Sorprese
-
-
Pansy vide i
ragazzi osservarla.
Le si era bloccata la vestaglia sulle braccia e non
riusciva più a infilarsela, né a toglierla. Oh,
Merlino.
Strattonò un po’, ma quando capì che
non ci sarebbe
riuscita, abbassò le mani e si avvicinò a loro.
“Aiutatemi” disse, si girò e diede loro
la schiena.
Draco
allungò le mani per aiutarla, quando Weasley
lo spostò e si mise lui all’opera.
“Pansy, cos’hai sulla schiena?” le chiese
il
biondo.
La sua camicia da notte era piuttosto scollata
dietro e lei aveva dei segni… no, non dei segni, ma un
disegno… forse un… tatuaggio?
“Draco lascia stare e aiutami” rispose lei, nervosa.
Draco vide il rosso girarsi verso di lui e alzare un
sopracciglio. Ma perché? Che aveva detto? Quando lui ebbe
finito di aiutarla e Pansy
riuscì a indossare la vestaglia, la strinse, si
legò la cintura in vita e si
rigirò verso di loro.
“Hai un tatuaggio? E quando l’hai fatto?”
richiese.
“Il giorno del processo” rispose lei, sventolando
una mano come quando voleva liquidare qualcosa. In quel caso, lui.
Ron sorrise
sorpreso. Malfoy non sapeva del
tatuaggio. Non riuscì a non essere contento.
Finché lei non li guardò severa e
domandò: “Allora?
Perché avete fatto tutto questo casino?”
“Oh, è stato un caso, stavolta. Ma molto
più
divertente. Ed è stato lui” rispose Malfoy,
indicando con la mano il Grifondoro
e continuò: “Anzi, ora vado a letto.
Buonanotte”. E detto ciò, Malfoy salutò
e
se ne andò.
Quando rimasero soli, Ron la guardò sorridendo, ma
lei non cambiò espressione. Merlino. Doveva essere ancora
offesa o arrabbiata.
“Malfoy non sa del tatuaggio.”
Non voleva dirlo. Non voleva gongolare. Ma fu più
forte di lui. Lei inclinò la testa, corrugando la fronte.
Non avrebbe mai potuto
capire cosa volesse dire per lui. Chissà se era
l’unico ad aver fatto l’amore
con lei da quando aveva il tatuaggio. Già, il fatto che il
biondo si fosse
stupito, lo faceva sentire come sul campo da Quidditch: un re.
“Adesso lo sa. Cosa c’è? Sono stanca,
voglio tornare
a letto” disse.
Giusto. Lei era arrabbiata. Come scusarsi? Scusarsi
di qualcosa che non si sapeva di aver fatto?
Quando lui
balbettò: “Sembra che io abbia
detto…”,
Pansy non ci vide più.
“Hai detto una cattiveria. Su tua sorella. Una
stupidaggine. Lei non sarà mai… come intendevi
tu. Una come… me.”
L’ultima parola la disse sottovoce. Non fu neanche
sicura di averla detta.
“Io non ce l’avevo con te” disse Ron. Si
avvicinò a
lei e le mise la mani ai lati delle spalle. “Ho esagerato
perché ero
spaventato, avevo paura e ho detto una stupidaggine. Non intendevo
quello che
avete capito tutti. Mi sono spiegato male…”
“Ma va’. Si era capito benissimo. Forse non te ne
sei accorto, ma intendevi proprio che...” iniziò
lei, ma lui la fece tacere.
“Adesso vuoi dirmi quello che intendevo dire?”
disse
un po’ sostenuto. Pansy aveva un’espressione
severa. “Ti ho detto che mi sono
preoccupato per mia sorella e ce l’avevo con Zabini. Ho detto
una cazzata. Non
ti è mai capitato di dire qualcosa di stupido? Qualcosa che
non pensavi e che venisse
frainteso da tutti?”
Lei spostò lo sguardo. “Beh, io ho detto di
catturare Potter…” Oh. Vero. L’aveva
detto. Ecco era uguale.
“È vero. Visto? Non puoi non capirmi!”
Lei lo guardò
stranita.
“Ma cosa dici?” chiese. Sembrava confusa.
“Certo. Ora sei obbligata a perdonarmi”
spiegò Ron.
Cos’era
obbligata a fare, lei?
Pansy spalancò gli occhi e aprì la bocca per
rispondergli quando la porta scorrevole si aprì. La testa
del Grifondoro si
girò e quando Ron riconobbe Nott, che entrò
gocciolando acqua, le si mise
davanti con le braccia leggermente aperte.
Voleva proteggere lei? Poteva anche essere un gesto carino,
ma non ne aveva bisogno, pensò toccando la bacchetta.
Ma lo sguardo di Pansy continuò a posarsi sulle sue
mani: aveva le mani grandi ed erano ruvide, lei lo sapeva,
probabilmente per
gli allenamenti di Quidditch. I suoi pensieri corsero in una zona
segreta della
mente e si sentì le guance in fiamme.
Non era il momento, però. Doveva rimanere vigile,
non fantasticare. Cercò di pensare a qualcosa di pratico.
