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Autore: Sanae77    23/05/2019    6 recensioni
Li abbiamo lasciati con un segreto da custorire e un patto da rispettare.
Saranno in grado di reggere tutto il castello di carte che hanno costruito?
Il tempo passa, i figli crescono e le voci di corridoio si fanno sempre più insistenti.
I ficcanaso sempre più agguerriti.
Tra divorzi, coming out e scoop vedremo come in questi otto anni la Golden Combi vivrà il loro amore nascosto.
Come potranno i nostri campioni arrivare ai mondiali del Quatar nel 2022 e nel Nord America del 2026 senza farsi scoprire?
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(questa storia non può essere letta se prima non è stata letta Russia 2018)
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Daichi Ozora, Genzo Wakabayashi/Benji, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La Clessidra dei Mondiali'
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GIUGNO 2022
 


Seduto sull’aereo Tsubasa sbuffò mentre ripiegava infastidito il giornale, sapeva di quell’articolo, ma non riusciva a digerirlo, per tanti motivi. Primo fra tutti perché era stato uno degli episodi che gli aveva fatto accettare il suo amore per Taro e il secondo perché Daibu, dopo averlo letto, gli aveva fatto una domanda davvero imbarazzante.

Papà, perché quando Taro si era fatto male alla gamba tu ti sei allenato talmente tanto da ferirti?
Avevate una partita importante, perché non hai pensato prima alla vittoria, ma hai pensato solo a Taro?
Perché hai rischiato di non giocare? Perché Taro ti preoccupava così tanto?


Beh, le domande erano state più di una in realtà. E non aveva saputo rispondere a tutte, aveva vaneggiato un: dovevo essere molto più allenato perché pensavo di non avere la mia metà in campo.
Ma non era risultato credibile neppure a sé stesso. Infatti Hayate, che se n’era stato zitto fino a quel momento, rigirando la tazza tra le mani, aveva alzato lo sguardo e, fissando il padre negli occhi, aveva sputato quelle parole così innocenti che lo avevano incastrato all’angolo.

Papà, quanto bene vuoi a Misaki?

Forse era arrossito?
Evaporato?
Sbiancato?

Non se lo ricordava, però una cosa era certa: il cuore gli era rimbalzato direttamente in gola facendolo strozzare con la sua stessa saliva. I suoi gemelli erano grandicelli oramai, 12 anni, scaltri, svegli e al passo con la tecnologia; molto più di lui. Quindi, nel suo film mentale, aveva già immaginato che i due avessero letto chissà quali commenti su Facebook e che sapessero molto più di quanto immaginasse. Era stato quasi colto dalla voglia di confessare, infatti si era raddrizzato sulla sedia e, dopo essersi schiarito la voce, aveva fissato il ragazzino negli occhi e risposto: Molto!
Aveva visto i due scambiarsi un sorriso d’intesa e, dopo aver sollevato un sopracciglio, gli occhi si erano mossi in un segno di assenso. Aveva sempre invidiato questa sintonia tra i due gemelli, tanto da essere certo che quei due fossero telepatici e non glielo avevano mai detto; era impossibile che potessero intendersi così senza uno scambio verbale.
 
“Non pensarci più…” la voce del numero undici al suo fianco lo riportò alla realtà.
“Se non fosse squillato il telefono… Avevo avuto l’occasione giusta, era tutto perfetto, capisci?”
“Capisco. Davvero credi che avessero intuito?”

