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Autore: Luana89    09/07/2018    0 recensioni
«Shùra se ti butti lì dentro e stai almeno un minuto ti darò diecimila dollari, parola di Misha» non piansi sentendo nuovamente quelle parole a distanza di anni, mi feci semplicemente forza sorridendo.
«La tua parola non vale un cazzo, ma voglio fidarmi. Accetto». Scoppiammo a ridere entrambi guardandoci per un lungo istante, fu Misha a riprendere ancora una volta il discorso.
«Quindi adesso temi che la tua anima possa congelarsi?» sorrisi sghembo scrollando le spalle.
«Sono ancora alla ricerca della mia anima, la troverò al quinto soviet probabilmente, mi aspetta rinchiusa in quello specchio da vent’anni ormai. Ah, prima che dimentichi ..sei carino quando sorridi, fallo più spesso». Mi spinse contrariato e imbarazzato.
«Shùra, cosa mi porterai dal tuo viaggio? Mi aspetto almeno un cazzo di regalo». Mi fissò seriamente.
«Non saprei, cosa vorresti?». Scrollai le spalle, nei nostri conti vi erano adesso trenta milioni di dollari, non c’era nulla che non potessi donargli.
«Portami l’orizzonte»
Quando tutto sembrava essersi concluso ecco che le carte tornano a mescolarsi. Shùra e Misha dissero addio alla bratva, ma la bratva aveva davvero detto loro addio?
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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— Puoi ripetere per favore?
— Dimitri Cernenko è stato qui.
— Quando?
— Pochi giorni fa, che cazzo avete fatto? Come cazzo mi ripagherai il dito?
— Gli hai detto qualcosa?
— Mi ha chiesto dove fosse Misha.
— Gli hai detto qualcosa, rispondimi Pedro.
— Non gli ho detto nulla.
 
 
La linea si interruppe bruscamente, portai una mano sul viso a coprirlo mentre una goccia di sudore si perse oltre il bordo della maglia lungo la schiena contratta. Due anni. Erano passati solo due fottuti anni prima che la bolla tornasse a rompersi di nuovo, e nel momento meno opportuno. Chiusi gli occhi provando a mantenere la calma, non volevo che i miei occhi mostrassero tutto il turbamento che quella notizia mi aveva provocato, più terrificante della bratva stessa vi era un solo uomo: Dimitri Cernenko. Cresciuti insieme, avevo visto quel viso infantile divenire adulto, una cosa che non era invece mai cambiata in lui era lo sguardo. Letale, arido e vuoto. Il Demonio che diventa carne e cammina sulla terra.
«Shùra?». La voce di Sophia interruppe i miei pensieri, la fissai con un sorriso improvvisamente addolcito. Una testa bruna sbucò da oltre le sue gambe.
«Vedo per caso un ometto?» Eleazar era la mia fotocopia ma con gli occhi grandi della madre, portava il nome di mio padre e nella sua indole vedevo spesso lui con sprazzi di me stesso. Aveva compiuto due anni da poco, le sue piccole mani si aggrapparono alle cosce della madre che toccava la propria pancia non ancora evidente. Aspettavamo un altro figlio e il mio mondo stava crollando.
«Eleazar vai a giocare fuori». Era incredibile come pendesse dalle sue labbra, o forse no forse in questo era sin troppo simile a me. Dopo una vita passata insieme non c’era volta in cui Sophia non capisse il mio umore e anche quella volta sembrò intuire sedendosi accanto a me.
«Ti ho promesso una vita diversa, ti ho promesso dolori diversi da quelli affrontati in tutti questi anni e ho sempre avuto l’intenzione di mantenere la parola data». Le afferrai la mano, sentii il tocco delle sue dita sui miei capelli.
«Cos’ha il mio Shùra? Che è successo..» non riuscì a nascondere la voce lievemente tesa e spaventata, strinse i denti respirando profondamente.
«Dimitri Cernenko ci sta dando la caccia, sa di noi». Sobbalzò spaventata e io temetti di vederla frantumarsi ancora una volta. Poggiai una mano sul suo stomaco, ci fissammo intensamente.
«Non tornerai lì, me l’hai promesso. Shùra tu—» non finì la frase, non ce n’era bisogno.
«Non lo farò, troverò il modo di risolvere le cose come sempre. Devo riuscire a mettermi in contatto con Misha prima di tutto». Sophia annuì, il pensiero del fratello era fonte di dolore continua soprattutto osservando il modo in cui continuava a vivere.
«Hai notizie di Nadja?». Sospirai curvando le labbra in una smorfia.
«No». Il fatto che si fossero lasciati tempo prima aveva gettato tutti nello sconforto tranne me, era qualcosa che in realtà sentivo nelle ossa. Eppure qualcosa mi diceva che quel capitolo della loro vita non era concluso. Quando mia moglie uscì dalla stanza i miei occhi si poggiarono su un punto ben definito del pavimento, laddove un’asse sembrava diversa dalle altre, e lì si bloccarono. Un ricordo sfrecciò nella mia mente.

