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Autore: Vanclau    17/11/2019    1 recensioni
È quando l'oscurità si fa più fitta che la luce risplende più fulgida. Proprio per questo, nell'ora più tetra dell'umanità, sette fiaccole ardono intense come guide degli uomini; sette spade, sette ragazzi uniti da un destino comune, sette Altari del passato che riemergono nel futuro per scrivere un'altra volta le pagine dei libri di storia.
Genere: Fantasy, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’era un silenzio carico di tensione tra ragazzo e vecchio, come se l’uno aspettasse che fosse l’altro a iniziare quel discorso da tempo rimandato. Alla fine a prendere la parola per primo fu proprio l’ospite inatteso di Edgard, portandosi con fare lento e tremante una mano in tasca da cui estrasse un pacchetto di sigarette. Fin troppe volte gli aveva detto che non gli piaceva si fumasse in casa sua, ma evidentemente non aveva proprio voglia di dargli ascolto.

«Ormai il tempo è giunto, penso che anche tu te ne sia accorto» esordì mentre si accendeva la sigaretta.

«Così pare» rispose il giovane universitario avanzando verso l’unica finestra del salotto che si affacciava in direzione della Torre Eiffel. Mai come in quel momento quello che era il simbolo di Parigi gli era parso tanto incombente sulla città, come un gigante di ferro pronto a calpestare le abitazioni circostanti. Ovviamente, in condizioni normali, sapeva fosse impossibile ma quella in cui si trovavano non poteva dirsi una situazione di “ordinaria amministrazione”. «Sembra tutto così tranquillo» disse quasi parlando a se stesso, osservando le poche macchine che a quell’ora passavano per le strade vicino al suo appartamento; di passanti sui marciapiedi non ce ne era neanche uno, e il tutto si poteva spiegare solo perché la maggior parte delle persone doveva star pranzando dopo essere tornata a casa o aver iniziato la propria pausa al lavoro. Anche Edgard avrebbe dovuto accingersi a preparare qualcosa da mettere sotto i denti, ma la sensazione che continuava a provare gli stava chiudendo lo stomaco.

«Purtroppo questa è una tranquillità fittizia, giovane eroe.» La voce del vecchio aveva un tono quasi sconsolato, come se lui stesso se ne rammaricasse pur essendo stato l’uomo che sei mesi prima si era presentato a casa di uno scettico Edgard apostrofandolo con lo stesso appellativo: “giovane eroe”. Inizialmente il ragazzo non era riuscito a prenderlo sul serio, etichettando il tutto come una storia interessante per un libro o un film, e dandogli del pazzo, ma dopo una semplice dimostrazione aveva dovuto in qualche modo ricredersi. E comunque una parte di lui già sapeva che si sarebbe arrivati al punto di dargli credito, poiché era dalla sua nascita che il destino aveva deciso di giocare con lui.

«Quanto tempo ci rimane?» chiese con semplicità tornando a guardare il vecchio, che continuava a fumare lasciando cadere la cenere in un bicchiere di plastica accuratamente riempito d’acqua. Al suo interno c’erano già quattro cicche spente, segno che lo stava aspettando da diverso tempo, o forse il vizio del fumo era peggiorato rispetto all’ultima volta, con quel precipitare degli eventi.

«Difficile da stabilire con accuratezza» fu la risposta mentre spengeva quella quinta sigaretta e si alzava dalla sedia, raggiungendolo e guardando anche lui la Parigi pomeridiana. «Ma potremmo non riuscire ad arrivare alla fine di questo mese.»

«Così poco tempo» sussurrò Edgard, ormai rassegnato. «Cosa posso fare?»

«Per impedirlo? Niente.» La risposta era stata lapidaria, senza lasciar spazio ad alcuna possibilità, come del resto Edgard si poteva aspettare. Già aveva compreso che ormai il destino, nel quale lui si era sempre rifiutato di credere, aveva decretato quel che sarebbe accaduto. «Però ciò non significa che il destino di questo mondo sia già segnato. L’unica cosa di cui sono sicuro è che saranno le nostre azioni a decretare il futuro che nascerà.»

«Questo già me lo hai detto ma sapere quel che potrebbe succedere e non poterlo impedire fa male.»

«Anche se non possiamo impedire il completo svolgersi degli eventi, potremmo poi sistemare tutto.» Il vecchio di poggiò una mano sulla spalla. «Dobbiamo accelerare i tempi.»

«Forse so dove cercare» rispose Edgard. «Ma da solo non credo di poter fare molto.»

«Sottovaluti le tue capacità, e comunque non sarai solo. Voi sette siete l’unica speranza di luce per questo mondo destinato a cadere nell’oscurità.»

