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Autore: MaikoxMilo    16/05/2019    2 recensioni
La serie principale di Saint Seiya dagli occhi di Sonia, allieva di Milo. La sua vita, il suo percorso, i suoi ricordi che si intersecano e coesistono con la vita dei Cavalieri d'Oro al Santuario di Atene prima, dopo e durante la Battaglia delle 12 case fino ad arrivare al 2011, il nuovo corso per tutti, la conseguente rinascita.
Dal cap. I:
“Ti manca tuo fratello, vero?”
La fisso imbambolata per qualche secondo... giusto, mio fratello Camus! Ecco il perché di questo mio malessere, ecco a cosa stavo pensando prima, a lui... come ho potuto scordarmelo, anche se per pochi, brevi, istanti?!
“Sì, ma tu come lo sai?”
La ragazza mi sorride ancora una volta, sedendosi poi vicino a me.
“Sono tutte uguali le persone che soffrono la perdita di qualcuno, affettiva, o più banalmente fisica, è irrilevante .. si mettono in disparte e guardano il vuoto, sperando di rivedere il volto del proprio caro. Lo capisco bene, sai? Milo era così quando ha perso Camus nella battaglia delle Dodici Case...”
Per comprendere meglio la storia, è necessario aver letto la mia serie principale: "Passato... presente... futuro!", buona lettura!
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aquarius Camus, Cygnus Hyoga, Kraken Isaac, Nuovo Personaggio, Scorpion Milo
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Passato... Presente... Futuro!'
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CAPITOLO 8: DUBBI E DOVERI, L'ETERNO CONFLITTO

 

 

Siberia dell'Est, settembre 2006

 

 

Guardava i suoi ragazzi allenarsi, come ormai era solito fare, appoggiato con le spalle alla parete del ghiaccio eterno. In viso aveva un'espressione compiaciuta che però lasciava trasparire appena, come di consueto. Sia Hyoga che soprattutto Isaac davano delle enormi soddisfazioni e gli riempivano il cuore di orgoglio. Crescevano, si rafforzavano, e il loro carattere era sempre più formato, rispecchiando in parte i futuri adulti che sarebbero diventati; parimenti aumentava anche la paura, assai simile a quella di un genitore, a dispetto della giovane età del Cavaliere dell'Acquario.

Camus la poteva avvertire serpeggiare dentro di sé, anche se cercava di reprimerla con tutte le forze, ma Lei c'era, spietatamente lo avvolgeva, oscurando, almeno in parte, la luce che scaturiva dal vedere i suoi bambini diventare, passo per passo, adulti.

Isaac era la sua punta di diamante. Lui, così affine alla sua essenza, che seguiva il maestro pedissequamente imitandolo in tutto e per tutto. Non gli aveva mai dato motivi di preoccupazione da quanto sembrava adatto a diventare Cavaliere fin dal principio del loro incontro. Era conscio delle ragioni che spingevano il piccolo a voler ambire alla carica di difensore della giustizia e le appoggiava, anche se, per assurgere a quel ruolo, gli sarebbe servito esercitare ancora di più il controllo e il distacco, cosa che effettivamente aveva ancora difficoltà a fare, quando usciva l'argomento. Era stato il primo allievo; il primo allievo in grado di incrinare la coltre di ghiaccio del suo cuore e riuscire a penetrare un po' al suo interno. Il primo, già... il primo che aveva avuto forze sufficienti per restare, sopravvivere e camminare al suo fianco, con quegli occhietti verdi e vivaci che ogni volta che incrociavano i suoi, blu, sprizzavano gioia e devozione come non mai. Quella luce era sacra e aveva permesso a Camus, dopo i primi mesi di prudente distacco, di sciogliere la riserva e approcciarsi più genuinamente a lui, permettendosi di provare affetto per quel bambino determinato che lo seguiva in tutto e per tutto. Eppure... ultimamente persino Isaac destava qualche preoccupazione. Non era che una piccolissima cellula, dentro di lui, ma c'era e sembrava crescere di giorno in giorno, diventando un insieme di molecole sempre più grosse di qualcosa di oscuro e buio. Una rabbia sempre maggiore prendeva possesso del piccolo, Camus lo poteva percepire e, lo sapeva, avrebbe dovuto porvi rimedio il più in fretta possibile.

La stessa oscurità non era invece presente in Hyoga, candido e puro come il fiume di ghiaccio da cui aveva ereditato il nome. Non c'era malvagità in lui, tutt'altro, ma non per questo era meno preoccupante. Camus era conscio anche del suo, di passato, come delle ragioni che lo spingevano a diventare Cavaliere, ed erano motivazioni infantili e assurde anche se capibili; capibili sì, se si fosse trattato di un bambino normale precocemente strappato dalle braccia della propria madre, ma siccome Hyoga avrebbe dovuto diventare un difensore della giustizia, quelle ragioni non potevano in alcun modo essere valide. Non vi era, nel piccolo dagli occhi azzurri, nessun desiderio di una pace perpetua, né una immensa sete di giustizia, che già Isaac invece aveva e dimostrava ampiamente, no, in lui vi era solo il desiderio puerile di recuperare il corpo della madre morta nel mare della Siberia dell'Est diversi anni prima, null'altro. Troppo poco... era troppo poco persino per sopravvivere, figurarsi salvare il mondo dai maligni. Sempre più spesso Camus desiderava eliminare quell'unico punto debole del piccolo per fare in modo che potesse finalmente spiccare il volo privo di impedimenti, perché il potenziale ce lo aveva, e anche tanto, forse più dello stesso Isaac, forse persino più dello stesso Camus. Ma una pietra grezza non elaborata era destinata a rimanere eternamente un comunissimo ciottolo, per questa cagione il Cavaliere dell'Acquario si torturava psicologicamente per capire come aiutare il giovane Hyoga a rinascere a nuova vita, peraltro non riuscendoci ancora. Per il momento, non poteva fare a meno di esortare il bambino a non cedere alla sofferenza e alla fatica proprio in virtù di sua madre. Era il desiderio di vedere la madre che lo spronava, ed era l'espediente che utilizzava lo stesso Camus per incoraggiarlo nei momenti di difficoltà; un espediente che non gli piaceva affatto, ma funzionava e, per il momento, solo quello importava.

C'era anche altro che preoccupava Camus, qualcosa di ancora lontano ma potenzialmente vicino: la situazione al Santuario di Atene, in Grecia. I dubbi che, un poco timidamente aveva accennato anche a Milo stavano prendendo sempre più piede, incrementando, invece che sopperire, la sensazione di estraneità che già nutriva per il Grande Sacerdote. Qualcosa non tornava, fatti sempre più inconsueti ed oscuri capitavano, facendolo dubitare della sua fedeltà. Il Santuario sembrava sempre più un covo di spietati assassini, più che il luogo ultimo in cui veniva garantita la giustizia, l'atmosfera che si respirava là era ormai inconciliabile con i suoi ideali. Per la prima volta dopo tanto tempo, Camus fu ben lieto di essere lontano da quel ricovero di pazzi, anche se questo significava essere lontano dal suo migliore amico e dalla piccola Sonia, conosciuta da poco ma genuinamente affezionato a lei, quasi senza accorgersene, un po' come un granello di sabbia che, senza che la volontà ne avesse preso parte, entrava nell'occhio di soppiatto per poi rimanerci. Una volta dentro era ben difficile da togliere, ma non era comunque una sensazione spiacevole, anzi, si accorse che le mancava, che avrebbe avuto piacere a rivederla. Era in assoluto la prima volta che gli capitava, la prima in cui si affezionava così genuinamente ad una persona senza prima aver almeno provato a prendere le debite distanze. Si disse che ciò era causato dal suo passato, dal fatto di sapere di avere una sorella lontana e all'incirca della stessa età della piccola. Non l'avrebbe mai vista crescere, per quel motivo, solo per quello, si era approcciato così a lei... già, doveva essere solo per quello!

