Capitolo 49
(The
boomerang effect)
Ramo si svegliò in maniera
sorprendentemente morbida, stupendosene quando realizzò che si trovava su un
divano relativamente scomodo, almeno se considerato dal punto di vista di
dormirci profondamente e in maniera riposante, ma soprattutto quando aprendo
gli occhi la prima cosa che vide fu Kumals.
Si tirò immediatamente a sedere di scatto,
il che attirò su di sé lo sguardo di Kumals, che lo
fissò con una leggera sorpresa e alzando un sopracciglio, come se gli stesse
implicitamente chiedendo il perché dell’estrema rapidità allarmata di quel
movimento.
Ramo si rese conto che Kumals
in quel momento non aveva affatto l’aria di qualcuno che stesse trasudando
appena un sottile accenno di un enorme stato di alterazione; ma prima di concedersi
di registrare quello come un particolare tranquillizzante si ritrovò a scoccare
un rapido sguardo verso la finestra.
Manco a dirlo, Uther era ancora
esattamente nella stessa posizione in cui l’aveva visto prima di addormentarsi
quasi istantaneamente quando si era sdraiato su quel divano: seduto sul
davanzale, la schiena appoggiata a lato della finestra aperta e il fucile
appoggiato contro il petto e tra le braccia, lo sguardo rivolto all’esterno.
Ramo iniziò sinceramente a sospettare che quello fosse a tutti gli effetti un
voluto tentativo di essere il meno presente possibile in quella stanza, e più
in generale in tutta quella situazione.
«Meglio?» udì chiedergli la voce di Kumals, e riportò immediatamente lo sguardo su di lui,
guardandolo mentre prendeva qualcosa che sembrava una cartina piegata dalla sua
valigia e si avvicinava al tavolo.
«Hummm… sì.
Direi di sì.» rispose con una certa precauzione Ramo, intuendo che Kumals si riferiva al suo essere riuscito a dormire un
poco, e per il resto continuando a seguire con lo sguardo i movimenti con cui
l’altro aprì la cartina e la stese ordinatamente sul piano del tavolo.
In un angolo del medesimo tavolo, Ramo
notò la tazza che Mordecai aveva appoggiato lì per Uther quelle che dovevano
essere state ore prima – perché a giudicare dal colore della luce che
illuminava la stanza in quel momento Ramo registrò che doveva essere quasi la
fine del tramonto – e che sembrava non essere stata toccata. Vide Kumals prenderla e sorseggiare il tè ormai freddo con
tranquillità, come se quella tazza fosse stata messa lì appositamente per lui,
lo sguardo concentrato sulla contemplazione della mappa distesa davanti a sé.
Ramo si ricordò più lucidamente di un
particolare importante. «Cosa avete…? Cioè, l’accampamento di mezzi lupi
impazziti?»
Kumals sollevò giusto lo
sguardo per un momento su di lui, prima di tornare a guardare la mappa. «Non
appena tornerà Mordecai ne parleremo meglio.»
Ramo corrugò inconsciamente un poco la
fronte, concentrandosi meglio. «Dov’è andato?»
«Passato un momento da casa sua per
prendere qualcosa di necessario.» lo informò distrattamente e tranquillamente Kumals.
Ramo annuì sommariamente, più che altro
tra sé e sé. Poi, mano a mano che gli tornava di più
la lucidità, si ritrovò a balzare in piedi e ad andare velocemente nella camera
da letto, per controllare Danny.
«E’ ancora vivo.» sentì la voce di Kumals informarlo dall’altra stanza, ancora con tono
distratto e placido, come se avesse semplicemente intenzione di placare almeno
per il momento la sua relativa agitazione puntualizzando qualcosa di ovvio come
il fatto che naturalmente aveva già dato un’occhiata a Danny non appena era
tornato. Ramo sospettava che probabilmente, mentre stava dormendo, anche Uther
poteva aver quasi furtivamente abbandonato la sua postazione sul davanzale per
andarsene ad accertare anche lui di tanto in tanto.