«Ma al momento ci sono solo io» provò a ribattere il giovane. «Non sappiamo nulla degli altri sei, né se si trovano in Francia o in altri Paesi, se non addirittura fuori dall’Europa.»

«Penso di averne trovati altri due come te, e almeno uno sembra già essere a conoscenza di tutto. Partirò questa notte per portarli qua. Non ti preoccupare» aggiunse subito prima che Edgard potesse dire qualcosa in risposta. «Tornerò prima che sia troppo tardi per te e questa città.»

Edgard annuì, osservando la sagoma del vecchio dai lunghi capelli di un colore a metà tra il grigio e il bianco dirigersi verso l’uscita rivolgendogli solo un cenno con la mano per salutarlo. Sapeva che lui era fatto così, spesso spariva per settimane e una volta era arrivato a stare lontano per due mesi alla ricerca di chi era come Edgard, il quale pur conoscendo e avendo visto tutto ancora faticava a crederci in cosa si fosse ritrovato. Lui era improntato verso la scienza, la realtà dei fatti che poteva constatare con i sensi e i macchinari creati dalla tecnologia contemporanea, ma forse proprio per questo non poteva permettersi più il lusso di non credere. I suoi occhi erano stati testimoni di cose che non poteva altrimenti spiegarsi, al limite del surreale, sin da quando aveva incontrato quel vecchio che gli si era presentato con un nome a lui tanto familiare che la prima volta lo aveva lasciato basito per la serietà con cui era stato pronunciato, prima che lo stupore venisse sostituito da scherno e poi da incredulità. «Spero davvero che io possa fare qualcosa come sembra che tu creda» sussurrò dopo aver visto la figura sparire. Non aveva aperto la porta e si era incamminato per le scale del condominio, ma semplicemente dove prima c’era il vecchio era rimasta inizialmente una figura che pareva composta da semplice fumo nero prima di non lasciare alcuna traccia di sé. Era in quel modo che poteva entrare nel monolocale di Edgard pur senza averne le chiavi, e ormai il giovane si era abituato al vederlo usare quel teletrasporto, pur non riuscendo minimamente a concepirne la base scientifica. Il vecchio la chiamava magia, ma in un mondo improntato verso le scoperte scientifiche credere all’esistenza della magia non era semplice, e lo scetticismo di Edgard era stato messo a dura prova sin dalla prima volta che aveva visto di cosa si era capaci con la magia, una forza che poteva addirittura essere in grado di riscrivere le leggi stesse della natura e della scienza. Da dove scaturisse una simile capacità gli era ignoto e poteva quasi affermare che ormai si era giunti al punto dove finiva la scienza.

 

La spada riluceva tra le sue mani mentre l’ammirava in tutto il suo splendore. Finalmente l’aveva trovata, ancora faticava a crederci, ma il suo compito ancora non era concluso. Trovava alquanto incredibile come in un epoca dove le guerre si combattevano con le armi da fuoco, i mezzi corazzati e altri armamenti volti ad avere sempre più potenza distruttiva un’arma da taglio come quella potesse seriamente decretare il futuro del loro mondo. Eppure, nonostante il tutto sembrasse apparire impensabile, come il delirio di un folle, i sogni non mentivano. Quella che stringeva tra le mani in quel momento era realmente una delle Sette, come gli aveva detto il vecchio, e finalmente dopo tanto cercare era riuscita a trovarla. La lama sembrava nuova, come fosse appena uscita dalla forgia di un abile fabbro, eppure Jeanne sapeva che doveva avere almeno millecinquecento anni, e quando l’aveva trovata poteva dire li dimostrasse tutti. Era stato in quel momento che, dopo aver stretto l’elsa dell’arma che sembrava adattarsi perfettamente alla sua mano, la lama si era come ripristinata in maniera autonoma, facendo sparire ogni traccia di ruggine e dello scorrere del tempo che l’avevano resa un rudere da museo. Gioiosa era a quel punto apparsa in tutta la sua magnificenza, proprio come Jeanne se l’era sempre immaginata sin da quando aveva appreso della sua esistenza, e al solo guardarla un senso di nostalgia la attanagliava, facendole scendere alcune lacrime.

Scosse la testa, cercando di riprendersi. Quelli non erano i suoi ricordi, i suoi sentimenti, e doveva assolutamente iniziare a dividere quel che sentiva lei veramente da quel che era stato il passato di un completo estraneo. Inoltre non poteva restare in quel luogo a lungo o si sarebbe trovata davvero nei guai siccome si era ritrovata a fare qualcosa di non prettamente legale. Sapeva che rubare era sbagliato, e pur avendo vissuto gran parte della sua vita per strada aveva sempre cercato di arrangiarsi con quel che racimolava in giro e alle volte riuscendo anche a prendere qualcosa come elemosina, pur essendo per lei motivo di imbarazzo chiedere soldi agli sconosciuti. In tutti i suoi quindici anni di vita non aveva mai, prima di quel giorno, compiuto un furto e una parte di lei si sentiva “sporca” per quel gesto, sebbene venne subito ricacciata indietro sostituita dal pensiero che, se era per il bene collettivo e il futuro di quel mondo, gli avrebbero potuto anche perdonare il furto di una spada da un museo che pareva tenuta solo per completezza della collezione dell’Ottocento, senza realmente sapere il valore di quell’arma; e comunque, ora che era tornata al suo antico splendore, nessuno l’avrebbe riconosciuta.

