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Autore: Ode To Joy    28/06/2018    3 recensioni
REWRITING in Progress
[Kageyama x Hinata]
[Iwaizumi x Oikawa]
[Daichi x Suga]
"Ti racconto una cosa: quando un corvo riesce a trovare il proprio compagno gli rimane accanto per tutta la vita."
In un mondo la cui storia è scritta da continui giochi di potere tra principi e re, due regni continuano a scontrarsi senza che vi sia mai un vincitore.
"C'è una lezione che non devi mai dimenticare: un Re che decide di combattere da solo, è un Re sconfitto in partenza."
In un mondo in cui si può solo perdere o vincere tutto, alle volte è utile ricordare che anche il più grande avversario può divenire il più forte degli alleati.
"Alla fine, il Re più potente è sempre quello con a fianco più compagni disposti a seguirlo fino alla fine."
[Medieval+Fantasy -AU]
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Koushi Sugawara, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Tooru Oikawa
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Raven Crown '
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33
Di debolezze e rischi calcolati



Shouyou giocava distrattamente con le bolle di sapone sulla superficie dell’acqua.

Tadashi lo osservava dal riflesso nello specchio: sorrideva tra sè e sè, perso in pensieri che l’altro poteva solo indovinare.

Non aveva importanza quanto Kei fosse cieco, entrambi conoscevano Shouyou da tutta la vita e Tadashi non lo aveva mai visto indossare quell’espressione.

“Shouyou?”

“Uhm?”

Tadashi afferrò il secchio accanto alla vasca da bagno e rovesciò l’acqua che lo riempiva sulla testa del Principe dei Corvi. Preso alla sprovvista, Shouyou si agitò bagnando il pavimento.

“Tadashi!” Esclamò Shouyou. Tossì un paio di volte e si strofinò gli occhi con i pugni chiusi.

Tadashi girò il secchio vuoto e lo posò a terra in modo da potercisi sedere sopra.

Quando il suo Principe tornò a guardarlo negli occhi, incrociò le braccia contro il petto e fissò il fanciullo di fronte a sè come un genitore alterato. “Dobbiamo parlare,” disse col tono di chi non ammette obiezioni.

Con i capelli ancora davanti agli occhi, Shouyou inarcò le sopracciglia. “D’accordo…” Disse con un filo di voce, come se fosse spaventato. “Non c’è bisogno di dirlo così.”

“Sì, invece,” replicò Tadashi. “Non facciamo che ripetere la stessa scena: io che ti chiedo di fidarti di me e tu che non lo fai.”

Shouyou aggrottò la fronte. “Non è vero!” Esclamò ferito. “Non ho fatto niente per mettere in discussione la nostra amicizia.”

Tadashi scosse la testa. “Non si tratta della nostra amicizia, Shouyou,” disse con più gentilezza. “Riguarda il fatto che i tuoi genitori hanno affidato a me e Kei la tua sicurezza.”

Shouyou strinse le ginocchia al petto. “Sì, lo so,” disse ingenuamente.

“Questo significa che non puoi avere segreti con noi,” concluse Tadashi molto seriamente. “Non esistono questioni personali. Sei un Principe, Shouyou, un erede al trono. Sei un affare di stato, non puoi dimenticarlo.”

Il Principe dei Corvi lo guardò e basta, le labbra dischiuse in un’espressione a metà tra il dispiaciuto e l’arrabbiato. “Una volta per tutte,” mormorò, la voce resa flebile a causa dal nodo che gli stringeva la gola. “Puoi essere tu a fidarti di me?”

Tadashi dischiuse le labbra ma non rispose immediatamente. Se Kei fosse stato lì avrebbe detto che era fuori discussione, che il loro Principe non era affidabile e che lasciargli troppa libertà di azione sarebbe stato pericoloso.

Kei, però, era anche il primo a sottovalutare la situazione e a continuare a credere che Shouyou fosse troppo stupido per nascondere loro qualcosa.

“Shouyou, anche Tobio è un Principe.” Tadashi decise di essere diretto.

L’erede al trono di Karasuno sbatté le palpebre un paio di volte. “Lo so questo.”

“È il Principe più potente della sua generazione,” insistette Tadashi. “Nemmeno il Principe dell’Aquila può competere con lui.”

“Tsutomu non è così indifeso come tutti lo credono.”

“Non cambiare argomento, Shouyou.” Tadashi piegò un braccio sul bordo della vasca. “Non puoi innamorarti del Principe destinato a dominare su tutti i Regni liberi solo perchè è il tuo cuore a suggerirtelo.”

A quelle parole, Shouyou rimase immobile, come pietrificato. Un battito di ciglia più tardi, scattò contro il bordo opposto della vasca in un vano tentativo di nascondersi. Gli occhi d’ambra rimasero fissi su quelli dell’altro fanciullo ma le guance pallide si colorarono velocemente. “Non ho mai detto che…”

“Non c’è bisogno che tu lo dica, Shouyou.”

“Non gettarmi addosso sentimenti che non ho mai detto di provare!” Esclamò il Principe dei Corvi con rabbia. “È una cosa mia e le faccende di stato non centrano nulla!”

Tadashi chiuse gli occhi per un istante: stava accadendo proprio quello che aveva temuto.

“Sì che lo è, Shouyou,” insistette con pazienza. “Io non ho la superbia di conoscere la natura dei tuoi sentimenti per il Principe Demone ma è chiaro come il sole che tu e lui siete legati.”

“E con questo?” Lo sfidò Shouyou. Il suo labbro inferiore tremava e i grandi occhi color ambra si erano fatti lucidi per le lacrime, eppure non aveva alcuna intenzione di lasciar perdere.

“Shouyou.” Tadashi provò a parlargli come un amico, invece che un uomo del Re. “Tobio è più potente di te. So che hai fiducia in lui… Ti sei fidato di lui al punto da rivelargli il tuo segreto ma non puoi dimenticare che il Principe Demone è più potente di te. Un battito del tuo cuore può influenzare il destino di un intero Regno.”

Shouyou non sapeva come replicare a quelle parole. L’unico modo per chiudere quella discussione in modo definitivo era confessare a Tadashi quella parte della storia che non conosceva: ragion di stato o meno, lui e Tobio erano già legati da una forza ben più grande.

Tuttavia, Tadashi non meritava di preoccuparsi ancor di più nè di essere coinvolto in un intreccio senza fine che riguardava solo le famiglie reali di Karasuno, Seijou e Shiratorizawa.

Shouyou non poteva essere sincero con lui e l’altro fanciullo vedeva solo il suo Principe quando lo guardava. Tadashi vedeva in lui un dovere, una missione da portare a termine accettando solo rischi ben calcolati. In quel momento, Shouyou non era un fanciullo che era cresciuto insieme a lui, nè un amico a cui dare fiducia.

Ragion di stato, aveva detto.

Che cos’era la ragion di stato contro la forza del destino?

“Tobio non è Kei.” La cattiveria non era nella natura di Shouyou. La rabbia e l’impulsività forse ma non la cattiveria, quella calcolata ed usata per ferire qualcuno volontariamente.

Tuttavia, se Tadashi non riusciva ad essere qualcosa di diverso da una guardia del Re, Shouyou non aveva altra scelta che ricordargli chi era il suo Principe.

Gli occhi dell’altro fanciullo di fecero enormi e tutta la sua determinazione s’infranse con un sorriso nervoso. “Che cosa centra Kei?” Domandò, gli occhi bassi.

“È un nobile,” gli ricordò Shouyou con una freddezza che l’altro non aveva mai percepito nella sua voce. “È destinato ad essere il Primo Cavaliere del Regno di Karasuno. È più potente di te.”

Tadashi si allontanò dal bordo della vasca, come se stesse prendendo le distanze da qualcosa di pericoloso. “Shouyou…” Mormorò incredulo. “Io… Io…” Non riuscì a trovare una replica efficace.

“A differenza tua, qualunque cosa io provi, non sono il solo a farlo,” insistette Shouyou, piangeva. “Tobio è più potente di me, ma non mi ha mai dato ragione di dubitare di lui. Puoi dire lo stesso di Kei?”

Gli occhi di Tadashi si riempirono di lacrime velocemente e voltò lo sguardo altrove per nascondersi. Si alzò in piedi e fu svelto a tornare vicino allo specchio, lontano dal Principe dei Corvi.

I loro sguardi s’incrociarono di nuovo nella superficie riflettente. Shouyou piangeva ancora ma non aveva l’espressione di qualcuno pronto a chiedere scusa.

Avevano appena tracciato un confine che non sarebbero riusciti a cancellare facilmente, quello tra un Principe ed un servo.

“Vi aiuto a vestirvi, mio Principe,” disse Tadashi, ricacciando indietro le lacrime.




***



Tobio aveva scoperto quanto poteva essere pesante il silenzio quando Shouyou lo aveva infranto entrando nella sua vita. Suo malgrado, però, si rese conto che la portata della sua solitudine – di cui non era stato del tutto consapevole fino a che il Principe dei Corvi non era divenuto la sua ombra – non era confrontabile a quella dell’erede al trono di Shiratorizawa.

“... E così ho capito che tutti gli altri giovani nobili della mia corte sono un branco d’idioti.” Tsutomu concluse il suo racconto con una gran sospiro frustrato.

Tobio lo guardò senza una reale espressione.

Stavano camminando sotto quegli alberi da tanto tempo che il sole era scomparso dietro l’orizzonte. Il Principe Demone non aveva più tirato una freccia, si era limitato ad ascoltare – sebbene con poco interesse – tutto quello che l’altro aveva avuto voglia di dire.

Era come se Tobio avesse fatto breccia in una parete di roccia e l’acqua avesse cominciato a scorrere senza fine. Allo stesso modo, le parole erano cominciate ad uscire dalla bocca di Tsutomu, come se non avesse mai parlato con nessuno in vita sua ed avesse un gran bisogno di recuperare.

Il Principe dell’Aquila chinò la testa, sfinito. “E questa è la corte di Shiratorizawa.” Lanciò un’occhiata al Demone mezzo sangue che camminava al suo fianco. “Immagino che a Seijou ci si diverta di più.”

Tobio scrollò le spalle. “È casa mia,” si limitò a rispondere.

Tsutomu storse la bocca in una smorfia. “E Shiratorizawa è la mia, ma questo non significa che la ami!”

Il Principe Demone si fermò e lo guardò con le sopracciglia inarcate. “Mi stai dicendo che sei l’erede al trono di una terra che non ami?”

Tsutomu sbattè le palpebre un paio di volte. “Non mi sembra che tu provi chissà quale stima per i Demoni nobili del Castello Nero.”

“Loro non sono Seijou.”

“Come puoi dire una cosa del genere, Tobio?” Domandò Tsutomu con sincera confusione. “Sono la nobiltà su cui si regge la tua corona.”

La linea della bocca di Tobio si fece più dura. “Non sto parlando di una corona,” disse. “Sto parlando di un Regno e non sono pochi nobili a farlo.”

Ripresero a camminare ma Tsutomu continuò a fissarlo. “Tua madre ha già affrontato una rivoluzione.”

“E l’ha vinta.”

“I discorsi che fai non ti porteranno su una strada differente dalla sua.”

Tobio gli si parò davanti. “E quanto pensi ci vorrà prima che capiti lo stesso a Shiratorizawa?”

