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Autore: BabaYagaIsBack    23/09/2018    1 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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"It's too late to turn back now

Oh God, I tried but I don't know how
I want to be someone you used to hateWithout the memory of the painI went too far, now we can't restart"

- Bad Omens, Take me first


 

Porto, 1990

Le gambe di Colette ebbero un fremito. Con occhi sgranati e cuore in procinto d'esploderle nel petto  non voleva credere a ciò che aveva udito, non poteva. Tra tutte le cose possibili e immaginabili quella era la meno probabile e desiderata.

La chiamata che aveva ricevuto sul posto di lavoro era stata vaga, Will le aveva parlato di un incidente grave senza però scendere in alcun tipo di particolare e lei, con il batticuore, era corsa a casa temendo che fosse giunto il momento di fare i bagagli e scappare - ancora. Eppure, quando aveva oltrepassato la soglia del salotto, l'aria grave che permeava all'interno le aveva fatto capire che c'era di più in ballo, molto di più. Quindi le sue gambe avevano provato a tradirla.
Gli sguardi dei fratelli la stavano oltrepassando quasi fosse un fantasma, incapaci di vederla veramente ma sapendo che lei era lì. Nessuno di loro osò proferire parola. Non un saluto o un grido, niente. Era invisibile, lontana, isolata.
Levi e Salomone non c'erano, notò, sempre più agitata, e chi era in quella stanza aveva un aspetto tutt'altro che confortante, così li contò. Non mancava nessun'altro oltre al Re e i suo vassallo, sempre troppo occupati a sistemare le cose per nascondere l'esistenza di tutti loro, quindi perché quelle facce stravolte e gli occhi gonfi?
Fece per aprire bocca e chiedere, ma Nikolaij si schiarì la gola e la precedette in modo tagliente. Disse poche frasi concise, sufficienti a darle un quadro della situazione che, in tutta onestà, le parve così surreale da farle credere che si trattasse di uno scherzo. Più lui parlava, meno lei gli credeva. Nelle sue parole non doveva esserci nulla di vero, solo le battute di un copione studiato a memoria - dopotutto suo fratello minore non era altro che un monello, un bugiardo cronico persino a dispetto dei suoi cent'anni appena compiuti. Si divertiva un mondo a farla imbestiale con le sue marachelle e, questa volta, coinvolgendo anche i fratelli maggiori nella sua sceneggiata, stava davvero esagerato.

Dove diavolo erano Levi e Salomone? Loro di certo non avrebbero mai mentito su una cosa simile, probabilmente non sarebbero nemmeno stati in grado di concepirla una bugia come quella. Li cercò con lo sguardo un'altra volta, li chiamò senza però ricevere risposta. Oh, ma quel cretino di Akhbàr doveva solo aspettare che lei trovasse Nakhaš; di certo lui non le avrebbe tolto il piacere di prenderlo a sberle per aver detto delle simili sciocchezze - il problema era che non si stava facendo vedere da nessuna parte. Colette doveva quindi agire da sola, a dispetto di tutti quei vigliacchi dei suoi fratelli che se ne stavano lì impalati.

Senza alcun preavviso quindi, allungando una mano nella sua direzione, afferrò il fratello minore. Lui provò a divincolarsi in tutti i modi, gridando e chiedendole pietà, ma era inutile. L'avevano fatta correre via dallo studio legale, le avevano fatto venire il batticuore, la stavano tutt'ora prendendo per stupida - non l'avrebbero passata liscia, lui più di tutti; sennonché, tirandoselo vicino, Wòréb notò che sia i vestiti sia la sua pelle di Nikolaij erano sporchi di terra, erba e qualche piccola chiazza di sangue.
Alzò lo sguardo.
Anche Zenas aveva lo stesso aspetto del fratello e Alexandria, nell'angolo, non sembrava da meno. A differenza degli altri due però, aveva i capelli bagnati e un asciugamano a coprirle il corpo tremante.

No, pensò, e scrollando la testa riprese a strattonare Akhbàr per farsi dire la verità.

Era squallido da parte loro fingere che Salomone fosse morto. Un insulto a cui sperò che né il Re né il suo Generale avessero preso parte.
«Dì subito la verità moccioso! Parla prima che il Corvo divori il Topo!» gridò digrignando i denti per mettergli ancora più paura. 

