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Autore: Crystal Rose    09/12/2018    2 recensioni
Ho provato ad immaginare cosa accadrebbe se una ragazza con un succoso segreto dovesse incappare nei Germa 66 e nell'armata rivoluzionaria, quanto caos potrebbe creare una ragazzina con straordinarie e improbabili capacità nascoste?
"Tutte le storie cominciano con “C’era una volta in un regno lontano lontano“ e prevedono una bella fanciulla che sta passando un gran brutto momento e resta in attesa di un uomo grande e forte che la salvi e la porti via in sella al suo cavallo bianco verso il loro “vissero per sempre felici e contenti”. La mia storia è esattamente il contrario. Inizia in un piccolo paesino assolutamente di nessuna rilevanza, su di un’isola piuttosto tranquilla e banale, una di quelle che, nonostante fossimo nell’epoca d’oro della pirateria, non veniva visitata né da pirati, né da uomini del governo. Talmente insignificante che non ne veniva dimenticata l’esistenza solo perché comparivamo ancora nelle mappe. Eravamo lontani dalle rotte più battute ed il clima non era mai tanto avverso da spingere qui una nave, neanche per sfortuna."
Genere: Avventura, Slice of life, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Emporio Ivankov, Famiglia Vinsmoke, Sabo
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quando pensai di tornarmene in camera mia avevo leggermente sottovalutato la situazione: mi ero persa. Era prevedibile, non conoscevo ancora quel posto e non mi ero ancora fatta una mappa tridimensionale dei corridoi. E ovviamente non c’era l’ombra di un domestico per poter chiedere dove diavolo mi trovassi. Lo avevano fatto di proposito, ci avrei giurato! Si aspettavano che restassi con lo scimmione, stavano tentando di tenermi d’occhio. Anche Yonji aveva tentato di convincermi a rimanere lì con la minaccia dei suoi fratelli, solo che io ho la testa dura. Però questo mi faceva capire che dopotutto avevano paura di me, o meglio avevano paura che lasciata libera di gironzolare per il palazzo a mio piacimento mi sarei potuta imbattere in qualcosa che non dovevo vedere e fare qualche danno.
 
Ero tentata, ovviamente. Però non ero stupida, non riuscivo neanche a trovare la mia camera, come avrei potuto scappare di lì dopo aver combinato un guaio? Forse non pensavano che sarei scappata… Forse la loro idea non era tanto malvagia, ma di sicuro era una follia farlo così su due piedi, mi serviva tempo per conoscere il posto e scoprire il modo migliore di distruggerli ed io il tempo non lo avevo. Restare lì avrebbe significato farsi estorcere la verità ed essere usata da loro e non era il caso. Il piano restava confermato, dovevo trovare il modo di scappare.
 
Mi affacciai ad una finestra per orientarmi, se fossi riuscita ad individuare il campo di allenamento che avevo visto quella mattina forse sarei riuscita a capire dove andare. Mi stavo sporgendo parecchio e cercavo di ripararmi dal sole con una mano. Il mio baricentro era appena all’interno della finestra. Quando si è alti quanto un Tontatta bisogna pure ingegnarsi. Quel castello era stato costruito a misura di quegli stangoni dei Vinsmoke, non era stato pensato per il mio metro e sessanta.
 
Eccolo! Lo avevo visto! “Dunque… se il campo è lì, allora l’ingresso dovrebbe essere da quella parte e considerando la strada che abbiamo fatto all’andata…” sentì qualcosa toccarmi le spalle ed il cuore mi salì in gola. Mi aggrappai alla finestra per non perdere l’equilibrio ma una mano mi trascinò indietro per fortuna, o sarebbe meglio dire per sfortuna! Un ragazzo dai capelli blu mi guardava con l’irritante ghigno dei Vinsmoke di buon umore ed un’espressione interrogativa.
 