Dopo aver oculatamente ricontrollato le
condizioni fisiche di Danny, Ramo tornò nel salotto, solo per ritrovarsi di
nuovo in piedi in mezzo ad un’atmosfera che gli risultava ancora in qualche
modo irreale e come sospesa. Probabilmente soprattutto a causa del fatto che gli
altri due sembravano decisi a fare del loro meglio per ignorare la reciproca
presenza nello stesso spazio-tempo. Dopo aver incrinato l’espressione in una
leggera smorfia poco convinta, Ramo decise di dedicarsi a qualcosa di molto
semplice e pratico come andare in cucina a cercare di arrabattare qualcosa che
si potesse almeno avvicinare abbastanza ad un pasto; iniziava a voler
decisamente lasciare quei due a vedersela da soli e nel loro stesso brodo,
qualsiasi cosa ci fosse esattamente di mezzo.
Poco più tardi arrivò anche Mordecai, il
quale sembrava avere avuto un’idea simile alla sua, perché aveva portato con sé
altro cibo.
Ramo mangiò seduto sul divano, con
Mordecai accomodato su una sedia, Kumals che
masticava distrattamente mentre continuava a rimanere concentrato sulla mappa
distesa davanti a lui, e Uther che mangiava come se fosse qualcosa che lo
riguardava solo marginalmente, continuando a guardare fuori come se ci fosse
qualcosa da sorvegliare.
Ramo si era definitivamente rassegnato a
quel silenzio, e anche se sapeva che non era affatto la cosa più matura che
poteva fare, aveva iniziato a decidere che lo avrebbe mantenuto lui stesso
quasi a sfida: prima o poi qualcuno doveva decidersi a fare o dire qualsiasi
cosa per smuovere quella situazione.
E non si stupì particolarmente quando fu Kumals a romperlo di nuovo il silenzio.
«D’accordo…» esordì, con rassegnazione
incrinata dalla stanchezza, distogliendo infine lo sguardo dalla mappa che
stava osservando. Attraversò la stanza dirigendosi verso la poltrona che Ramo
aveva visto venir trascinata su per le scale da Uther e Mordecai quella
mattina, e non aveva ancora idea del perché esattamente avesse trovato quei due
a fare qualcosa del genere. A dire la verità, forse quello era il particolare
che meno sembrava poter coincidere con un quadro complessivo di che cosa
diavolo era successo; se non altro sembrava anche il meno preoccupante, e
questo era un sollievo.
Kumals si fermò di
netto, immobilizzandosi di fronte alla poltrona, e scrutandola a lungo e molto
attentamente, come se qualcosa non gli tornasse. Infine, sembrò optare per
tornare al tavolo e sedersi piuttosto su una sedia. Ramo lo vide assumere
quella familiare posa di quando stava per iniziare un discorso serio e
importante, e di lì a poco difatti stava sondando tutti loro uno per uno,
spostando per la stanza la versione più seria e impegnata dei suoi sguardi
‘adatti all’occasione specifica’.
Ramo mise da parte il suo piatto ormai
vuoto, si mise un po’ più comodo sul divano e cercò di concentrarsi al suo
meglio, una vaga speranza che finalmente le cose stessero per diventargli più
chiare che gli aleggiava dentro.
«Credo proprio che dovremo fare dei turni.
Due tipo di turni, per la precisione.» esordì Kumals.
Ramo abbandonò con riluttanza la speranza
che le cose potessero chiarirglisi meglio di lì a breve e così semplicemente,
aggrottando la fronte. Un rapido sguardo in direzione delle espressioni attente
di Mordecai e Uther gli confermò che era l’unico a non aver ancora afferrato
immediatamente a cosa Kumals si stesse riferendo.
D’altro canto, ebbe anche l’impressione che Kumals lo
sapesse benissimo, che lui ancora non stava capendo.
***
Uther si stava quasi abituando.
A quella routine, fatta di passare dal
turno di spiare cosa succedeva a quello che rimaneva dell’attendamento dei mezzi
lupi rimasti, a quello di riposarsi nell’appartamento mentre si sorvegliavano
sommariamente le condizioni di Danny. Il quale, a distanza di poco più di
ventiquattr’ore, non si era svegliato nemmeno una volta né tantomeno si era
mosso dal suo giacere sul letto bendato.