Nikolaij tra un mugolio e l'altro provò ancora a liberarsi, ignaro che gli artigli della sorella sarebbero facilmente potuti entrargli nella carne del braccio da un momento all'altro. 
«Akoth lasciami! Non mento, lo giuro!» piagnucolò come un bambino, il muco già a scendergli dalla narice: «Alex diglielo che ti sei tuffata ma non l'hai trovato, diglielo!» Implorò sempre più in balìa delle lacrime. L'altra però tacque. Si strinse nelle spalle quasi a voler diventare un tutt'uno con l'asciugamano, sparendo dalla vista di tutti. Pareva un'ombra. C'era fisicamente, ma la sua presenza si andava dissolvendo ogni volta che le ciglia di Colette battevano. E il suo pareva essere un gesto così colpevole...
Ma no, non poteva davvero essere successo. Santo cielo!
Colette scosse il capo: possibile che dovessero costringerla a usare le maniere forti?

Le sue unghie d'improvviso mutarono e lente si conficcarono nella carne del fratello minore. L'urlo che ne seguì parve voler mandare in frantumi i vetri di tutta casa, fu straziante, ma la cosa non la fece fermare e, piuttosto, lo strattonò ancora cercando di tappargli la bocca con l'altra mano. Prima che potesse riuscirci però, Hamza si fiondò su di loro separandoli. La spinse indietro facendola andare a sbattere contro lo stipite della porta e in un movimento elegante si chiuse a riccio sul fratello, in modo da proteggerlo da un ulteriore attacco. Goccioline rosse caddero dalla manica di Nikolaij sul tappetto indiano, rovinando il disegno.
L'occhiata che il fratello maggiore le lanciò fu eloquente. Era furioso, eppure troppo devastato per affrontarla a dovere. Il suo viso parlava più di qualsiasi oratore al mondo.

Un brivido allora la prese alla sprovvista.

No.

 «Cosa cazzo ti salta in mente?!» urlò Hamza digrignando i denti: «Il Re è morto, Colette! Hai capito? Morto! E Nikolaij non c'entra nulla!» Grosse lacrime iniziarono a colargli sulle guance terrose, a cadere sul colletto della sua camicia oversize. Il viso divenne quello di un bimbo ferito, di un cucciolo abbandonato a sé stesso.
No.

Un vuoto le si aprì nel petto. La consapevolezza che le parole di Akhbàr potessero essere vere d'improvviso le fece mancare l'aria e, arrancando, provò ad allentarsi il bavero stretto al collo. Aveva bisogno di respirare a pieni polmoni, ma i vestiti la stavano soffocando.
Non era possibile che Salomone fosse morto, no. Lui era immortale, lui aveva vissuto mille anni in centinaia di corpi, lui... no. Un dolore lancinante la fece piegare su sé stessa, la necessità di trovare un appiglio la colse impreparata e si ritrovò così a caracollare a terra. La fronte pressata contro il pavimento mentre le lacrime non trovavano via d'uscita.

Picchiò un pugno sul marmo. «C-come?» domandò poi tirando su il capo e cercando nei volti dei fratelli una risposta, una specie di conforto. Non poteva veramente finire così, non dopo tutto ciò che avevano condiviso. Doveva sapere, doveva avere ogni dettaglio di ciò che era successo così, magari, insieme avrebbero potuto trovare una soluzione e riportarlo in vita. Lui lo aveva fatto sette volte con loro, cosa gli impediva di provare, di ricambiare il favore? Forse quei corpi deformi? Beh, se per loro non era possibile lo avrebbero chiesto alla Cultus! Quei folli sarebbero stati capaci di tutto per conoscere i segreti delle Chimere e del Re, avrebbero persino acconsentito ad aiutarli per riportarlo in vita.

Nessuno le rispose.

Come potevano farle questo? Non stavano forse provando il suo medesimo dolore? Non riuscivano a capire?
«Come?!» gridò ancora, sentendosi graffiare la gola a causa dello sforzo. 

Zenas dunque mosse il capo nella sua direzione, rivolgendole uno sguardo vuoto: «Come vuoi che sia successo? E poi riesci a non strillare?» sputò un grumo di sangue vicino ai propri piedi, poi riprese: «È morto perché non siamo riusciti a tenere a bada gli alchimisti, mi sembra ovvio! Erano troppi, noi...» non alzò la voce e nemmeno concluse la frase, ma bastò il tono per far capire quanto fosse furioso. Akràv non era tipo da perdere le staffe, non quando la priorità era la sua famiglia. Se si fosse fatto vedere debole in un momento del genere, distrutto dalla consapevolezza di aver fallito, ogni cosa sarebbe crollata. Ma a Colette nulla di tutto ciò bastava. Voleva nomi e fatti, voleva qualcuno da incolpare e ferire; una persona da far soffrire tanto quanto stava soffrendo lei.