- Attenta. Potresti cadere. -
 
Maledizione! Sperai solo che non fosse bravo a leggere il mio viso quanto il fratello perché in quel momento descriveva solo terrore puro. Mi squadrò da capo a piedi, ero impiastricciata di sangue. A differenza loro non ero brava a leggere i pensieri delle persone dalla loro espressione ma supponevo non fosse niente di buono. Lo so che un libro non si giudica dalla copertina ma con loro credo che la prima impressione fosse più che corretta: psicopatici bastardi e sadici.
 
- Che cosa ci fai qui? –
 
- Mi sono persa… - fifa blu, era il caso proprio di dirlo. Mi guardai intorno nella speranza di vedere qualcuno, chiunque. Lui se ne accorse.
 
- Cerchi qualcuno? –
 
- Io? No! – e invece si. Perché non c’era mai nessuno per i corridoi di quel maledetto palazzo?!
 
- Hai paura? –
 
“Decisamente!”
 
- No… - bugiarda! Bugiarda! Bugiarda!
 
- Dovresti. –
 
“AIUTO!”
 
- Interessante il tuo abbigliamento. – non ne avevo dubbi!
 
- Stavo andando a cambiarmi… -
 
- È di Yonji? – che bastardo! Che aveva da ghignare? Ero imbrattata del sangue di suo fratello, dopo che lui e quegli altri due psicopatici lo avevano pestato e lui ghignava. – Dov’è adesso? –
 
- In una capsula. –
 
- Bene – si avvicinò ed io mi strinsi con le spalle al muro. Se Yonji era stato ridotto in quello stato non osavo immaginare come avrebbe ridotto me. Mi veniva da piangere. Si avvicinò molto, troppo, stavo tremando. – Voglio spiegarti una cosa. Ora sei alle nostre dipendenze, il che significa che dovrai eseguire gli ordini dei membri della famiglia reale, come tutti gli altri e se non lo farai verrai punita. – Non avevo dubbi che fosse esattamente quello che aspettava.
 
- Ho detto che avrei sistemato la tuta di tuo fratello. –
 
- Ichiji e Reiju pensano che sia più semplice farti collaborare se facciamo del male agli altri. Io non sono d’accordo. Credo che sarebbe più proficuo farne a te. –
 
- Solo perché a te non importa degli altri questo non significa che non importi a nessuno. – Forse questo era uno di quei momenti in cui avrei dovuto tenere la bocca chiusa. Allargò il ghigno.
 
- Sono sicuro che dietro questo coniglietto spaurito ci sia ben altro. Vedi io non me la bevo la storia della contadinella che neutralizza la tecnologia Germa, quindi ti terrò gli occhi addosso aspettando che tu faccia un passo falso. – era fastidiosamente vicino, mi dava la nausea.
 
- Se non stai nella pelle all’idea di farmi del male allora perché aspetti? – anche stavolta sarebbe stato meglio star zitta.
 
- Perché sono un soldato ed un soldato esegue sempre gli ordini del suo leader. Ma nel frattempo potrei fantasticare sul momento in cui farai un errore. –
 
- Intendi il momento in cui proverò a scappare o mi rifiuterò di obbedire? –
 
- E chi lo sa… Spero solo che non mi farai attendere troppo. – sentivo il suo fiato sul collo, mi dava i brividi, volevo andare via. Misi le mani davanti per spingerlo via.
 
- Togliti di dosso! –
 
- Che cosa pensi di fare? –
 
- Io non sono un giocattolo da terrorizzare e spaventare a tuo piacimento! – alzai un po’ la voce. Sapevo di aver commesso un errore a spintonarlo e ad alzare la voce.
 
- Ora iniziamo a ragionare. – allargò il ghigno. – Ma vedi, è proprio quello che sei e faresti meglio ad accettarlo. – quel tipo mi indisponeva e terrorizzava al tempo stesso.
 
- Niji. Che stai combinando? – Reiju, una benedizione, anche se in effetti aveva partecipato anche lei al pestaggio di suo fratello, non so quanto in effetti ci fosse da gioirne.
 