Ecco. Lui non aveva
la bacchetta. E il Serpeverde era entrato con la bacchetta in mano.
Doveva
distrarre Nott per evitare che se la prendesse con il rosso.
“Mi sa che non è la tua serata, eh,
Nott?” lo
provocò lei. Lui li guardò tutti e due senza dire
niente, ma si fermò.
Cambiò angolazione e ghignò: “Gran
bella vestaglia, Parkinson.
Dopo vieni a trovarmi in camera, come ai vecchi tempi”.
Ron
sentì, più che vedere, Pansy irrigidirsi, ma lei
non disse niente. Si girò appena e notò che il
suo viso era immobile e
impallidito.
Tornò a guardare Nott che, non soddisfatto della reazione
della ragazza, continuò: “Quando avrai finito di
frequentare i bassifondi,
logicamente”. Il Serpeverde ghignò ancora. Ron la
vide prendere la bacchetta
con la coda dell’occhio, ma lui non voleva che facesse
niente. Le prese la mano
libera e la strinse. Pansy si voltò verso di lui, sorpresa.
Scosse la testa,
per farle capire che non c’era bisogno.
Gli vennero in mente ancora le parole di Luna: ‘È
più nobile difendere qualcun altro che se stessi’,
aveva detto. Le sorrise e
lei ricambiò.
“Che scenetta sdolcinata” li prese in giro il moro.
Ron vide Pansy rivolgergli un sorriso. Un sorriso
che non le aveva mai visto. Non un ghigno. “Oh, Nott. Come
sei infantile. Solo
perché ti hanno scaricato, non dovresti prendertela con il
mondo…” Il suo tono
era accondiscendente, come quando si parla a un bambino capriccioso.
“Scaricato? Quella stronza se n’è andata
solo perché
ti sei messa in mezzo!”
Lei aveva ancora quel sorriso. E Ron capì: era
falso, un sorriso falso. Lo notò quando la sua espressione
cambiò per pochi
secondi per tornare come prima.
“Non scopi neanche se imbrogli. Dovrai arrangiarti
da solo, stasera” disse ancora e Ron ebbe quasi paura: il suo
tono era strano e
cattivo.
Pansy
capì di essersi abbassata al suo livello. Ma
lo odiava. Non voleva che andasse in giro a circuire ragazzine
inesperte. O
ragazze come Millicent. Quando vide Nott puntarle contro la bacchetta,
rise.
“Protego” disse, fermando il suo incantesimo.
“Nott,
non sei mai stato bravo con gli incantesimi, smettila”.
Lui rise nervosamente. “Ma che ne sai?”
“Hai tentato di lanciarmi un incantesimo OBLIVION.
Tre volte” Lui si fermò e spalancò gli
occhi. “Pensavi di esserci riuscito,
vero?” Idiota. Quando
lui alzò di
nuovo la bacchetta sospirò.
“Stupeficium” disse e lo schiantò. Ma
non fu
neanche divertente.
Si voltò verso Ron che la guardava con uno sguardo
strano. Sospirò: lui non avrebbe mai potuto capire.
Ron la stava
ancora guardando. Era formidabile. Era
fortissima. Lei era così… non seppe trovare le
parole. Lei gli lasciò la mano.
Si voltò verso Nott e gli andò vicino. Gli
spostò
una gamba con un piede e vide che era incosciente. “Fra un
po’ si riprende, non
preoccuparti” disse lei.
“Oh, non sono preoccupato. Malfoy mi ha detto della
pozione” aggiunse.
Pansy annuì. “Già. Dovrebbe essere ad
Azkaban insieme
a suo padre”.
“Suo padre non è ad Azkaban” la
contraddisse Ron.
Lei sollevò la testa di scatto e lo guardò negli
occhi. “Come?”
“È ancora ricercato.”
“Ma… era stato arrestato due anni fa.”
Ron annuì. “È riuscito a evadere quando
Voldemort ha
reclutato i dissennatori”.
Lei corrugò la fronte per un attimo e poi i suoi
occhi e la sua testa iniziarono a fare movimenti strani: stava
pensando.
Ron sorrise del fatto di conoscerla così bene da
accorgersene.
Il padre di Nott
non era più ad Azkaban? E da quanto
tempo? Merlino. Non era una bella notizia.
Pansy vide il Grifondoro avvicinarsi a lei. “Stavamo
dicendo…”
La ragazza alzò lo sguardo su di lui. Ma non aveva
visto quello che aveva appena fatto? Come era stata con Nott, quello
che gli
aveva detto? Come faceva a sopportarlo? Come faceva a sopportare una
come lei?
Aveva ragione ad aver paura per sua sorella. Lei non era una ragazza da
frequentare.“Non stavamo dicendo niente.
Buonanotte”.
Lui le prese la mano mentre si girava per tornare in
camera. “No” sussurrò.
“No, cosa?” gli chiese lei.
“Non andartene” sussurrò ancora.