Il capitano afferrò il giornale e lo aprì alla pagina incriminata.
Tutto quello che aveva raccontato al giornalista era lì, nero su bianco, ed era stato bravo a far trasparire una miriade di sentimenti e sfumature da quel racconto così breve ma significativo.
E dove avesse ritrovato quella foto mezza sfumata delle telecamere di sicurezza dell’epoca doveva ancora capirlo, ma vedersi dolorante sdraiato in mezzo ai cavalletti, con i quali si era allenato, lo aveva sconvolto. Non si era mai reso conto di quanto si fosse autodistrutto in quell’allenamento per la notizia di Misaki. Vedersi nella foto era stato tragico, ricordava la fatica, la disperazione per non poter giocare con il suo migliore amico, e il dolore. Sì, dolore, tanto dolore a quel fianco che aveva massacrato inconsapevolmente.
O forse inconsciamente voleva soffrire come stava soffrendo la sua metà? Quanti sogni e quanti pensieri aveva fatto su quella notte trascorsa ad allenarsi. E ora veder scritto tutto su carta dava una sensazione di tangibilità all’evento mentre la foto regalava concretezza di sensazioni oramai sepolte.
Yoshinori era stato bravo, aveva collegato tutto. L’incidente, il ricovero, la comunicazione della notizia alla nazionale, la disperazione del suo capitano e il rientro di Misaki per la finale con la relativa vittoria, tra bende e sangue di una ferita che non si era ancora del tutto rimarginata.
Aveva rischiato la carriera per quella partita. Tsubasa allungò la mano e la posò sulla gamba che l’amante si era infortunato, stringendo leggermente nel punto in cui sapeva avere la cicatrice oramai schiarita dal tempo.

“Quando mi hanno detto del tuo incidente, ho pensato d’impazzire; a quei giorni, però, non avevo capito certi sentimenti.”
Il numero undici sorrise, non aveva risposto alla domanda che gli aveva fatto ma aveva visto come si era smarrito tra le righe e le foto dell’articolo; poi, quando aveva allungato la mano per posarla sulla gamba incidentata, aveva subito intuito che Tsubasa era piombato nuovamente indietro nel tempo.
“Pensa come stavo io, disteso in quel letto, quando mi hanno detto che non potevo più giocare…” rispose bisbigliando e avvicinandosi con la testa al capitano. I sedili della prima classe erano grandi e avvolgenti, nessuno spazio tra le sedute, quindi nessuna fessura per la visuale dei viaggiatori dietro a loro.
Ozora appoggiò la fronte alla sua chiudendo gli occhi: “Scusa se a quei giorni non ho capito, scusa se non sono venuto a trovarti ma…”
“Avevi una squadra da far vincere, e ricorda: non avrei mai voluto che tu lasciassi il tuo ruolo per correre da me. Non te lo avrei mai perdonato.”
Tsubasa sollevò gli angoli della bocca in un sorriso riservato. “Poi dite a me che sono fissato con il pallone, ma anche voi non scherzate, eh…”
“Voi chi?” chiese Misaki scostandosi e guardandolo storto. La conversazione stava assumendo tutt’altra sfumatura rispetto all’inizio, e lo capì dal luccichio divertito che notò nelle sue iridi.
“Wakabayashi e tutta la combriccola: chi prende la palla di faccia rimettendoci il naso, chi para spaccandosi mani e polsi. Insomma, riconosciamolo: a fuori di testa in nazionale siamo messi benissimo, per non parlare di qualcuno – disse ammiccando un occhietto divertito – che gioca tra bende e sangue.”
“Senti chi parla! Quello che per un campionato di bambini a momenti ci rimetteva la carriera…” ridacchiò Taro, dandogli una leggera spallata.
Ozora sorrise e poi tornò serio. “Ho davvero perso un’occasione con i miei figli.”
Misaki snudò leggermente i denti, riservandogli un sorriso carico d’affetto prima di rassicurarlo con una frase tanto scontata quanto vera: “Non temere, avrai altre occasioni, oramai i tempi sono maturi.”
Non aveva risposto, il semplice cenno di assenso aveva sostituito le parole prima di voltarsi verso il finestrino dell’aereo che annunciava la loro discesa a terra.
 