“Che vuoi dire?” L’espressione del Principe dell’Aquila si fece più scura.

“Tuo padre conquista e conquista,” spiegò Tobio. “Tutti lo temono ed in molti lo rispettano anche. Puoi essere al suo livello?”

Tsutomu strinse i pugni. “Nemmeno tu vuoi essere come il Re Demone.”

“Io ho detto di volerlo superare,” disse Tobio. Non lo disse con arroganza ma con la calma di chi sa di star combattendo una battaglia alla sua altezza.

Tsutomu scosse la testa e lo superò. “Ti ascolti?” Domandò alterato. “Tra poco comincerai a parlare di regicidio.”

Il Principe Demone sbuffò. “Tsutomu,” chiamò. “Non è vivendo all’ombra di tuo padre che ne diventerai l’erede.”

Il Principe dell’Aquila si fermò ma non si voltò immediatamente. “Io non odio mio padre, Tobio,” replicò, lanciandogli un’occhiata da sopra la spalla. “È una differenza che devi considerare.”

Il Principe Demone si umettò le labbra. “Io non odio Tooru.”

“No. Vuoi solo sconfiggerlo ed umiliarlo agli occhi della storia.”

“È una guerra che non ho cominciato io,” si giustificò il Demone mezzo sangue. Sentiva la rabbia salire parola dopo parola. “Tuttavia, non intendo perderla.”

Tsutomu inarcò il sopracciglio destro. “Se Shouyou riesce a capire almeno metà di quello che dici, allora non è un povero ingenuo come credo.”

Tobio non replicò.

“D’accordo,” Tsutomu annuì sommessamente. “Sei in guerra con il Re Demone e la tua corte ma ami Seijou. In breve, sei una contraddizione vivente.” Scrollò le spalle. “Hai un legame senza nome con un Principe che è il tuo esatto contrario, immagino abbia senso.”

Tobio rimase in silenzio anche quella volta.

“Ehi! Mi stai ascoltando?” Tsutomu tornò a guardarlo in faccia. “Che cosa hai visto?”

Gli occhi blu del Principe Demone fissavano qualcosa tra gli alberi.

Tsutomu guardò nella stessa direzione e non vide assolutamente niente. “Che cosa vedi?” Domandò, facendosi più vicino.

Tobio assottigliò gli occhi. “Mi è parso di vedere qualcosa…”

Tsutomu sbuffò. “Puoi smetterla d’inquietarmi con questo tuo atteggiamento da cacciatore nato e dirmi che cosa pensi di aver scorto?”

Il Principe Demone lo guardò annoiato. “Credevo di aver visto una luce tra gli alberi.”

Tsutomu fece qualche passo in avanti. “Dove?” Allungò il collo. “Ehi!” Esclamò quando l’altro lo afferrò per il braccio e prese trascinarlo lungo il sentiero.

“Fra poco farà buio,” disse il Principe Demone. “Meglio rientrare. La festa di fine estate è questa notte.”

“Oh!” Esclamò Tsutomu con un sorrisetto divertito. “Non sia mai che l’erede al trono di Seijou faccia attendere il Principe dei Corvi!”

“Stai zitto!”




***



Inginocchiato sull’erba, Tooru osservò la flebile fiammella che era riuscito ad accendere grazie ad un paio di pietre e qualche ramo secco. Bastò che la brezza della sera la toccasse per spegnerla.

“Ah!” Sbottò tirandosi i capelli per la frustrazione. “È la terza volta!” Si lamentò. “La terza maledetta volta!”

Occupato a legare le briglie dei loro cavalli ad un albero vicino, Hajime rise sotto i baffi. “Aspetta,” disse, accarezzando la schiena del suo destriero distrattamente. “Ti aiuto io.”

La replica di Tooru arrivò velocemente. “Non voglio il tuo aiuto!”

Il rumore di due pietre che battevano l’uno sull’altra si aggiunse al fragore della cascata.

Il Primo Cavaliere alzò gli occhi al cielo ma non smise di sorridere. “Quanti anni devono ancora passare perchè tu la smetta di comportarti come un ragazzino?”

“Io sono un ragazzino, Hajime!”

Prevedibile, pensò il Primo Cavaliere.

“Ho meno rughe d’espressione di Tobio,” aggiunse il Re Demone, continuando a battere le due pietre l’una sull’altra. “Ridicolo! Ha i miei lineamenti ma il tuo orribile vizio di stare perennemente imbronciato!”

Hajime si allontanò dai cavalli e s’inginocchiò di fronte al sovrano di Seijou. “Sai com’è… L’abbiamo fatto in due.”

Tooru sollevò gli occhi scuri dalle due pietre ed il Cavaliere ne approfittò per prenderle dalle sue mani. “Lascia, ti faccio vedere.”

Orgoglioso com’era, Tooru non gli concesse l’opportunità d’insegnargli qualcosa. Si alzò in piedi e si avvicinò ai cavalli. “Prendo il necessario per montare la tenda.”

“Tu non sai montare una tenda, Tooru.” Gli ricordò Hajime. Non dovette nemmeno alzare lo sguardo, il Re Demone tornò sui suoi passi e lo superò senza dire una parola.

Il Cavaliere scosse la testa, gli angoli della bocca ancora rivolti verso l’alto. Il fuoco del loro accampamento, però, dovette attendere ancora un poco.

Una tunica atterrò sulla testa di Hajime oscurandogli la vista. Confuso, lasciò andare le due pietre e se ne liberò. “Tooru!”

Il Re Demone finì di slacciarsi la cintura e gli lanciò un’occhiata da sopra la spalla. “Cosa?” Domandò con un sorrisetto insopportabile dei suoi, poi si liberò degli stivali e dei pantaloni.

Hajime sgranò gli occhi verdi. “To-Tooru?”

“Oh!” Il Re Demone alzò gli occhi al cielo, come se non fosse completamente nudo. “Sei vent’anni in ritardo per fare il pudico!” Entrò in acqua lentamente, concedendo al Cavaliere tutto il tempo per osservare dettagli che già conosceva bene.

Se Tooru stava giocando la carta del Demone tentatore, Hajime doveva ammettere che lo stava facendo davvero bene. Si passò una mano tra i capelli ribelli. “Tooru…” Mormorò massaggiandosi il collo, tanto per distrarsi da sensazioni decisamente sconvenienti.

Il Re Demone non lo udì o decise deliberatamente d’ignorarlo.

Quando il Cavaliere sollevò gli occhi verdi, il suo signore si muoveva nell’acqua con un sorriso fanciullesco. L’atmosfera era leggera e di colpo Hajime si sentì di nuovo un ragazzino, occupato a riflettere su cose inutili e incantato da tutto ciò che era Tooru.

Era l’esperienza degli anni a farlo a sorridere, ad invitarlo ad accogliere l’eco di quelle emozioni con tenerezza e non rancore.

Per la prima volta dopo tanto tempo, Hajime ripensava al passato e il cuore non gli doleva.

Tooru si voltò e i grandi occhi scuri cercarono i suoi. “Perchè non mi raggiungi?”

Era una richiesta allettante. “Perchè non mi fido,” disse.

Tooru ridacchiò. “Suvvia, Hajime, non ti mordo mica.”

“Non parlo di te,” replicò il Primo Cavaliere. “È di me stesso che non mi fido.”

Fu allora che Tooru smise di giocare ed il suo sorriso assunse sfumature completamente diverse: la fanciulezza era sparita, lasciando il posto all’esperienza. Eppure, i suoi occhi non smisero di brillare. “Ne sono lusingato.”

Hajime sbuffò. “Non essere ridicolo, Tooru.”

“Non posso essere felice di sapere che i tuoi occhi mi guardano ancora con desiderio?”

“È ridicolo che tu ne sia sorpreso.”

“Perchè non dovrei esserlo?” Domandò il Re Demone, serio. “Mi hai guardato con disprezzo per tanto di quel tempo…”

La bocca di Hajime divenne una linea sottile. “Era rabbia,” chiarì. “Non disprezzo. Se fossi riuscito ad odiarti, sarebbe stato più semplice.”

Tooru non replicò, portò lo sguardo verso il cielo e notò che le prime stelle della notte erano comparse. Un brivido gli attraversò la schiena e gli sfuggì uno starnuto.

Hajime si alzò in piedi e si tolse il mantello dalle spalle. “Vieni qui,” disse, rimanendo in piedi sulla riva del laghetto. “Non voglio dover fare il viaggio di ritorno con te che ti lamenti per un raffreddore.”

“Mai avuto un raffreddore in vita mia,” ribatté Tooru, imbronciato. “Sono un Demone, ricordi?”

Hajime sospirò. “Sì e non me la sento di rischiare di provare la nuova esperienza di accudirti ammalato. Esci fuori. Ora.”

Tooru gonfiò le guance come un bambino capriccioso ma ubbidì. Hajime gli avvolse il mantello intorno alle spalle e il Re Demone si voltò con una mezza piroetta. “Eri talmente distratto dalla mia bellezza da non poter accendere il fuoco?”

“Mi hai tirato i vestiti addosso,” gli ricordò Hajime.

“E tu te ne sei liberato per guardarmi in tutto il mio splendore.”

Il Primo Cavaliere sollevò il pugno. “Vuoi vedere che fine faccio fare al tuo splendore?”

Tooru non ebbe il tempo di lamentarsi ulteriormente: starnutì di nuovo.

Hajime fece appello a tutta la sua pazienza. “Vieni qui…” Afferrò il Re Demone per le spalle.

Tooru inarcò le sopracciglia. “Che fai?”

“Siediti.”

Il sovrano smise di porsi domande non appena si ritrovò con la schiena premuta contro il petto caldo del suo Primo Cavaliere, le braccia di lui lungo i fianchi. I brividi di freddo divennero immediatamente un ricordo. Un ghignetto divertito comparve sulle sue labbra. “E questo non lo trovi compromettente?” Domandò, guardando la cascata di fronte a loro.

Hajime scrollò le spalle. “Lo chiamo rischio calcolato.”

“Oh, quindi finchè ti sono vicino con uno strato di stoffa addosso non ho nulla di cui preoccuparmi.”

“Precisamente.”

“Basta così poco per spegnere il tuo interesse per me?” Domandò Tooru lanciando un’occhiata al Cavaliere da sopra la spalla, il labbro inferiore sporgente.

“Vuoi che ti ributti in acqua?” Propose Hajime con voce incolore.

“Ah!” Esclamò Tooru risentito. “Sempre il solito bruto, Iwa-chan!” Quel soprannome gli sfuggì dalle labbra con terribile naturalezza.

Il Re Demone si rese conto di averlo pronunciato solo quando avvertì il Cavaliere farsi più rigido. Abbassò lo sguardo. “Scusami, Hajime.”

“Non fa niente,” lo rassicurò l’altro.

“Non hai mai sopportato quel soprannome, non fingere.”

“Non ho mai sopportato nemmeno te,” gli ricordò Hajime. “Devo avere un problema…”

Suo malgrado, Tooru rise. Tornò a guardare il cielo: erano comparse altre stelle. Reclinò di più la testa per cercare la luna e finì per fare aderire la nuca alla spalla del Cavaliere.

Fece per spostarsi ma Hajime gli afferrò un braccio e lo bloccò “Va bene così.”

Tooru non fece obiezioni e non disse nulla nemmeno quando il braccio dell’altro scivolò lentamente intorno alla sua vita.