- Stavo facendo due chiacchiere con la nuova arrivata, per conoscerci un po’ meglio. –
 
- Non credo che la cosa le interessi. –
 
- Non credo la cosa sia rilevante. –
 
- Ha un ruolo importante, sarebbe il caso che tu e quegli altri due non la faceste a pezzi. –
 
- Non era mia intenzione. Non ancora per lo meno. –
 
- Hai capito cosa intendevo, ci serve lucida. Smettetela di farle a pezzi la psiche. Gli umani sono fragili, dovresti saperlo. –
 
- E tu dovresti sapere che non mi piace quando uno dei miei fratelli o mia sorella mi interrompe mente sto discutendo con la servitù. –
 
- Non fa parte della servitù, mettitelo bene in testa. Nostro padre paga un bello stuolo di donne per farvi divertire. Lasciala stare. Abbiamo bisogno di lei per potenziare la nostra tecnologia. –
 
Niji alzò un braccio e fece un’espressione di divertita resa. Potevo andarmene ma restai lì impalata attaccata al muro.
 
- Ti mostrerò la strada per la tua camera. – mi riscossi e mi sbrigai a raggiungere Reiju, ancora una volta mi aveva protetta. Avevo difficoltà a capire quella ragazza, lo confesso. A volte sembrava completamente disinteressata a chi o cosa la circondasse, altre sembrava crudele proprio come i suoi fratelli, altre avevo la sensazione che mi stesse proteggendo, anche se lo faceva sempre con un certo distacco.
 
- Ci vediamo presto Lea. – lui rise e a me un brivido attraversò la schiena.
 
- Se non sbaglio ti avevo avvisata di non girare da sola per i corridoi. – mi disse lei quando ci fummo allontanati da suo fratello. – Cosa credevi di fare? –
 
- Ecco io… volevo solo andare a cambiarmi. – mi diede un’occhiata, era innegabile che non fossi presentabile. – La prossima volta aspetterò una delle cameriere. –
 
- Non servirebbe. Sono i principi, basterebbe dare ordine alle domestiche di lasciarvi soli. – in effetti non ci avevo pensato.
 
- Quindi cosa dovrei fare? –
 
- Aspettare. Presto saranno distratti da qualcos’altro e ti lasceranno in pace. Sono attratti dalle novità e qui non ce ne sono molte. Ma si stancheranno di te, si stancano sempre alla fine. –
 
- Perché hai attaccato tuo fratello stamattina? – lei mi guardò per qualche attimo.
 
- Perché mi è stato ordinato. –
 
- Ma è tuo fratello! – anche se psicopatico.
 
- E con questo? Gli ordini non si discutono. –
 
- Non ti dispiace neanche un po’ per quello che è successo? –
 
- La pietà non è un sentimento che viene visto di buon occhio qui dentro. Mi sembrava di avertelo detto. –
 
- Anche tu hai subito la modifica del fattore di linea? –
 
- Come fai a sapere del fattore di linea? –
 
- Non siete persone comuni, questo è ovvio. – riprese a camminare.
 
- Io sono l’esperimento zero. Sono stata sottoposta solo a modificazioni fisiche. – quindi la sua psiche non doveva essere compromessa, allora perché si comportava in quel modo?
 
- Di che colore erano i capelli di tua madre? – mi guardò confusa, in effetti era una domanda strana ma avevo una teoria.
 
- Biondi. – come quelli del re.
 
- E del tuo terzo fratello? Quello che non c’è. –
 
- Biondi anche lui. – il padre ha detto che era nato debole, iniziavo a capire. Che gran pasticcio! Non si dovrebbe giocare con il fattore di linea! – Cosa sai che non vuoi dire? –
 
“Un bel po’ di cose, ahimè!”
 
Non risposi, non potevo.
 
- Ti tireranno fuori la verità con la forza, per quanto credi di poter resistere qui dentro? –
 
Mi aggrappai al suo braccio, ero disperata.
 
- Ti prego! Tu sei diversa, lo so! Devi aiutarmi! Io devo andare via di qui! – mi guardò perplessa per qualche attimo poi si divincolò dalla mia stretta.
 