In quei mesi di lontananza, non poche erano state le volte in cui il sacro custode della Giara del Tesoro era stato chiamato al tempio per incombenze e urgenze -altro motivo per cui i suoi dubbi erano così loquaci dentro di lui- aveva visto Milo più volte, ma non c'era quasi mai stato il tempo per parlare tra loro, dovendo l'Acquario tornare il più in fretta possibile dagli allievi. Non c'era stato quindi tempo per rivedere Sonia. A parte qualche volta imbarazzante al telefono, non aveva neanche avuto più occasione di discorrere con lei, ma non gli sarebbe affatto dispiaciuto avere un po' di tempo da trascorrere con loro, SOPRATTUTTO parlare schiettamente a Milo e a... Myrto.

Camus sbuffò sonoramente nel pensare a quei due, mentre una velata sensazione di urgenza lo spingeva a desiderare di mettere le cose in chiaro, con entrambi, ma per farlo ci sarebbe voluto tempo, e il tempo, con due allevi in apprendistato, latitava.

Comunque doveva fare qualcosa, era certo, prima che quei due si assuefacessero reciprocamente più di quanto non avessero già fatto quell'estate. Sbuffò ancora una volta, nel pensare all'ultimo, fugace, dialogo che aveva avuto con Milo quell'agosto.

 

Era appena finito l'ultimo raduno dei Cavalieri d'Oro, al solito Mu mancava, volontariamente esiliato in Jamir, e anche lo stesso Dohko, adducendo come scusa l'anzianità e il non poter allontanarsi dai picchi di Goro-oh. Sempre come al solito, neanche il Cavaliere di Gemini si era palesato, cosa che indirizzava i dubbi dell'Acquario proprio su di lui.

Camus aveva già in testa gli allievi in Siberia, quando Milo, con la consueta espressione da cane bastonato tipica di quando aveva combinato qualche casino, si approcciò a lui con muso basso e coda -metaforica- tra le gambe.

So che hai molto da fare, Mago dell'Acqua e del Ghiaccio, ma ti chiedo solo cinque minuti del tuo tempo, poi sei libero di tornare alle tue faccende...”

Quell'appellativo, quel tono, quello sguardo da bambino che aveva rubato la caramella all'adulto, misero l'Acquario già in allerta, il quale, sospirando come si fa con i fanciulli testardi, lo accontentò placido, scegliendo l'undicesima casa come luogo della confessione. Ovviamente, prima di parlare, aspettarono entrambi che tutti i loro compagni delle case inferiori fossero scesi nelle loro rispettive dimore, la prudenza non era mai troppa...

Coraggio, Milo, dimmi pur...”

Ci sono ricascato!”

Frase strozzata e detta di getto. Camus comprese subito a cosa si riferisse, pertanto si posò teatralmente una mano tra i capelli, chiudendo gli occhi in cerca delle parole da dire. Un rimprovero sarebbe stato inutile, Milo non era più un infante, le regole le conosceva, ma non poteva neanche dargli una pacca sulla spalla e sorridere raggiante dicendo: “Grande, fratello, te la sei scelta magnificamente!”, perché lo avrebbe potuto fare qualsiasi ragazzo normale verso il proprio migliore amico, non lui, men che meno visto i ruoli da Cavaliere d'Oro, coloro che, in linea generale avrebbero dovuto dare l'esempio ai coscritti.

Milo... è inutile che ti ripeta che... non lo possiamo fare, vero? Non sei più un bambino, anche se a volte sembri più immaturo di Isaac! – decise comunque di fargli notare, riaprendo gli occhi – Per Atena, Milo, potevo capirlo a 14 anni in piena fase ormonale, non ora che ne hai quasi 17!”

Sono ancora in fase ormonale...” pigolò l'altro, prostrato.

Perfetto!”

Mmmm, Camus, tu non puoi capire... la amo, la amo con tutto me stesso! Il suo corpo, da solo, è in grado di farmi fremere e produrre una reazione... mmm, mmm, come posso dire? Mi capisci? Là sotto, sì sotto!”

Milo!!!Ho capito, ho capito, censurati e raffredda i tuoi bollenti spiriti!” lo fermò, cercando di evitare che il disagio, già ben pungente in lui, si trasformasse in vero e proprio imbarazzo.

Ma l'altro continuava, del tutto trasognato.

I-il suo corpo è... è così abbronzato, la sua pelle così delicata e... e il suo ombelico, cosa non è il suo...”

Miloooooo!!!”

Lo Scorpione si riprese, sussultando al suono di quell'ultimo avvertimento esclamato da Camus e che significava che stava superando il limite.

Lo abbiamo fatto, Cam... abbiamo fatto l'amore!” concluse, arrossendo suo malgrado.

Ah, sì? Non me l'ero ancora data, sai? Grazie per l'illuminazione!” ironizzò l'Acquario, tossicchiando leggermente e discostando lo sguardo. Poco dopo però tornò a guardarlo, addolcendo un pelo l'espressione.

Quando è successo?” chiese, cauto.

Dopo l'affare dei banditi... ci siamo riavvicinati molto e... beh, all'inizio non era pronta, abbiamo fatto... altro... ma poi, ad inizio agosto, è successo... è stato bellissimo, cioè... il mio cuore stava per esplodere!”

Bene... cioè bene, si fa per dire... non ti chiederò se è stato un episodio fortuito, perché, da quel che intuisco, state continuando, vero?”

Milo annuì solamente, tornando a fissarsi i piedi, quel dannato Camus lo riusciva a leggere dentro, non poteva in alcun modo celarsi a lui, a tutti ma non da lui.

Milo... nonostante la tua tempesta ormonale, ti invito a riflettere: vuoi davvero ciò per lei? Sei un guerriero di Atena, tralascia che non potresti proprio avere relazioni carnali, ma... li percepisci i rischi? Possiamo morire domani, non possiamo permettere che gente esterna alla nostra cerchia sia intessuta nelle nostre vicende. E' vero, Myrto è sul limitare dei due mondi, ma rimane il fatto che se succede qualcosa a te, qualunque cosa, e si scopre che lei ti ama, non esiteranno a rivendicarsi anche su di lei. La stai mettendo a rischio, amico!”

Io so solo che voglio proteggerla, come voglio proteggere Sonia... non c'è nulla di male in questo, vero? Noi guerrieri di Atena difendiamo i deboli dai soprusi, perché dovrebbe essere sbagliato?! Non permetterò che le accada più niente, né a lei né alla piccola!” ribatté Milo, determinato come non mai. Non c'era nulla da fare, cocciuto come un mulo. Camus sospirò, consapevole di doversene andare il più in fretta possibile perché altrimenti la sua presenza lì sarebbe risultata sospetta, visto l'aria di diffidenza che si percepiva anche tra parigrado. Nessuno si fidava più di qualcuno, la concordia e l'affetto reciproco che li aveva uniti in fanciullezza sembrava ormai disintegrato, con poche eccezioni, come il loro caso.

Milo, io... ora devo andare, lo sai, ma ti prometto che rifaremo questo discorso non appena mi sarà possibile restare per più tempo qui in Grecia. Fino ad allora, cerca di esercitare un po' più di autocontrollo, amico mio!”

 

Già, non era davvero male essere costretto a rimanere lì in Siberia dell'Est, gli permetteva di razionalizzare meglio il suo pensiero e i suoi eterni dubbi, anche se la distanza di Milo gli pesava alquanto. Ma sarebbe tornato, prima o poi, una volta scelto il nuovo Cavaliere del Cigno. Per il momento doveva solo resistere, resistere e resistere, e lo stesso compito spettava al suo migliore amico. Si sarebbero riuniti e avrebbero combattuto insieme, come fratelli.

Scrollandosi di dosso quegli ultimi pensieri malinconici, rizzò la schiena, tornando a concentrarsi sui due giovani allievi e sul sole che stava calando. Le giornate si accorciavano sempre di più e si presagiva l'avvento di una tempesta, meglio fermare gli allenamenti per quel giorno.

“Hyoga! Isaac! Basta così per oggi, torniamo all'isba!” li chiamò, con quel pizzico di autorità che non guastava mai.

I due bambini, intenti poco prima a combattere amichevolmente tra loro, si arrestarono istantaneamente, puntando le loro iridi variegate verso il maestro, che li stava raggiungendo con passo leggero ed elegante.

