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Autore: queenjane    24/05/2018    3 recensioni
Era stato l'erede di un impero, suo padre una divinità. Avrebbe dovuto regnare su circa un sesto del mondo, l'abdicazione di suo padre lo ridusse in prigionia, lui e i suoi, madre e sorelle e amici. Era Aleksey Nicolaevic Romanov, un eroe. Un omaggio, Il diario di Alessio, quaderni e annotazioni. Go my Hero! Always and for always.Dal testo " Once upon a time, an Empress gave birth to a little prince, he was delicate, with sapphire eyes, a precious little one. His name’s Aleksey.. "
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Periodo Zarista
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- Questa storia fa parte della serie 'The Dragon, the Phoenix and the Rose'
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“Ci hanno mandato un vasetto di marmellata, gli abitanti di Tolbosk” disse Tatiana, detta Tata, seconda figlia di Nicola e Alessandra Romanov, cercando di sorridere, un esercizio, ormai se lo era quasi scordato, in prigionia “Indovina il gusto, Tesoro” “Non mi interessa” disse Aleksey, il viso pallido e magro, tirato verso la parete “Non ho fame, davvero” “Se ti racconto qualcosa, ti va un assaggio..?Comunque ti dovrebbe piacere.. Blu, tondi.. Mirtilli” una pausa “Come a Friburgo” sussurrò,LUI,  gli occhi spalancati, teso verso un passato felice, un luminoso soggiorno all’estero, in Germania, correva l’anno 1910, quindi tornò nella squallida stanza, ove era confinato e prigioniero. Alessio   scosse la testa “Dopo, magari”.. Allora mangiava goloso i mirtilli dalle siepi. Rideva e saltava, atterrando tra le braccia di Cat, il suo porto sicuro, la sua principessa, amica di Olga, che gli raccontava una storia dopo l’altra, lo viziava e lo amava, Cat alias principessa Sherazade, le sue storie erano quelle delle mille e una notte, ne aveva sempre una, colta e divertente giocava sempre con lui, viziandolo a rate, esasperata delle sue trovate. Tata chiuse gli occhi davanti al dolore, per non soffrire più .. Una lunga e infinita battaglia, si arrese davanti alla sua inappetenza, Alessio vinceva battaglie a iosa, spesso, ma la guerra non la spuntava quasi mai, almeno con Cat, la sua pazienza nell’impresa era leggendaria  “A me non importa quanto ci metti” rilevò Olga quella sera .  “Anche una settimana, per quello che ho da fare” gli baciò la fronte, misurando il battito, cercando di non compatirlo, non aveva troppa febbre, gli aggiustò i cuscini “Dove vuoi che vada ..” Quindi “Alessio, Catherine manca anche a me, da impazzire, ma cerchiamo di non mollare” il ragazzino voltò la testa contro la parete, ostinato, da capo “Ti leggo qualcosa..” una pausa “La storia di Emma Fuentes, la figlia del re di  Spagna, Ferdinando di Aragona.. Una principessa. Aspetta e .. Arabi e reconquista.. Granada e i cavalli, argomento che ti appassionava..trascritto da chi sai tu” “Mi appassiona, leggi, per favore..” lo aveva scosso, annotò soddisfatta, gli circondò le spalle e attaccò a leggere.  Era come se Catherine fosse con loro, rilevò, era sempre presente, immutabile come il tempo, un antico e perduto ricordo.  Sempre con loro, con Olga, dato che erano nate nello stesso anno, il 1895, lei figlia dello zar, Catherine di un amico di infanzia, avevano spartito il mondo e una vita, sorelle e amiche, amando lo zarevic fino alla feccia e  alla sovrabbondanza.