- Non dire mai più cose del genere, mi hai capito? Io non sono diversa, non sono tua amica e non ho intenzione di aiutarti. Non c’è modo di andare via di qui senza permesso. – Caddi in ginocchio e scoppiai a piangere, mi sentivo un topolino intrappolato in un labirinto pieno di tigri. Aveva ragione lei, era solo questione di tempo e poi mi avrebbero tirato di bocca la verità.
 
- Non ti faranno del male. – le dava fastidio il mio atteggiamento, si vedeva.
 
- Non è questo, non mi importa di me. –
 
- Cosa stai proteggendo di tanto importante? – la guardai supplichevole. - Non puoi fuggire ed io non ti aiuterò a farlo, quindi smettila di chiedermelo e fattene una ragione. Se ci proverai ti prenderanno subito e ti faranno cose orribili, quindi non ci provare. – mi oltrepassò per andare via. – Se ciò che stai proteggendo è così importante per te allora inizia a pensare a cosa puoi sacrificare per tenere la bocca chiusa. –
 
- Anche la mia vita. –
 
- È l’unica cosa che non prenderanno. Se davvero vuoi mantenere il tuo segreto ed evitare morti inutili allora sali sulla torre più alta di Germa. Il tuo fragile corpicino umano non resisterà all’impatto. Io al tuo posto farei così. – Se ne andò lasciandomi singhiozzante. Possibile che la mia unica alternativa fosse lanciarmi nel vuoto? Io… non volevo morire, avevo solo 19 anni, non conoscevo niente del mondo e della vita, ma cosa potevo fare? Per tutta la vita mi avevano ripetuto che il mio segreto era quanto di più importante ci fosse, che quello che sapevo e sapevo fare doveva restare nascosto al mondo o ci sarebbe stato il caos, che per nessun motivo dovevo farmi catturare. Perché era successo proprio a me?
 
Mi sfogai piangendo e poi me ne tornai afflitta in camera mia, con gli occhi rossi e umidi e ancora tutta impiastricciata di sangue. Feci una doccia calda, l’acqua che scorre di solito mi aiuta a lavar via anche i pensieri tristi, mi aiuta a pensare. In momenti simili sarei andata sulla tomba di mia madre e avrei cercato una soluzione, ma non l’avrei rivista mai più. Ero in trappola, ma non era giusto salvarmi dalle tigri gettandomi nel vuoto. Ero solo un indifeso topolino ma dovevo batterli con l’astuzia, ero pur sempre una ragazza molto razionale ed intelligente. Sarei stata pronta all’estremo sacrificio se fosse stato necessario, ma non potevo arrendermi senza combattere, tanto la torre più alta non scappava di certo.
 
Mi serviva un piano e molta più calma, ma era difficile non avere paura con quei bestioni così minacciosi e senza cuore. Dovevo sforzarmi di essere calma, fintanto che ero d’aiuto ero intoccabile e questo era un vantaggio, quei tre non potevano farmi niente, la loro unica arma era il terrore psicologico e se smettevo di avere paura loro avrebbero smesso di avere potere su di me. La seconda questione riguardava le mie capacità. Non conoscevo la loro tecnologia, lo ammetto, crescendo su una minuscola e arretrata isoletta non avevo avuto modo di entrare in contatto con l’innovazione del resto del mondo, certo leggevo qualcosa dai giornali, ma non avevo mai visto cose come le loro tute o le capsule o la maschera per il gonfiore, per me era tutto nuovo.
 
Ciò nonostante avevo talento naturale ed un’eccellente educazione, mi basava davvero poco per prendere confidenza con quegli aggeggi, ero certa di poter prendere confidenza con tutta la tecnologia Germa in meno di una settimana. Volevano che migliorassi la loro scienza, potevo farlo, magari fare migliorie e lasciarmi comunque una scappatoia che non fosse visibile al loro team di scienziati. Poi c’era la faccenda della fuga. Non avrei trovato aiuto lì e farlo da sola era complicato, dovevo studiare meglio la zona ed elaborare un piano e per farlo mi serviva libertà di movimento, dovevo avere la possibilità di gironzolare liberamente senza quei gorilla a farmi da guardia, ciò significava conquistarmi la loro fiducia e quindi fare la brava bambina per qualche tempo, accontentarli, fare ciò che mi veniva chiesto senza lamentarmi. Si, potevo farcela e se non ci fossi riuscita avrei preso in considerazione il consiglio di Reiju.
 
