto.
Peccato che fosse in francese, lingua contro cui Yuuri aveva rinunciato a combattere, servendosi dell'inglese come un passe-partout universale.
Dalle sue scarse conoscenze aveva potuto ricavare solo alcune informazioni: l'uomo si era presentato al laboratorio una decina di giorni addietro e gli aveva richiesto il lavoro, pagando un extra, perché finisse prima.
Gli aveva detto il suo nome?
Si certo! Lo aveva anche appuntato nel registro degli ordini!
Jean Martin... Come dire John Smith o Mario Rossi.
Chiaramente falso.
Però il pagamento...
Spiacente: il signore aveva pagato in contanti.
Magari... L'aveva visto in volto?
Si... E anche no.
L'uomo aveva una parte del viso bendata e indossava una sciarpa e un cappello a tesa larga, che travisavano i suoi lineamenti.
Il giovane giapponese si ritrovò col classico un pugno di mosche, stava per andarsene quando l'omino di cartapesta lo richiamò indietro; benedetti ragazzi d'oggi che avevano sempre fretta, stava dimenticando di dargli quello che il cliente aveva lasciato per lui!
Aveva lasciato qualcosa per lui?
Quindi sapeva che sarebbe passato di lì? Era una persona così prevedibile?
Dannato maniaco, aveva calcolato tutto e lo stava coinvolgendo in una specie di caccia al tesoro!
Pensava che fosse divertente uscire sfidando il freddo di Gennaio, quando i medici gli avevano chiaramente prescritto riposo?
Poi ripensò alle televendite, al divano in cui era stato confinato e la prospettiva di una passeggiata gli sembrò molto più ragionevole.



Lo spettacolo degli artisti di strada era stato prolungato di una settimana dopo le festività natalizie visto il successo ottenuto; si esibivano tutti i pomeriggi al Campo di Marte, ai piedi della Tour Eiffel come recitava lo sgualcito volantino che teneva tra le mani, aggirandosi come un pesce fuor d'acqua tra le bancarelle e le varie attrazioni.
Quell'invito era l'indizio che gli avevano consegnato al laboratorio teatrale e Yuuri non ci si raccapezzava: lo avrebbe incontrato lì? Si nascondeva tra gli artisti? Molti indossavano delle maschere o erano truccati da clown, sarebbe stato facile per Cho-cho san mimetizzarsi.
Mentre girovagava senza meta una delle ragazze dello spettacolo di magia lo catturò a tradimento e il giovane si ritrovò catapultato davanti ad un pubblico eterogeneo composto da genitori e bambini.
Pregò che la maga lo facesse sparire, perché all'imbarazzo della situazione stava subentrando una crisi di panico.
Odiava essere al centro dell'attenzione e questo era un bel paradosso per chi aveva scelto di dedicarsi alla carriera operistica.
Yuuri avrebbe dovuto essere abituato a stare su un palco, sotto le luci dei riflettori; si esibiva fin da bambino, prima nel coro della scuola, poi nei saggi del conservatorio e infine in veri e propri teatri, ma per lui l'ansia da prestazione non finiva mai.
Aveva provato di tutto: meditazione zen, melatonina, valeriana, reiki, riflessologia, perfino l'agopuntura, tuttavia nessun ritrovato scientifico o empirico sembrava in grado di aiutarlo.
Fortunatamente dovette solo prestarsi come cavia a piccoli trucchetti innocui e la sua aria tenera e impacciata da turista nipponico disperso garantì il successo dell'esibizione, terminata la quale Yuuri puntava a defilarsi rapidamente, ma la prestigiatrice di nuovo lo fermò: era stato bravo, non voleva una ricompensa?
Provò a declinare, ma venne sommerso dai gridolini d'incitamento dei marmocchi, che avevano già subodorato un ultimo trucco di magia ai danni del povero giapponese.
Yuuri venne invitato ad infilare la mano dentro al classico cilindro da mago, cosa avrebbe pescato?
Esattamente quello che ci si aspettava di trovare in un oggetto del genere: un soffice, candido, minuscolo coniglietto nano.
Vivo.
Ecco il premio!
Un bell'applauso per Goliah e il suo nuovo padroncino!
Che persona fortunata!
I bambini avrebbero dato chissà cosa per essere al suo posto!
Dietro le quinte il giovane ci aveva provato a restituirlo, ma la ragazza era stata irremovibile: quello era un regalo, una persona lo aveva portato un paio di giorni prima, con la sua descrizione: età, colore e taglio di capelli, altezza, corporatura, occhiali con una montatura azzurra, nazionalità, nome e cognome.
“Sei tu Yuuri Katsuki, no?”
Si diamine, anche se era tentato di dire di no!
“Perfetto, quindi Goliah è tuo e questo il suo trasportino, quel signore ha pensato a tutto!”
Almeno lo aveva visto in faccia?
Si... E no.
Indossava una felpa col cappuccio e un ciuffo di capelli lunghi che gli copriva metà del viso.
Fottuto maniaco fuori di testa...
Seduto su una panchina ai margini del Campo di Marte Yuuri cercò di riordinare le idee e nel farlo gli venne sotto gli occhi un dettaglio a cui subito non aveva dato importanza: la palla di pelo indossava un collarino e al posto della medaglietta c'era un biglietto arrotolato con un altro indirizzo.
Perché non riusciva ad essere sorpreso?
Goliah, il testimone oculare, l'unico che poteva aver visto in faccia la sfuggente Cho-cho san taceva e rosicava un filo di paglia; Phichit lo avrebbe adorato.