 
 
A quindici anni ebbi il mio battesimo del fuoco, dovevo uccidere un uomo per conto della bratva e a spalleggiarmi ci sarebbe stato Dima all’epoca diciassettenne. Sentivo ogni parte del mio corpo sudare, i muscoli contratti mentre impugnavo la pistola fissando l’uomo in piedi che supplicava pietà.
«Avanti, uccidilo». La voce secca di Dimitri mi rese solo più ansioso, a differenza mia lui aveva già ucciso e sempre a differenza mia questo non sembrava avergli portato alcuno strascico evidente.
«Non so se posso farlo». Quella fu la prima e ultima volta in cui tremai e titubai di fronte a un bersaglio.
«Se non lo uccidi lui ucciderà te, vero Liev?». L’uomo scosse il capo in cenno di diniego, Dimitri estrasse la pistola grattandosi la tempia con la canna. «Vediamo se così funziona.. due spari rimbombarono lungo la strada deserta, due fori uno per ogni gamba». L’uomo si accasciò a terra urlando di dolore, fissai quello che reputavo un amico con occhi increduli.
«Che cazzo hai fatto?». Mi scostai appena allargando le braccia.
«Ho iniziato il lavoro al posto tuo, guarda come soffre vuoi lasciarlo così?». Sorrise, un sorriso quasi gentile, il sorriso di qualcuno che non conosceva neppure lontanamente il significato di pietà e clemenza. Sparai dritto alla sua fronte finendolo sul colpo, vidi in quegli occhi chiari e lucenti una luce di vittoria. Poggiò la mano sulla mia spalla battendola più volte.
«Farai grandi cose, Shùra». Mi chiedo se oggi lui ricordi come me quel momento, e mi chiedo se pensi ancora le medesime cose.
 
 
 

Misha

 
 
Las Vegas era la mia fogna preferita, qui avevo tutto: soldi, gioco e donne. Si è vero, dopo due anni non era cambiato quasi un cazzo nella mia vita, restavo ancora un inutile sacco di merda dedito ai piaceri del mondo. Mi sentivo relativamente fiero dell’aver dilapidato quasi tutti i trenta milioni di dollari sul mio conto, o meglio quindici. Si perché poco dopo averli avuti tra le mani ne diedi la metà a mia sorella Irina. Volevo che non le mancasse nulla, volevo che avesse il meglio. Viveva a NYC adesso, vicina a Sophia e Shùra in modo tale da rendermi tranquillo. Una zaffata di profumo colpì le mie narici, mi volta osservando una donna bionda superarmi a passo spedito, per un istante pensai fosse lei. Ma non lo era. C’eravamo lasciati ormai (a suo dire definitivamente) la mia gelosia e il mio essere una continua testa di cazzo senza recupero uniti a quella sua aria perennemente saccente avevano incrinato quella patina luminosa che rivestiva la nostra relazione. Io sapevo non fosse finita, sapevo che prima o poi avrei bussato alla sua porta perché Nadja era il mio destino. E dal destino non puoi scappare.
Punto tutto sul rosso. Sorrisi fissando una mora accanto a me, okay dal destino non potevi scappare ma non potevano neppure scoppiarmi le palle nell’attesa.
 