 
Avevano varcato la soglia dell’hotel guardandosi attorno stupiti. La federazione non si era risparmiata, solitamente venivano confinati in alloggi modesti alla fine del mondo, mentre stavolta entrambi avevano osservato le cinque stelle sulla parete dell’ingresso per alcuni secondi prima di oltrepassare la porta.
Ancora increduli, scorsero alcuni dei loro compagni seduti sugli sgabelli al bar, fecero loro un cenno con il braccio in segno di saluto e andarono al bancone della reception per registrarsi nella struttura.
Quando la receptionist consegnò loro le chiavi della camera, aggrottarono le sopracciglia vedendo che i numeri non erano i medesimi.
“Cioè vuoi dire che Gamo ci ha divisi dopo oltre 20 anni?” strabuzzò gli occhi il capitano, rigirando la chiave magnetica tra le dita.
Taro invece fissava perplesso la chiave e poi il volto sconvolto del suo amato.
Improvvisamente vennero afferrati per il collo e strattonati affettuosamente, impegnati com’erano non si erano accorti dell’arrivo di Genzo alle loro spalle. Con poca grazia se li tirò dietro fino ai divanetti della hall più appartati. Tra varie proteste della Golden, Wakabayashi se la rideva di gusto prendendoli in giro con varie frasi: “Scommetto che quest’anno non vinceremo, visto che non praticherete sesso prepartita, giusto?” La presa fu mollata all’improvviso e i due persero quasi l’equilibrio. Una volta recuperata stabilità, Tsubasa divenne prima bianco e poi rosso fino alle orecchie.
“Piantala di fare il cretino!” lo ammonì il numero dieci, sistemandosi il completo ufficiale.
“Tanto non volevate fare coming out? Vi avrebbe diviso dopo: quindi, di che ti lamenti? - rispose spingendolo per una spalla – ti ho risparmiato lo spostamento delle valigie, ingrato!”
Misaki ridacchiava al suo fianco senza perdere nulla di quella scena, mentre dal bancone del bar vide arrivare Yuzo e Mamoru. Stavano guardando la scena con troppo interesse per i suoi gusti. Una volta avvicinati, Taro osservò Izawa snudare leggermente i denti in un sorrisetto sarcastico. Stava per dire sicuramente qualcosa, quando Morisaki lo fulminò con lo sguardo. Ebbe subito la netta e certa conferma che già sapessero della loro relazione, glielo leggeva negli occhi, e sapeva anche chi fosse il colpevole: quel traditore di Genzo!
“Oh, ecco qua il mio quartetto d’innamorati” la buttò lì il SGGK come se fosse la cosa più naturale del mondo, superando ogni vergogna e pudore dei quattro presenti.
“Genzo, per favore, lo sai che non m’imbarazzi più” lo ammonì Yuzo con sguardo scocciato, roteando gli occhi.
“Almeno noi abbiamo le nostre dolci metà e non dobbiamo aspettare di tornare a casa. Insomma trenta giorni… ti toccherà tornare alle seghe di gruppo come quando avevamo quindici anni.”
Misaki scoppiò a ridere, Izawa non si era mai fatto prendere per il culo dal portiere: era stato il suo capitano, lo temeva, ma con il tempo, da quando Tsubasa aveva messo la fascia al braccio, si era creato un rapporto alla pari che non era più cambiato; l’amicizia, invece, era cresciuta e rafforzata.
“Glielo hai detto?” indagò Ozora, già troppo imbarazzato per certe battute fuori dai suoi schemi.
Il portiere aveva messo le mani avanti a mo’ di protezione e gesticolando aveva risposto.
“Ehi, sia chiaro, mantengo sempre un segreto, ma quando vi ho visti a casa e mi è scappata la battuta sui Morizawa…”
“Moriche?!” aveva chiesto Yuzo.
“Oh, sì sì, oramai per identificarvi come coppia ho fatto un mix dei cognomi! Carino eh?”
Yuzo agitò una mano come per scacciare una mosca, non aveva intenzione di indagare ulteriormente… Non erano lì per quello, volevano far sentire il loro sostegno alla Golden Combi e Genzo, come al solito, si era messo in mezzo facendo imbarazzare il capitano. Non che fosse difficile mettere in difficoltà il povero Ozora ma dopo tanti anni doveva oramai conoscere Genzo e le sue prese in giro.
“Ecco dicevo, quando a Barcellona ho trovato Taro in casa di Tsubasa mi è scappato detto di voi due – disse indicando i due malcapitati con l’indice – quindi mi è sembrato corretto avvisarli che lo sapevate, poi si sa… da discorso nasce discorso e…”
“E gli hai detto anche di noi…” puntualizzò Taro guardandolo storto.
“Oh, non fatela lunga tanto oggi volevate confessarlo alla squadra, no?” domandò con sguardo indagatore rivolto alla Golden.
“Francamente la nostra idea era di dirlo a fine mondiale…” spiegò il numero dieci.
“Ma tanto Gamo vi ha rotto le uova nel paniere con il discorso delle camere, quindi…”
“Piantala!” lo rimproverò severo Tsubasa.
“Capitano, dovrai farci l’abitudine: a noi sono anni che ci tartassa, ma in fin dei conti è buono e non morde…” Scherzò Izawa strizzando loro un occhio.
“Anni?” Taro aveva allungato il collo e si era avvicinato di un passo, interessatissimo alla questione, loro non si erano mai resi conto di niente. Voleva capire come fossero riusciti per così tanto tempo a depistare tutti. Certo, pochi mesi prima, al matrimonio del portiere, si erano praticamente sputtanati, ma era stato davvero un caso anomalo.
“Vedete, per noi - Morisaki era intervenuto attirando l’interesse di tutti – è stato più facile, non abbiamo famiglie alle spalle, e non abbiamo figli, è bastato non attirare troppo l’attenzione sulla nostra vita privata e siamo arrivati fin qua incolumi, ma…” s’interruppe guardando Mamoru, in un briciolo di titubanza che scomparì quando fu il compagno a proseguire la frase.
“Abbiamo deciso anche noi di fare coming out con la squadra, ma senza darlo in pasto al pubblico al momento, così da rendere la pillola divisa in due, anzi in quattro a questo punto.”
Il numero dieci li guardò con ammirazione, non solo erano i suoi fedeli compagni sul prato verde ma anche nella vita privata, dove poteva sempre contare sulla loro eterna e fedele amicizia.
La generazione d’oro andava ben oltre il campo da calcio, avevano fatto un buon lavoro a livello sportivo, ma soprattutto umano, si sentì fiero di essere il condottiero di quella squadra.
Allo stesso modo ne invidiò la tranquillità con la quale stavano gestendo l’argomento. La questione era affrontata in modo limpido e naturale.