Uscì dalla doccia e mi avvolsi un telo intorno al corpo. Con i capelli ancora gocciolanti mi diressi a quel dannato armadio. Quanto odiavo quel genere di abiti! Niji aveva ragione, ero poco più di una contadinella, non vestivo in quel modo, mettevo abiti larghi e strappati, non abitini e tacchi, mi sentivo fuori contesto, ma non importava, avevo deciso di fare buon viso a cattivo gioco ed avrei cominciato dall’abbigliamento. Fermo restante che avrei tentato comunque di procurarmi qualcosa di più adatto a me.
 
Scelsi uno dei tanti abiti attillati, corti e dannatamente scollati presenti in quell’armadio, bianco e nero, e un paio di scarpe con un leggero tacco, non era il caso di osare mettendo trampoli, non dovevo scappare, ma di certo volevo reggermi in piedi. Mi asciugai i capelli con la fila a lato, erano davvero molto belli e lucidi, con i boccoli sotto. Mi sono sempre chiesta se da giovane mio padre avesse avuto i capelli neri come i miei, quelli di mia madre erano castani e da quello che sapevo, adesso i capelli di mio padre dovevano essere tutti grigi se non addirittura bianchi. Mio padre è un po’ in avanti con gli anni, di questo sono certa, abbiamo una forte differenza di età.
 
Lo stomaco mi brontolò forte ricordandomi che non mangiavo niente dalla sera prima. Dovevo uscire dalla stanza. Chiusi gli occhi e respirai, dovevo trovare il coraggio di iniziare la messa in atto del mio piano. Quando mi sentì abbastanza sicura di me aprì la porta ed iniziai a chiamare le cameriere. Ovviamente non c’era nessuno, un dannato castello fantasma! Dovevo ricordarmi di lamentarmi per questa cosa. Iniziai ad avviarmi, ricordavo abbastanza dove fosse la sala del trono, magari lungo la strada avrei incontrato qualcuno che mi indicasse la cucina.
 
Voltai uno degli ultimi angoli prima di raggiungere la sala del trono e mi sembrò di urtare contro un muro. Il muro in questione aveva i capelli verdi e gli occhi azzurri. Persi l’equilibrio, dannate scarpe! Stavo cadendo all’indietro ma lui mi afferrò per un braccio. Aveva un pantalone scuro ed una camicia chiara a maniche corte, una cinta con una fibbia su cui mi sembrò di scorgere il numero 69. Mi guardò perplesso, iniziavo a sentirmi davvero come il buffo animaletto del castello.
 
- Ma cosa combini?! – un’affermazione più che una domanda. Mi tirò su ed io ringraziai mentalmente che non mi avesse lasciato cadere visto che sulla mia isola con si era fatto lo scrupolo. Forse la strigliata di sua sorella era stata efficace.
 
- Ti ringrazio. –
 
- Lo sai che sei davvero imbranata? – ma come si permetteva!
 
- Io non sono imbranata! Sei tu ad essere sbucato fuori dal nulla! –
 
- Io stavo camminando per i fatti mei. Sei tu che non vedi neanche dove metti i piedi. – gonfiai le guance per lo sdegno e lui mi rise in faccia fino a farsi scendere le lacrime. Maleducato e arrogante!
 
- Sei un maleducato! – lo sorpassai rossa come un peperone per la rabbia e l’umiliazione.
 
- Non credevo che un qualunque essere umano potesse essere così divertente. –
 
- Guarda che sei un essere umano anche tu! – mi girai nervosa con le mani sui fianchi.
 
- Si, ma noi non siamo uguali, io non mi rompo così facilmente e non sbatto contro la gente finendo quasi a terra. – sorrideva divertito.
 