“Di già, Maestro Camus? In genere ci alleniamo fino al calare del sole!” constatò Isaac, sveglio come al solito. Era in piedi a poca distanza da Hyoga, sdraiato invece sulla neve dopo aver subito un suo colpo. Era tipica quella situazione, Isaac non si esimeva certo quando si trattava di mostrare il suo valore, al contrario di Hyoga che prevedeva i colpi ma non infondeva la giusta potenza negli attacchi; una gentilezza che, se non ampiamente supplita, gli sarebbe costata cara sul campo di battaglia.

“Hai ragione, ma oggi preferisco così, soprattutto considerando che... sta per giungere una tempesta!” spiegò Camus, serio come al solito.

“Una tempesta, davvero?”

“Odora l'aria... profuma di bufera da nord!” disse solo, sorridendo appena.

Isaac, come al solito, era sbalordito, pertanto si mise a fiutare intorno a sé, più o meno come un cucciolo di cagnolino del tutto inesperto, fallendo infatti nell'impresa, perché non percepiva alcunché. Invece Hyoga, molto più visivo, ancora sdraiato sul permafrost, continuava a fissare il cielo sopra di sé con sguardo perso.

“E' vero... le virghe nevose sembrano indicare davvero un peggioramento del tempo!” mormorò, del tutto meditabondo.

Il cielo sembrava alto, lontano da loro, impossibile quantificare quanto. Era tutto un bianco quel posto, il terreno sotto di sé, ghiacciato, le nubi distanti, intoccabili. Il bianco era il colore della purezza, della sua mama ed era anche un po' il suo colore. Non l'aveva dimenticata affatto, anche se era costretto a starle lontano -ormai parevano passati secoli dall'incidente- doveva solo resistere, nell'attesa di diventare abbastanza forte per ricongiungersi con lei. Per sempre.

“Hyoga? - Camus entrò prepotentemente nel suo campo visivo, facendolo sussultare alquanto – Pensi di rimanere ancora lì a lungo con sguardo inebetito? Isaac ed io ce ne stiamo andando!”

Subito il ragazzo dagli occhi azzurri e i capelli biondi si riscosse, colto in fallo. Sapeva di essere stato beccato, e sapeva che il Maestro aveva compreso su cosa si concentrassero i suoi pensieri, ma fece del suo meglio per mascherarsi.

“Sì, Maestro!” rispose pronto, scattando in piedi, lesto.

Il peso degli occhi taglienti di Camus era su di lui, poteva ben percepirlo, ma fece di tutto per mantenersi calmo. Non aveva alcuna voglia di discutere, men che meno di far sapere ad Isaac -ancora incosciente di quel dato personale- le ragioni che lo spingevano a perseguire l'obiettivo di diventare Cavaliere. Sarebbe stato meglio che Isaac lo continuasse a credere un devoto paladino della giustizia, non avrebbe avuto le forze per affrontare anche lui su quella battaglia coscientemente persa che però per lui significava tutto. L'amico e compagno di allenamento era così simile al maestro, probabilmente avrebbe reagito male alla sua confessione e non aveva le forze per affrontarli entrambi. Uno sì, ma due no!

Camus non disse niente, limitandosi a fissarlo con partecipante distacco. Non approvava i suoi ideali, lo sapeva, lo sapevano... ma gli voleva bene e avrebbe tanto voluto liberare Hyoga di quell'inutile peso che lo legava ancora al passato. Ma come fare?

“Ripensandoci... voi andate pure avanti, io vi raggiungo a breve” avvertì i due allievi, scrutando il cielo sopra di lui con fare enigmatico. Isaac non capì il motivo di quell'esitazione, al contrario di Hyoga che invece la accusò, così come si accusa uno sguardo ricolmo di disapprovazione.

“Va bene, Maestro, vi aspettiamo all'isba!” tagliò corto, voltandosi in direzione della casetta insieme all'amico.

Camus attese che si allontanassero, poco prima di farsi cadere e sedersi per terra, un poco affranto. Dubbi, doveri, allievi che rifiutavano di crescere e il Santuario che era un luogo sempre più oscuro e spietato. Non vi era soluzione alcuna, soltanto continuare... continuare a credere nella propria via e ai propri ideali per non avere rimpianti.

“Dea Atena... proteggilo, ti supplico. E' un ragazzo volenteroso e ricolmo di potenziale, ma si perderà se continuerà a fissare dietro di sé invece che davanti...” sussurrò al vento, proprio nell'attimo in cui un fiocco di neve, il primo, faceva capolino sul suo palmo. La tempesta che era stata annunciata, triste preludio all'infinito inverno di quei luoghi, anche quell'anno sarebbe arrivata un po' prima del previsto, coprendo il Mar Glaciale Artico con il suo spesso mantello che risplendeva di una luce pura, proprio per questo letale.

 

 

* * *

 

Il vento ululava alle finestre di vetro come un branco di lupi in procinto di raggiungere la propria, esausta, preda. Non aveva mancato di appuntamento, diventando una intensa bufera già a partire dalla serata.

Che strano, pur dominando le energie fredde e quindi il gelo, essere cullato dalle coperte del letto mentre fuori imperversava il maltempo, gli regalava la sensazione di essere protetto, come quando, da piccolo, sua madre lo avvolgeva tra le braccia durante i temporali. Camus, da bambino, era terrorizzato dai temporali, non sapeva perché e mai lo avrebbe saputo, men che meno in quel momento che la paura era un lontano ricordo, così come la sua infanzia. Prese un profondo respiro e buttò fuori l'aria, voltandosi poi sul fianco destro, le mani involontariamente strette a pugno. La notte era mortale nemica per i pensieri nefasti. Per quanto si ripetesse di rimanere distaccato, quelli lo venivano trovare a luci spente, più insistenti che mai. Erano pensieri fugaci, che sparivano la mattina come si smaltisce una sbornia troppo fastidiosa, ma proprio per questo gli davano così noia. Alla fine dei conti, lui era la prima vittima del passato, come poteva insegnare a Hyoga a non udire il lusinghiero, quanto falso, canto dei ricordi, se lui stesso ci cadeva?! Non era possibile, o forse, proprio per quello cercava con ogni mezzo di estirparlo almeno da Hyoga, dal suo Hyoga...

Aprì lentamente le palpebre, concentrandosi su un punto fisso e sui rumori provenienti da fuori, solo così avrebbe ricacciato quel peso da solo, solo così sarebbe tornato Camus, Maestro dei Ghiacci, e non il piccolo Camus che aveva perso quanto di più caro all'età di 5 anni. Se le scrollò di dosso, le immagini sfumate stampate sulla sua retina. Ci riuscì, ma non altrettanto con le emozioni, ancora malamente attaccate a lui. Si sentiva triste, spaesato, dubbioso e, per un solo istante, desiderò ritornare il bambino spaurito di dodici anni prima, cullato dalla propria madre e con l'orecchio poggiato sul suo pancione, in attesa dell'arrivo della sorellina.

Un rumore secco, come di qualcuno che rotolava per terra, lo mise immediatamente in allerta, preparando i suoi muscoli, ormai avvezzi alla lotta, ad intervenire in caso di pericolo.

“Eh, no, Hyoga! Stavolta non mi freghi, non puoi andarci sempre tu nel lettone del Maestro Camus!”

“Lasciami, Isaac! Non stavi dormendo?!”

“Ti ho aspettato al varco! E' il mio turno stanotte!”

“Non è il tuo turno di niente, va' via!”

Camus si ritrovò a sospirare, radunando tutta la sua pazienza nel tentativo di non intimargli malamente di tornare a letto. Si mise a sedere in maniera composta, poco prima di accendere la luce e guardare in direzione del baccano a poca distanza da lui.

“Ordunque? Siete diventati dei cagnolini arruffati che rotolano per terra?!” li richiamò, un poco divertito.

Hyoga e Isaac, intenti ad azzuffarsi sul pavimento, con il secondo sopra il primo intento a bloccare i movimenti del bambino biondo con tutte le sue forze, si pietrificarono all'istante, colti in flagrante.

“Maestro! Hyoga voleva venire di nuovo nel letto con voi per la terza notte di seguito! - spiegò Isaac con enfasi, sempre intento a immobilizzare il compagno sotto di sé, poi tornò a concentrarsi sul compagno – Ho diritto di anzianità su di lui, è il mio turno!”