Le pasticcerie di Pierre Hermé erano una sorta di istituzione del campo dell'arte dolciaria francese; l'indirizzo del coniglietto aveva portato Yuuri davanti alla sede dell'antico quartiere del Marais e già in fondo alla via riusciva a sentire l'odore ipnotico dei dolci e del cioccolato.
Di solito per i suoi peccati di gola preferiva il salato, ma quel profumo era così invitante da renderlo disponibile ad una piccola eccezione.
Riferì il suo nome al commesso e questi annuì convinto: si c'era una prenotazione in effetti, una magnifica torta Babà Isphan al lampone,con litchi e crema al mascarpone, il tutto irrorato di sciroppo sempre al lampone e guarnito di petali di rosa canditi.
Già a metà elenco aveva la bava alla bocca, il commesso gliela incartò in una elegante confezione di cartone e stavolta Yuuri non perse tempo a chiedere conto della persona che aveva ordinato la torta pagandola in anticipo; tanto quello schizzato aveva sicuramente trovato il modo di camuffarsi rendendosi irriconoscibile.
Il Babà non arrivò a varcare la soglia di casa; Yuuri lo aggredì lungo le scale, sedendosi sui gradini e infilandoci le mani con una sorta di feroce soddisfazione; una volta tanto che lo sbarellato ne aveva combinata una giusta aveva il diritto di godersela fino in fondo!
A sua discolpa andava detto che aveva intenzione di lasciarne metà per Phichit e sua madre, ma mentre addentava quella goduria di pasta brioche inzuppata e piena di crema i suoi denti si scontrarono con qualcosa di così duro che temette di averci rimesso mezza arcata dentale.
Il maledetto figlio di buona donna aveva fatto mettere una chiave nel ripieno e quell'idiota del commesso non glielo aveva detto!
O magari si, dato che lui e il francese erano due pianeti distanti ed era tanto se capiva una parola su dieci.
Una volta ripulito il corpo estraneo si rivelò essere esattamente ciò che sembrava: una tipica chiave di un tipico portone parigino; conoscendo ormai il modus operandi del maniaco canterino Yuuri scavò nella torta e scoprì una capsula di plastica dentro cui era avvolto un bigliettino con un nuovo indirizzo.
Per trovarlo consultò internet: si trattava di una viuzza tranquilla proprio nel Marais, poco distante dall'Opérà e da casa sua.
Anche questo aveva senso... Pensò mentre terminava d'ingozzarsi con gli ultimi bocconi di Babà, deciso a disfarsi di tutte le prove del misfatto.




Il giovane alzò lo sguardo; dalle finestre dei piani superiori non trapelava alcuna luce; Cho-cho san lo stava aspettando o quella era semplicemente una nuova tappa della folle caccia al tesoro?
Lo avrebbe scoperto presto.
Il portoncino si aprì docile e Yuuri scomparve poco dopo nell'ingresso buio.


Fine Quarta Parte


† La voce della coscienza †

Ohi-ohi!
Siamo tornati!
Le vicende del fantasmino erano rimaste appese al trauma cranico di Yuuri e alla scomparsa della misteriosa stalker vestita da geisha.
Nonostante la botta in testa, il rapimento e i modi perlomeno discutibili di Chocho san il nostro giappino è felice che il bislacco tizio mascherato sia tornato a farsi vivo e tolta qualche comprensibile riserva, non esita a gettarsi nella bizzarra caccia al tesoro che la figura mascherata gli propone per ritrovarlo.
Perché un semplice appuntamento al bar sotto casa pareva brutto e un po' scontato!
Chocho san trascina Yuuri tra robivecchi, artisti di strada e una famosa pasticceria parigina e oltre ad un simpatico coniglietto nano (segnatevi il suo nome perché Goliah salterà ancora fuori più avanti!) ha guadagnato un mazzo di chiavi e un indirizzo; sarà l'ingresso per il paradiso o per l'inferno? Lo scopriremo tra un paio di settimane :3 Per non intasare il fandom conto di pubblicare un capitolo ogni 15 giorni circa :3

A chi fosse in vena di ascoltare un po' di lirica consiglio il celebre duetto mozartiano che ho citato più su ^^ https://www.youtube.com/watch?v=EVzKIjd1myE
Mentre questo è il brano della Wally che da il titolo al Capitolo :3 https://www.youtube.com/watch?v=kB2F6PmHtm4


   
 
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