- Non è colpa mia se voltato l’angolo mi sono trovata di fronte un armadio a due ante che camminava! –
 
- Guarda che sei tu ad essere terribilmente piccola. – mi batté una mano sulla testa per sottolineare i suoi quasi 30 centimetri di vantaggio e confesso di non essere riuscita a controllarmi, nonostante le buone intenzioni di poco prima persi le staffe e gli diedi un pugno sul petto. Fortuna che ero deboluccia e non avevo colpito forte o mi sarei rotta la mano, quel tipo era di acciaio. Ritirai la mano dolorante e lui scoppiò a ridere di nuovo facendo aumentare ulteriormente il mio malumore. – Però! Che caratterino che hai! –
 
- Stupido gorilla! Se fossi grossa quanto te ti darei una lezione con i fiocchi. –
 
- Non credo proprio. – Si stava asciugando le lacrime.
 
- Forse non ho colpito il punto giusto. – Tirai fuori l’espressione più sadica di cui ero capace e lui rise di nuovo. Lo stava facendo di proposito per farmi inferocire. – Non esiste un punto giusto. – mi strizzò l’occhio ed incrociò le braccia muscolose sul petto altrettanto muscoloso ed io mi voltai e ricominciai a camminare stizzita.
 
- Dove stai andando? –
 
- Non sono affari tuoi! – mi aveva indisposto parecchio.
 
- Io credo di si. – non gli risposi e continuai a camminare ma sapevo che mi stava seguendo. – Niji mi ha detto che vi siete incontrati prima, in corridoio. – Bastardo! Lui ed anche il fratello!
 
- Se pensi di farmi paura suggerendomi la possibilità di incontrare i tuoi fratelli ti sbagli di grosso! –
 
- Certo! Ho notato che non hai paura di niente! – si era portato le braccia dietro la testa, anche spiritoso adesso.
 
- Chiariamo una cosa. – mi fermai davanti a lui. – Io non ho paura di te, né dei tuoi fratelli, quindi smettila di provare a terrorizzarmi usando loro! – alzò le sopracciglia, come se avesse davanti un cucciolo che provasse a far la voce grossa. Lo so, non incutevo minimamente paura. Si abbassò in avanti per avermi di fronte, umiliante.
 
- Buon per te, perché dovrai passare un bel po’ di tempo con noi tre. – fantastico! Davvero fantastico! Tirò su un angolo della bocca, aveva letto dal mio viso il mio disappunto. Mi voltai e ripresi a camminare, non volevo più dargli confidenza.
 
- Lo sai, non sei la prima ad aver paura di noi, ma di sicuro sei la prima che nonostante il terrore continui a risponderci a tono, assolutamente incurante del dislivello fisico e dei ranghi. Quindi mi chiedo: chi sei tu? –
 
- La ragazza che hai malmenato su di una piccola isoletta e poi rapito. –
 
- Se ti avessi “malmenata” ora non staresti scorrazzando per il palazzo, te lo assicuro. – Che faccia tosta!
 
- Vuoi dire che mi sono fatta da male da sola? –
 
- Si. Il più delle ferite e dei lividi te li sei fatti da sola tentando di scappare. La commozione cerebrale invece è opera mia. – mi sorrise compiaciuto.
 
- E ne vai anche fiero? – era assurdo.
 
- Certo. – Non capiva il mio disappunto.
 
- Non ti hanno mai detto che è sbagliato alzare le mani su di una donna? – rise di gusto.
 
- Che sciocchezza! – lo guardai abbastanza disgustata. – Se le donne non si fanno scrupolo ad attaccare non vedo perché io dovrei restarmene fermo ad incassare solo perché è una donna. –
 
- Io non ti avevo fatto niente. –
 
- Mi hai distrutto la tuta e sei scappata, te la sei cercata! –
 
- Tu volevi uccidermi! Cosa dovevo fare? Restare lì e lasciarti fare? – aprì la bocca per controbattere ma poi fu costretto a richiuderla, avevo ragione e lo sapeva anche lui ma ciò nonostante doveva avere l’ultima parola.
 