 
Il cellulare squillò nel cuore della notte, mi mossi afferrandolo a tentoni ignorando il corpo nudo accanto a me, sul display il nome di mio fratello fece collassare il mio cuore. Eleazar stava male? Irina? Sophia aveva di nuovo problemi con la gravidanza?
 
— Che cazzo è successo?
— Dove sei?
— A Las Vegas, perché?
— Per quale porca puttana di motivo sei lì?
— Mi stai sul serio chiamando alle cinque del mattino per questo?
— Ti ho chiesto miliardi di volte di venire qui, lavora con me.
— E io ti ho risposto miliardi di volte che non è il momento.
— Non è mai il momento per te, quando cazzo diverrai un essere umano?
— Insisti?
— Misha la situazione è seria.
— Non esageriamo, ho ancora qualche spiccio da parte.
— Non parlo di quello. Dimitri sa di noi, ti sta cercando.
— Non credo di aver capito, Dimitri chi.
— CERNENKO PORCA PUTTANA.
— Come cazzo..
— Apri gli occhi da questo momento, tu sai come lavora.
— Tieni al sicuro Irina.
— Tengo al sicuro tutti, e pure te. Vieni qui.
— Separati siamo bersagli più difficili.
— Misha porca puttana.
 
Chiusi la chiamata alzandomi, il rumore della città appena sveglia non riuscì a frenare i miei pensieri. Come cazzo era successo? Pensavo di essermi lasciato alle spalle tutta la merda che era stata la mia vita a Mosca, com’era possibile adesso ripiombare in quel buco nero? Respirai profondamente cercando di mantenere la calma, osservando la gente da sopra il mio attico, macchie indistinte di colore: tra esse c’era lui? Focalizzai nella mia mente il suo viso, spigoloso e quasi attraente per molte donne, tutte attratte dalla sua patina scintillante ma nessuna consapevole del marciume nella sua anima. Non ero un santo, non lo sarò mai, ma Dimitri.. lui era qualcosa di assolutamente riprovevole, qualcosa di così totalmente disumano da farmi sentire in trappola persino lì a metri e metri d’altezza, chiuso nella mia bella camera d’albergo.
Non sarei caduto così, non senza combattere, che venisse pure a cercarmi. Lo avrei atteso a braccia aperte e armi in mano. Lo smeraldo verde sul mio anulare destro brillò quasi volesse attirare la mia attenzione, lo fissai con un mezzo sorriso quello era l’unico regalo che quel bastardo di Sergej si era mai degnato di farmi. L’anello della fratellanza, tenerlo era un semplice schiaffo morale, che mi baciassero tutti il culo non sarei mai caduto.
 

 

 
 

Dimitri

 
 