E a quella sensazione: come se avesse
lanciato un boomerang e, non vedendolo tornare indietro, avesse proseguito
facendo altro, finché qualcosa nell’aria gli avesse annunciato che il suo
lancio stava tornando verso di lui con forza, e che l’avrebbe trovato ovunque
fosse e senza pericolo di errore; perché dopotutto era un boomerang quello che
aveva scagliato, e aveva il sospetto che all’inizio, un inizio che ora sembrava
molto lontano indietro nel tempo, lo avesse perfettamente saputo.
Ma quella specie di boomerang che
ritornava indietro con sempre più piena potenza sembrò concretizzarsi meglio
nel momento in cui, mentre lui e Kumals erano appena
tornati all’appartamento dopo un turno di osservazione a cosa succedeva
all’attendamento di mezzi lupi, e poco dopo che Ramo e Mordecai erano usciti
per dare loro il cambio nella stessa mansione, Kumals
gli parlò per la prima volta da ore con un tono diverso da quello piatto e
privo di emozione che aveva immancabilmente usato nel frattempo per rivolgergli
parole riguardanti esclusivamente qualche stretta necessità immediata a
proposito di quello che stavano facendo.
«Uther.» lo chiamò semplicemente, con una
nota singolarmente tranquilla e colloquiale nel tono che lo colse di sorpresa.
Prima di potersene rendere conto, si stava fermando, tralasciando di tornare ad
arrampicarsi di nuovo sul davanzale della finestra, e si stava voltando a
guardarlo dedicandogli più attenzione di quanto gli sarebbe piaciuto.
Kumals, fermo appena
fuori dalla soglia della camera da letto, dalla quale era appena tornato dopo
una sommaria occhiata di controllo a Danny, lo guardò con non meno
apparentemente sincera calma innocua e disponibile, e disse «Che ne dici di un
salto al bar?»
Uther alzò un sopracciglio. Perché quella
aveva tutta l’aria di essere una proposta fin troppo innocentemente adatta a
lui, e sapeva benissimo che Kumals lo conosceva fin
troppo bene, e davvero non poteva essere che gli stesse offrendo una delle
proposte che più gli potevano risultare gradite per semplice gentilezza, non in
quella circostanza.
Ma in quel momento quello sembrava avere
tutto l’aspetto del suo boomerang che stava infine arrivando sul serio
abbastanza vicino da essere in procinto di raggiungerlo. E nonostante l’istinto
gli stesse prepotentemente suggerendo di scappare nella direzione opposta,
qualcosa gli diceva che non poteva scappare, perché prima o poi lo avrebbe
raggiunto, e non solamente perché era un boomerang quanto perché soprattutto si
stava incarnando in Kumals: e no, lui non avrebbe mai
desistito, era fuori discussione. E poi perché, da qualche parte in fondo a sé,
forse aveva aspettato quel momento, quello in cui finalmente il boomerang lo
stava per colpire con piena forza. Era come se non potesse che succedere prima
o poi, e si rendeva conto ora che attendere quel momento era stato così
estenuante che anche solo qualche ora di più sembrava praticamente
intollerabile.
Lo sguardo di Kumals
lo stava tenendo sott’occhio con calma; ma conoscendolo come lo conosceva,
Uther era capace benissimo di leggere in esso la quasi sicurezza di vederlo da
un momento all’altro cercare di fare di tutto pur di sottrarsi a quella
proposta, nonché altrettanta rassegnata determinazione a non lasciarlo
scappare.
«Perché no?» rispose con un’alzata di
spalle.
Kumals non sembrò
esattamente sorpreso, come se avesse già calcolato anche quella possibile
reazione. Ma stupì Uther vederlo lanciargli un leggero sorriso di apprezzamento
approvante.
«Bene, andiamo.» aggiunse solo Kumals, voltandosi per tornare ad uscire.
Uther sentì per un momento la tentazione
ultima di non seguirlo solleticargli i margini della coscienza come una
possibilità assai affascinante; ma lo seguì comunque.