Rimasero in silenzio per un po’, gli sguardi rivolti al cielo.

“Te la ricordi la notte in cui abbiamo concepito Tobio?” Domandò Tooru senza preavviso.

“Penso che siamo gli unici genitori al mondo ad avere l’assoluta certezza di quando è stata compiuta l’impresa,” disse Hajime.

Tooru sorrise. “Hai sviluppato un po’ di senso dell’umorismo, vedo.”

“Quando tuo figlio è fin troppo serio devi imparare a difenderti.”

“È troppo serio perchè è identico a te.”

“Dobbiamo tornare a parlare dell’ereditarietà dei difetti?”

“Ha il tuo cuore,” disse Tooru. “Il cuore di un uomo, di un Cavaliere. La natura di Tobio non è quella di un Demone.”

Hajime posò gli occhi sul profilo perfetto del suo sovrana. “Ma è quella di un Re.”

Tooru rispose al suo sguardo. “Tu disprezzi il Re che sono diventato, mio Cavaliere. Tu non vedi me in Tobio. Se lo facessi, temeresti il giorno della sua incoronazione più di quello della tua morte.”

Hajime storse la bocca in una smorfia. “Stai avendo uno dei tuoi momenti di assoluta tragicità?”

Tooru sorrise con amarezza. “Ecco che torniamo a discutere di lui parlando di noi,” disse. “Lui e noi…” Si umettò le labbra nervosamente. “Perchè mi fa male dirlo ad alta voce?”

Hajime sospirò stancamente. “Perchè è attraverso di lui che ci sarà sempre un noi. Nemmeno la rabbia e l’odio possono cancellare quel legame.”

Tooru inspirò profondamente dal naso, combattendo le lacrime che sentiva pungere agli angoli degli occhi. “Non mi pento di quello che ho fatto, Hajime,” confessò. “Di aver reso Seijou potente forse più di Shiratorizawa? No, non me ne pento affatto.”

Il Cavaliere non si allontanò a quella confessione. “È comunque troppo tardi per chiedere scusa.”

“Ma fa così freddo…” Mormorò il Re Demone.

“Ti prendo i vestiti e cerco di accendere questo maledetto fuoco, prima che…” Hajime provò a muoversi ma l’altro gli artigliò il braccio impedendogli di muoversi.

“Seduti sul trono in cima al mondo, fa così freddo.” La voce di Tooru era ferma, non tradiva alcuna insicurezza. “Eppure è quello che ho sempre voluto. È quello che voglio.”

Hajime si costrinse a non vacillare. Se avesse ceduto, non ci sarebbe stato più nulla ad impedirgli di cadere nel baratro che era Tooru. “Allora, lunga vita al Re.” Si liberò della stretta del Demone e si alzò in piedi. “Accendo il fuoco.”

Tooru non gli disse che non sarebbe servito a riscaldarlo. Tobio poteva essere il loro noi  indissolubile ma c’erano troppe cicatrici ad imbruttire il loro legame.

La luce tremolante di un fuocherello illuminò la riva del laghetto.

Il Re Demone si voltò e gli occhi verdi del Cavaliere risposero al suo sguardo. “Vieni a scaldarti.”

Tooru sorrise. “Sì.”



***



“Io le metterei un po’ più in basso.”

“Così che qualche ubriaco possa salire sul tavolo e tirarle giù? Meglio il più in alto possibile, te lo dico io!”

Fermo in cima alla scala a pioli, con il braccio destro teso sopra la testa, Kei pensava a come buttarsi nel vuoto in modo da investire ed eliminare i due idioti che continuavano a dargli ordini dal basso.

“Non vuoi vedere qualche fanciullo alla sua prima sbronza tentare di assediare  le mura del cortile interno con le corde delle bandierine?” Propose Tetsuro con un sorriso diabolico.

Koutaro ci pensò. “A mia figlia le bandierine piacciono quando sono appese!” Esclamò. “Non voglio farla piangere!”

Tetsuro sbuffò. “Keijiko sarà già a letto col tuo consorte quando la festa comincerà per davvero!”

“Vogliamo davvero rischiare che qualche ragazzino si faccia del male?”

“Koutaro, metti da parte il tuo istinto paterno e torna ad essere te stesso. Immagina: vino, fanciulli innocenti, inconsapevoli dei loro limiti e tutto in uno spazio ristretto, sotto i nostri occhi.”

Koutaro si grattò il mento. “Hai dimenticato la musica!”

“Giusto! La musica!”

“E i dolci di Aone!”

“Il caos è garantito!” Concluse Tetsuro strofinando le mani con aspettativa. Si fece serio di colpo. “Dopo che Keiji e Kenma si saranno ritirati nelle loro stanze.”

Koutaro annuì con convinzione. “Saremo dei Cavalieri modello fino ad allora.”

“Degli adulti rispettabili.”

“Nessuno sospetterà che stiamo tramando qualcosa.”

Koutaro sorrise convinto, poi guardò l’amico un poco confuso. “Perchè? Che cosa stiamo tramando?”

Testuro aprì e chiuse la bocca un paio di volte.

“Sperare che i fanciulli perdano la testa per il nostro divertimento non è tramare, Tetsuro.” Gli fece notare Koutaro.

“Allungheremo qualche calice in più agli ingenui ed il divertimento sarà assicurato!” Si riprese l’uomo dai capelli corvini e con convinzione.

Nel silenzio che seguì, Kei decise che perdere la sensibilità al braccio destro non era un prezzo accettabile per accontentare due sovrani detronati e completamente idioti. Se solo avessero impiegato metà delle forze che sprecavano a fare idiozie per proteggere le loro case, forse Seijou non sarebbe divenuta la potenza che era.

Il giovane Cavaliere aveva abbastanza buon senso da tenere quel pensiero per sè, ma non sarebbe rimasto lì a farsi sfruttare un secondo di più. Quando tornò con i piedi a terra, Koutaro era corso a raccogliere le bandierine tanto amate dalla sua bambina e Tetsuto lo guardava con un sopracciglio scuro inarcato.

“Con tutto il rispetto, avrei altri doveri d’assolvere,” disse Kei con l’espressione annoiata di chi non vuole essere trattenuto un istante di più. “Ho il dovere di eseguire solo gli ordini del mio Principe, non i vostri.”

Tetsuro non parve impressionato neanche un po’. “Quali ordini? Il piccolo Shouyou mi sembra più che deciso a dimostrare a se stesso e al mondo che non ha bisogno della protezione di nessuno.”

Kei strinse i pugni e mantenne la calma. “Suo padre, il Re di Karasuno, mi ha dato un compito.”

“Che Tobio sta assolvendo al posto tuo, pare,” replicò Tetsuro. Se quel ragazzino aveva voglia di sfidarlo testa a testa, non aveva alcun problema ad accontentarlo.

“Tetsuro!” Koutaro si avvicinò all’amico con un groviglio di corda e bandierine stretto al petto. “Non c’è bisogno di essere così duro col ragazzo. Lo abbiamo annoiato con i nostri discorsi, non è la prima volta che succede. Pensi che Keiji e Kenma ci ascoltino tutto il tempo che parliamo con loro? Su, rilassati e datevi una stretta di mano. Questa deve essere una serata di festa!”

Se fosse stato per Tetsuro, quella discussione sarebbe andata avanti fino a che il biondino non avesse chiesto scusa in lacrime. Per fortuna del giovane Cavaliere di Karasuno, Tobio scelse quel momento per passare accanto a loro.

“Oh! Eccolo qui!” L’uomo che era stato il Re di Nekoma afferrò l’erede al trono di Seijou per un braccio e lo tirò verso di sè. “Dove lo hai lasciato il tuo piccolo corvo, eh?” Domandò, spettinandogli i capelli con forza.

Tobio si liberò dalla stretta con un ringhio. “Che diavolo fai?” Sibilò, indignato.

Alle sue spalle, ignorato da tutti, Tsutomu rise sotto i baffi e continuò a camminare: era meglio trovare Satori, prima che il Cavaliere lo venisse a cercare.

“Shouyou non è con te?” Domandò Koutaro, guardandosi intorno.

“No,” rispose Tobio a mezza bocca, passando le dita tra i capelli corvini.

“Il Principe dei Corvi è nelle sue stanze,” intervenne Kei con fare altezzoso. “Come vedete, sir Tetsuro, non lascio che altri assolvano i miei compiti.”

Tetsuro ghignò ed una vena sulla sua tempia destra cominciò a pulsare pericolosamente.

“Calma,” disse Koutaro con un sorriso, battendo una mano sulla sua spalla. “Non puoi prendertela se alla fine uno dei ragazzini è riuscito a tenerti testa.”

L’altro lanciò all’amico uno sguardo raggelante. “Ciò non toglie che mi fa incazzare...”

Tobio passò lo sguardo dai due uomini al giovane Cavaliere di Karasuno. “Ti sei fatto degli amici, vedo.”

Kei scrollò le spalle. “In questo non sono bravo quanto voi, Principe Demone.”

Il giovane dai capelli corvini ignorò la provocazione con un sospiro. “Dov’è Shouyou?”

“Dentro.” Kei indicò la tenuta con un cenno del capo. “Con Tadashi.”

Tobio non gli concesse neanche un cenno del capo per informarlo che aveva capito, lo superò a testa alta ed entrò nell’edificio passando per la porta della cucina.

Le labbra di Kei si piegarono in un sorriso sprezzante. Fece per voltarsi ma due mani gli afferrarono le spalle.

Koutaro e Tetsuro gli sorridevano con fare inquietante. “Visto?” Disse quest’ultimo. “Ci pensa il nostro Tobio a fare il tuo lavoro e ho la netta sensazione che Shouyou sia più contento così.”

“Tieni.” Koutaro spinse contro il petto del giovane la corda di bandierine. Era un intreccio colorato e senza fine. “Metti a posto, poi torna sulla scala e finiamo il lavoro.”

Tetsuro annuì, le braccia incrociate contro il petto.

Kei li guardò entrambi con gli occhi sgranati. Quando si rese conto di non avere via di fuga, gettò la corda sul tavolo e si mise al lavoro borbottando furiosamente tra sè e sè.



***


Tadashi si era rintanato nel piccolo salotto adiacente alle due camere occupate da lui e Kei e dal loro Principe.

Dal piano di sotto giungeva un gran vociare, accompagnato da risate e dal rumore di stoviglie che venivano recuperare dalle credenze e gettate sul tavolo con poca gentilezza. Tutti i Cavalieri capaci di cucinare si erano riuniti in cucina, sotto l’improbabile guida di Aone.

Anche Tadashi sarebbe dovuto scendere a dare una mano, ma proprio non riusciva a smettere di piangere.

La freddezza che Shouyou gli aveva riservato non era peggio di quella che Kei gli dimostrava quotidianamente. La parte difficile era accettare che fosse stato proprio il loro Principe a trattarlo così.

Tadashi sapeva di aver superato un confine che nessun servo avrebbe mai dovuto valicare ma era proprio questo a fargli male: Shouyou non li aveva mai guardati dall’alto in basso, non aveva mai brandito il suo titolo contro di loro.

C’era un antico legame ad unirli tutti e tre e andava ben oltre la lealtà verso il Re.

Shouyou era loro amico.

Troppo occupato a trattenere i singhiozzi, Tadashi non udì qualcuno salire le scale ed entrare nella stanza.