Sì, li invidiò per questo.
La golden si guardò complice prima di tornare a incrociare le loro iridi e ringraziarli.
“Grazie” mormorò il capitano, stringendo una spalla a Yuzo e inclinando la testa in un cenno affermativo.
 
 

 
“Ozora, Misaki, finalmente siete arrivati!” i quattro si girarono in direzione del Mister che dal corridoio li stava raggiungendo.
“Mister…” dissero all’unisono, inchinandosi in segno di saluto e rispetto.
“Devo parlarvi, ragazzi, seguitemi.”
“Possiamo posare i bagagli nelle nostre camere?” chiese Taro stupito da tanta urgenza.
“Ci penseranno gli addetti al bagaglio, venite.”
La Golden Combi si scambiò uno sguardo preoccupato prima di seguire l’uomo.
Una volta raggiunto una sorta di studiolo, il mister li invitò a sedersi con un gesto della mano, mentre lui aggirava la scrivania per accomodarsi in poltrona.
Neppure finì di sistemarsi che subito iniziò a parlare.
“Bene, vengo subito al nocciolo della questione. Non mi piace che siate in continuazione sul giornale con la vostra vita privata e del passato. Che cosa vi è saltato in mente? Da quando vi siete separati dalle vostre compagne non fate altro che guadagnarvi le prime pagine dei maggiori giornali; cos’è, non avete abbastanza soldi e vi siete dedicati allo scoop?” il tono usato dal mister era un mix tra l’incazzato, il deluso e il preoccupato.
Taro si passò una mano su tutto il volto fino a farla scivolare dietro i capelli, mentre Tsubasa, da buon capitano, raddrizzava la schiena e fissava il mister negli occhi.
“Pensavamo di dover aspettare la fine dei mondiali, ma a questo punto credo che una spiegazione sia doverosa: vero, Taro?” chiese a conferma di ciò che stava per fare, voltando leggermente lo sguardo per inquadrare la figura del suo amante.
E quando ne vide il leggero segno di assenso fatto dalla testa tornò a osservare l’interlocutore.
Aveva sempre avuto rispetto per Gamo, ma di una cosa era certo, la sua vita privata restava privata; non erano più dei ragazzini alle prime armi. Quindi schiarì la voce e, fissando le iridi scure dell’uomo, con tono fermo disse:
“Io e Taro stiamo insieme.”
Gamo, in un primo momento, li guardò a turno sbigottito per poi afflosciarsi sulla poltrona blaterando un: “Katagiri aveva indovinato, per questo non ha voluto mettervi in camera insieme quest’anno.”
“Che assurdità…” borbottò Misaki sbuffando.
L’uomo si sporse in avanti, poggiando le braccia sulla scrivania a sostegno del busto. Poi sollevò un sopracciglio incuriosito.
“Misaki, hai qualcosa da ridire sul divieto del sesso prepartita?”
“Assolutamente no, Mister!” rispose scattando quasi sull’attenti. Contraddire il Mister era un BIG NO stampato a caratteri cubitali dentro il cervello, quindi quando venivano interpellati era sempre nel massimo rispetto del ruolo che ricoprivano.
 