***
«A quanto pare…» iniziò ad osservare Kumals ancora con quel suo tono da semplice conversazione
casuale, mentre camminavano verso il pub più vicino, guardandosi attorno con
placida contemplazione quasi distratta «Tairans è
ancora sempre… beh, la solita Tairans.»
Uther non riuscì a trattenersi
dall’esprimersi con un accenno di verso nasale sarcastico, continuando dal
canto suo invece a mantenere il più possibile lo sguardo concentrato verso
terra; quello che sentiva della vita quotidiana e mondana che gli scorreva
attorno era già sufficiente a infastidirlo, minacciando di risvegliare
completamente quell’intenso odio nei confronti di come tutto lì intorno
sembrasse continuare a comportarsi come se non fosse successo assolutamente
niente di importante o grave o fuori dall’ordinario.
Ma Kumals era
dopotutto pur sempre Kumals, perciò Uther sapeva che
cosa voleva dire ancora prima che lo esplicitasse meglio, aggiungendo «Non
manca mai di sorprendere a modo suo, e nonostante tutto, non è vero? La
testarda capacità che possono avere a volte le persone di ignorare quello che
vogliono ad ogni costo evitare di sapere, quello che non vogliono nemmeno
rischiare di poter anche solo intuire a grandi linee e per puro errore.»
Ed essendo Kumals
dopotutto pur sempre Kumals, ed essendo quella Tairans, Uther sapeva bene anche che l’altro doveva già
essere riuscito nello spazio di una sola giornata a comprendere la natura
dell’aria che aleggiava in quei giorni per quella città: il timore recondito e
sospeso, come se tutto stesse facendo del suo meglio per trattenere il fiato e
chiudere gli occhi con forza, cercando di non vedere, sembrando qualcuno che si
aspetti che la minaccia incombente – e ancora più temibile in quanto non del
tutto definibile – passi oltre senza colpo ferire.
Perciò Uther non disse niente. Sapeva che
non ce n’era alcun bisogno, perché entrambi sapevano che entrambi capivano
perfettamente tutto quello, sebbene il loro modo di
prenderla fosse in buona parte assai diverso.
«Hai per caso sentito Yuta
al telefono oggi?» gli chiese allora Kumals di punto in bianco, sempre con tono da semplice
conversazione apparentemente rilassata.
Ma Uther non poteva essere ingannato
proprio da lui così facilmente. Gli lanciò uno sguardo assai cosciente di
sbieco. «Quindi stavi proprio origliando.» commentò, senza nessuno stupore.
«Certo che no.» ribatté Kumals, senza darsi nemmeno la pena di provare sul serio a
risultare credibile «Ho solo supposto che potesse verosimilmente trattarsi di
lei.»
«E… questo perché tu hai smesso di
rispondere alle sue chiamate da quando sei arrivato qui?» chiese Uther, con
appena un accenno di domanda nel tono, d’altro canto puramente retorica.
«Hummm…» sembrò
ponderare per un momento tra sé e sé Kumals. «Il mio
udito iniziava a risentirne in maniera sinceramente preoccupante.»
Non aveva bisogno di spiegarsi meglio di
così, perché anche se non avesse dovuto affrontare qualche giusto qualche ora
prima una conversazione al telefono con Yuta quasi
fuori di sé, Uther la conosceva abbastanza da sapere di che cosa stava
parlando.
«E questo spiega abbastanza bene perché mi
hai dato il tuo telefono come se mi stessi affidando la custodia del Sacro Grahal.» commentò, di nuovo come se fosse così chiaro che
era quasi superfluo specificarlo.
Kumals gli scoccò una
breve occhiata laterale. «Quello… era perché tu non possiedi un cellulare da
chissà quanti anni, forse in effetti fin da quando li hanno inventati i
cellulari, e ho giustamente pensato che avresti potuto perderlo.
Accidentalmente, s’intende. Cioè non come se volessi proprio farlo apposta. E
che avresti avuto peraltro anche un’ottima scusa per
giustificarti.» puntualizzò.
Uther parve rifletterci sopra brevemente.