- Gli ordini erano di non lasciare superstiti. –
 
- E tu esegui tutti gli ordini senza riflettere sul se siano giusti? –
 
- Un bravo soldato non discute gli ordini del leader. – la stessa cosa che aveva detto suo fratello. Questo non dipendeva dal fattore di linea, questo era lavaggio del cervello puro e semplice.
 
- Forse sei solo troppo stupido per pensare con la tua testa. – mi afferrò un braccio, la sua stretta era una morsa di acciaio.
 
- Ehi, stai attenta! Ci sono ordini che non vorresti violassimo. – i miei occhi color ghiaccio incrociarono i suoi azzurri, ero intenzionata a sostenere quello sguardo, non avevo paura delle sue minacce.
 
- Mi stai facendo male. – dissi ad occhi stretti senza distogliere lo sguardo e lui mi lasciò. Il mio stomaco agì di sua volontà nel momento più sbagliato possibile, facendo crollare la mia credibilità di tipa dura. Mi portai la mano allo stomaco per soffocare il rumore e lui mi osservò, la sua espressione belligerante cambiò e mi superò.
 
- Vieni con me. – io non accennai a muovermi. – Da sola ti perderesti di sicuro. Andiamo ti faccio vedere dov’è la cucina. –
 
Ci pensai un attimo, ma la fame ebbe il sopravvento e mi decisi a seguirlo. Nonostante, in fin dei conti, lui fosse stato il solo ad avermi fatto realmente del male, era quello dei tre che mi faceva meno paura. Tutto sommato la sua scorta non mi dispiaceva, sempre meglio che l’avere a che fare con quei due pazzi dei fratelli.
 
Quando arrivammo in cucina sembrarono tutti molto sconcertati, a quanto sembrava non si era mai visto uno dei principi in cucina.
 
- Signorino Yonji. – Si inchinarono tutti e c’era un’atmosfera di terrore in quella cucina. Forse lo stavo sottovalutando, forse avrei dovuto avere paura anche io. – Cosa possiamo fare per lei? –
 
- Abbiamo saltato la colazione. –
 
- Sono mortificata Signorino. La prego ci perdoni. Rimedieremo subito. Ma non doveva disturbarsi a venire fin qui. –
 
- E vorresti dirmi tu cosa devo fare? –
 
- No Signorino, non mi permetterei mai. Chiedo scusa. La prego mi perdoni. – era piegata in avanti e tremava. Era colpa mia, ero stata io a voler venire in cucina. Non era giusto che se la prendesse con loro. Gli afferrai il braccio e lui mi guadò perplesso.
 
- Non è meglio se andiamo in laboratorio per iniziare a dare un’occhiata alla tua tuta? Potremmo mangiare lì appena sarà pronto. – mi guardò per qualche attimo, stava studiando il mio viso ed una volta tanto non avevo intenzione di nascondere niente.
 
- Tu hai paura per loro. Perché? – non capiva. “La pietà qui non è vista di buon occhio” mi aveva detto Reiju., ma io non ce la facevo, non potevo essere come loro.
 
- Adesso ha priorità la tua tuta. – continuava a fissarmi. – Per favore. – tentai di tirare fuori la mia espressione da cucciolo abbandonato e affamato, anche se sapevo che non avrebbe avuto effetto su di lui, ma era un riflesso involontario.
 
- D’accordo. Faremo colazione in laboratorio. Andiamo. – Tirai un sospiro di sollievo. – Ma bada bene. Se farai qualcosa di strano, tornerò qui a pareggiare i conti con loro. Chiaro? – annuì. Sapevo che ne sarebbe stato capace. Lui si avviò davanti e la donna che ci aveva accolto in cucina mi afferrò la mano.
 
- Grazie. – mi disse solo. La ringraziai con un cenno e mi affrettai a seguire quel colosso, non volevo dargli motivi per ripensarci. Gli tenni il broncio fino al laboratorio e non gli rivolsi la parola. Quelle povere donne non avevano fatto niente, non era giusto trattarle in quel modo.
 
- Mi sembri contrariata. – buttò lì lui ed io non risposi. – È per la servitù? – ancora una volta non risposi. – Io proprio non ti capisco. Cosa ti importa di loro? –
 
- Sono persone! –
 
- E con questo? –
 
- Non si trattano così le persone! – sbuffò un ghigno.
 