“Ma quale diritto di anzianità, hai la mia stessa età!” ribatté il biondo, grintoso.

“Diritto di anzianità perché lo conosco da più tempo di te!”

“Ma non dire scemenze e togliti!”

“Per cosa, per appiccicarti a Camus e fare pipì nel suo letto?!”

Hyoga improvvisamente arrossì di botto, vergognandosi oltremisura e oltraggiato da un simile colpo basso.

“Non è vero, non faccio pipì a letto da anni, ormai! Stai mentendo, Isaac!” esclamò, poco prima di ribaltare la sua posizione svantaggiosa con un colpo di reni. Si ritrovarono così nella stessa posizione ma inversi.

“Ho ferito il tuo orgoglio, ehehe, vedi che anche tu puoi essere forte?! Comunque così impari a intrufolarti sempre nel letto del maestro senza che lui se ne accorga e a scappare via al mattino presto prima che si svegli!” gli fece linguaccia lui, sorridendo in maniera furba.

“Stai zitto, Isaac!!!” lo fermò Hyoga, imporporando di nuovo per la vergogna.

Camus sospirò e si massaggiò teatralmente la fronte, cercando il modo per fermare quell'inutile scorribanda tra i due scapestrati. Hyoga e Isaac erano due ottimi allievi e avevano un ottimo rapporto tra loro, niente e nessuno avrebbe potuto spezzare il loro legame, lo sapeva, lo percepiva, eppure, persino loro, per questioni stupide potevano finire per litigare. Anzi, non erano 'questioni', il motivo era unico: lui. Unica ragione per farli finire a discutere tra loro, azzuffandosi come due teneri batuffoli di pelo: avere o non avere l'attenzione e l'affetto di colui che, molto probabilmente, era considerato un padre per i due bambini.

“Quanti anni avete?” li interrogò, in apparente tono piatto

“Undici!” trillarono in coppia, lesti.

“E da quanto siete qui?”

“Tre anni” rispose Hyoga, un poco insicuro.

“Io quattro, la mia anzianità di servizio!”

“Tu zitto, Isaac!” lo fulminò il biondo dandogli una manata in testa, alla quale l'altro bambino ridacchiò temerario, non smettendo di provocarlo.

“Ve lo chiedo ad entrambi: non vi pare di essere troppo grandi per bisticciare per simili quisquilie? Sia i cuccioli di cani, che di gatto, che di altri animali, ci mettono molto meno a capire di doversi affinare per diventare sufficientemente forti per sopravvivere. Fate conto di essere come loro, perché sarete Cavalieri di Atena, la vostra vita sarà costantemente in pericolo, non sono permessi passi falsi!” gli spiegò, rude, socchiudendo gli occhi con fare enigmatico.

“Ma...!”

“Non fatemelo ripetere, piantatela con questa cagnara, prima che io decida di mettere voi in punizione sul picco ghiacciato!” concluse, pratico, chiudendo la luce e coricandosi nuovamente come se nulla fosse.

Hyoga e Isaac, ancora uno sopra l'altro, si ritrovarono ad essere ghiacciati sul posto, a guardare in direzione del letto con la faccina da cuccioli bastonati. Si vergognarono entrambi, ma non ci misero molto a riprendersi.

“E' colpa tua, Isaac! Se non mi avessi fermato il Maestro Camus non si sarebbe svegliato!” gli sussurrò, contro, sebbene non lo riuscisse più a vedere.

“Io?!? Non è così, guarda che si è arrabbiato perché tu sei una cozza costante che va a tartassarlo quando dorme!” rispose lesto, l'altro bambino, un poco contrito.

“Non è vero! Non è vero!!!”

“Tuttavia... - di nuovo la voce del Maestro Camus, insolitamente calda e un pizzico divertita, come se gli avesse giocato un brutto tiro e loro ci fossero cascati in pieno – Se volevate venire a dormire con me, non vi è passato per l'anticamera del cervello che bastava... chiedermelo? Vi assicuro che non mangio bambini!” gli disse, sbuffando.

“Maestro, significa che...”

Camus sorrise tra sé e sé, meravigliandosi ancora una volta della loro ingenuità. Del resto, non avevano che appena undici anni, ma sarebbero dovuti crescere in fretta.

“Potete venire, sì... entrambi, senza arruffarvi come due cuccioli di lupo, però!” li avvisò, finalmente disteso. Le nebbie del passato erano svanite, vinte dalla vivacità dei due bambini, Camus fu grato di dover badare a loro, ciò gli permetteva di allontanare i brutti pensieri per dedicarsi totalmente alla loro crescita. Invece si sentì un po' meno grato quando i due, ululando un “sìììììì” all'ennesima potenza, si dirottarono a tutta birra nel suo letto, finendo per schiacciargli lo stomaco e far perdere l'uso di entrambe le braccia, visto che si arpionarono alle sue estremità, rispettivamente Hyoga sul lato destro e Isaac su quello sinistro.

“Piano!” li rimproverò bonariamente, tentando di mettersi comodo alla ben meglio. I due allievi avevano decretato che, quella notte, le braccia con le quali Camus faceva magie degne del più alto mago esistente sulla Terra, non appartenevano più a lui, bensì a loro, contenti ed estasiati di potersi crogiolare così vicini al loro maestro.

Non era così male, però! Camus si ritrovò a sorridere tra sé e sé, protetto e rassicurato dalla consapevolezza di avere il buio intorno e quindi di non essere visto. Il Cavaliere non era di certo un portento a manifestare le emozioni; il contatto fisico, molto spesso, lo destabilizzava, mettendolo a disagio: era molto difficile per lui muoversi in prima persona per manifestare il proprio affetto a qualcuno, ma avvertire l'affetto degli altri tramite il contatto non gli dispiaceva affatto se questo gesto fosse provenuto dalle persone che considerava sacre per la sua vita. Socchiuse gli occhi rilassato mentre, con un lieve accenno delle dita, il massimo che riusciva a fare in una simile circostanza, sfiorava le guance dei due pargoli.

“Maestro, avete presente come brilla la neve ai raggi lunari? Sembra una distesa di lucciole, anziché cristalli congelati! Perché... perché è così bella e pericolosa? Cioè, so perché, me lo avete insegnato voi, ma ci deve essere un'altra spiegazione, no? E' davvero troppo... bella... mi affascina, e... e...”

Camus sospirò debolmente, non dicendo nulla. Ecco la trottola Isaac partire per la tangenziale come una macchinetta su discorsi di ogni genere. Non c'era verso di fermarlo, lo sapeva, ma non rispose, sperando che l'allievo si fermasse da solo. Speranza vana, perché Isaac, vista l'afasia che contraddistingueva Hyoga e Camus, non demordeva per niente, buttando fuori parole su parole e frasi su frasi. Era sempre così entusiasta di ogni più piccola cosa, dagli allenamenti, ai discorsi del Maestro, persino delle loro espressioni, che aveva imparato a comprendere. Sempre.

E infatti continuò, come un treno sui binari diretto per la sua via.

“Ripensavo anche al discorso dell'aurora, sapete, Maestro?! Qui in Siberia sembra tutto così vivo e reale, ben più che da altre parti. Forse è perché il confine con la morte, qui, è sottilissimo, o forse è perché voi ci allenate giorno e notte insegnandoci un sacco di cose, ma... sono davvero felice di essere qui!”

“Isaac...”

Primo tentativo. Vano. Non lo stava neanche considerando, del tutto assorto alle sue cogitazioni.

“E poi la Polvere di Diamanti, Maestro... non è solo il nome del colpo alla base delle energie fredde, ma è proprio un fenomeno, vero? Un fenomeno tipico di qui!”

“ISAAC...”

Secondo tentativo in una nota un po' più alta della voce. Altrettanto vano.

“Certo che essere qui, al caldo, nel mezzo di una distesa ghiacciata fa uno strano effetto, vero? Mi fa sentire protetto da ogni male, ma al tempo stesso mi preoccupa un po'. E' davvero piacevole, però, come le vostre buonissime zuppe, Maestro, quelle sì che riscaldano alquanto dopo una giornata di allenamento!”