Tobio non aveva ancora salito l’ultimo gradino quando lo vide. “Ehi…”

Tadashi scattò in piedi, come se l’altro gli avesse urlato contro.

Quando si accorse che piangeva, gli occhi blu del Principe Demone divennero grandi. “È accaduto qualco-?”

“No!” Si affrettò a dire Tadashi, scuotendo la testa. “So cosa può sembrare ma Shouyou sta bene, mio Principe.”

Tobio portò gli occhi sulla porta chiusa della camera che era stata sua e che ora era occupata dal Principe dei Corvi. “Allora perchè stai piangendo?”

Tadashi fu veloce ad asciugarsi il viso e piegare le labbra in un sorriso di cortesia. “Siete rientrato dalla caccia,” notò, osservando l’arco appeso alla spalla del Principe Demone. “Volete che vi prepari un bagno?”

Tobio aggrottò la fronte. “Prepararmi un bagno potrebbe farti sentire meglio?” Domandò confuso.

Tadashi arrossì e scosse di nuovo la testa. “Lo dicevo perchè…” Non seppe come terminare la frase ed abbassò lo sguardo, imbarazzato. Sentì le lacrime pungere agli angoli degli occhi e non riuscì a trattenerle. “Perdonatemi, mio signore.”
Tobio si avvicinò, gli occhi ancora fissi sulla porta chiusa. “Non sono il tuo signore,” chiarì. Non lo fece sgarbatamente ma con la voce atona di chi afferma un dato di fatto.

Tadashi si torse le dita nervosamente. “Siete il Principe più potente dei Regni liberi, signore,” disse timidamente. “Solo un folle non vi porterebbe rispetto.”

“Qualcuno sembra non averne portato a te,” disse Tobio, guardandolo in faccia.

Tadashi fissò la punta dei propri stivali per non sfidare lo sguardo di quegli occhi blu. “Le preoccupazioni di un servo non devono turbare la mente di un erede al trono.”

“Servo?” Tobio non riusciva a capire. “Pensavo fossi una guardia reale.”

Le labbra di Tadashi si piegarono in un sorriso malinconico. “Solo di titolo,” ammise. “Da bambino ho cercato di seguire lo stesso addestramento di Kei e degli altri aspiranti Cavalieri, ma non era la mia strada. Per amicizia nei confronti della famiglia Tsukishima, il Re mi ha reso una guardia ma, di fatto, non faccio altro che servire Shouyou quando ne ha bisogno.”

“Tsukishima,” ripetè Tobio, come se stesse pensando ad alta voce. “È il nome della famiglia di quell’altro.”

Tadashi sapeva che il Principe Demone conosceva molto bene il nome di Kei. Fu per antipatia che non lo pronunciò ad alta voce. “Il maestro di spada del fratello maggiore di Kei, l’attuale Lord Tsukishima, era mio padre,” spiegò. “Ha servito Re Daichi nella guerra contro Shiratorizawa ed è morto in battaglia. Non l’ho mai conosciuto e mia madre se ne è andata dandomi alla luce. La famiglia Tsukishima mi ha accolto come un figlio e sono cresciuto al fianco di Kei, ma non sono un nobile.” Prese un respiro profondo. “Sono solo più fortunato di quanto una persona mediocre come me dovrebbe essere.” Quelle ultime parole gli sfuggirono di bocca. Non voleva piangersi addosso di fronte al Principe Demone. “Mi dispiace,” aggiunse. “Ho parlato troppo, perdo-”

“Mio padre è figlio di contadini,” lo interruppe Tobio. “I Cavalieri della Regina che preceduto Tooru lo hanno comprato come schiavo e lo hanno portato al Castello Nero. Mia nonna cercava un compagno di giochi per mia madre. È così che i miei genitori sono finiti insieme.”

Tadashi guardò il giovane di fronte a lui con gli occhi sgranati: giravano un’infinità di storie sul Re Demone ed il suo Primo Cavaliere ma era strano sentire la versione reale raccontata dal loro unico figlio.

“Vostro padre è un uomo di grande valore,” disse Tadashi con fare insicuro. “Le sue imprese parlano per lui. Perchè le sue origini dovrebbero avere importanza?”

“Appunto.” Disse Tobio, come se l’altro stesse parlando di una cosa ovvia. “Non si può dare valore a qualcuno per un titolo che ha ereditato. Il valore sono le imprese a deciderlo.”

Tadashi sbattè le palpebre un paio di volte.

Perchè il Principe Demone parlava con lui con tanta naturalezza? Forse lo faceva perchè Shouyou doveva aver parlato di lui e Kei come due amici, due pari, ma la realtà dei fatti era molto diversa.

“Era per questo che piangevi?” Domandò Tobio goffamente.

Fu allora che Tadashi si accorse che l’altro era ancor più in difficoltà di lui. “No,” rispose ed il sorriso che comparve sulle sue labbra fu un poco più sincero. “Ma sto molto meglio, grazie.”

Il Principe Demone annuì. “Bene…” Le sue guance si erano colorate appena. “Vado da...” Indicò la porta chiusa della camera di Shouyou.

Tadashi annuì e lo guardò entrare nella stanza adiacente. Non appena fu di nuovo solo, smise di sorridere.

Lui e il Principe Demone si erano mai parlati prima di allora? Non ne era sicuro, di certo non avevano mai avuto una conversazione vera e propria.

Tadashi non aveva idea di chi era Tobio, si era limitato a pensare a quello che rappresentava in quel grande gioco tra Re e Principi. Aveva messo in guardia Shouyou fino ad esasperarlo da un fanciullo che non si era nemmeno disturbato a conoscere.

Tadashi chiuse gli occhi e si passò una mano tra i capelli. “Che stupido…”




Tobio non fu sorpreso di trovare Shouyou in uno stato simile a quello della giovane guardia.

Il Principe dei Corvi non piangeva ma se ne stava seduto in fondo al suo letto con le ginocchia strette al petto e gli occhi d’ambra fissi di fronte a lui. Quando chiuse la porta, li spostò sui suoi.

“Ciao,” disse Tobio.

“Ciao,” rispose Shouyou, suonava sorpreso.

“Perchè mi guardi così?”

“Credevo fossi fuori.”

Tobio scrollò le spalle. “Sono rientrato.”

Shouyou notò l’arco appeso alla sua spalla. “Eri a caccia?” Domandò, contrariato.

Il Principe Demone sbuffò irritato. “Se sei arrabbiato, non prendertela con me.” Nonostante quelle parole, appoggiò l’arma e la faretra al bordo del letto e si sedette accanto all’altro fanciullo. “Perchè tu e la tua guardia avete litigato?”

Shouyou inarcò le sopracciglia, lanciò uno sguardo alla porta e poi tornò a fissare Tobio. “Hai parlato con Tadashi?”

“Stava piangendo. Credevo avesse bisogno di aiuto.”

“Piange ancora?” Domandò il Principe dei Corvi, preoccupato. Scivolò giù dal letto ed attraverso la stanza con pochi passi veloci. Sollevò la mano per abbassare la maniglia ma si bloccò prima di toccarla.

Tobio restò a guardarlo mentre ritraeva il braccio e rimaneva immobile davanti alla porta. “Vuoi restare lì come un idiota o fare qualcosa?” Domandò, annoiato.

Shouyou si voltò verso di lui: i grandi occhi color ambra erano lucidi per le lacrime. “Ricordi quando ti ho confidato che non sono nato per essere Re?” Domandò. “Mi hai risposto che non avevo altra scelta, ma che potevo esserlo a modo mio.”

Tobio annuì. “Sì,” confermò. “L’ho detto.”

Shouyou tirò su col naso. “Non credo di poterci riuscire.”

Lo sguardo di Tobio era fermo ma non gelido. “Perchè hai fatto piangere qualcuno che conosci fin da bambino?”

Il Principe dei Corvi aggrottò la fronte. “Lo dici come se fosse una cosa stupida…”

“Lo è,” confermò Tobio, alzandosi in piedi.

Shouyou aprì e chiuse la bocca un paio di volte. “Ho usato il mio titolo per mettere a tacere un mio amico,” disse con voce tremante. “L’ho umiliato come se avessi il diritto di farlo.”

Tobio annuì. “Essere Re significa anche questo.”

“Ma io non voglio che sia così!” Esclamò Shouyou. “Non voglio essere quel genere di Re.”

“Non puoi essere nemmeno quello che sei ora ed indossare una corona.”

“Hai detto… Sei stato tu a dirmi che potevo esserlo a modo mio.”

“Puoi essere Re a modo tuo,” disse Tobio, arrivandogli davanti. “Ma prima devi esserlo. Piangere perchè ti sei reso conto di aver fatto un errore è da mocciosi, non da Re.”

Shouyou lo fissò. “Non capisco se stai giustificando il mio comportamento o il contrario.”

“Nessuna delle due cose,” replicò Tobio. “Ed entrambe.”

“Grazie!” Esclamò il Principe dei Corvi sarcastico. “Capire quello che pensi non è mai stato difficile per me, perchè rendermi le cose più semplici?”

Tobio alzò gli occhi al cielo. “Un Re non può essere come tutti gli altri, Shouyou,” disse pazientemente. “Puoi avere una ristretta cerchia di persone a te leali e forse puoi chiamarli amici, ma non sarai mai uno di loro.”

Shouyou serrò i denti sul labbro inferiore, tremava. “Mi stai dicendo che sono condannato a restare da solo.”

Tobio scosse la testa. “Hai me, non sei solo.”

Gli occhi d’ambra si fecero enormi. “Come?”

Il Principe Demone lo guardò dritto negli occhi. “Nemmeno io sarò mai uno di loro,” disse. “Finchè sono qui, però, tu non hai nulla da temere.”

Shouyou strinse e distese le dita un paio di volte, riflettendo sulle parole giuste da dire. “Tu non sei come me,” disse. “Tu sei più potente.”

Fu il turno di Tobio d’inarcare le sopracciglia. “Che cosa stai dicendo, stupido?”

“La verità.” Shouyou si rese conto che lo era solo in quel momento. “Io sono il Principe di un piccolo Regno, tu sei il futuro signore di un impero, Tobio.”

“Seijou non è impero.”

“Hai capito che voglio dire!” Esclamò Shouyou frustrato. “Tadashi ha cercato di mettermi in guardia, sai? Per questo abbiamo litigato. Lui ha paura che tu possa usare il tuo potere per farmi del male ed io gli ho risposto che non mi hai mai dato ragione di dubitare di te.”

Quelle parole non sembrarono toccare Tobio in alcun modo. “Si preoccupa per te. È leale.”

“Questo lo so!” Esclamò Shouyou con rabbia.

“Adesso sei in collera con me?” Il viso del Principe Demone continuava ad essere calmo e così la sua voce. “La tua rabbia ti spaventa, non sei bravo a gestirla.”

“Detto da te, Tobio…”

“Perchè sei arrabbiato?”

Il Principe dei Corvi abbassò lo sguardo e si umettò le labbra, i pugni serrati. Non stava cercando le parole da dire ma, al contrario, i suoi pensieri erano così chiari che aveva timore a dargli voce. “Ha ragione?” Domandò Shouyou. “Potresti farmi del male?”

Il viso di Tobio era una maschera inespressiva. “Conosci già i nostri ruoli in questo gioco.”