Sospirò. “Ascolta. È stato bellissimo,
davvero. Ma
adesso è finita. Hai visto quello che ho fatto, hai sentito
quello che ho
detto. Non sono la persona adatta per… te. Mento
così tante volte che non
sapresti mai quando dico la verità e quando no. Sono
una… Serpeverde. Sono
falsa, manipolatrice e crudele” disse. Cercò di
dirlo con fierezza, ma non ci
riuscì. Avrebbe voluto essere la ragazza adatta per uno come
lui. Per uno dei
salvatori del mondo magico. Ma lei era così e non voleva, o
forse non poteva,
essere diversa.
Ron non riusciva
credere alle sue orecchie. Quando
aveva detto quelle cose, lei non l’aveva guardato. Aveva
guardato verso Nott,
per terra, immobile. Probabilmente lui avrebbe riso, se fosse stato
cosciente.
“Io non voglio che…”
Lei si avvicinò e gli appoggiò una mano sul
petto.
“Sai cosa ho fatto stasera? Mi sono fatta guardare nella
scollatura da un
ragazzino per farmi dire quello che volevo sapere.
Io…” I suoi occhi divennero
lucidi. “Sarebbe stato grandioso, stare con te. Mi
dispiace”.
Si allungò in punta di piedi e lo baciò sulle
labbra, poi scappò via.
Ron non riuscì a fermarla. Il suo corpo non seguì
il
suo cervello. Di nuovo. Imprecò quando lei sparì
nel corridoio.
***
Hermione decise
di fare colazione al tavolo dei
Serpeverde. Così quando arrivò in sala grande per
la colazione, costeggiò il
tavolo dei Grifondoro fino ad arrivare al posto dove erano seduti Harry
e Ron
ma, invece di sedersi, diede uno scappellotto a Harry, rimanendo in
piedi.
Il moro si girò verso di lei.
“Hermione!” esclamò,
stupito.
Ron, che continuava a guardare il tavolo in fondo,
si girò verso di loro: “Perché
l’hai fatto?”
La riccia era allegra e sorrise. “L’avresti fatto
anche tu, Ron, se avessi visto quello che ho visto io, ieri”
spiegò e Ron diede
uno scappellotto a Harry.
Harry non se
l’aspettava neanche da lui. “Ron!”
Il rosso alzò le spalle riprendendo a mangiare.
“Mi
fido di Hermione” spiegò, con naturalezza.
La ragazza gli sorrise e tirò dritto verso il tavolo
verdeargento. Ron la guardò sedersi vicino a Malfoy e dargli
un bacio sulla
guancia. Guardò ancora. Niente: lei non c’era.
Quando finì di mangiare decise di andare a trovare
Ginny.
Ginny vide
arrivare suo fratello e gli sorrise. In
quel posto il tempo non passava mai e ci si annoiava a morte.
L’unica
soddisfazione era chiacchierare con Derrick, ma lui aveva ancora la
tenda
tirata.
“Ciao Ron” lo salutò. Lui si sedette di
fianco a lei
con uno sguardo strano. “Hai parlato con Pansy?”
Lui annuì senza dire niente ma
lei non ci fece troppo caso: Harry era andato appena si era fatto
giorno, aveva
passato tutta la notte con lei e sarebbe uscita prima di pranzo.
Ginny sorrise.
Ron vide la
sorella sorridere senza motivo. Doveva essere
qualcosa che c’entrava con Harry. Decise di non chiedere.
“Ieri Malfoy si è seduto al nostro
tavolo” buttò lì.
Ginny
ritornò al presente. Velocissimamente. No!
Malfoy al tavolo dei Grifondoro? A fare che? Perché Harry
non glielo aveva
detto? E perché era successo quando lei non c’era?
Avrebbe voluto vederlo. E
lanciargli qualche battutina.
“No! E io qui. Come mai ha mangiato con voi?” Il
fratello alzò le spalle.
“Bo. Ce lo siamo trovato lì con Hermione e si sono
seduti.”
“Per Godric, avrei voluto vederlo! Almeno era in
imbarazzo?” Ron la guardò stranito.
“Non lo so.”
“Ma come non lo sai? Che hai fatto mentre lui era
li?”
Il fratello corrugò la fronte
“Mangiato?”
Ginny sbuffò: Ron non serviva a niente.
Ma Malfoy e Hermione erano tornati insieme? Non gli
chiese neanche quello, sicura che non sapesse niente.
Ron non disse
che non aveva fatto caso a Malfoy
perché era troppo impegnato a guardare il tavolo dietro di
lui. Non raccontò
della ronda, né dell’incontro nei sotterranei e
né della discussione con Pansy.
Merlino, non aveva capito neanche lui la discussione con la Serpeverde.
Ma si
ricordò una cosa importante.
“Tu sai di una pozione che gira…”
Ginny lo guardò seria e disse: “La pozione
confondente? Quella di Nott?” Lui annuì.
“Sì. Malfoy l’ha detto a Pansy ieri,
sembra una cosa seria, oggi i prefetti faranno una riunione per
spiegarlo alle
ragazze”.
Oh. “E ci sarà anche Pansy?” La rossa
corrugò la
fronte.