«Chi?! Chi non l'ha difeso? Chi aveva il compito di essere la sua ombra?» barcollando si tirò in piedi facendo guizzare le enormi pupille su tutti i presenti alla ricerca di un qualsiasi indizio: una smorfia, uno sguardo negato, un pugno stretto con troppa forza.
Zenas titubò. Non voleva confessare, era ovvio, ma lo avrebbe fatto. Doveva, altrimenti lei gli avrebbe strappato gli occhi dal cranio.
Mosse il primo passo, chiamando il suo nome per incitarlo. Lo vide scuotere la testa e mordersi la lingua, ma prima che la seconda falcata potesse compiersi, dall'angolo dove era rintanata, Alexandria parlò, raggelando l'atmosfera.
«Anì.»

Io.

Colette per un momento non volle crederci. Non poteva essere stata sua sorella, la sua preferita, eppure dal modo in cui sorresse il suo sguardo, dall'espressione con cui la stava sfidando, capì che non vi erano menzogne. Ecco perché si stava comportando a quel modo. Ecco perché era rimasta zitta.
La rabbia che assalì Wòréb fu tale che in meno di un secondo, nel pieno della mutazione, piombò addosso a Z'év. Non volle nemmeno concederle una spiegazione, una giustifica. Non voleva sentirla parlare e ancor meno farsi intenerire. Colette agì con l'intento di ucciderla.
Il rumore dell'impatto del cranio di Alexandria sulle piastrelle infatti riecheggiò per la stanza al pari del rintocco di un'enorme campana funebre. Fu agghiacciante e, quasi certamente, qualcuno pensò che fosse sufficiente così, ma non Colette, no. Lei voleva ucciderla per davvero. Con gli artigli le cinse il collo e uno dei seni, certa che sarebbe potuta arrivare al suo cuore e recidere l'aorta più facilmente. Non le importava nulla di chi fosse la sua preda, sua sorella doveva essere punita e ogni ferita l'avrebbe portata sempre più vicina alla morte - e questa consapevolezza le bastava.
Mentre lei le riversava  addosso tutto il suo disprezzo, Z'év non fece altro che fissarla. Immobile e alla completa mercé della sua furia, la guardava dritto in viso con la colpevolezza scritta nello sguardo. Alex avrebbe potuto ribellarsi, pensò Colette, sarebbe riuscita a contrastarla senza grandi difficoltà vista la natura della sua mutazione, eppure non lo fece, lasciandole mozzare il proprio respiro. Il viso le si fece paonazzo, le labbra presero una tonalità ancora più violacea. Se avesse stretto, pensò Wòréb, se solo avesse stretto un po' di più e mosso un colpo secco, il collo di sua sorella si sarebbe spezzato per sempre tra le sue dita.
Dopotutto era colpa sua. Era stata lei, la Contessina Varàdi, la stupida ragazzina borghese per cui Salomone aveva infranto la promessa fatta a tutti loro a ripagarlo con la morte. Meritava quella fine.

«Tu... Tu sei un cancro! Sei il demonio! Dovevamo lasciarti crepare quella dannatissima notte!» gridò, finalmente piangendo le lacrime che aveva trattenuto. Le sue unghie penetrarono sempre più in profondità, si riempirono di sangue viscoso e caldo.
Un lampo di paura attraversò lo sguardo di Z'év, ma fu così veloce da convincerla fosse solo un'illusione.
Improvvisamente qualcuno alle sue spalle l'afferrò, provando a spostarla dal corpo della sorella.
«Hai rovinato tutto! Tutto! Spero che il Diavolo in persona venga a strapparti ogni organo dal corpo, mi hai capita?» ormai stava singhiozzando, se ne rese conto dal modo in cui il viso di Alexandria divenne un'ammasso confuso di colori e forme. Poteva ancora ucciderla però, le sarebbe bastato spingere l'artiglio giusto nella sua gola, eppure, nonostante fosse certa che non sarebbe mai più riuscita a perdonarla, non riuscì a compiere quel gesto. Non seppe se fosse per colpa della foga con cui la scansarono, così come non si chiese se sarebbe andata fino alla fine, ma fu certa che avrebbe tanto preferito vederla ansimante e morente sul pavimento, piuttosto che ferma e vuota.

 


 

   
 
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