«E’ molto più probabile che finirò per smarrirlo, naturalmente del tutto
accidentalmente, lasciandotelo addosso mentre dormi, sai?» disse infine.
«D’accordo…» sospirò Kumals
«Comunque, che cosa ha detto Yuta?»
«Lo sapresti da te se le rispondessi…»
commentò Uther con calma, deciso a non lasciar ancora perdere.
Kumals corrugò appena la
fronte e assunse un tono borbottante e quasi lamentoso «Capiresti perfettamente
perché ho smesso di farlo se l’avessi sentita urlare a quel modo nel tuo di orecchio.»
Uther diede una breve alzata di spalle,
decisamente priva di compartecipazione. «Non è colpa mia se non avete mai
smesso di comportarvi come se steste ancora insieme.»
«Questo non è vero!» protestò con
improvvisa veemenza Kumals.
Uther gli scoccò uno sguardo significativo
con un sopracciglio alzato.
Kumals sospirò di nuovo
e più sonoramente. «Almeno, Andrea è ancora là?»
«Sì.» si limitò a confermare Uther, con
un’aria come se la cosa non lo riguardasse.
Kumals lo guardò con più
attenzione. «E…? L’ha dovuta legare ad una sedia o qualcosa del genere, per
impedirle di precipitarsi qui? Ad assicurarsi tipo che Danny non sia in
pericolo o giù di lì? Il che, essendo Danny, è praticamente impossibile…»
Uther alzò gli occhi al cielo brevemente.
«Da quel che ho capito…» riportò con tono laconico e svogliato «Dopo l’ultima
discussione Andrea le rivolge a stento la parola, e Yuta
si odia per questo e per starla trattenendo lì, anche perché per essere sicura
di riuscirci ha finito per metterle alle calcagna Vicky…»
Kumals lo occhieggiò alzando
entrambe le sopracciglia. «Vuoi dire Nickj?»
Uther alzò le spalle con disinteresse.
«Quello che è.» concesse. «E Valentine sta cercando di fare del suo meglio per
aiutarla a gestire quelle due, ma Yuta pensa che se
al più presto non… cito testualmente… ‘non ci prendiamo il disturbo di spiegare
meglio che cosa diavolo di accidenti sta succedendo laggiù’… anche Valentine
potrebbe presto… “farsi prendere dalla preoccupazione”.»
«Hummm…» si
limitò a mugugnare riflessivamente Kumals tra sé e
sé, con la fronte contemplativamente assai più corrugata.
Uther lo spiò di sbieco. «Ora capisci
perché Yuta urlava così tanto?»
Kumals voltò di scatto
lo sguardo su di lui. «Oh! Quindi ha effettivamente urlato anche con te!»
Uther alzò brevemente le spalle, come a
scacciare via la cosa come trascurabile. «All’inizio. Soprattutto quando
pensava che fossi tu che stavi rispondendo.» specificò. «Poi si è relativamente
calmata. Molto relativamente. Per la precisione, ci ha concesso circa
quarantott’ore per o risolvere la faccenda e andare tutti da lei sani e salvi,
oppure per dirle di raggiungerci. Salvo nel frattempo lei stessa non cambi idea
e non decida di venire qui con le altre. Prima di tutto e perlomeno per dirci
esattamente che cosa ne pensa di tutto questo di persona.»
«Affascinante…» considerò Kumals con tono apparentemente leggero e disimpegnato
«Sarei quasi tentato di sforare il tempo di questo ultimatum solo per godermi
la scena…»
Uther gli scoccò uno sguardo eloquente
alzando un sopracciglio. «Io credo invece che se succedesse te la daresti a
gambe alla massima velocità…» osservò.
«Suvvia! Non abbiamo affrontato di
peggio?» domandò Kumals, con piglio forzatamente e
nervosamente alleggerente, non suonando affatto molto convinto.
Uther gli lanciò un’occhiata scettica. «Di
peggio… di Yuta e Andrea in contemporanea incazzate
nere, accompagnate da una mezza lupa potenzialmente altrettanto irritata, e
Valentine non particolarmente di buon umore? Hummm,
non so, suona come qualcosa di molto poco raccomandabile alle mie orecchie.»