“Da quanto va avanti questa storia?” una voce alla loro destra li fece voltare di scatto: Munemasa Katagiri, con gli immancabili occhiali, uscì dal cono d’ombra della parete alla quale si era appoggiato. I ragazzi non si erano accorti della sua presenza.
Ozora non perse la sicurezza che solitamente sfoggiava anche in campo.
“Va avanti dai mondiali del 2018, dopo il ritiro abbiamo dovuto stravolgere le nostre vite, la situazione era diventata ingestibile.”
L’uomo li raggiunse affiancando Gamo e restando in piedi.
“Tsubasa, io so che siete dei ragazzi con la testa sulle spalle, e di cosa fate della vostra vita privata non ci dovrebbe interessare. Ma c’è un però. Non c’interessa nella misura che non influisca sulle prestazioni calcistiche, e vi stiamo osservando da tempo: siete calati, ragazzi, dovete ritrovare la concentrazione di un tempo. Poi con chi ve la spassate a noi non interessa, basta che non avvenga sotto il ritiro, la regola vale per tutti.”
“Quello non è un problema.”
“Cosa non è un problema, Tsubasa? Il sesso prepartita o il mio ordine?” la domanda era volutamente provocatoria. Katagiri aveva intuito il tutto già da tempo, ma voleva tenerli sulle spine; era rammaricato dal fatto che non avessero chiesto appoggio o aiuto alla federazione, anche se aveva immaginato la difficoltà nel comunicare la notizia.
“Entrambe, Signore…”
“Tsubasa… che diavolo dici?” mormorò Taro al suo fianco, ridacchiava; evidentemente non si era reso troppo conto della risposta che aveva dato.
Arrossì all’istante e tentò di rimediare: “Cioè, volevo dire, è stato un periodo difficile, avevamo un giornalista alle calcagna con il quale abbiamo dovuto stipulare un patto; è troppo presto per fare coming out con il pubblico, i nostri figli sono troppo piccoli…”
 
Quando furono fuori dall’ufficio, tirarono un respiro di sollievo. Alla fine erano riusciti a raccontare tutta la vicenda, alternandosi nelle spiegazioni.
I due uomini avevano ascoltato e annuito, invitandoli a mettere al corrente tutta la squadra in modo da avere collaborazione in caso di bisogno, alla fine i due si erano pure congratulati dicendo che: “Era destino, dopotutto di Golden Combi ce n’è una sola. La vostra profonda intesa sul campo da calcio è veramente anomala e non ci stupisce che possa proseguire anche nella vita privata… buona fortuna.”
Ne avevano riso ed erano usciti dalla stanza.
“Quindi a questo ritiro non potremo dormire insieme” sbuffò Tsubasa guardando la punta delle scarpe mentre l’ascensore li stava portando al piano selezionato.
“Ehi, - disse Taro, allungando la mano e posandola sulla guancia del compagno che sollevò il volto per incrociarne gli occhi – quando tutto sarà finito ci prendiamo una bella vacanza in un posto sperduto dove nessuno ci conosce, ok?”
“Dico che hai sempre ottime idee, Misaki”
E allungandosi verso il compagno, adagiò le labbra sulle sue per rubare quel bacio tanto atteso e che, da quando erano partiti, non avevano potuto ancora scambiarsi.
 