Aleksey rise “.. ti ricordi quando mi raccontava del principe di Granada? Dicembre 1915.. e lo riprendeva da loro..il principe, e invece era una principessa, che era la figlia del re, anche se i genitori non erano sposati” Olga gli allungò un boccone di pane spalmato con la marmellata di mirtilli, lui masticò per riflesso, perso nei suoi pensieri “Ha copiato questa cosa in russo, carina, eh..Trastamara “ compitò la parola, senza badare alle smorfie di suo fratello per ingurgitare qualcosa, (… io ero la bastarda dello zar, io Catherine, mia madre aveva avuto una relazione con Nicola Romanov, nonostante fosse già sposata, Raulov era un perdente, un violento e feccia. Mi concepirono per caso, appurai molto dopo le mie origini, tranne che Olga mi aveva amato a prescindere, come io lei)
Ora immobili, nessuno dei due dormiva, alla fine Alessio allungò una mano “Vieni qui, stenditi, sei stanca..” dispiaciuto, odiava essere malato, lo cambiavano come se fosse stato un infante.
Ora che il suo mondo era ridotto a una stanza e a un letto, con finestre sbarrate, che dipendeva da tutti per essere cambiato e lavato e spostato, solo  poteva ricorrere alla memoria e sognare di essere altrove, sollevandosi dal  dolore e dalla noia. Per essere libero, anche se si sentiva invalido e storpio. Peggio che mai. 
Quello era il pensiero di Alessio. 
La stagione della Stavka.

Immagini, frammenti, ricordi. Agile e snello, pareva un giovane narciso, araldo della primavera.
I treni lo affascinavano, non si stancava di chiedere il funzionamento e osservava binari e traversine e bulloni, domandando agli addetti ai lavori questo e quello. Si era poi costruito una vasta cultura sui sommergibili e gli aerei, andare nei cieli e nei mari era una sua grande aspirazione. Come e più di Anastasia odiava le nozioni obbligatorie, tuttavia era molto intelligente, se qualcosa lo interessava ti sfiniva con la curiosità e domande inopinate e sorprendenti.
La concentrazione con cui osservava un filo d’erba, una lumaca,  passando alle margherite.
.
Le passeggiate e si fermava a ascoltare un picchio, lo zirlo di un tordo.
La mano che scivolava in quella di Cat, che lo scrutava con attenzione per cogliere eventuali segni di fatica,  alle volte si fermava,  con la scusa di volere prendere il sole, le iridi scure venate dalla preoccupazione. E  scrutava il cielo, sai, mi piace pensare di tutto un poco e godermi le nuvole e il sole e la bellezza della stagione, chissà che uno di questi giorni non mi venga impedito di farlo..
Le nuotate con Andres, le ore a pescare.
E tutto il tempo che aveva passato con Catherine,  a casa sua, le torte di mele, le patatine fritte.. E studiare, senza annoiarsi.
E avevano litigato, fino alla morte, al delirio, Cat che lo aveva trattato senza riguardi, rispondendogli male, come se non fosse malato, le giravano i nervi e ne aveva fatto le spese lui, salvo poi riderne. Che bello.. non che lo avesse trattato male, ma che lo avesse trattato come un ragazzo normale, scenate comprese.
E cavalcare, finalmente, da solo, su Castore un baio di squisita bellezza su cui la principessa Fuentes aveva cavalcato il vento.
E cercava di lasciarlo fare, sempre, anche se era ben conscio che mascherava la tensione, Catherine, dietro a un sorriso,una battuta,  di non opprimerlo con i divieti e anatemi, attento, non puoi, sapeva che l’amore per lui aveva vinto l’ansia, perché poi lo amasse in quel modo era un mistero che non osava varcare (.. Mi ama come una madre, una sorella ..). “Mi sento un re, in cima al mondo”
“Sei bravissimo” era in sella, fermo, Catherine gli aveva messo la guancia sul ginocchio, le sue iridi, onice e topazio, belle come il miele lo fissavano adoranti “Lo dici per farmi contento”
“Sei portato, davvero, Aleksey..prendilo per un complimento, dalla migliore amazzone di tutte le Russie, ovvero io ” il mio amato piccolo principe.