“Non lo sto domandando al Principe Demone,” chiarì Shouyou. “Ma a te.”

Gli occhi blu di Tobio divennero un mare gelido. “Ti stai arrendendo?”

Shouyou inarcò le sopracciglia. “Come?”

“Non è questa la nostra sfida?” Tobio si fece più vicino. “Ci tocchiamo e scappiamo. Lo facciamo per vedere fino a punto l’altro sarà disposto ad inseguirci, no? Perde il primo che si fa prendere.”

“Perde?” Ripeté Shouyou. “Sarebbe una sconfitta per te?” Scosse la testa. “Non importa. Non m’interessa perdere! Dimmi che ho ragione e che mi posso…” Si bloccò e per un attimo trattenne il respiro. Sollevò lo sguardo su Tobio e vide la delusione riflessa nei suoi occhi.

“Tu non ti fidi di me.” Concluse il Principe Demone.

Shouyou chiuse gli occhi per un istante. “Non è così.”

“Basta che un amico ti metta in guardia da me per farti dubitare.”

“Ma tu sei destinato a regnare su tutti i Regni liberi, Tobio. Io sono solo-”

“Tu sei le mie ali, Shouyou,” lo interruppe il Principe Demone. “Io non posso volare senza di te.”

Shouyou sgranò gli occhi per la sorpresa. “Lo dici come se fosse una confessione di debolezza,” gli fece notare.

Tobio annuì. “Lo so,” disse. “E, credimi, non piace per niente neanche a me.” Prese il mento del Principe dei Corvi tra le dita.

Shouyou dischiuse le labbra ma il respiro gli rimase bloccato in gola. Il cuore gli batteva velocissimo.

“Tuttavia,” aggiunse Tobio, “mio padre mi ha insegnato che ignorare le proprie debolezze è il primo passo verso l’autodistruzione. Per tanto…” Si chinò.

Shouyou chiuse gli occhi ed aspettò di ricevere quel secondo bacio a lungo rimandato. Tobio lo aveva raggiunto e questo significava che aveva perso la sfida, ma non gliene importava. Era le ali del Principe Demone, non esisteva titolo più bello. Per sua sfortuna, non vide il ghignetto trionfante sulle labbra dell’altro, sentì solo le sue dita che gli stritolavano le guance.

“La sfida non si è ancora conclusa.” Tobio lo lasciò andare e si fece indietro

Shouyou si massaggiò le guance. “Mi hai fatto male!” Esclamò, ma il Principe Demone lo aveva già superato per raggiungere la porta.

“Fa che sia una vera vittoria,” disse Tobio. “Continua a volare, ti prenderò prima o poi.” Se ne andò con quel sorrisetto vittorioso ancora sulle labbra.

“Come se io volessi farmi prendere da te!” Urlò il Principe dei Corvi alla porta chiusa.

Suo malgrado, gli angoli della sua bocca si sollevarono.



***



Alla fine, Hajime decise di non montare la tenda.

A Tooru piaceva dormire sotto le stelle ed era una notte meravigliosa, senza luna. La brezza estiva era come una ninna nanna silenziosa ed il Primo Cavaliere di Seijou sarebbe stato ben lieto di chiudere gli occhi e lasciarsi cullare… Se solo il suo sovrano si fosse deciso a chiudere la bocca.

“Li dovremmo far sposare d’estate… No, in inverno!” Esclamò Tooru.

Hajime si rifiutò di aprire gli occhi. L’idiota poteva essere rumoroso quanto voleva ma non gli avrebbe dato corda, nemmeno se avesse cominciato a cantare e ballare su di un solo piede.

“Karasuno o Seijou?” Tooru si grattò il mento, osservando la volta celeste con aria pensierosa. “Politicamente parlando, Seijou sarebbe la scelta migliore ma Karasuno d’inverno è splendida, così magica!”

Hajime strinse i denti.

“Inutile sottolineare che Tobio indosserà il mio mantello da Principe,” aggiunse il Re Demone. “E la Corona Corvina... Anche se quando l’ho fatta provare a Shouyou gli stava d’incanto!”

Hajime spalancò gli occhi. “Che cosa hai fatto?” Urlò sollevandosi sui gomiti.

Tooru sobbalzò. “Non c’è bisogno di avere queste reazioni da bruto!” Si difese.

“Quel tesoro appartiene alla tua famiglia da…”

“Nessuno lo sa con esattezza. Fa parte del tesoro reale dall’era in cui la caccia ai draghi era ancora un’impresa comune… Anche se negli ultimi tempi sembra essere tornata di moda.”

“Non cambiare discorso, Tooru!”

Il Re Demone sospirò. “Che cosa c’è?” Domandò esasperato. “Non è un segreto che voglio Shouyou al fianco di Tobio.”

“Ma la Corona Corvina dovrebbe essere di nostro figlio, non sua!” Esclamò Hajime con rabbia.

Tooru allungò una mano e la batté un paio di volte sul braccio del Cavaliere. “Ho pensato a tutto,” lo rassicurò, facendogli l’occhiolino. “Non ho fatto venire a Seijou l’unica famiglia di fabbri capaci di gestire la carcassa di un drago per niente!”

Hajime si lasciò ricadere nel suo giaciglio. “Non so se voglio sapere…”

“C’è abbastanza pelle di drago per forgiare un’altra Corona Corvina!” Tooru batté le mani con aria sognante. “Pensa a quanto saranno splendidi, Hajime!”

Il Primo Cavaliere si coprì gli occhi con una mano. “Già…” Rispose stancamente.

“Ma prima ho dato ordine di lavorare alle armature per te e Tobio!”

“Le armature per me e Tobio,” ripeté Hajime senza riflettere. Quando lo fece, sollevò il palmo dal viso e tornò a guardare il Re Demone. “Che cosa hai detto?”

Tooru scrollò le spalle, gli occhi scuri fissi sulle stelle. “Nulla può penetrare la corazza di un drago, ricordi? Le antiche leggende parlano di Re con armature impossibili da scalfire e, visti gli ultimi avvenimenti, immagino ci sia qualcosa di vero in quelle storie.”

Il Primo Cavaliere era ancora perplesso. “Vuoi far costruire per me e Tobio delle armature indistruttibili?”

“Continuate a cacciarvi nei guai,” si giustificò Tooru. “Dovrò pur proteggervi in qualche modo.” L’allegria nella sua espressione scivolò via velocemente. “Non l’ho mai fatto, vero?”

Hajime si sollevò su di un gomito. “Lo hai fatto,” rispose.

Tooru allontanò lo sguardo dalle stesse per spostarlo sul viso del suo Cavaliere.

“Mi hai salvato da Wakatoshi,” gli ricordò. “Hai dato inizio alla guerra contro Shiratorizawa con la freccia che mi ha salvato la vita dalla sua spada.”

Le labbra del Cavaliere si piegarono in un sorriso nostalgico. “Mi hai fatto promettere di prendermi cura di nostro figlio mentre partivi a combattere una rivoluzione scoppiata a causa mia. Hai dato al Regno di Shiratorizawa un futuro perchè non minacciassero il nostro.”

Tooru abbassò lo sguardo. “Non credo di essere uscito vittorioso da quest’ultima impresa,” disse. “I sogni di Kenma non sono cambiati negli ultimi quindici anni. Quello che ho fatto, anche le azioni che ho compiuto per egoismo e sete di potere non hanno cambiato il destino di Tobio.”

“Solo perchè hai deciso di crederci,” disse Hajime.

Tooru gli rivolse una smorfia. “Una volta, poco dopo la nascita di Tobio, ho sognato che gli facevo del male,” confessò. “Tanto male,” aggiunse. “E tu ne facevi a me. Non è quello che è successo, Hajime? Non saresti disposto ad uccidermi per amore di Tobio?”

Il Primo Cavaliere lo fissò, gli occhi verdi resi più scuri da una verità di cui il Re Demone era perfettamente consapevole. “Piantala di dire sciocchezze,” disse a voce più bassa, girandosi su un fianco e dando le spalle al suo sovrano. “È inutile sprecare il fiato per cose che non accadranno mai.”

Tooru tornò a guardare le stelle con un sospiro. Il suo cuore non era sereno ma non poteva obiettare. “Hai ragione,” disse.

Per un po’ nessuno dei due parlò. Credendolo che il Re si fosse addormentato, Hajime chiuse gli occhi e lasciò che la stanchezza avesse la meglio.

Non ebbe il tempo di addormentarsi.

“C’erano le stelle anche quella notte, vero?” Domandò Tooru.

Hajime inspirò profondamente dal naso e si obbligò a fare a appello a tutta la sua pazienza. “Quale notte?”
“Che domande!” Tooru ridacchiò. “Quella notte.”

Troppo stanco per riflettere, Hajime si girò sul fianco opposto. “Parli della notte in cui abbiamo concepito Tobio?” Domandò.

Tooru si distese sull’addome tenendosi sollevato sui gomiti. “Non sei mai stato molto sveglio, mio Cavaliere.”
“Piantala…” Hajime voleva solo dormire, non rispolverare per l’ennesima volta vecchi ricordi. Aveva rivissuto ogni suo momento con Tooru ogni volta che aveva ripetuto a se stesso di odiarlo. Non era mai riuscito a convincersi. “Perchè mi hai tradito?”

Non glielo aveva mai domandato. Era sempre stato troppo orgoglioso per umiliarsi in quel modo, troppo arrabbiato per poter accettare qualsiasi giustificazione. Ogni volta che si erano fatti la guerra erano sempre finiti a parlare di altro: Tobio o il modo in cui Tooru aveva voltato le spalle a tutti i loro alleati per il potere.

Hajime non aveva mai portato alla luce la questione che più lo toccava da vicino, quella che lo aveva ferito come uomo. Era stato un codardo a sua volta.

Tooru aprì e chiuse le labbra un paio di volte. Frustrato con se stesso, si alzò in piedi. Prima che gli desse le spalle, il Primo Cavaliere ebbe il tempo di accorgersi che aveva gli occhi pieni di lacrime. “È finita da tempo, Hajime.”

“Ma è cominciata molto prima che io lo sapessi.” Replicò Hajime, sollevandosi dal giaciglio a sua volta.

Il Re Demone scosse la testa. “Era già finita tra noi.” La voce di Tooru tremava. “È finita quando sono partito con Wakatoshi dopo aver perso il nostro secondo figlio.”

“Io non mi ero ancora arreso con te.” Disse Hajime, i pugni serrati per la rabbia. “Io non avevo ancora scritto la parola fine.”

Tooru si voltò lentamente. “Io ti avevo già tradito, Hajime. Non c’era modo di rimettere insieme i pezzi, avevo già distrutto ogni cosa.”

“E questo l’hai deciso da solo?”

Il Re Demone sorrise beffardo. “Oh, no, non lo fare…”

“Fare che cosa?”
“Ripensare a tutto col senno di poi! Non mi avresti mai perdonato. Mai.”

Hajime si fece più vicino. “Non mettermi in bocca parole che-”

“Puoi perdonarmi ora?” Domandò Tooru diretto. “Puoi accettare quello che è successo e continuare ad amarmi?”

Fu il turno di Hajime di non sapere come rispondere.

Tooru sorrise con amarezza. “Eccola la parola fine, Hajime.” Lo superò. Aveva bisogno di prendere le distanze.

Hajime non gli permise di andare troppo lontano.