“Certo. Anche se non so i dettagli. Non so chi
l’abbia organizzata, alla fine.”
Ron non l’ascoltava. “A che ora?”
“Alle undici.”
“E dove?”
Ginny scosse la testa. “Non lo so. Sono qui da ieri.
Devi chiederlo a Pansy. O a Hermione. Loro dovrebbero saperlo.
Perché?”
Ron scosse le spalle e si alzò.
Camille
entrò in infermeria per andare a trovare
Ginny e si scontrò con suo fratello che stava uscendo.
“Scusami. Ciao, Camille” disse velocemente,
reggendola per le spalle. Lei lo guardò andare via.
“Camille!” Si girò alla voce
dell’amica che la
chiamava.
“Ginny!” la salutò lei andandole vicino
e
abbracciandola.
Ginny si fece
abbracciare da Camille e poi la
obbligò a sedersi sul letto. “Adesso mi racconti
tutto ciò che mi sono persa
ieri sera!”
La Serpeverde fece una smorfia. “Oh, niente di che,
alla fine” disse e la rossa rimase delusa.
“Come?” Cioè, lei a momenti si uccide e
la festa non
era un granché?
“Non si ballava.”
Ah no? E che si faceva? “No?”
“No. Eravamo in pochi. Non era in sala comune. Era
nei sotterranei in una stanza che non avevo mai visto. Non
c’erano i lenti. Ma
abbiamo giocato al gioco della bottiglia!” Oh. Interessante.
Una festa da
single, quindi.
“Il gioco della bottiglia? Meno male che non sono
venuta con Harry. Racconta, però. Io sono qui da ieri e non
ho fatto niente.
Hai giocato?”
Camille annuì divertita. “Sì. Io e
Astoria ci siamo
sedute quando eravamo ancora in pochi, ma quasi subito siamo diventati
una
decina e…” Ginny ascoltava rapita. Quanto tempo
era passato dall’ultima volta
che aveva giocato al gioco della bottiglia!
“Chi c’era? Qualcuno di carino?” chiese.
Camille
raccontò con entusiasmo come era andata la serata. Alla fine
l’unica cosa
divertente era stato appunto il gioco della bottiglia. E Ginny si fece
raccontare tutto. Camille aveva baciato tre ragazzi: uno decisamente
carino del
sesto anno, ma la ragazza bocciò il suo bacio come il
più disastroso. Ginny
rise.
“Poi ho baciato Stretton, di Corvonero. Ma lui
sembrava più interessato ad Astoria, infatti quando ha
baciato lei…”
“CHI HA BACIATO ASTORIA?” Le ragazze si girarono
verso il letto di Derrick che aveva quasi urlato e tirato la tenda per
farsi
vedere.
Ginny vide Camille spalancare gli occhi e guardarla
un po’ spaesata.
“Oh, sì, c’è anche lui qui in
infermeria…” Merlino.
Merlino. Merlino.
Ma poi Camille tornò serena e disse: “Ciao
Mike”, tornando
a parlare con lei con un tono più basso.
Ginny non capì bene la reazione di Camille. Neanche quella
di Astoria, effettivamente. Il giorno prima aveva visto Astoria e
Derrick
baciarsi, ma la sera, lei non era venuta a trovarlo ed era andata a una
festa a
fare un gioco da single.
Poi Camille si chinò su di lei spiegandole che
Derrick, dopo che Astoria lo aveva baciato, l’aveva
‘liquidata’ dicendo che era
meglio rimanessero ‘solo amici’.
Mike
borbottò qualcosa sui giochi pericolosi.
Camille sorrise. Il gioco della bottiglia un gioco pericoloso? In
Francia loro
iniziavano al secondo anno a giocarci! Quello stupido doveva essere
geloso. Ben
gli stava. Così avrebbe imparato a dire ad Astoria che erano
solo amici. Lei ci
era rimasta così male…
Chiese a Ginny se lei avesse mai giocato, giusto per
farlo innervosire un po’.
Ginny sorrise.
“Certo che ho giocato al gioco della
bottiglia! Chi non ci ha mai giocato?”
“Io.”
Nessuno aveva sentito Harry entrare. Ginny si voltò
verso di lui e vide che stava entrando con Pansy. “Beh,
allora spero proprio
che tu non lo faccia mai” gli disse e gli lanciò
un bacio.
Camille lanciò uno sguardo colpevole alla sorella e
questa le disse: “Io e te, dopo, facciamo una bella
chiacchierata, eh?” Lei
annuì.
“E poi, cosa avete fatto?” le chiese ancora Ginny,
ma il momento confidenze era finito.
“Niente. Perché Pansy ha messo fine alla festa. E
siamo tornati tutti in dormitorio” disse sottovoce alla
rossa, indicando la
sorella.
Pansy
sbuffò. Ecco, adesso sembrava veramente una noiosa
guastafeste.
“Ho avuto i miei buoni motivi per farlo” disse un
po’, nervosamente. Puoi avere delle scuse ma, anche se buone,
nessuno te le
ascolterà. Si avvicinò alla rossa e le chiese:
“Come stai?”, stringendole un
braccio e dandole un bacio sulla guancia.
