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Autore: Emmastory    15/12/2018    6 recensioni
Un anno è trascorso alla foresta delle fate. Ormai è inverno e non più primavera, e con il tempo che scorre e la neve che cade, la giovane Kaleia non sa cosa pensare. Il tempo si è mosso lesto dopo il volo delle pixie, con l'inizio di un viaggio per una piccola amica e il prosieguo di uno proprio per lei. Che accadrà ora? Nessuno ne è certo oltre al tempo e al destino, mentre molteplici vite continuano in un villaggio e una foresta incantata. (Seguito di: Luce e ombra: Il bosco delle fate)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Luce-e-ombra-II-mod
 
 
Capitolo XXXIII

Paura anche di muoversi

Ancora una volta, la luce del sole mi faceva da guida nel mio cammino verso colui che amavo, vincendo la lotta contro la foschia, la nebbia, il freddo e il grigiore della pioggia che era caduta bagnando il bosco solo poco tempo prima. Sempre in marcia verso un futuro per me migliore, anche ora correvo in mezzo al verde, superando ogni curva, sporgenza e buca. Alternavo ogni passo fra cammino e corsa, veloce e senza esitazioni di sorta. Di nuovo speranzosa, tenevo lo sguardo dritto in avanti, cercando con gli occhi la bianca punta della coda di chi mi guidava. Red, la volpe che nel tempo Christopher aveva addomesticato, arrivando a renderla il perfetto esempio di animale da compagnia. Non era un cane, certo, e lo stesso discorso valeva per Bucky, il caro scoiattolino che non vedevo da tanto, ma che immaginavo stesse vivendo la sua vita accanto alla compagna, esemplare dal pelo grigio e dissimile dal suo. Li avevo visti entrambi correre per la foresta corteggiandosi come innamorati, e se Red era già diventato padre di ben quattro cuccioli, per il mio piccolo amico non era ancora arrivato il momento, nonostante una parte di me lo sperasse ardentemente. Il sole splendeva illuminando i miei passi, ma avevo paura. La vista del fumo nel bosco non era certo stata piacevole, e ora temevo per la mia incolumità e quella di chi mi seguiva. Stanca, Sky faticava a starmi dietro, e Major sembrava essere l’unico in grado di tenere il passo. Gli attimi si susseguivano con lentezza esasperante, e nonostante sapessi di essere sempre più vicina alla mia meta, sentivo le gambe tremare, e no, la colpa non era da imputarsi alla brezza che mi scostava i capelli dal volto. Continuando a correre, scuotevo spesso la testa e mi sforzavo per respirare correttamente, entrambe azioni che compivo al solo scopo di allontanare dalla mia mente gli infausti pensieri che ancora la abitavano. “Stai perdendo tempo. Torna indietro. Torna indietro e scappa, se vuoi davvero vivere.” Dicevano le voci, torturandomi e facendomi mordere la lingua nel tentativo di non gridare. “No, non è vero. Voi non siete reali, e nulla di quello che dite può esserlo.” Mi ripetevo ogni volta, stoica e forte durante tutto il mio viaggio. Da quello che vedevo, era ormai vicino a concludersi, e rallentando, Red me ne diede la prova. Arrestando la mia corsa, ne approfittai per riprendere fiato, e guardandomi intorno, scoprii di essere arrivata nel fitto della foresta, a pochi passi da una tana che non poteva non appartenergli. Preoccupato, annusava il terreno e raspava con le zampe, impegnandosi nello scavare una buca e uggiolando tristemente. Com’era ovvio, il fuoco doveva averlo spaventato, e abbassandomi al suo livello, provai ad aiutarlo, ricevendo soltanto un sordido ringhio in risposta. “Va tutto bene, i tuoi piccoli stanno bene.” Provai a dirgli, tenendo la voce bassa e mostrando la mano aperta, lungi dal voler far loro alcun male. Confuso, l’animale mi guardò senza capire, e dopo un breve fruscio da me poco lontano, eccoli. Tutti insieme, tutti e quattro l’uno accanto all’altro, i suoi cuccioli. Lieta di vederli, tirai un sospiro di sollievo, ma poco dopo, la scoperta. I volpacchiotti erano sani e salvi, ma della madre non c’era traccia. Disperato, Red piantò le zampe per terra, dando poi inizio ad un lamento simile ad un profondo, rauco e basso ululato. Un modulato fischio rispose con imponenza, e fra la vegetazione fitta ma parzialmente bruciata, un’ombra. Spaventata quanto e forse più di lui, indietreggiai, e all’improvviso, lo spezzarsi di un ramo tradì la mia presenza. Senza volerlo, mi scossi in un sussulto, e stringendo lo smeraldo che portavo al collo, mi imposi di star calma. Il silenzio che seguì quell’istante mi congelò il sangue, ma resistente come sempre, attesi. In segno di resa, alzai entrambe le mani, e muovendo qualche incerto passo in avanti, per poco non inciampai in uno spinoso rovo. “Chi c’è là? F… Fatti vedere!” biascicai, tenendo alte la voce e la guardia nel tentativo di sembrare minacciosa. Conoscendomi, sapevo di esserlo almeno quanto un tenero gattino, e sentendo le gambe molli, maledissi mentalmente la testardaggine che mi aveva condotta fino a quel punto. In tutta onestà, una parte di me avrebbe voluto voltarsi e fuggire alla ricerca di un riparo, ma non potevo, non ora che Sky e Major erano lì per offrirmi il loro supporto. Conoscevo la prima meglio del secondo, ed era ovvio, ma il mio rocambolesco viaggio alla ricerca del mio protettore aveva in qualche modo rafforzato la nostra unione, e ora mi fidavo di entrambi. A riprova di ciò, proprio Major si avvicinò fino ad arrivare al mio fianco, annuendo con la stessa decisione che avevo già visto incupirgli lo sguardo. Muta come un pesce, mi scambiai con lui una sola occhiata, e poco dopo, rassicurata a sufficienza, tentai un passo in avanti, e finalmente, tutto fu più chiaro. La figura uscì dall’ombra, e per poco non cessai di respirare. “Christopher?” chiamai, attonita. “Sì, tesoro, sono io. Cosa c’è? Non sembri così felice di vedermi.” Rispose, e alle sue parole, il mio cuore perse più di un battito. Non sapendo cosa dire, boccheggiai alla ricerca di qualunque frase o parola, ma poi, dandomi per vinta, gli corsi incontro, fino ad abbandonarmi fra le sue braccia. Felicissima, lo strinsi a me baciandolo più volte, incurante della presenza dei miei compagni alle mie spalle. Lasciandomi fare, Christopher mi imitò in ogni bacio, e quando ci staccammo per respirare, mi ritrovai a guardarlo con le lacrime agli occhi. “Buon Dio, amore… mi sei mancato così tanto!” confessai, con il respiro spezzato dal pianto che trattenevo  sentendomi al sicuro fra le sue braccia. “Anche tu, fatina mia, anche tu.” Replicò lui, abbracciandomi ancora e lasciando che le nostre labbra si toccassero ancora, leggere come il battito d’ali di una farfalla. Un contatto che non durò molto, ma del quale, con il cuore traboccante di gioia e amore per lui, mi accontentai più che volentieri, trovando nell’abbraccio in cui mi stringeva il porto sicuro che per tanto avevo cercato. Pene e paure mi avevano accompagnata in ogni attimo, ma ora potevo dirmi felice, anche se ogni abitante della foresta, proprio come me, provava dopo quanto era accaduto, fra il fumo e le fiamme, la folle paura anche di muoversi.

 
   
 
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