 

La mattina dopo, quando furono tutti nello spogliatoio, luogo nel quale avevano condiviso la maggior parte della vita, Tsubasa si schiarì la voce mentre stava allacciando l’ultimo scarpino: “Ragazzi, devo comunicarvi una cosa, anzi dobbiamo…” specificò lanciando un’occhiata all’altra metà della Golden sulla panchina di fronte alla sua.
“Io e Taro conviviamo da quasi quattro anni…” non aveva preparato un discorso ben preciso, aveva smesso di ragionarci su. Tanto ogni volta che si era preparato qualcosa immancabilmente non andava mai come aveva ipotizzato.
Infatti la risposta del compagno di squadra lo lasciò pietrificato.
“Lo fate per dividere le spese? Ma non è troppo scomodo abitando in due nazioni differenti?”

Mamoru era esploso a ridere senza alcun ritegno mentre Yuzo tentava di farlo tornare seduto prima che ne sparasse una delle sue. Ma ogni sforzo era stato vano ed era partito spedito, nonostante il portiere attaccato praticamente al braccio nel tentativo di dissuaderlo.
“Mister, io credo che Ryo debba smettere di prendere le pallonate in faccia: è palese che non gli facciano bene – affermò regalando un’occhiata complice al resto della squadra, muovendo anche il braccio libero in un arco accogliente – visto che non ha capito un cazzo!”
“Izawa, non esagerare.” Lo ammonì il mister non riuscendo a nascondere gli occhi sorridenti, si vedeva che faticava a mantenere una faccia seria.
“È un caso senza speranza!” rispose Mamoru tra i borbottii di Yuzo che finalmente era riuscito nell’intento di farlo mettere seduto.
“Ma che cosa ho detto di male?” si lagnò Ishizaki balzando in piedi.
“Ryo, siediti queste sono cose da grandi…”
“Genzo, non mettertici anche tu, per favore!”
Il portiere alzò le mani in segno di resa e si rilassò contro la parete incrociando le braccia al petto: la faccia di Ryo che raggiungeva la consapevolezza non se la sarebbe persa per nulla al mondo.
“No, Ryo. Siamo proprio una coppia. Viviamo insieme.” Puntualizzò Taro nel tentativo di non risultare troppo fraintendibile.
Ma Ishizaki continuava a guardarsi intorno smarrito.
“No vabbè, ma così è impossibile eh! Ryo, condividono lo stesso letto, non credo di doverti fare un disegnino vero? - sbuffò Wakabayashi infilandosi il cappellino e uscendo dallo spogliatoio - Vi aspetto in campo!” esclamò tirandosi dietro la porta in un tonfo sordo che fece tremare leggermente le pareti in cartongesso.
Il malcapitato sgranò gli occhi tappandosi la bocca spalancata con le mani, Tsubasa rilasciò il fiato che aveva trattenuto fino a quel momento.
Finalmente aveva capito.
Il resto della squadra iniziò a circondarli e riempirli di domande. Si resero conto che tanti, alla fine, avevano perfettamente intuito il tutto anche se non ne avevano avuto alcuna conferma fino a quel momento.
Gamo e Munemasa si guardarono soddisfatti e, dopo aver fatto trascorrere un tempo sufficiente per i doverosi pettegolezzi, richiamarono tutti sull’attenti.
“Bene, ragazzi, se il coming out della Golden Combi è finito, direi che possiamo andare ad allenarci per questo mondiale: che ne dite?” disse calcando il tono delle ultime parole affinché incitassero la squadra.
“Scusi Mister, ma anche io e Yuzo dobbiamo comunicare una cosa alla squadra…” Mamoru non si era lasciato sfuggire l’occasione. Oramai avevano deciso e quella era un’ottima occasione.
“Non vorrai dirmi, Izawa, che anche voi?...” ma non ce la fece a finire la frase.
L’alzata di spalle del numero otto fu eloquente. E mentre Katagiri si sollevava gli occhiali sopra la testa per osservarli meglio, Gamo con un palmo della mano in pieno volto borbottava un: “Non credo di poter reggere un’altra pianificazione delle camere…”
La risata contagiò l’intera squadra che, riunita e motivata, si apprestava ad affrontare un nuovo mondiale.
   
 
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