“Isaac, frena la tua lingua, altrimenti domani non avrai fiato per l'addestramento!” lo avvisò Camus, lievissimamente alterato, socchiudendo gli occhi nella speranza di recuperare il sonno. Pensava di averlo acquietato, invece...

“Ma no, Maestro, non preoccupatevi! Qualche ora di riposo e domani sarò completamente...”

“Isaac, il Maestro Camus ti sta gentilmente dicendo di stare zitto e dormire, non l'hai compreso?” intervenne beffardo Hyoga, desideroso di prendersi la sua rivincita.

“Tu zitto, Hyoga! - esclamò offeso il bambino dagli occhi verdi, sferrando un calcio in direzione del compagno – Altrimenti ti becchi un altro calcio volante domani mattina!” continuò, sicuro di sè.

Per poco. Perché un attimo dopo si accorse che non era il corpicino di Hyoga ad essersi paurosamente irrigidito. Capì in un istante, pietrificandosi sul posto mentre l'altro, il biondo, soffocava le risate tra sé e sé. Ecco, l'indomani si sarebbe preso una bela punizione, il suo destino era segnato.

“Peccato... che lo stinco che hai colpito non sia quello di Hyoga!” sentì la voce del maestro, paurosamente distorta in un accento divertito, pericolosissimo.

L'alternativa, fingersi morto e tacere, non era così male. Isaac decise di percorrere quella via, con la stessa arguzia con cui il topo tentava di passare inosservato dal gatto. Passarono diversi minuti e la situazione sembrò calmarsi, permettendo al piccolo di prendere un grosso respiro per lo scampato pericolo.

“Comunque prima o poi me lo direte, Maestro, il segreto della neve che brilla!”

“Non c'è proprio verso di fermare il fluire delle tue parole, vero, Isaac? Sembri una mitraglietta da quanto parli!” scherzò Camus, felicemente disteso nello spirito, ritrovandosi quasi meccanicamente ad accarezzare i capelli e la fronte di Isaac con gesto ben più aperto e deciso rispetto a prima. Gesto raro per lui, ma chissà, forse le nebbie del sonno indebolivano la sua corazza, permettendogli di sentire forte e chiaro l'affetto che provava per quel ragazzino dalla parlantina sciolta, la voce spigliata e il temperamento irriverente. Isaac si crogiolò in quella dimostrazione di affetto, voltandosi verso Camus e permettendosi di cingergli il fianco, euforico.

“Suppongo di no, Maestro!” sorrise, addormentandosi subito dopo con le braccia ancora aggrappate al grembo del suo sacro mentore.

 

 

* * *

 

Siberia dell'Est, inizio novembre 2006

 

 

Lo scorrere del tempo in Siberia era bizzarro. Talune volte sembrava cristallizzato, sempre uguale a sé stesso, che fosse aprile, o giugno, o ottobre, altre volte era velocissimo, quasi l'attimo di un respiro. Era l'inizio di novembre, il tracollo delle ore di luce era ormai imminente, presto non ci sarebbe stata che la lunga notte artica, l'ennesima. Ormai ne erano avvezzi.

Incespicando velocemente nei piedi, quasi pattinando sul ghiaccio, i due bambini correvano veloci nel bianco della tundra, aumentando il passo nel constatare che il sole stava già rapidamente declinando e avevano l'ordine tassativo di tornare prima del tramonto. Non c'erano altro che loro, di ritorno dal mercato di Pevek che si teneva una volta a settimana, il sabato. Non c'erano altro che loro, l'immensa distesa bianca e la silente tundra.

“Sbrigati, Hyoga! Siamo nel pieno dell'addestramento, non possiamo deludere il Maestro Camus!” lo incitò Isaac, avanti a lui, sorridendogli raggiante.

Il biondo gli arrancava dietro, assai meno vivace dell'altro bambino ma ugualmente desideroso di far vedere il suo valore e... allenarsi per inseguire il suo sogno. Era sempre così, tra loro due, malgrado tutti gli sforzi del piccolo russo, Isaac era sempre un passo avanti a lui, sempre un po' più vicino al maestro. Hyoga non poteva non ammirarlo e desiderare di raggiungere, un giorno, il suo livello, il suo posto.

“Arrivo, Isaac!!! Solo... ricordami perché non abbiamo portato gli Husky con noi, perché davvero tutte queste vettovaglie ci rallentano non poco!” soffiò nel vento gelido, anche se, in fondo, sapeva già la risposta.

“Il Maestro ci ha dato l'ordine tassativo di prendere le provviste da Pevek e tornare entro il tramonto. E' una prova, capisci? E noi ne saremo all'altezza!” urlò raggiante Isaac, aumentando l'andatura.

Hyoga cercava di stargli dietro alla ben meglio. Anche lui non voleva deludere Camus ma non riusciva a provare l'enfasi del compagno nell'asservire la richiesta del maestro. Ogni cosa che usciva dalla bocca di Camus, Isaac la prendeva, la cullava e la crogiolava in sé, identificandosi poi totalmente con essa. Era il suo mito, l'esempio da seguire, il padre premuroso e severo allo stesso tempo, insomma un crocevia di ruoli e affetti vari. Hyoga non lo capiva pienamente, non ancora. Certo, si era affezionato molto a lui e ad Isaac, che considerava un po' come la sua nuova famiglia, ma c'era qualcosa, negli occhi del maestro, che gli incuteva referenza e timore; qualcosa che non gli permetteva di attingere alla sua vera natura. Isaac era un passo avanti a lui anche in quel settore. Sebbene Camus li trattasse in ugual maniera, assolutamente da pari, c'era sempre quel qualcosa di non detto che lasciava il piccolo Hyoga indietro. Del resto, lui era arrivato dopo, era stato accolto dopo dalle braccia da madre e matrigna della Siberia, era entrato dopo nell'intimità, già creatasi, di Camus e Isaac. Sapeva di appartenere a loro, ma, in qualche maniera, era come se sapesse anche di non appartenervi. I suoi occhietti si rattristarono un poco nel costatare, un'altra volta, quel fatto, eppure non demordeva, testardo: anche lui aveva un suo obiettivo per diventare Cavaliere del Cigno, l'avrebbe perseguito fino allo sfinimento.

Una manata nei lunghi ciuffi biondi lo riscosse, permettendogli di scorgere nitidamente lo sguardo di Isaac che, giocosamente, aveva voluto tirare su il morale all'amico e compagno.

“Via i tristi pensieri! Siamo qui, tu ed io, Camus è con noi, non dobbiamo avere più paura di nulla, solo... di concentrarci sul presente e sul nostro sogno di diventare Cavalieri di Atena!” disse, tutto di un fiato, con gli occhi pieni di luce.

Concentrarsi sul presente... Hyoga assaporò quella frase così come si assaggia un ingrediente nuovo nel cucinare un piatto. Già, bisognava pensare al presente e ai propri obiettivi, esattamente come Camus gli aveva insegnato. Erano così simili, lui e Isaac, come padre e figlio; ogni tanto, suo malgrado, si sentiva come un fratellastro acquisito, entrato per sbaglio, seppur accolto con gentilezza e cura.

Arrivarono all'isba in sincronia con il crepuscolo. Senza esitare un minuto in più -che persino i secondi erano considerati ritardi- varcarono la soglia della casetta, facendo accomodare le provviste vicino al muro e togliendosi in tutta fretta la giacca. Camus li aspettava in cucina, comodamente seduto sulla sedia a sorseggiare un tè. Aveva gli occhi socchiusi e non disse niente, dando così il tempo ai due giovani allievi di riprendersi dall'infinita corsa. Isaac era in fibrillazione. Taceva, ma aveva voglia di parlare, di chiedere se la prova era stata superata. Non importava la stanchezza, neanche il riprendere il fiato, ma solo il giudizio del maestro, se la prova era stata superata e, possibilmente, con il massimo dei voti. Hyoga lo scorse, mentre stringeva i pugni nel tentativo di alleviare la tensione, e si sentì anche lui i nervi a fior di pelle.

Alla fine gli occhi di Camus si aprirono, un leggero sorriso gli si dipinse sulle labbra eleganti.