Sentendosi afferrare, Tooru si voltò. “Hajim-”

Il Cavaliere lo costrinse con la schiena contro il tronco di un albero e non si disturbò ad essere gentile nel farlo.

“Hajime!” Il Re Demone lo guardò irato ma il suo sguardo non era paragonabile a quello del Primo Cavaliere di Seijou.

“Ti ho già detto,” disse Hajime con la voce tremante per la rabbia, “di non mettermi in bocca parole che non ho mai detto.” Lo baciò.

Tooru congelò.

Fu un’esitazione lunga un battito di cuore.



***



Shouyou non era sicuro che tutte quelle attenzioni fossero necessarie per un Principe ma dopo quello che era successo, l’idea di mandare via Tadashi non lo aveva nemmeno sfiorato.

Le persiane della sua stanza erano rimaste chiuse per tutto il giorno ma i vetri delle finestre erano aperti. Shouyou poteva sentire le voci della folla festante che si era radunata nel cortile interno. La musica non era ancora cominciata.

“Mi è venuta questa idea per caso,” confessò la giovane guardia, spazzolandogli i capelli con cura. “Ho pensato che sarebbe stato carino fare qualcosa di diverso.”

Shouyou continuò a fissare il proprio riflesso nello specchio, mentre Tadashi appoggiava la spazzola sul tavolo da toeletta e recuperava il nastro nero che vi aveva appoggiato prima di far accomodare il suo giovane signora.

Il Principe dei Corvi non ebbe alcuna reazione, la mente impegnata a cercare le parole giuste per farsi perdonare. Sapeva che non ce ne era bisogno, che Tadashi avrebbe dimenticato tutto con semplice scusami, non volevo ferirti.

Shouyou, però, non si accontentava. Prima di allora, non aveva mai ferito un suo amico intenzionalmente e non aveva mai abusato del suo titolo per far del male a qualcuno senza temere le conseguenze.

Non voleva che accadesse mai più.

“Ecco fatto!” Esclamò Tadashi con un’allegria che non raggiunse i suoi occhi.

Shouyou sbattè le palpebre un paio di volte e pose di nuovo attenzione al suo riflesso: l’amico gli aveva legato i capelli all’indietro in modo che solo le ciocche più corte gli incorniciassero il viso. Reclinò la testa da un lato e studiò la sua immagine come se non l’avesse mai vista prima.

“Sembro più grande.” Un commentò mormorato. Sembrava più molte cose.

Più elegante. Più nobile. Ancor più indegno dell’amicizia dell’altro fanciullo.

Tadashi gli strinse le spalle. “Stai benissimo.” Lo lasciò andare e si voltò. “A Tobio piacerà.” Si apprestò a mettere a posto il letto e ripiegare i vestiti che vi aveva buttato sopra, alla ricerca di qualcosa di consono da far indossare al suo Principe.

Shouyou si voltò. “Avete parlato?” Era la prima volta che diceva una parola da quando Tadashi era entrato nella sua camera per aiutarlo a vestirsi.

L’altro annuì senza guardarlo negli occhi. “Abbiamo avuto una piacevole conversazione.”

Piacevole?” Domandò Shouyou con poca convinzione. “Non riesco ad immaginare una conversazione con Tobio che sia piacevole.”

Tadashi ridacchiò e gli angoli della bocca del Principe si sollevarono un poco. “Se è stato piacevole con te,” aggiunse quest’ultimo. “Immagino di essere io quello sbagliato.”

“Tu sei speciale,” lo corresse Tadashi, lanciandogli un’occhiata veloce da sopra la spalla. “Quando è con te, il Principe Demone è se stesso.”

Shouyou corrugò la fronte. “Ha davvero fatto un’impressione così buona?”

Tadashi non rispose immediatamente ma si avvicinò all’armadio e ripose con cura gli abiti perfettamente ripiegati. “Ho commesso un errore,” disse, il capo chino. “Ti chiedo perdono.”

Shouyou scosse la testa velocemente e si alzò dal suo posto di fronte allo specchio. “Non sei tu che devi chiedere scusa,” disse. “Stavi cercando di proteggermi.”

“Da qualcuno che ti sta già proteggendo.” Tadashi si voltò lentamente, un sorriso malinconico sulle labbra. “Ho lasciato che la fama del Principe Demone offuscasse il mio giudizio. Dovevo avere fiducia nel mio signore e sapere che tu non ti saresti mai messo nelle mani di qualcuno indegno della tua fiducia.”

Shouyou accennò un sorriso. “Sì…” Ammise. “Mi piacerebbe ricevere un po’ di fiducia. So che non faccio molto per guadagnarmela ma…” Prese a torcersi le dita con nervosismo. “Un giorno diverrò Re,” aggiunse con risolutezza. “Voglio essere degno del titolo che porto, non abusarne.”

Tadashi scosse la testa. “Ho cominciato io.”

“E io ho concluso.” Shouyou si fece più vicino. “Non giustificarmi.”

“Hai detto solo la verità riguardo a Kei.” Tadashi abbassò lo sguardo. “Io, invece, ho giudicato il tuo Principe senza conoscerlo.”

Il Principe dei Corvi prese a scuotere la testa velocemente, le guance rosse. “No! No! No! Tobio non è mio, noi… Noi…”

“Noi siamo in ritardo,” concluse Tadashi, aggiustando una ciocca di capelli del Principe finita fuori posto. “Non preoccuparti, Shouyou, non c’è nulla da perdonare.”

Gli angoli della bocca del Principe dei Corvi si sollevarono e gli occhi color ambra tornarono a brillare della loro solita luce.

“Vieni!” Shouyou afferrò la mano dell’amico. “Sto morendo di fame e non voglio perdermi l’inizio della musica!”

Tadashi per poco non inciampò sui propri piedi. “Shouyou, non correre!”

Il Principe ridacchiò. “Lo hai detto tu che non dobbiamo fare tardi!” Allungò la mano verso la maniglia della porta ma non fece in tempo ad afferrarla.

Kei aprì la porta appena in tempo per colpire Shouyou dritto in faccia. “Ma che diavolo…?”

“Ahi!” Piagnucolò il Principe dei Corvi con voce stridula. “Che dolore!”

“Non nasconderti dietro alle porte chiuse,” disse il Cavaliere. “E smettila di urlare!”

Pur avendo le lacrime agli occhi, Shouyou sollevò il pugno destro con fare minaccioso.

Fu Tadashi a placarlo. “Fammi vedere.” Prese il viso del Principe tra le mani e lo esaminò con cura. Sospirò. “Hai solo un segno rosso sulla fronte e sta andando via.”

Shouyou guardò Kei di traverso continuando a massaggiarsi il punto leso.

Il Cavaliere lo squadrò da capo a piedi con un sopracciglio inarcato. “Come ti sei conciato?” Domandò con un ghignetto divertito.

Shouyou arrossì fino alla punta delle orecchie ed abbassò lo sguardo.

“No!” Esclamò Tadashi, afferrando il mento del Principe e costringendolo a guardarlo negli occhi. “Non rovinare il mio lavoro!”

Kei sgranò gli occhi. “È stata una tua idea?”

Fu il turno di Tadashi di arrossire. “Sta bene!” Si giustificò, strinse le spalle del suo Principe e lo invitò a guardare in faccia il Cavaliere. “Digli che sta bene!”

Se Shouyou avesse potuto penetrarlo con uno sguardo, lo avrebbe fatto dritto al cuore ma non era nulla a cui Kei non fosse abituato. “Sembra che stia per azzannarmi.” Commentò. “Incantevole…”

Shouyou gonfiò le guance. “Al diavolo!” Esclamò e marciò fuori dalla camera.

Kei lo guardò scomparire oltre la porta, poi sbuffò annoiato e tornò a guardare il fanciullo con cui condivideva quella tediosa pena. Tadashi aveva le braccia incrociate contro il petto e l’espressione contrariata.

“Che cosa c’è?” Domandò il Cavaliere.

Tadashi scosse appena la testa. “Perchè fingi?”

“Cosa sto fingendo?”

“Che non ti piaccia, Kei.”

Il Cavaliere storse la bocca in una smorfia. “Lo hai fatto assomigliare ad un essere civilizzato, complimenti a te ma questo non cambia quello che è!”

Tadashi lo guardò fisso. “Ma come fai?”

Kei si passò una mano tra i capelli. “La serata è appena cominciata. È troppo presto per queste idiozie.” Fece per uscire dalla stanza, ma l’altro lo superò e si frappose tra di lui e la porta.

“Non riesco a capire se sei bravo a fingere o se sei tanto schiavo della noia da non capire quando provi qualcosa.” Tadashi strinse i pugni per la rabbia. “Non ti rendi conto di come lo guardi quando pensi che nessuno ti veda?”

Kei inarcò le sopracciglia. “Non stai dicendo quello che credo, vero?”

Gli occhi di Tadashi si riempirono di lacrime. “E ovviamente tu non mi prendi sul serio…” Mormorò con un amaro sorriso.

“Tadashi, hai passato settimane a delirare su un possibile legame tra Shouyou ed il Principe Demone ed ora sostieni che quello ad essere interessato al nostro piccolo idiota sia io?”

Tadashi abbassò lo sguardo. “Shouyou è come il sole,” disse. “Ignorarlo è impossibile persino per te. Un dettaglio del genere non può esserti indifferente.”

Kei alzò gli occhi al cielo. “Mi auguro che tutta questa storia si riveli presto per il disastro che è,” si massaggiò la fronte, “così potremo tutti tornare a casa e dimenticarci di quest’estate.”

Tadashi si umettò le labbra. “Ti sbagli,” mormorò. “Quest’estate è stata solo l’inizio.”

“Di cosa?” Domandò Kei esasperato.

Tadashi scosse di nuovo la testa. “È chiaro come il sole, Kei,” disse. “Quando deciderai di vederlo, allora lo capirai.”




***



Hajime non la ricordava l’ultima volta che aveva davvero guardato le stelle.

Quando Tobio era piccolo, solevano farlo tutti e tre insieme, distesi su vecchie coperte e circondati dalle spighe di grano. Tooru parlava per tutto il tempo, raccontando storie di leggendari popoli che vivevano tra le stelle e Tobio non mancava mai di ascoltarlo incantato.

Perchè non ricordava l’ultima volta che avevano vissuto un momento come quello? Perchè aveva dato tutto per scontato?

“Ehi…”

Tooru era steso accanto a lui. Non erano abbracciati ma le loro spalle si toccavano e le loro dita erano intrecciate sotto le coperte. Hajime pensò che era la posizione in cui erano soliti dormire da bambini, quando ancora l’amore tra loro era privo di condizioni.

“Stai bene?” Domandò Tooru.

Un sorriso nostalgico comparve sulle labbra di Hajime. “Questo dovrei chiederlo io a te.”

La stessa espressione comparve sul volto del Re. “Abbiamo già avuto questa conversazione, Hajime. Tanto, tanto tempo fa…”

Il Cavaliere si coprì il viso con il braccio. “Mi fai sentire vecchio.”

Tooru si mosse tra le coperte, posò un bacio tra i capelli dell’altro. “Non lo sei,” mormorò. “Credimi, non lo sei…”

Il petto di Hajime vibrò per una risata mal trattenuta. “Potrei montarmi la testa.”