Kumals sembrò
contemplare per un momento la cosa, lo sguardo dritto davanti a sé fisso in
nessun punto in particolare. Infine corrugò
decisamente la fronte. «Okay… forse… dico forse… finiremo per darcela a gambe
tutti quanti… » ammise suo malgrado, con una certa
cautela.
«Stavo ponderando l’idea in effetti.»
osservò Uther con tono casuale.
Kumals gli scoccò
un’occhiata sagace. «Non mi dire…» commentò con acuta significanza, come se la
cosa non potesse stupire nessuno dopotutto.
Uther gli gettò una breve occhiataccia.
«Per la cronaca… Yuta mi considera come il possibile
scatenatore di tutto questo… casino.» optò come scelta di parole alla fine, con
una leggera smorfia poco convinta, come se non ne fosse pienamente soddisfatto
e allo stesso tempo si fosse appena reso conto che poteva essere una
definizione perfettamente calzante per rendere in sunto la situazione.
«Oh, davvero?» cinguettò con falsa
sorpresa candida Kumals. «Incredibile.» commentò,
scuotendo la testa ancora chiaramente recitando, l’intonazione ironica di
sottofondo perfettamente apprezzabile. «Ma a proposito di questo… pensavo di
parlarne meglio tra poco.»
Uther si bloccò di netto, fissandolo
cupamente. Kumals si girò su se
stesso dopo essersi fermato pochi passi più avanti, guardandolo con calma
contemplativa.
«Quindi stiamo davvero andando in un pub
in modo che tu mi possa sottoporre a questo.»
Kumals lo osservò
meglio, inclinando appena la testa di lato a bella posta come per sottolineare
l’intenzione vagamente sorpresa della sua occhiata. «Affrontare le cose, vuoi
dire?»
Uther scosse appena la testa, ma continuò
a guardarlo piuttosto duramente. «Non mi pare di non averlo fatto, finora, in
vita mia.»
Le labbra di Kumals
si piegarono in un leggero sorriso, sincero e gentile. «Quasi tutte, Uther.
Quasi tutte…»
L’altro rimase immobile, continuando a
guardarlo seriamente.
Il sorriso di Kumals
si acuì appena un poco di più, ma acquisì anche una sfumatura decisamente e
confidenzialmente astuta. «Sai bene che non c’è un solo posto in questa città
dove non sarei capace di scovarti. Ma preferirei che non mi costringessi a
mettere un guinzaglio a Danny e farlo calare nella parte del cane da traccia
per essere certo di trovarti in ogni possibile angolo di mondo tu ti vada a
cacciare per sfuggire…»
Per qualche istante Uther continuò a
fissarlo con una certa mirata durezza; dopodiché riprese a camminare, senza
aggiungere una parola, mantenendo un’espressione piuttosto inscurita.
Nemmeno Kumals
aggiunse altro, riaffiancandoglisi e procedendo con lui verso il pub.
Fecero il resto della strada in silenzio.
Soundtrack: Gives you hell (the All-American Rejects)
Note
dello scribacchiatore:
Qui
e là ho la tentazione di stampare magliette per un fan-club di Kumals. Preoccupante, ne convengo. Il peggio sta arrivando
comunque. Intendo ‘il peggio di Kumals’. Che già da
sé potrebbe essere il titolo di una raccolta dei ‘peggiori momenti alla Kumals’.
L’‘effetto
boomerang’ me lo sono inventato di sana pianta. Perfetto per il personaggio di Kumals, ma non solo, come avrete arguito dal capitolo.
Ammetto anche un accenno di presa in giro del cosiddetto ‘butterfly
effect’ (grossolanamente detto: lo sbattere d’ali di
una farfalla da una parte del mondo potrebbe scatenare un ciclone dall’altra
parte del globo). Sostanzialmente, quindi, il concetto della lunga e intricata
concatenazione di causa-effetto nella realtà (incalcolabile nella sua completa
e arzigogolata vastità). Ma più che altro potete anche considerarla una
scherzosa strizzata d’occhio al principio del karma, su cui Uther stesso
ironizzava capitoli fa. ;)