Ginny fece una
smorfia. “Non ho più niente. Ma mi
farà uscire proprio prima di pranzo. Non riuscirò
a venire alla riunione”
spiegò.
Pansy alzò le spalle. “Camille viene. Ti
farà un resoconto
dettagliato, giusto?” E si voltò verso la sorella
con uno sguardo severo.
“Sì, sì, sì.”
Ginny le osservò e immaginò che Camille fosse
stata
sgridata dalla sorella. Infatti la giovane Serpeverde si
chinò in avanti per
sussurrare, solo per lei: “Pansy oggi è
cattivissima! Avresti dovuto vedere che
faccia aveva quando ha lanciato l’incantesimo ieri sera. E
non le è ancora
passata!”
Pansy arrabbiata per la festa? Forse. Decise di non
indagare. I rapporti fra fratelli erano cose complicate. Lo sapeva
bene.
Dopo mezz’ora Pansy e Camille uscirono per gli
ultimi preparativi.
“Quindi,
quante volte hai giocato al gioco della
bottiglia, tu?” chiese Harry sedendosi vicino a lei.
“È un gioco stupido“ borbottò
Derrick. Harry fu
d’accordo con lui.
Ginny lo guardò e gli chiese: “Sei così
sicuro di
volerlo sapere?”, con il suo faccino fintamente innocente.
Probabilmente no.
Scosse la testa.
***
La riunione era
andata bene, Hermione era contenta.
Perché non avevano mai fatto delle riunioni così?
C’erano tantissime ragazze e
loro avevano spiegato come girasse a scuola la pozione verde che
serviva a
‘convincere’ le ragazze. Poi si erano lasciate un
po’ andare e avevano parlato
di tantissime altre cose. Tante ragazze avevano cose da dire ed era
stato
interessante.
Ormai erano uscite quasi tutte quando vide in un
angolo la Parkinson e la Bulstrode che parlavano. La Bulstrode sembrava
particolarmente triste e si passò una mano su un occhio,
come ad asciugare una
lacrima. Si avvicinò a loro quando si dividettero.
“Tutto ok?” chiese alla Parkinson. Lei si
voltò e
disse: “Certo”, ma non sorrise.
“Ho qualcosa da dirti, Granger.”
Hermione allargò gli occhi. “A me?”
“Non sei tu che mi hai chiesto di Nott?” La riccia
annuì e loro si spostarono ancora. “Ho saputo ieri
sera che il padre di Nott
non è ad Azkaban. È vero?” Hermione
annuì ancora. “Ieri sera c’è
stata una
festa nei sotterranei…”
“Draco non mi ha detto niente” la interruppe.
La Parkinson alzò una mano sventolandola verso di
lei. “Oh, non penso che lo sapesse. Non era in sala comune.
Era una festa un
po’ più… riservata. C’erano
più che altro ragazzini”.
La Grifondoro si fece più attenta. “E
quindi?”
“Era una festa per tirar su soldi. Sono riuscita a
farmi dire dal ragazzo all’entrata che è stato
Nott a organizzarla. Ha detto
loro di farsi pagare l’entrata e far pagare gli alcolici.
Queste feste… io ne
ho vista qualcuna qualche anno fa… di solito si fanno
entrare i ragazzini e si
propongono giochi alcolici e loro… sono facilmente
ingannabili. Gli altri anni
lo si faceva per raccogliere soldi per qualcosa di specifico tipo
divise o
scope nuove per il Quidditch, ma si faceva anche per l’erba e
la polvere di
oppio. E Draco dice che Nott non ha problemi a vendere la pozione a
chiunque…”
fece una pausa lunghissima.
Hermione la guardò: non riusciva più a parlare,
era
un po’ nervosa o agitata. O forse arrabbiata. “Dici
che sta racimolando soldi
per suo padre?”
Pansy
annuì. Ma non ne era sicura. “Io penso di
sì.
Ma non so. Potrebbe essere per qualsiasi cosa. Fatto
sta…” Tirò fuori la
borsetta dove aveva nascosto i galeoni requisiti alla festa.
“Questo è
l’incasso di ieri sera. E ho interrotto la festa. Non so
quanto avrebbero fatto
se fosse andata avanti…”
La Granger scrutò nella borsa. “Quanto
c’è?”
“Ottantasette Galeoni.”
La Grifondoro sgranò gli occhi. “Hai detto che hai
interrotto
la festa?” chiese la Grifondoro. Pansy arrossì.
“Io ho fatto un po’ di casino. Per farmi dire
quello
che volevo sapere e dopo per far uscire tutti dalla
sala…” La Granger annuì e
Pansy continuò indicando la borsetta. “Io non so
se sono per suo padre o per
che cosa… Però è una cosa sospetta,
no?”
Hermione
annuì. Era sospetto sì. Sospirò.
“Ok,
grazie mille” disse, prendendo la borsetta.
Si incamminarono insieme verso la sala grande. Dopo
due piani di silenzio, Hermione le chiese se avesse visto Ron, la sera
prima.