Tooru appoggiò la nuca alla sua spalla e rivolse gli occhi alle stelle. Il Cavaliere gli circondò le spalle con un braccio pigramente, un’abitudine consolidata in anni passati a dormire l’uno accanto all’altro.

“Hajime…”

“Uhm?”

“Hai passato la notte scorsa con la padrona della locanda, vero?”

Il Cavaliere sollevò il braccio ed abbassò gli occhi verdi, ma Tooru non lo guardava. La sua espressione era serena, come se non avesse nominato un’altra donna subito dopo aver fatto l’amore con lui.

“Tooru, io-”

“Non devi giustificarti,” lo interruppe Tooru, sollevando gli occhi scuri. “Abbi rispetto per entrambi e non lo fare.”

Hajime chiuse la bocca ma non c’era più serenità nel silenzio che seguì. “Ho mentito…”

“Non sei stato il primo a farlo, Hajime.”

“Ho deciso di lasciarti da solo ad aspettarmi,” proseguì il Cavaliere. “Volevo punirti. Volevo che tu mi aspettassi mentre io ero con qualcun altro.” Lasciò andare un risata nervosa, coprendosi gli occhi con una mano. “Ridicolo… Ho perso il potere di ferirti da tanto tempo.”

“È l’esatto contrario, Hajime,” obiettò Tooru. “Quello di ferici è stato l’unico potere che abbiamo avuto l’uno sull’altro per tanto tempo.”

Hajime prese un respiro profondo. Si sentiva come alla fine di una lunga e faticosa corsa sotto il sole, il cuore batteva alla stessa velocità. “Tu sei tutta la mia vita, Tooru,” confessò. “Non è una frase struggente, solo la realtà dei fatti. Non ho ricordi di quello che c’è stato prima di te. Non posso immaginare un futuro in cui tu non ci sei. Non posso sostituirti, non posso dimenticarti. Ci ho provato per tanto tempo e quando mi sono risvegliato accanto a qualcuno che non eri tu, ho capito qual è l’unica cosa che posso fare… La sola che non mai tentato.”

Tooru continuò a guardare le stelle. “E quale sarebbe?”

“Dirti addio,” rispose Hajime. “Ho cercato di andare avanti con il rancora, uccidendo il ricordo di noi. Volevo scrivere la parola fine a tutti i costi e questo non faceva che legarmi a te con una corda che mi stringeva la gola.”

“E un addio non è una fine?”

“No. È un punto e a capo.”

Tooru sollevò lo sguardo, un sorriso amaro sulle labbra. “Non puoi uccidere il ricordo di me ed andare avanti,” mormorò. “Ti serviva qualcosa che ti ricordasse che quel ricordo è reale.”

Hajime annuì.

“Ora puoi lasciarmi andare,” concluse il Re Demone. “E tu puoi proseguire sulla tua strada… Ma dove ti porterà?”

“Da qualche parte,” lo rassicuro Hajime. “Ma non lontano. Non sarò mai troppo lontano, Tooru.”

“E se la strada che hai scelto ci facesse incontrare di nuovo?” Domandò Tooru, sollevando gli occhi scuri verso le stelle.

Hajime fece lo stesso. “Potrebbe…” Ammise. “Ma non ancora...”

Tooru accettò la volontà dal suo Cavaliere con un sorriso triste ma consapevole. “Va bene. Non ancora…”

Poteva aspettare.




***



Il cortile interno della tenuta era un trionfo di luci e colori.

Le bandierine colorate non potevano competere con gli arazzi del Castello Nero, i musicisti erano solo contadini con una gran voglia di divertirsi e far divertire ed i lunghi tavoli di legno erano tutto meno che eleganti. Tuttavia, Tobio si sentiva più a suo agio in quell’ambiente che in uno dei saloni dalle mura di pietra in cui era cresciuto.

Le feste non erano mai state una sua priorità, le aveva sempre vissute come un dovere e non gli piaceva essere a stretto contatto con troppe persone. In campagna, però, nessuno pretendeva che fosse al centro dell’attenzione.

Tutti si divertivano spontaneamente e non era necessario che l’erede al trono dirigesse tutto ad arte. Tobio non avrebbe nemmeno saputo da dove cominciare. Tooru era l’esperto, non lui.

“Ehi, ragazzino!”

Seduti dal lato opposto del cortile, Issei e Takahiro si erano alzati in piedi per fargli cenno di avvicinarsi. Testuro, Koutaro e le loro famiglie erano seduti allo stesso tavolo ma non lo guardavano, troppo impegnati a rivedere tutte le fasi di qualunque progetto diabolico avessero in serbo per la serata.

Con le braccia incrociate contro il petto, Tobio si limitò a scuotere la testa: una strana sensazione gli chiudeva lo stomaco ed era troppo impegnato a duellare con i suoi pensieri per intavolare una conversazione, seppur allegra, con chiunque.

Shouyou non era ancora sceso e questo lo rendeva irrequieto. Lanciò un’occhiata alle persiane chiuse della sua stanza. Forse stava parlando con quel suo amico – il suo nome era Tadashi?

Forse stava ripensando alle confessioni di debolezza che si erano scambiati.

Tobio sollevò l’angolo destro della bocca in una smorfia poco convinta: se quello era il loro modo di fare chiarezza sui sentimento che provavano l’uno per l’altro, dubitava che li avrebbe portati da qualche parte.

Giocare a rincorrersi era stato un modo per prendere tempo, ma Shouyou si sarebbe lasciato baciare senza temere le conseguenze. Lo avrebbe lasciato vincere quella loro sciocca sfida senza remore.

La beffa di tutta quella storia era che Tobio ne sarebbe uscito sconfitto proprio per quella ragione.

Shouyou aveva riconosciuto in lui una minaccia, aveva visto nel suo potere politico qualcosa da temere e, nonostante tutto, gli avrebbe permesso di baciarlo.

Tobio non aveva saputo dimostrare lo stesso coraggio. C’erano due ali corvine nei pensieri del Principe Demone e l’immagine di un orizzonte sconfinato verso cui sarebbero potute volare, con o senza di lui.

Alla fine, la mente di Tobio ruotava intorno alla stessa, spinosa conclusione: baciare Shouyou era un rischio. Poteva avere il coraggio di accettarlo o allontanarlo da sè definitivamente, privandosi di tutto ciò che il Principe dei Corvi gli aveva dato.

Cosa? Domandò una voce nella sua testa. Che cosa ti ha dato Shouyou?

“Che cosa stai facendo qui?”

Tobio sobbalzò e lanciò un’occhiata raggelante al giovane che era comparso al suo fianco interrompendo la linea dei suoi pensieri. “Che cosa vuoi?” Ringhiò.

Tsutomu si alterò immediatamente. “Ehi! Non mi sembra di averti mancato di rispetto!”

Tobio sospirò e tornò a rivolgere il suo sguardo alla folla festante. “Dov’è il tuo Cavaliere?” Domandò.

“A nascondersi,” disse Tsutomu con fare altezzoso. “Non se la sente di affrontare gli uomini di tuo padre. Che assurdità!”

Tobio lanciò un’altra occhiata agli uomini in questione: Tetsuro e Koutaro erano saliti sulla panca a cantare con due calici di vino in mano, mentre Takahiro ed Issei li incitavano dal basso.

Sospirò. “Non credo che il tuo Cavaliere li tema,” disse con fare annoiato. “Forse vuole risparmiarsi qualche idiozia.”

Tsutomu seguì la linea del suo sguardo e strabuzzò gli occhi scandalizzato. “Certe cose non succedono mai a Shiratorizawa.”

“Appunto…” Aggiunse Tobio. Non si era mai interessato molto alle assurdità della cerchia di fedelissimi di suo padre, ma ora che il Primo Cavaliere non era nei paraggi, il Principe di sentiva in dovere di fare qualcosa… Anche di violento se necessario.

Tsutomu, però, sembrava uscito allo scoperto proprio per interrompere ogni sua idea sul nascere. “Il Principe dei Corvi?” Domandò innocentemente, guardandosi intorno.

Tobio lo trafisse con lo sguardo. “Perchè t’interessa?”

“Perchè me lo chiedi come se ti avessi puntato una lama alla gola?”

“Perchè è una domanda irritante!”

“Sono solo sorpreso di non trovartelo attaccato al cu-”

“Shouyou!” Tuonarono all’unisono diverse voci tutte insieme.

I due Principe vennero presi tanto di sorpreso che sbatterono la nuca contro il muro alle loro spalle. Consapevoli di aver fatto la figura di due idioti ma troppo orgogliosi per ammetterlo, sopportarono il dolore in silenzio.

Il Principe dei Corvi aveva fatto la sua entrata in scena in silenzio, accompagnato dal suo servo e dal Cavaliere responsabile della sua sicurezza. Nel vederlo, però, Koutaro e Tetsuro non avevano potuto evitare di urlare il suo nome a squarciagola.

Il viso del povero Shouyou era rosso per l’imbarazzo e le sue labbra erano piegate in un sorriso nervoso. Tadashi versava nel medesimo stato, mentre Kei aveva l’aria distrutta di qualcuno che sarebbe volentieri fuggito altrove.

Tobio, però, non prestò particolare attenzione a quei due. Shouyou aveva tutta la sua attenzione.

“Si è legato i capelli?” Domandò Tsutomu, sporgendosi un poco verso di lui.

Tobio annuì distrattamente. “Sembra diverso…” Commentò. Un pensiero ad alta voce.

Il Principe dell’Aquila alzò gli occhi al cielo. “Perchè si è legato i capelli!”

Tobio lo guardò di traverso. “Non intendevo quello!”

L’altro scrollò le spalle. “Mah… Chi ti capisce è bravo!”

Glielo diceva sempre anche Shouyou, eppure lui ci riusciva. Non sempre e non alla perfezione, ma era in grado di farlo quando Tobio ne aveva più bisogno. Lo aveva fatto dopo il loro primo bacio e non aveva mai smesso d’allora.

Sì, quel gioco a rincorrersi era stato solo una scusa per lui, per il Principe Demone.

Shouyou non aveva mai avuto bisogno di prenderlo: lo teneva stretto in pugno da prima che lo baciasse.

Tobio aveva perso quella stupida sfida fin dal principio ed il suo orgoglio glielo faceva realizzare solo in quel momento. Sì, Shouyou aveva vinto. Tobio poteva accettarlo, oppure scappare.

“Ti sei di nuovo perso nella sua testa?” Domandò Tsutomu.

Tobio sbuffò: possibile che non riuscisse a chiudere la bocca?

“Tsutomu, se cerchi compagnia…”

“Credo ti stia cercando,” lo interruppe il Principe dell’Aquila.

Gli occhi blu di Tobio si spostarono su Shouyou: si era seduto alla stessa tavola degli amici di suo padre e tutti si stavano adoperando per riempirgli il piatto, ma lui continuava a guardarsi intorno.

Il Principe Demone premette la schiena contro la parete e tentò di farsi piccolo piccolo.

Tsutomu lo guardò confuso. “Non vai da lui?”

“Sta cenando…”

“Non ceni con lui?”

“Tsutomu!”

“Ti stai comportando come un idiota!”

Tobio non aveva il dovere di giustificare le sue azioni a lui, così rimase in silenzio ad osservare Shouyou per il resto della cena. Il Principe dell’Aquila continuò a borbottare idiozie ma evitò di dargli corda.