“Modesta, eh.. tranne che è vero” Non barava, non mentiva, cercava di trattarlo da grande, senza gli anatemi della sua fragilità, l’emofilia non doveva ridurlo a una larva , a essere un povero invalido, come pensava sua madre Alessandra “Abbastanza.. “il lampo candido del suo sorriso, il solito movimento di aprire le braccia, per farlo scendere, accostandolo contro di sé, sapeva di arancia amara, rosa e lavanda, il sapone lo usava sempre, Cat sapeva sempre di pulito, annotò che lo abbracciava, una tregua contro l’ansia “.. bravissimo, zarevic”una pausa, stringendolo contro la sua pancia, un momento perfetto”Il mio campione” ancora “Ti fermi a cena? Da me e Andres, dico. Abbiamo pane nero, la zuppa dei soldati, cose che mangi, ma anche una torta di mele, quella che abbiamo fatto ieri, eh, ne è avanzata..” “Mi fai le patatine fritte?” le aveva spazzolate in un baleno “Subito” e ridevano e scherzavano, teneri.
Smontare e rimontare le armi.. Il profumo. Il senso di sicurezza.. Ti voglio tanto bene Alessio..
Stare con lei era stato un privilegio, reciproco.
Ora lo sapeva, allora lo intuiva.
Una volta  si era addormentata vicino a lui, aveva posato le dita vicino alla sua fronte, per non interrompere il miracolo, era  rilassata, in quiete, si fidava, le difese deposte “Ciao, Cat” quando si era svegliata, raccogliendola tra le braccia,  il gesto speculare e gemello dei suoi “Ciao, tesoro” soffocando uno sbadiglio e una risata,  i movimenti rilassati “Come va?””Bene” “Sei tranquilla” “Certo, sempre, Alessio .. te sei una garanzia” “Proprio. .. “Con ironia. “ E invece sì, mio caro ometto” “Mi prendi in giro” “Mai su questo, ti voglio bene, campione”
 E posso  essere re degli spazi e del cosmo infinito, in una noce, che il mio regno è questo, parafrasando Shakespeare.
Catherine .. ti prego, vieni a prendermi, portami via. Anche se so che non ti rivedrò mai più. 

Ma io Aleksey sono sempre con te, vicini o lontani, abbiamo costruito dei bei ricordi. E se mi rievochi, io sono con te, anche se ci separano chilometri e distanze, mio piccolo principe, mia stella senza cielo.

 Il 22 aprile 1918 un gruppo di 150 soldati  a cavallo raggiunse Tolbosk, bolscevichi, giunse in loco comandato dal commissario Yakovlev, che doveva condurre le cidevant zar e la sua famiglia a Mosca.
Appurato che Alessio era malato, impossibilitato a spostarsi, venne deciso che sarebbe rimasto a Tolbosk fino  a quando non fosse stato in grado di viaggiare, comunque  Nicola
Romanov doveva lasciare Tolbosk, per evitare fughe in primavera.
Chi voleva poteva accompagnarlo, nessuna obiezione.


Il mio secondo figlio, Leon, nacque a Livadia, in Crimea, il 23 aprile 1918, alle quindici di pomeriggio.
Pesava quattro chili e mezzo, con i capelli scuri e gli occhi verdi di suo padre, era squisito e perfetto.


Alessio non aveva idea di quegli eventi, che suo padre doveva andare per forza, la partenza era fissata senza scampo alle 3 di notte del 26 aprile. Quando, dopo pranzo, sua madre non comparve come di consueto, si sentì che chiamava “Mamma! Mamma!, la sua voce si udiva per tutta la casa. Quando apparve, lei aveva gli occhi rossi, gli spiegò che sarebbe partita con suo padre il mattino dopo, di stare tranquillo, si sarebbero ricongiunti il prima possibile. La famiglia passò tutto il pomeriggio e la sera con lui, forse poteva succedere un miracolo che ritardasse la partenza, la neve scendeva, turbinando in larghe falde.
La zarina sperava che il fiume straripasse, in una sortita di fedeli, nel genero di Rasputin..
Rien.
Nothing at all. 
 
   
 
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