La vide irrigidirsi e subito dopo tornare come prima.
“Sì, ci siamo visti” disse solamente.
Aveva un tono
strano. Ma quindi?
“Lui si è scusato? Avete fatto pace?”
“Ho dimenticato una cosa in biblioteca. Ci vediamo
dopo, Granger” disse la Serpeverde scappando via.
***
Ron
entrò in sala grande per pranzo un po’ esasperato.
Aveva cercato in lungo e in largo Hermione per tutta la scuola per
farsi dire
dove avrebbero fatto quella maledetta riunione, ma non
l’aveva trovata.
Alle undici passate aveva capito che poteva smettere
di cercare perché non c’era più nessuna
ragazza in giro a Hogwarts. Davvero.
Ovunque si girasse, vedeva solo ragazzi. Qualche professoressa, ma
nessuna
ragazza. Neanche del primo anno. Si era messo l’animo in pace
e aveva provato a
cercare da solo un luogo dove avrebbe potuto essere. Niente.
Alla fine si era arreso. Aveva incontrato Ginny e Harry
che arrivavano dall’infermeria e si era unito a loro. Alla
fine aveva visto
entrare le ragazze. Erano entrate quasi tutte, ma ancora di Pansy
nessuna
traccia. Arrivò anche Hermione che decise di mangiare con
loro.
Ginny stava
meglio, si sedette vicino a Hermione e
disse: “È vero che il fure… Malfoy ha
mangiato qui ieri sera?”
“No, lui aveva già mangiato. Si è solo
seduto.”
Ginny alzò gli occhi al cielo e anche Harry aveva
ridacchiato, mentre la riccia diceva per difendersi:
“È vero, volevo solo
essere precisa!” I due ragazzi risero, prendendola in giro.
Ron invece non
disse niente.
“Ehi, Ron non dici niente a Hermione?” Il rosso si
girò verso di loro.
“Per cosa?” Ginny sbuffò.
“Che ti succede?”
“Io… niente, ho solo fame.”
“Sai che novità!” Lo liquidò
la sorella.
Hermione
guardò il rosso con uno sguardo strano e lui
la ricambiò con lo stesso sguardo. Alzò un
sopracciglio in una muta domanda, ma
Ron alzò le spalle e scosse la testa.
Si girò verso la rossa e vide che non aveva in nota
nessuno, se non Harry.
***
“È
stato difficile trovarti.”
Pansy si voltò di scatto verso la voce. “Potter!
Mi
hai spaventato. È successo qualcosa a Ginny?” O a
Ron? Ma non ebbe il coraggio
di chiederlo.
Il ragazzo scosse la testa. “No. Ti ho portato le
cose di cui abbiamo parlato”. Potter si avvicinò e
le porse una grossa busta
gialla di pergamena.
La Serpeverde si avvicinò sorpresa. “Di
già? Sei
stato velocissimo, Potter. Grazie”.
Prese la busta mentre lui continuava: “A dir la
verità non ho fatto niente. Molly ha iniziato a lavorare
part time al ministero
e sta cercando di sistemare le pratiche che vengono chiuse ma non
archiviate.
Qui c’è il resoconto per la casa di Julien e
Abigail Lemaire e dentro ci
dovrebbe essere anche l’appuntamento con l’addetto
responsabile della consegna”.
Pansy sbatté gli occhi, stupita. “La signora
Wealsey?” Potter annuì. Lei, ancora sorpresa
continuò: “La casa di mia madre?”
Lui annuì ancora. “E poi ci sono anche le
pergamene
per andare ad Azkaban. Però se vuoi portarci tua sorella,
devi passare dall’ufficio
dei colloqui. Sembra che ci siano giorni apposta per i
minorenni” continuò, un
po’ in imbarazzo.
Lei sbatté di nuovo gli occhi, sorpresa. “Oh.
Grazie
davvero”.
Harry
annuì e si guardò intorno: la stanza dei
trofei era proprio come se la ricordava. Non ricordava,
però, l’ultima volta
che c’era stato, ma non gli sembrava troppo diversa. Forse
qualche trofeo di
Quidditch in più e premi minori.
Quando era entrato, la Parkinson guardava la teca
del Quidditch. “Come mai qui? Pensavo che non ti interessasse
il Quidditch”.
Lei alzò le spalle.
“Infatti. Ma la settimana scorsa ho dovuto pulire
tutti i trofei e…” Fece una pausa. Una lunga
pausa.
“Una punizione?”
Lei annuì e sorrise. “La McGranitt è
fissata con lo
spolverare, eh?” La Serpeverde si avvicinò alla
teca, indicando una foto.
Si avvicinò anche Harry: sette ragazzi in divisa
verde e argento esultavano reggendo le scope e una coppa. La squadra di
Quidditch di Serpeverde. Harry cercò la didascalia. Diceva:
‘Anno 1974/1975’.
Cercò i nomi degli studenti e trovò quello che
immaginava: ‘H. Parkinson,
Portiere’. “Portiere? Buffo!” Sorrise,
pensando a Ron. Lei no.