Shouyou sorrideva con gentilezza e parlava con tutti i Cavalieri. Di tanto in tanto, alcune espressioni esagerate gli animavano il viso, oppure scoppiare a ridere e s’illuminava tutto. Era una sua prerogativa. Le sue ali potevano essere più nere della notte, ma aveva il sole dentro e quella luce si rifletteva nei suoi occhi, prendeva forma nel suono della sua risata o nel modo in cui non riusciva a stare mai fermo per più di un minuto.

Shouyou era fuoco, così come lo era stato Tooru.

Quel paragone colpì Tobio dove più faceva male. Non era la prima volta che nella sua mente l’immagine del Re Demone si sovrapponeva a quella del Principe dei Corvi, ma era un confronto che la spaventava ed alimentava tutte le sue incertezze riguardo i suoi sentimenti.

Poteva dare il suo cuore a qualcuno che gli ricordava tanto la prima persona che gli aveva fatto del male?

Tobio non si rispose. La serata andò avanti velocemente e prima che potesse domandarsi da quanto tempo era lì in piedi come un idiota, tutti cominciarono ad alzarsi dai propri posti per spostare i tavoli e creare uno spiazzo al centro del cortile.

“Oh, finalmente iniziano le danze!” Esclamò Tsutomu.

Tobio lo guardò confuso. “Non ti ho mai visto ballare.”

“Perchè non ballo!”

“Allora perchè t’interessano le danze?”

“Andiamo, Tobio, guardati intorno!” Esclamò il Principe dell’Aquila. “Sono tutti o troppo ubriachi o troppo allegri. È solo questione di tempo prima che qualcuno renda questa serata memorabile!”

Il Principe Demone era sinceramente sorpreso dal concetto di divertimento dell’erede al trono di Shiratorizawa ma non disse nulla a proposito. In fin dei conti, quelli che sarebbero dovuti essere i veterani del loro esercito erano i primi a voler vedere i Cavalieri più giovane imabarazzare loro stessi.

I primi spettacoli si svolsero su di un tavolo vicino al portone d’entrata. Yuutaro vi era salito sopra, il viso paonazzo per il troppo vino bevuto ed un mestolo stretto nella mano destra. Tobio non aveva la minima idea di quello che stava dicendo ma agitava l’utensile da cucina come se fosse una spada e sembrava si stesse commuovendo per il suo stesso discorso.

“Ridicolo…” Commentò con un sospiro. Per fortuna del giovane e della reputazione dei nobili Demone di Seijou, Akira intervenne per farlo scendere.

“Non vedo più Shouyou,” disse Tsutomu allungando il collo.

Tobio lo cercò tra la folla. “È un nanerottolo. Sparisce facilmente…”

Tsutomu ridacchiò. “In guerra potrebbe commettere stragi così.”

Il Principe Demone lo guardò come se avesse detto una blasfemia.

“Che cosa c’è?” Domandò il più giovane. “Sarà Re, potrebbe combattere su di un vero campo di battaglia un giorno.”

Potrebbe,” sottolineò Tobio.

Tsutomu lo guardò con attenzione. “Gli insegni a combattere ma non vuoi che lo faccia.”

“Gli insegno a combattere perchè è giusto che sappia difendersi,” ribatté Tobio. “Non può dipendere sempre dalla protezione degli altri.”

“Non ha molto seno che tu dica questo se non vuoi che combatta le sue battaglie.”

“Shouyou non avrà mai battaglie sue,” replicò Tobio. “Non come le intendiamo io e te.”

Il Principe dei Corvi era tante cose e poteva divenirne molte altre ma non era una creatura nata per la guerra. Tobio non ci teneva che lo diventasse. La guerra aveva effetti imprevisti sulle persone e non voleva sapere che aspetto avrebbero assunto addosso a Shouyou.

Gli era bastato dare un’occhiata al modo in cui la rabbia illuminava i suoi occhi.

Tsutomu continuava a studiarlo. “Vuoi essere il suo Cavaliere?” Domandò ingenuamente. “Vuoi combattere le sue battaglie come tuo padre ha fatto col Re Demone?”

Era un paragone assurdo.

Tooru non aveva mai permesso a nessuno di prendersi le sue vittorie, nemmeno al sangue del suo sangue.

“Posso combattere con lui,” replicò Tobio senza riflettere. Lo fece dopo aver parlato. “Posso combattere con lui…” Ripetè.

Era semplice, quasi banale. Era un pensiero che non lo aveva mai sfiorato.

Shouyou temeva il potere del Principe Demone e Tobio temeva la possibilità di vedersi strappare via le sue ali da chi gliele aveva concesse. Fino a quel momento, Tobio non aveva fatto altro che pensare a quelle due debolezze separatamente. Sommandole, invece…

“Ignorare le proprie debolezze è il primo passo verso l’autodistruzione,” recitò l’insegnamento di suo padre a memoria. “Accettarle è il primo passo per crescere…”

Tsutomu inarcò le sopracciglia. “Stai pensando ad alta voce?”

Tobio lo ignorò.

Shouyou comparve a lato della pista da ballo improvvisata. Lo vide mentre trascinava un imbarazzatissimo Tadashi ed un annoiato Kei al centro della folla danzante.

I due se ne rimasero immobili, completamente inibiti.

Shouyou no, lui prese a ballare come gli veniva, seguendo un ritmo tutto suo.

“È completamente impazzito?” Domandò Tsutomu.

“Gli piace danzare,” rispose Tobio distrattamente, incapace di staccare gli occhi dal Principe dei Corvi.

“Ti sembra danzare quello?” Obiettò l’erede al trono di Shiratorizawa.

Tobio non si disturbò a prestargli ulteriore attenzione. Shouyou fece una piroetta su se stesso ed i loro occhi s’incrociarono. Così, per caso…

Le iridi d’ambra che lo avevano cercato per tutta la sera s’incatenarono alle sue e Tobio smise di nascondersi.

Le labbra di Shouyou si piegarono nello stesso sorriso che il Principe Demone aveva visto tante volte sul viso di Tooru mentre guardava suo padre.

Quel ricordo non lo spaventò. La loro era un’altra storia.

Mentre si staccava dalla parete, Tsutomu gli chiese dove stava andando. Tobio non gli rispose e si fece strada tra i Cavalieri che s’improvvisavano ballerini con le fanciulle di campagna.

Occupato a convincere Kei a fare qualche passo di danza, Tadashi non si accorse che si avvicinava.

Il sorriso di Shouyou, invece, si fece ancor più dolce. “Sei ritar-” Cercò di dirgli, ma il modo in cui Tobio gli prese il viso tra le mani lo zittì.

“Sì,” disse il Principe Demone. “Sì, sono in ritardo.” E non aveva intenzione di perdere un respiro di più.

Le labbra di Tobio aderirono alle sue e Shouyou riprese a respirare. Non sapeva quando aveva smesso di farlo. Forse era rimasto col fiato sospeso dalla notte del loro primo bacio, aspettando che l’altro si decidesse a capire per che cosa batteva il suo cuore.

Non aveva importanza, ogni minuto di attesa era valso quel momento.

Il loro secondo bacio fu perfetto.

Shouyou sorrise contro le labbra di Tobio, si aggrappò a lui e si sollevò sulle punte per averlo più vicino. Le dita del Principe Demone s’infilarono tra i suoi capelli ed il nastro nero che li legava cadde a terra.

Quando si separarono, Tobio appoggiò la fronte alla sua, gli occhi ancora chiusi.

Shouyou gli circondò il collo con le braccia. “Sei riuscito ad afferrarmi, Sir Cacciatore.”

Tobio lo guardò dritto negli occhi. “Sei tu l’idiota che è volato verso di me.” Nonostante l’insulto, il tono della sua voce era gentile.

Shouyou fece per baciarlo di nuovo, troppo felice per non vivere il momento fino in fondo. Tobio, però, si allontanò prima che ci riuscisse.

Entrambi si guardarono intorno: i musicisti avevano smesso di suonare e tutti si erano fermati a guardarli.

L’unico che sorrideva era Tadashi.

Kei, invece, sembrava alquanto confuso. “Che diavolo c’era in quel vino?” Domandò.

L’amico d’infanzia gli lanciò un’occhiata esasperata. “Kei…”

A bordo della pista da ballo, Aone sollevò entrambe le mani, pronto a battere l’una contro l’altra. Futakuchi gli afferrò il polso prima di ci provasse. “Giuro che se osi applaudire…” Lo minacciò con l’indice sollevato.

Ancora in piedi sul loro tavolo, i vecchi sovrani di Nekoma e Fukurodani non sapevano che dire o fare.

“Questo non era nei piani, Tetsuro,” mormorò Koutaro.

L’altro gli diede una pacca sulla spalla. “Lo so, amico. Lo so,” disse amaramente. “Le nuove generazioni sanno usare l’effetto sopresa meglio di noi. Ci stanno superando…”

Ancora seduto composto, Lev si guardò intorno spaesato. “Che cosa è successo?” Domandò allo zio. “Non ho visto! Mi sono perso qualcosa?”

Tetsuro sospirò. “Va bene. C’è ancora speranza per noi.”

Takahiro non la smetteva di prendere a pugni il braccio d’Issei. “Hai visto?” Chiese esaltato.

“Non credo ai miei occhi ma sì,” rispose l’altro.

“Sta accadendo tutto di nuovo!”

“E stavolta siamo abbastanza maturi da goderci tutte le fasi del delirio.”
“Oh, non riesco ad immaginare l’espressione di Hajime quando glielo racconteremo!”

“Che diavolo sta succedendo qui?!” Tuonò la voce del Primo Cavaliere di Seijou spezzando il silenzio.

Takahiro guardò Issei.

Issei guardò Takahiro. “Hai sentito anche tu?” Domandò quest’ultimo. L’altro annuì.

“Ho chiesto: che diavolo sta succedendo qui?” Ripetè la voce iraconda.

Gli occhi di tutti si spostarono dai due Principe all’ingresso del cortile.

Il portone era stato aperto e richiuso senza che nessuno se ne accorgesse ed il Re Demone aveva fatto capolino all’interno della tenuta in compagnia del Primo Cavaliere di Seijou, Generale degli eserciti reali, signore e padrone di tutti gli uomini che avevano lasciato il Castello Nero senza permesso e ora impegnati a festeggiare la fine dell’estate.

Dall’alto del suo tavolo, fu Koutaro a spezzare l’immobilità generale. “Ritirata!” Urlò, come se alle loro porte si fosse presentato un drago ancor più feroce di quello che aveva attaccato la corte di Seijou.

I Cavalieri non se lo fecero ripetere due volte e la folla cominciò a sparpagliarsi. Nel caos più totale, c’era chi rientrava nella tenuto e chi cercava rifugio altrove.

In un batter d’occhio, con la sola eccezione del Primo Cavaliere ed il Re Demone, il cortile era completamente vuoto.

Tooru guardò i tavoli di legno, le panche trabaltate e le bandierine colorate con un broncio contrariato. “Che cosa devo fare per avere anche io questo effetto sulla gente?”

Hajime lo guardò, la vena sulla sua tempia destra pulsava pericolosamente. “Non ti ci mettere anche tu,” lo avvisò.

Il Re Demone rabbrividì e prese ad annuire pateticamente. “Resterò muto come un pesce fino al Castello Nero,” promise.

Qualunque battaglia contro Hajime era già persa in partenza.
   
 
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