- Allora dovrebbero imparare qual è il loro posto, non credi? –
 
- Non avevano fatto niente di male e tu stavi per farne a loro. Lo so, te l’ho letto negli occhi. –
 
- E tu lo sai qual è il tuo posto? – si voltò a guardarmi minaccioso, di scatto, ed io istintivamente feci un passo indietro. – Esatto. E faresti bene a non dimenticarlo e a non intrometterti più nelle questioni che riguardano noi e i domestici. È chiaro? – avevo un’espressione tra il triste e l’arrabbiato. Cosa potevo aspettarmi da lui se non il comportamento di un bruto. Si voltò di nuovo a trafficare con la porta. – Se ci fosse stato Niji al posto mio a questo punto saremmo senza domestici, e solo per il tuo intervento. Quindi la prossima volta è meglio se tieni la bocca chiusa. – questa affermazione mi lasciò basita ma non quanto lo spettacolo che mi ritrovai di fronte quando le porte del laboratorio si aprirono.
 
Era meraviglioso! Entrai dentro e mi guardai intorno senza fiato. Non avevo mai visto niente di simile prima. Non avevo mai visto niente a dire il vero. Avevo un piccolo laboratorio sotterraneo che tenevo segreto e che avevo fatto saltare in aria il giorno dell’invasione dei Germa, ma era appena uno scantinato. Invece questo era immenso, su più livelli, pieno di apparecchiature, monitor, cavi, microscopi, provette… Non credevo potesse esistere tanta meraviglia. Lui si appoggiò con la schiena ad un macchinario, le braccia incrociate sul petto, sorrideva fiero della mia reazione.
 
- È la prima volta che vedi un laboratorio? – scossi la testa imbambolata.
 
- Non ne avevo mai visto uno così grande. –
 
- Si, me lo dicono spesso. – ghignava ma io ero talmente abbagliata da tutto quello da non aver neanche fatto caso al doppio senso.
 
Mi avvicinai curiosa ad ogni macchinario, sfiorai le tastiere, i monitor, le provette, era tutto meravigliosamente vero.
 
- Mi sembra ti piaccia. – Si era avvicinato e continuava a sorridere orgoglioso.
 
- È fantastico! – dovetti sforzarmi per riportare lo sguardo su di lui. – È questa la famosa tecnologia Germa? –
 
- Una parte. Ci sono diversi laboratori nel regno. Questo è il mio laboratorio personale. – sgranai gli occhi.
 
- Mi stai dicendo che questo è tutto tuo e che nel regno ce ne sono altri così? – non potevo crederci.
 
- Esatto. Qui puntiamo tutto sulla scienza. –
 
- Tu sai far funzionare questi macchinari? –
 
- Non sono mica uno stupido gorilla! – rise. Lo avevo chiamato spesso così. – Siamo stati istruiti da piccolissimi sia per quanto riguarda le tecniche di combattimento, che i modi reali, che le scienze. Nostro padre ha sempre tenuto molto alla nostra istruzione. –
 
- Sei uno scienziato anche tu? –
 
- Tra le altre cose. – questo si che era sconvolgente.
 
- Non ci credo. – mi guardai di nuovo intorno. Era proprio così che immaginavo il paradiso. – E con tutto questo a tua disposizione non sei riuscito ad eliminare i bug dalla tua tuta? – questo era ancora più assurdo.
 
- A quanto sembra no. Ma ora ci sei tu, è per questo che sei qui. – mi guardò sorridente ed io, mi vergogno un po’ a dirlo, mi sentì come una bambina con di fronte un grosso e formidabile regalo che aspettava solo di essere scartocciato. Volevo vedere quegli strumenti ad uno ad uno e capirli nel dettaglio. Volevo vedere cosa si provava a stare in un vero laboratorio e se il prezzo da pagare era rimettergli a posto la tuta lo avrei pagato volentieri. Non avrei avuto più un’altra occasione come quella nella vita.
   
 
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