“Siete stati bravi, tutti e due! Per stasera potete riposare, soldati!” li prese un poco in giro, accorgendosi delle posture ritte dei due allievi. Isaac quasi si accasciò come un budino all'udire quelle parole, neanche fosse stato davvero un soldato, Hyoga lo trovò divertente, ma non si permise di ridere, ancora così intento a scrutare Camus che, in quel momento, si era alzato per riporre la tazza nel lavabo. Si percepiva qualcosa nell'aria, ma meglio non affrettare i tempi più del dovuto, lo avrebbe di sicuro fatto il maestro. Così fece, dopo aver lavato gli oggetti usati e averli riposti in ordine.

“Isaac, Hyoga... - li chiamò infatti, in tono apparentemente tranquillo – Vi devo dire una cosa, venite qui, per favore!”

I due allievi non esitarono un attimo, accomodandosi sulle sedie e fissandolo intensamente negli occhi, in attesa. Quel qualcosa nell'aria stava per essere scoperto, era solo questione di attimi.

Camus si schiarì la voce e tornò a sedersi, preparandosi ad affrontare la situazione con tutta la calma necessaria.

“Stamane ho ricevuto una lettera dalla Grecia, datata una settimana fa. Come sapete anche voi, le comunicazioni tendono ad arrivare dopo in questo luogo... – iniziò, fissando la sua espressione prima negli occhi verdi di Isaac e poi in quelli ghiaccio di Hyoga - Mi chiedono di recarmi al Santuario il prima possibile per adempiere ad alcune questioni burocratiche e a varie assemblee che si terranno questo mese”

“I-Il Santuario di Grecia, Maestro?!” ripeté Hyoga, allibito. Non c'era mai stato in quel posto, ma se persino uno come Camus ne parlava con riverenza e doveva attenersi alle loro direttive, chissà che posto magico e fuori dagli schemi doveva essere.

“E'... è per la crisi che c'è?” chiese invece Isaac, lesto, capendo al volto.

Suo malgrado, i muscoli di Camus si irrigidirono a quella frase sbarazzina, degna dell'arguzia del piccolo. Tuttavia li voleva tenere fuori entrambi da quel mondo, per cui si affrettò a ricomporsi.

“No, Isaac... sono delle semplici incombenze non gravi, ma mi terranno lontano da voi per un po', più di quanto vi abbia lasciato soli fino ad ora...”

“Ma... Maestro! - insistette Isaac, certo delle sue convinzioni – Quando ricevete lettere dal Mondo Segreto la vostra espressione cambia, impercettibilmente, è vero, ma succede!”

Stavolta anche Hyoga decise di dargli corda, essendosi accorto anche lui di quel particolare affatto trascurabile, visto che portava lo stesso Camus a crucciarsi con pensieri troppo complicati e segreti per i due bambini.

“Isaac ha ragione, Maestro! E' come se... se non lo voleste fare, come se aveste dei dubbi sull'operato di qualcuno ma che comunque vi atteniate per qualche giuramento fatto in precedenza!”

L'espressione di Camus rimase imperturbabile, ma il suo discostare lo sguardo in un'altra direzione, come per nascondere le sue emozioni e pensieri, non passò inosservato. Malgrado questo, quando tornò a parlare, non vi era più nulla in lui di quell'apparente incertezza che lo aveva invaso per pochi secondi.

“Voi non dovete preoccuparvi di nulla di quello che succede nel Mondo Segreto. Ne siete fuori, il Santuario è lontano, ed io continuerò a mantenervi a debita distanza da loro finché non sarete pronti e sufficientemente forti!”

“Oh...” sospirarono all'unisono i due bambini, un poco abbattuti dal non essere riusciti a far incanalare il discorso e quindi di non essere un sostegno per il proprio maestro.

In quell'ultimo anno Camus era spesso impensierito da ciò che accadeva nel Mondo Segreto, nondimeno si premuniva di non darlo a veder ai due allievi, non dando loro motivi di preoccupazione. Ma era lampante che qualcosa angustiava Camus, forse le voci, o un presagio, o chissà cosa d'altro. Rimaneva il fatto che sapevano davvero poco, al di là di qualche voce furtiva che gli abitanti di Kobotec avevano udito dallo stesso Maestro dei Ghiacci.

“Non preoccupatevi, davvero! Il Santuario è lontano, abbiate solo il vostro obiettivo in mente e perseguitelo. Le faccende dei 'grandi' lasciatele a noi!” li provò a rincuorare, vedendoli così abbattuti.

Isaac tornò a guardarlo con occhi brillanti e un pizzico di tristezza. Non era mai bello quando Camus se ne andava, ancora di più se, come aveva presagito, sarebbe stato via per diversi giorni, forse settimane.

“Quindi... quando ve ne andrete e quanto starete?” chiese, con educazione, tentando di nascondere il suo tono deluso.

“Partirò domani, all'alba. Non so ancora quando tornerò, se dovrò stare là una settimana, dieci giorni, o di più... ma farò in modo di arrivare prima del presentarsi della lunga notte artica, è una promessa! - asserì, sorridendo intenerito, poco prima di permettersi di passare le mani tra i capelli di entrambi i giovani allievi – Non siete ancora pronti ad affrontarla da soli, presto lo sarete, ma siete ancora piccoli ed io non intendo affrettare il vostro percorso, per cui... non abbiate nessun timore: farò ritorno prima di quella data!”

Hyoga e Isaac si scambiarono un'ultima occhiata tra loro, sospirando impercettibilmente, poi tornarono a guardare il loro maestro con un misto di ammirazione e affetto infinito.

“Va bene, Maestro Camus!” trillarono all'unisono, recuperando la consueta vivacità.

Camus annuì con convinzione, aprendosi in un sorriso sincero, rasserenato dal loro modo di reagire alla notizia. Aveva provato timore al pensiero di doverli lasciare per così tanti giorni, ma erano entrambi forti e determinati, era fiero di loro due, per cui si sentì di distendere finalmente i muscoli, il pensiero dell'imminente partenza un po' più leggero sul cuore. Si permise di osservarli con discrezione, mentre Isaac e Hyoga abbandonavano momentaneamente il ruolo da futuri Cavalieri di Atena per riprendere il proprio di bambini di appena undici anni desiderosi di giocare. Così infatti fecero, dirottandosi in soggiorno per andare a recuperare dei giochini di legno che Camus stesso aveva trovato -e comprato- per loro direttamente in Grecia.

Due futuri difensori della giustizia, un'unica armatura del Cigno e i loro giovani cuori che ancora erano ricolmi dello spirito di due fanciulli, anche se più maturi. Si sarebbe arrivati al punto di dover fare una scelta, Camus lo sapeva, ma non ci pensava, o meglio... tentava di non pensarci. Non voleva immaginarsi quel momento, né nella sua mente né nella realtà, perché imprimerlo nella testa significava arrendersi all'idea che solo uno dei due ce l'avrebbe fatta, perché in effetti la vestigia era una; una soltanto. Chi... dei due? E soprattutto... quale il destino dell'altro? Il Santuario era molto severo nei confronti degli sconfitti e dei secondi, l'Acquario lo sapeva bene e, anche se rifiutava con tutto sé stesso quell'enorme ingiustizia travestita da legge, non si dava pace.

Di nuovo il cuore gli si era fatto pesante e gonfio, di nuovo quella sensazione inalienabile di perdita e dolore... ingiustificabile! Al culmine dell'apprensione, con il male al petto, udì uno schianto nell'altra stanza, seguito da una esclamazione e da una grossa risata.

Camus ebbe giusto il tempo di alzarsi e di avviarsi verso la porta del soggiorno, che il faccino di Isaac fece capolino. Il ragazzino teneva gli occhi serrati in una sguaiata risata e le mani sulla pancia, come a trattenere l'aria da buttare fuori. Sembrava divertito all'ennesima potenza.

“Cosa... cosa è successo di là?” chiese il maestro, scorgendo la figura di Hyoga, stesa per terra, a massaggiarsi la fronte. La luce fioca gli impediva di capire, per quello ci pensò Isaac.

“Maestro, Hyoga ha sbattuto il testone contro la scatola dei giochi, li ha ribaltati tutti e... e... venite a vedere che bernoccolo, ahahahaha, qui altro che Polvere di Diamanti ci vuole per farglielo passare!” tentò di chiarire la situazione l'allievo dagli occhi verdi, non smettendo di sghignazzare. Ormai era piegato in due.