Guardò ancora la foto e disse:
“Già”. Stava pensando
anche lei a Ron? Harry capiva perché fosse lì.
Aveva cercato anche lui il nome
dei suoi genitori dappertutto. Era come scoprire ogni volta qualcosa di
nuovo.
“È stata una sorpresa?” Lei
annuì.
“Non so niente di mio padre. Mia madre ha fatto
sparire tutto. E non ha mai voluto parlarne. Ma ho trovato casa sua di
recente.
Aspetto le prossime vacanze per andare in soffitta e scoprire se ci
sono vecchi
bauli.”
Sorrise mentre guardava ancora la foto. Harry sapeva
come si sentiva. Avrebbe voluto anche lui avere una soffitta con bauli
da
aprire. Sospirò.
Lei si voltò verso di lui e disse abbassando gli
occhi: “Oh! Non avevo pensato…”
Harry scosse le spalle. “Anche mio padre giocava a
Quidditch. Era un Grifondoro. Si saranno battuti uno contro
l’altro?”
“Se era un Grifondoro si saranno tirati maledizioni
nel tempo libero.”
“Mio padre prendeva di mira Piton”. Lo disse un
po’
sottovoce, perché effettivamente era vergognoso.
“Piton?”
Pansy, sorpresa, non riuscì a non ripetere
il nome. Piton a scuola? Merlino, non ci aveva mai pensato.
Chissà se aveva
conosciuto suo padre. Erano anche nella stessa casa. Ci rimase male, al
pensiero di non averglielo mai chiesto. Avrebbe potuto sapere qualcosa
su di
lui. Sapeva solo che la famiglia di suo padre fosse purosangue da una
miriade
di generazioni, l’unica cosa che aveva tenuto a specificare
sua madre. Come se
fosse la cosa più importante.
Chissà com’era la vita di Piton a scuola,
pensò, per
la prima volta. Potter continuò:
“Piton… Amava mia madre. Erano amici prima che
lei venisse smistata in Grifondoro e si mettesse…”
Per un attimo guardò Potter per quello che era: un
ragazzo cresciuto senza genitori, con una maledizione sulla fronte e un
incarico gravoso sulle spalle. Senza accorgersene inclinò la
testa. Perché lo
avevano odiato? Avrebbe dovuto chiedere a Draco di ricordarglielo,
perché lei
proprio non se lo ricordava.
“Serpeverde e Grifondoro? Gran brutta cosa” disse
senza accorgersene.
Harry si
stupì di quello che disse la Serpeverde, ma
dalla sua faccia si capiva che anche lei era rimasta sorpresa.
Alzò un sopracciglio
e chiese: “Davvero?”
Lei si riprese subito e scrollò le spalle.
“Confidiamo in Draco e la Granger. Spezzeranno questa
maledizione. Grazie
ancora, Potter”. Se ne andò.
Harry rimase ancora un po’ a guardare le teche, gli
annali, le pergamene… Cose già viste e riviste.
Ma sempre gradite.
Guardò la lista dei prefetti del 1977 e lesse il
nome della madre. Toccò il vetro con la mano.
Sospirò e tornò nella torre per
andare a letto.
Come
entrò dal quadro, vide Ginny alzarsi in piedi e
corrergli incontro.
“Via, via, via” gli disse sottovoce. Lo spinse
fuori
dal ritratto e si ritrovarono in corridoio.
“Che succede?”
“Ron ti ha
visto con Pansy sulla mappa. È fuori di testa. Hermione lo
sta calmando. Noi,
invece, andiamo.”
Oh. “E dove andiamo?”
“Al sicuro” rispose la ragazza. E dove poteva
essere
‘al sicuro’? Ma
non lo chiese. Seguì
Ginny fino alla stanza delle necessità.
Quando entrarono si guardò intorno, aveva aperto lei
la porta. C’erano tanti cuscini per terra, su un soffice
tappeto, ma neanche un
letto. Cercò di non rimanerci male. Ginny si
voltò verso di lui e, con uno
sguardo strano, chiese: “Devo preoccuparmi?”
Harry non capì. “Di cosa?”
“Di te e di Pansy.”
“Oh, certo che no! Mi ha chiesto aiuto per delle
pratiche al Ministero” rispose, quando capì cosa
intendesse. In fin dei conti, era
più o meno così.
Ginny
notò che Harry era imbarazzato e non la
guardava. Era una bugia?
“Sei sicuro? Solo questo?” Merlino, le aveva detto
lei di andare da Harry se avesse avuto bisogno!
“È che mi ha chiesto di non dire niente a nessuno
e
non mi piace avere dei segreti…”
“Con me?”
Harry la guardò sorpreso. “Te? Cosa
c’entri tu? Con
Ron!” Ginny si sentì stupida. Veramente stupida.
Non aveva pensato a Ron. Non
aveva pensato a Pansy. Aveva pensato che Harry… ok poteva
smettere di pensarci.
Sorrise. Era come la storia del processo. Harry era una persona
riservata con i
fatti degli altri. E a lei piaceva anche per questo.