Il brusio delle voci faceva da sottofondo ai miei pensieri, ero a Las Vegas da pochi giorni e di Misha ancora nessuna traccia, non che ne fossi stupito in effetti era tipico degli scarafaggi ficcarsi nei piccoli anfratti sfuggendo ai predatori. Il coltellino tolse la buccia della mela ferendomi il dito, succhiai il sangue sentendo il boato della porta e i miei occhi fissarono la figura di Nikolai sorridente venirmi incontro.
«Fratello!». Odiavo quel nomignolo di merda, eravamo cresciuti insieme ma il mio disgusto per lui era solo aumentato col passare del tempo. Nikolai, o Kolia per la fratellanza, il figlio inutile della bratva e l’unico figlio di Sergej.
«Non pensavo di vederti qui Nikolaj, che succede?». Feci come mio solito buon viso a cattivo gioco, la mia scalata all’interno della famiglia non era avvenuta così dall’oggi al domani, reprimere e attaccare al momento giusto erano le due cose che da sempre mi riuscivano bene. Lo fissai sedersi sul divanetto di fronte la scrivania.
«Ho saputo di quei due bastardi, ho sempre avuto ragione su di loro». Non potevo biasimarlo in quel caso, per quanto fosse un coglione senza spina dorsale il suo odio c’aveva sempre visto giusto.
«Non preoccuparti, hanno i giorni contati». La mia voce pacata sembrò tranquillizzarlo, il silenzio venne interrotto da un colpo di tosse, lo fissai aspettando che parlasse.
«Ti occupi tu del carico di droga stanotte?». I miei occhi si assottigliarono, non poteva essere una domanda casuale questa.
«Si, perché?». Lo vidi sorridere eccitato.
«La smerceremo dove dico io, un quartiere vicino Downtown». Raddrizzai la schiena gettando la mela sulla scrivania.
«Non possiamo smerciare lì, non ancora. Non abbiamo preso noi quella zona, sarebbe come dichiarare guerra alle bande lì dentro». Smussai per bene le parole, cercando di fargliele entrare in quella testa di cazzo che si ritrovava.
«Non me ne frega un cazzo. Hai capito chi sono no? Se dico qualcosa è legge». Si diede un tono provocandomi un insano divertimento, si schermava da sempre dietro il potere del padre, dietro la sua legittimità al ‘’trono’’ finale, un trono che avrebbe dovuto condividere con me ma che sembrava dimenticare sempre. Leccai le mie labbra secche annuendo lentamente.
«Vuoi occupartene tu, Kolia? Sono sicuro che tuo padre sarebbe fiero di te». Lo stupido sorrise giocando con la fede al proprio dito, la fissai ricordando la mia che ormai giaceva in un cassetto impolverato della mia villa a Mosca.
«Sapevo avresti capito». Si alzò e senza aggiungere altro varcò la soglia lasciando il posto a Yuri che entrò con sguardo confuso indicando la porta adesso chiusa.
«Che ci faceva qui il coglione?». Allargai le braccia sospirando.
«Vuole smerciare il carico di stanotte nei pressi di Downtown, gli ho detto si». Lo vidi strabuzzare gli occhi fissandomi come fossi impazzito.
«Sei pazzo? Lo ammazzeranno». Il mio sorriso valse più di mille parole, addentai la mela masticandola voracemente.
«Me lo auguro, prega che questo succeda Yuri perché senza di lui indovina chi erediterà tutto alla fine dei giochi?». Inarcai un sopracciglio e mille parole inespresse passarono tra noi. Non ero Misha, non ero Shùra, l’amore per me era qualcosa di lontano e utopico. Niente e nessuno mi avrebbe fermato dai miei propositi, e alla fine avrei ottenuto ciò per cui sapevo di essere nato, ciò per cui avevo versato il mio sangue e dato la mia anima già nera: la brigata del sole.
 