“Già... proprio due futuri Cavalieri di Atena!” commentò Camus, massaggiandosi teatralmente la fronte poco prima di sorridere con naturalezza e dirigersi ad aiutare l'allievo imbernoccolato.

Già, avevano ancora tempo... tempo... non erano che due infanti, a tempo debito le decisioni funeste!

 

* * *

 

Era il sopraggiungere dell'alba e le nebbie della notte lasciavano spazio alla pallida luce del sole. Non era prestissimo, complice l'accorciarsi dell'irradiamento solare di giorno in giorno, ma non aveva fretta di raggiungere il tempio in mattinata, visto che l'assemblea sarebbe stata di primo pomeriggio. Vi era quindi tempo per alcune faccende personali e, forse, per rivedere Milo prima della riunione. Prese un profondo respiro, incanalando l'aria che, con l'espirazione, usciva dalle labbra sotto forma di nuvoletta che scompariva immediatamente nell'immenso bianco della Siberia.

La preoccupazione di lasciare i due allievi da soli non era scemata, ma era sotto controllo, non traspariva fuori, come invece aveva fatto la sera precedente per un unico, breve, istante. Fortunatamente non si era fatto vedere dagli allievi, non avrebbe tollerato quel secondo di incertezza che, con ogni probabilità, li avrebbe resi tesi più di quanto già non fossero. Non vi erano che poco più di sei ore di luce a Pevek, in quella stagione; ore di luce che sarebbero collassate, languendo, ogni giorno di più. I bambini non erano certo pronti ad affrontarle da soli, per non parlare del sinistro presagio che accompagnava Camus, maestro indiscusso dei ghiacci, ogni giorno di più.

Non poteva più esitare comunque, pertanto, abbottonandosi meccanicamente la giacca che -era sicuro- in Grecia gli sarebbe stata solo di impiccio, accennò un passo, poco prima di arrestarsi nel percepire il solito, niveo, cosmo pulsare con enfasi dietro di lui. Era una sorta di rito, Camus lo sapeva, si ritrovò a sorridere prima di voltarsi in direzione della cucina e fare un cenno in direzione della finestra, consapevole che due occhietti verdi e curiosi lo stavano fissando da quando era uscito. Poco dopo la porta si aprì e venne chiusa subito dopo con gesto gentile, mentre il piccolo Isaac zampettava timidamente nella sua direzione, un poco imbarazzato dall'essere stato scoperto.

Si avvicinò fino alla distanza di tre palmi, un poco corrucciato e incapace di proferir parola. Camus lo guardava con affetto e un velato sorriso, accorgendosi, ancora una volta, di quanto il suo fisico, in quei quattro anni di allenamento, era cambiato, slanciandosi in altezza ma apparendo, in fondo, sempre come un bambino di una decina di anni.

“Se vuoi venirmi a salutare, non c'è bisogno di nasconderti. Lo fai sempre, ogni volta che parto. Stai lì in cucina a guardarmi sparire alla velocità della luce, rimanendo nascosto nella penombra” gli disse placido Camus, gli occhi brillanti.

Isaac si sentì colto in fragranza e temette di avergli dato noia, giacché, anche a distanza di quattro anni,ogni tanto, era difficile percepire i sentimenti di Camus dietro il suo sguardo fiero e immenso, anche se si era avvezzato al suo temperamento. Talvolta riusciva a comprenderlo come se stesse facendo un soliloquio con sé stesso, ne era compiaciuto. Altre volte no, per niente, e si demoralizzava.

“Oh... e così sapevate... avete sempre saputo!” biascicò, vergognoso, trovando interessante la leggera crepa nel terreno che si intravedeva sotto il tallone del maestro.

“Ti ho sempre percepito, sì... avverto il tuo cosmo, non sei ancora bravo a celarlo, talvolta sento anche il tuo sguardo su di me! - gli spiegò Camus, rimanendo affabile nell'intuire lo stato del piccolo – Stai in cucina e mi guardi, partecipe, ma non capisco cosa ti impedisca, se già ti svegli solo per questo motivo, di venirmi a salutare!”

Non c'era alcuna rabbia nelle parole di Camus, solo un tono cordiale e caldo, di un tepore che penetrava nel petto, facendo sorridere e rassicurare Isaac.

“Pensavo di darvi noia, Maestro...” confessò alla fine, alzando lo sguardo e spalancando gli occhioni nel vedere le iridi di Camus brillare di una luce penetrante. Non aveva mai visto degli occhi così luminosi, lo abbagliavano e lo affascinavano, donandogli il forte desiderio di seguirlo in capo al mondo. Ma non poteva. Ecco uno dei motivi che lo spingevano a svegliarsi per vederlo partire: per seguirlo, almeno con lo sguardo e un poco con il cosmo, finché gli era concesso dai suoi immaturi poteri.

“Darmi noia?! E perché dovrebbe, Isaac? Mi fa piacere la tua devozione, non immagini quanto!” confidò a sua volta Camus, regalandogli un leggerissimo buffetto sulla guancia.

Quel gesto spinse Isaac a manifestarsi a sua volta nel pieno delle sue intenzioni: si fiondò letteralmente nel grembo di Camus prima di circondarlo con le braccia, in una dimostrazione di affetto aperta e sincera. Come accadeva soventemente, il maestro si irrigidì a quel contatto, sorpreso e meravigliato.

“Se potessi... vi scorterei ovunque, ma non mi è concesso, vi posso solo augurare buon viaggio e di tornare presto!” disse tutto di un fiato, imbarazzato da proferire una simile frase.

Camus stette a guardarlo per un po', prendendosi tempo per metabolizzare il significato di quelle parole. Non ricambiò il gesto, del tutto incapace a manifestare il suo affetto -che pure era molto profondo- per quel ragazzo. Non gli riuscivano bene le dimostrazioni esterne, il massimo che gli consentiva il suo carattere chiuso erano brevi e semplici gesti, che pure gli costavano fatica, come se a dividerlo dal mondo fuori ci fosse una spessa, indistruttibile, coltre di ghiaccio. L'unica cosa che si ritrovò in grado di fare, in quel momento imbarazzante, era appurare che Isaac, a dispetto dell'anno prima, aveva guadagnato qualche centimetro in altezza, arrivandogli e superando pressapoco l'ombelico. Stava crescendo in fretta, troppo in fretta, e ultimamente la velocità sembrava addirittura triplicata... ne ebbe, per qualche ragione inspiegabile, paura.

Infine riuscì a riscuotersi, permettendosi di passargli una mano tra i capelli, gesto che era molto apprezzato dal piccolo, anche se meritava senz'altro di più; più di quanto Camus riusciva a dargli. Se ne dispiacque, ma la barriera tra sé e il mondo gli precludeva ogni più concreto slancio di affetto, isolandolo nel suo nascondiglio freddo e imperituro, laddove pensava che nessuno avrebbe potuto raggiungerlo. In qualche modo aveva bisogno di esercitare il distacco da tutto e tutti, lo faceva sentire meglio, al sicuro... impedendogli così di finire in pezzi, di nuovo! In verità, se ne rendeva sempre più conto man mano che cresceva anche lui, questo pensare di non legarsi emozionalmente a qualcuno, non era che un modo per ingannare il proprio cervello, cosa che invece era successa comunque. Era successa con Milo, con Isaac, persino con il piccolo Hyoga... Camus lo sapeva, sapeva di aver fallito nel progetto di non stringere rapporti profondi, eppure, per un ironico scherzo del destino, il giochino di autoconvincimento proseguiva, inducendo a supporre di essere diventato sufficientemente forte per poter resistere a qualunque cosa. Qualunque. Perché il mondo era spietato e per salvarsi occorreva essere freddi come il ghiaccio, persino nei rapporti.

“Lo so, soldo di cacio, lo so... ed io sarei ben contento di averti con me. Ora però guardami un attimo negli occhi, perché ho bisogno di farti una richiesta, visto che ormai sei un ometto. – prese infine parola con fare gentile, mentre gli occhioni verdi di Isaac si incrociarono nuovamente con i suoi. Era del tutto preso dalla richiesta del maestro, Camus trattenne un attimo il respiro, prima di continuare – Isaac, puoi... puoi, per favore, dare un'occhiata in più a Hyoga? E' vero, ti ho sempre chiesto di proseguire tu i miei insegnamenti in mia assenza, non è certo una novità, ma questa volta ti chiedo ancora più riguardo nei suoi confronti, intesi?”