“Ok. Scusa, se ho pensato male…”
Harry fece un’altra faccia sorpresa. “Sei ancora
gelosa?”
“Oh, Harry io sarò sempre gelosa di te!”
esclamò.
“Ma non devi. Per me…” Lei
l’abbracciò.
“Sì sì, mi ricordo quello che hai detto
quest’estate. Baciami come mi hai baciato subito dopo e mi
convincerò ancora.”
Lui sorrise e si
chinò su di lei.
Mentre la baciava sentì il fruscio di lenzuola e
cortine di letti. Si girò e vide un letto gigantesco tutto
bianco che li
aspettava.
“Oh?” Sorrise. Lei divenne rossa e Harry
pensò di
essere il ragazzo più fortunato del mondo.
***
“Per
Godric, calmati Ron!”
Hermione non sapeva più cosa fare. Ron era nervoso e
da quando lei aveva portato la mappa del malandrino in camera sua lo
era ancora
di più.
“Ma perché erano insieme?” chiese il
ragazzo.
“Ci possono essere mille motivi, su no pensare
subito al peggio!”
“Tipo quale motivo?” Hermione non sapeva cosa dire.
Non ne aveva la più pallida idea del perché Harry
e la Parkinson fossero nella
sala trofei. Insieme. Harry non le aveva detto niente. E lei non sapeva
cosa
inventarsi. Poteva essere qualcosa riguardante il Ministero?
“Forse è per qualche pratica al
Ministero”, provò a
buttar lì.
“E perché non ha chiesto a me?” Hermione
scosse le
spalle. Già, perché? Quella ragazza era
maledettamente strana e complicata.
“Forse non voleva tirarti in mezzo perché sei
troppo
coinvolto.”
“Coinvolto cosa che mi ha lasciato!” Hermione
spalancò la bocca. La Parkinson l’aveva lasciato?
Ma quando era successo? Ecco
perché non aveva chiesto a lui. Ma come spiegarglielo? Ron
era così sconvolto.
Ron si
passò una mano fra i capelli mentre si sedeva
sul letto. Prima Neville e ora Harry. Stava dando di matto.
“Perché ti ha lasciato? Per quello che hai detto
in
infermeria?” gli chiese lei.
Ancora con quella storia? Lui non aveva detto
niente! Decise di stare zitto. Scrollò le spalle.
“Qualcosa riguardante il
fatto che lei è comunque una Serpeverde e che è
falsa e cattiva e qualcosa sul
fatto di aver fatto vedere le tette a un ragazzino, per farsi dire
qualcosa che
non voleva dirgli, ieri sera”.
Hermione spalancò gli occhi. “Le tette?”
Lui alzò le spalle. “Ha parlato di scollatura. Non
è
questa?” chiese, indicandosi la parte alta del petto.
Hermione sorrise. “Si è chinata in avanti per
fargli
vedere dentro la scollatura?”
“Sì, forse ha detto
così…” Oh. Non era proprio far
vedere le tette.
“Ma dai! Lavanda lo faceva sempre con te! Non
riuscivi a parlarle perché guardavi sempre in
basso!”
“Non è vero!” A Ron divennero rosse le
orecchie. Lei
rise.
“E ho visto Ginny farlo una volta con
Harry…” Il
rosso fece una faccia strana.
“E tu lo fai con Malfoy?”
Hermione sentì le guance andare a fuoco. “No.
Ma… l’ho
fatto con Krum. E non ne voglio parlare”
sentenziò, arrossendo.
Però… e se ci avesse provato in un momento di
calma
con Draco per chiedergli di Azkaban? Avrebbe potuto funzionare? Lei non
era
brava in quelle cose…
“Almeno ti ha detto perché l’ha
fatto?” gli chiese,
tornando ai problemi del ragazzo.
Ron scosse le spalle. “Per farsi dire qualcosa, ma non
mi ha detto cosa…”
Doveva essere quello che le aveva raccontato dopo la
riunione. “L’ha fatto per sapere la natura di una
festa nascosta che aveva
scoperto. E ha scoperto che la festa andava fermata. E l’ha
fatto. Ha fermato
la festa. Una festa dove si ingannavano ragazzini. Questo non te
l’ha detto?” Il
rosso scosse la testa.
Chissà perché non era sorpresa.
Sospirò e si sedette
sul letto vicino a Ron. “Guarda che non è una
cattiva ragazza” disse lui.
Hermione lo guardò: era così carino che volesse
difendere la Parkinson.
“Io lo so. È lei che non lo sa” rispose
lei.
“Lo
sai che se la Parkinson o Draco avessero una
mappa del malandrino come la nostra, adesso ci vedrebbero in camera
tua, da soli,
molto vicini e sopra al letto?”
Hermione si voltò verso di lui, Ron la guardò e
si
alzò in piedi così velocemente che il letto si
mosse e lei perse un po’
l’equilibrio.
“Non ce l’hanno mica” disse lei,
sorridendo.
Ron scrollò le spalle: si
sentiva tradito. Da tutti.
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