 
Nel mio mondo nessuno era importante quanto me stesso, ogni persona passata per caso nella mia vita era un tassello per raggiungere i miei scopi. Lo stesso fu per Maria Fedorovna, o Masha come amavano chiamarla in famiglia. Aveva il nome di una famosa Vergine, e lo stesso candore. I matrimoni di convenienza tra famiglie erano all'ordine del giorno, e io sapevo bene che prima o poi sarebbe successo anche a me e non me ne stupii quando la notizia rimbalzò ai piani alti scivolando lentamente nella mia vita. Plasmai quella giovane anima ai miei voleri, stravolgendone gli schemi, ciò in cui credeva, le cose per cui si batteva, furono tutte piegate secondo il mio preciso ordine e la mia totale volontà. Controllavo la sua anima e la sua mente, senza che lei neppure se ne rendesse conto.
«Masha è un ottimo investimento, saprò sfruttarlo bene», le mie parole mancavano d'amore, di gentilezza e umanità, eppure lei sembrava non capirlo; cieca di fronte a un mazzo di fiori che giustificava le perenni assenze e un diamante per coprire i tradimenti. Ci sposammo a Giugno, un pomeriggio assolato dell'anno 2018, parteciparono in molti. Masha rideva allegra, e io brindavo con i nuovi acquisti del mio impero marcio.
I ''ladri'' vennero a sporcare innocenza e fedeltà quella notte; quando  li vidi irrompere nella stanza riuscii ad afferrare la pistola ed ucciderne uno, prima che un colpo perforasse il mio addome.
«La Yakuza non scherza Dimitri Cernenko, adesso supplicami per non ammazzare la tua donna» Masha capì, capì in quella notte che profumava di gelsomini quanto poco contasse per l'uomo a cui aveva donato se stessa, per me. Poco prima che la pallottola perforasse la sua tempia le tende dei suoi occhi si sollevarono, riuscii a vederle chiaramente. Io non ero il cavaliere dalla splendente armatura, ma il fine che l'aveva condotta alla morte. Se gli uomini della bratva fossero arrivati pochi minuti prima, forse, Masha avrebbe avuto salvezza. Ma così non fu. L'ultima cosa che vide fu il mio sguardo freddo e la mia voce tagliente che diceva: «Ammazzatela, non vale nulla per me»
Il sipario cala. Lo sparo squarcia l'aria. C'è chi resta e chi va via, in quella notte infinita che a distanza di anni urla ancora alla ricerca di vendetta. Morirono quasi tutti per mano mia, ma quella macchina infernale che porta il mio nome non riesce a soddisfarsi. Forse perché resta ancora una fossa da riempire: la mia.
 
 
 
La stecca colpì con precisione la palla che rotolò lungo il panno verde entrando dentro la buca nell’angolo sinistro, un fischiò ammirato seguì la mia brillante performance. Mi voltai osservando Slonko a braccia incrociate.
«Ho saputo che mi cercavi». Annuii indicandogli lo sgabello, raggiungendolo poco dopo per versare dentro due bicchierini della vodka, la bevvi in un’unica sorsata estraendo una foto dalla tasca.
«Guardala bene, ti ricorda qualcuno?». Il soggetto lo conoscevo bene, nonostante non l’avessi mai vista, ma quegli occhi di ghiaccio..
«Ma è Misha?». Schioccai la lingua contro il palato allargando le narici.
«Si con la parrucca e un culo atomico». Lo fissai con sarcasmo guadagnandomi il suo sorriso più sterile.
«Chi cazzo è?»
«Irina, sua sorella». Il silenzio si frappose tra noi annunciando l’arrivo di Yuri che si unì a quella riunione improvvisata senza spiccicare parola.
«Che devo fare?» Slonko si rigirò la foto tra le mani.
«Devi prenderla e portarla qui». Sbattei il bicchierino vuoto sul ripiano in legno, Yuri annuì facendo un cenno al cugino.
«Sappiamo già dove vive?». Sorrisi ambiguamente versandomi ancora una generosa dose d’alcool.
«New York, si occupa della gestione di un albergo, quell’albergo non ha un vero proprietario. Mi è bastato scavare un po’, credo l’abbia comprato lei lasciando un prestanome nell’atto. Sapete cosa vuol dire questo?» li fissai entrambi senza batter ciglio «Vuol dire che la puttanella ha i nostri soldi, o comunque una parte».
«O magari il fratello lo ha preso per lei?» Slonko interruppe il mio brillante discorso facendomi sbuffare, sollevai una mano muovendola nell’aria.
«Come ti pare. Prendetela e portatela da me». Yuri si alzò incamminandosi verso l’uscita, voltandosi solo all’ultimo.
«Che pensi di fare una volta portata qui?» Mi accarezzai il mento, la barba punse le mie dita.
«Distruggerò le loro vite pezzo dopo pezzo»

 
  
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