“Per... perché, Maestro?”

Stavolta Isaac percepì chiaramente l'ombra scura negli occhi del suo adorato mentore, qualcosa di celato e di cui lui era ancora all'oscuro, se ne avvertiva la gravità. La preoccupazione nel cuore di Camus era la sua stessa, in una sorta di compartecipazione verso il timore per le sorti del bambino biondo dagli occhi azzurri che, talvolta, sembrava con la mente da tutt'altra parte.

“E' una questione che Hyoga mi ha raccontato fin dai primi giorni del nostro incontro... prima o poi lo dirà anche a te, quando si sentirà, ma non è tanto questo il problema quanto il suo approccio a questo fatto a spaventarmi... – tentò di spiegare, serio – Io... non so, ogni tanto ho il terrore, nonché sensazione, di vedermelo sparire tra le correnti freddissime del Mar della Siberia Orientale...” concluse, cupo, discostando lo sguardo.

Isaac ingoiò a vuoto. Un presagio, ecco cos'era. E purtroppo si accorse di provare lo stesso per il compagno d'armi nonché amico, malgrado non sapesse bene di cosa si trattasse. Si ritrovò a fremere, condividendo le ansie del maestro: anche a lui pareva che Hyoga, ogni tanto, non fosse mentalmente tra loro, questo rendeva ancora più tangibile l'immagine di lui inghiottito dalla banchisa della Siberia, mentre tentacoli freddi, di bestia marina, lo trascinavano giù giù, in fondo al nero del mare.

“Farò quanto in mio potere per controllarlo, Maestro, non avete di che temere. Amo questo luogo, la nostra isba e la nostra famiglia, non permetterò a nessuno di strapparcela via, lo prometto!” asserì solennemente, tutto di un fiato.

Famiglia... quella parola non era uscita a caso dalle labbra del piccolo, Camus lo sapeva bene. Dunque era così che lui li vedeva. Una sensazione di pace e tepore lo avvolse a seguito di quella frase e, come per magia, la preoccupazione scomparve nel sapere di aver affidato tutto al piccolo, forte, e temerario Isaac. Una famiglia... detto da un ragazzino che aveva perso la sua, massacrata da dei vili assassini, era forse miglior complimento che Camus potesse udire, pertanto alleggerì ancora di più la sua espressione, accucciandosi in modo da avere gli occhi del piccolo paralleli ai suoi.

“So che lo farai, sei un bravo bambino! Vado ad Atene più leggero nell'animo e senza più il peso che avvertivo prima. Grazie, Isaac!”

Isaac annuì vivace, crogiolandosi nelle delicate mani di Camus che gli arruffavano i capelli in testa. Un vero idillio! Lo vide alzarsi in piedi e dargli le spalle, preparandosi a fare il salto nella luce, tuttavia esitò ancora un attimo, indeciso se aggiungere altro o fermarsi prima di esporsi troppo. Vinse la prima opzione.

“Isaac... avvicinati ancora un attimo!”

Il piccolo trotterellò lesto al suo fianco, continuando a guardarlo in trepidante attesa. Ancora una volta fu Camus a chinare il busto nella sua direzione per accorciare le distanze. Aspettò ancora qualche secondo, poco prima di tracciare silente, con il pollice destro, un segno sulla fronte e sul petto del bambino attonito. Isaac avvertì il dito del maestro abbozzare, sulla propria pelle, un motivo ondulato successivamente ricalcato da una linea retta immaginaria più incisiva e repentina. Lo stesso si vide fare sul petto, laddove la vista gli permetteva di scorgere più dettagliatamente quello strambo rituale. Quando Camus ebbe finito gli sorrise ancora una volta, gli occhi brillanti e l'espressione serena e sempre, sempre, fiera.

“Isaac... conoscerti è stata una delle cose migliori che mi potesse capitare!” gli sussurrò a bassissima voce, quasi fosse un segreto che il vento stesso non poteva permettersi udire; un segreto che sarebbe rimasto tra loro. Immediatamente dopo scomparve, lasciando il piccolo solo nella tundra, a sorridere al nulla. Aveva compreso il messaggio, anche quello tacito, soprattutto quello.

“Maestro, io... ve lo prometto: non permetterò a Hyoga di perdere la vita, mi dovesse costare la mia!” affermò solenne, a voce alta, permettendo invece al suo messaggio di smarrirsi nel vento glaciale della Siberia, come voto sincero.

Poco dopo fece dietro-front e tornò all'isba, il cuore a mille e la mano sul petto, ansante.

Ciò che Camus non riusciva a dire a parole glielo aveva trasmesso a gesti, ne era più che sicuro. E il messaggio era stato recepito, preso, e poi covato dentro di sé.

 

Un motivo ad onda inframezzato da una linea retta in mezzo... nello Sciamanesimo significa, letteralmente, sei nella mia mente e nel mio cuore, in altre parole: “Ti voglio bene e sei parte di me, lo sarai sempre...”

 

 

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Ecco, come promesso, il capitolo speciale su Camus e gli allievi, in particolar modo sul rapporto che il Cavaliere ha con il piccolo Isaac nell'immaginario della mia storia. Anche qui due spiegazioni per le mie scelte. Allora, intanto tutto il capitolo è ambientato, come avrete intuito, tre anni prima della Battaglia delle 12 Case e due anni prima rispetto alla “morte” di Isaac. Non so se ricorderete, nel manga, i flashback tra Hyoga e Isaac, ebbene ho preso spunto da uno di quelli, in particolare quando i due bambini sono sul piccolo ghiacciato e si dicono preoccupati perché il Maestro è spesso impensierito a causa del Grande Tempio, da lì ho ripreso la scena, ambientata anch'essa tre anni prima della serie originale. Cambiano le date ma il tempo è simultaneo! :)

Poi... perché punto su Camus e Isaac? Nella mia serie principale, il primo allievo di Camus viene nominato raramente, quando l'Acquario lo fa ,spesso si blocca, tranne quando, tra l'epilogo della seconda storia e il prologo della terza (che trovate entrambe su efp se per caso vi fossero sfuggite), riesce infine a parlarne con la sorella Marta. Il rapporto che ho descritto tra i due è come lo vedo io anche nella serie classica: Isaac era la punta di diamante di Camus, colui che sarebbe dovuto diventare Cavaliere del Cigno, colui che più aveva assimilato gli insegnamenti del maestro. Camus nutre un affetto sincero e profondo per lui, persino più che nei confronti di Hyoga, che pure ama e tende a proteggere, anche in modo esagerato, come si è visto nella serie classica; lo stesso vale per il piccolo Isaac, per lui è un esempio da seguire, un ideale e, non in ultimo, un padre. Ovviamente è una visione personale, ma l'ho sempre pensata così e non riesco a togliermelo dalla testa che fosse DAVVERO così. Quando cambia la situazione? Quando il rapporto tra Hyoga e Camus diventa intenso e speciale come visto nella serie originale? Ebbene, dopo l'incidente di Isaac e, ancora di più, dopo la famigerata scalata che vedrà Camus riconoscere pienamente a Hyoga il titolo di suo successore! Non preoccupatevi quindi, il Cigno avrà il suo momento di gloria, da “brutto anatroccolo” insicuro, riuscirà a raggiungere quel posto onorevole nel cuore di Camus che tutti conosciamo, ma... ci sarà tempo per descrivere bene anche questo fatto, sia qui, che nella terza storia che attualmente è in fase di imbastitura! ;)

Scriverò senz'altro ancora di Isaac e di Camus, in un modo o nell'altro, e approfondirò anche senz'altro il vissuto di Hyoga, come lui abbia vissuto la concezione di essere secondo e altre cosucce che ho in mente. Per il momento, spero che possiate gradire anche questo capitolo che ci distoglie un po' dal focus di Sonia e Milo per approdare nella tenerissima “famiglia siberiana”. Alla prossima! :)

 

  
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