Doveva però sbrigarsi ad andarsene o poteva essere scoperta. Dopo alcune indagini aveva scoperto che quel giorno il museo sarebbe rimasto chiuso al pubblico per far arrivare una nuova collezione, così approfittandone aveva usato uno di quei trucchetti, come gli piaceva chiamarli, che il vecchio gli aveva insegnato per riuscire a rendersi invisibile e a non far scattare l’allarme dopo aver forzato la teca nella quale era custodita l’arma, ma purtroppo non aveva l’addestramento per mantenere a lungo i suoi incantesimi e presto si sarebbe trovata completamente alla mercé di eventuali guardie o degli uomini che in quel momento stavano lavorando per portare i pezzi oggetto della prossima mostra.

Con passo rapido si diresse verso le finestre che illuminavano a giorno la stanza, facendola in parte sentire sia esposta sia una grande ladra in erba, avendo avuto l’ardire di compiere un furto in un museo in pieno giorno, anche se chiuso al pubblico. Sorrise a quel pensiero mentre con estrema accuratezza apriva il vetro cercando di fare il minimo rumore. Poteva rendersi temporaneamente invisibile agli occhi, mascherando anche tutto ciò che voleva, come stava in quel momento facendo con la sua spada o i suoi vestiti, ma il rumore della finestra che si apriva poteva comunque essere udito, e la stessa finestra poteva essere vista aprirsi da sola. «La prossima volta mi faccio insegnare quel teletrasporto» si ripromise mentre scivolava fuori e chiudeva la finestra con un altro di quei trucchetti, restando attaccata a una fessura del palazzo. Ringraziando il suo corpo atletico si lasciò cadere atterrando con una flessione delle gambe per attutire l’impatto. La vita per strada le aveva insegnato molto, forse anche troppo su come sopravvivere e trovare la soluzione migliore a ogni circostanza, e continuava a chiedersi se fosse un bene o un male; certo probabilmente senza aver imparato quel che ora sapeva sarebbe morta, ma se non avesse dovuto vivere per strada non ci sarebbe stato bisogno di migliorarsi in certi campi volti alla sua sopravvivenza, quindi il dibattito sulla sua condizione, la sua fortuna e la sua sfortuna, era tutt’altro che chiuso.

Dopo essersi assicurata che nessuno si fosse accorto di nulla si allontanò più velocemente che poté, raggiungendo quel che da qualche tempo era divento il suo rifugio in meno di una ventina di minuti e iniziando a cercare un posto dove nascondere l’arma. Non poteva renderla invisibile per sempre, il dispendio di energia sarebbe stato eccessivo, e non poteva rischiare che qualcuno gliela rubasse o, peggio, che venisse trovata in possesso di una spada da qualcuno che avrebbe potuto avvertire le forze dell’ordine; l’ultima cosa che poteva permettersi era di finire in un qualche orfanotrofio con tutto ciò che stava per accadere, vedendosi anche Gioiosa requisita.

Ormai di nuovo visibile, stava ancora cercando dove poterla lasciare quando un suono di passi la fece voltare allarmata, prima di rendersi conto che conosceva quel volto rugoso adornato con lunghi capelli grigi. «L’ho trovata!» esultò senza riuscire a celare una nota d’orgoglio nella voce.

«Sapevo che potevi farcela» rispose lui con un cenno d’assenso. «Ero però solo passato a salutarti, purtroppo non potremmo vederci per un po’ di tempo.»

La felicità per l’impresa appena compiuta scemò dagli occhi di Jeanne, che non riusciva a comprendere cosa l’uomo volesse dire. Per lei, cresciuta in mezzo alla strada, in quegli anni era stato quasi un secondo padre, aiutandola nei momenti di difficoltà, crescendola pur non avendo un tetto da darle sopra la testa e insegnandole tutto ciò che sapeva. «Non puoi abbandonarmi anche tu» disse in un sussurro.

«Non è mia intenzione, ma devo lasciare la Francia e fare ritorno in patria per qualche giorno, mi dispiace non essere riuscito a dirtelo prima.»

«Ma tornerai?» chiese lei speranzosa.

«Sì, te lo prometto, piccola Jeanne, e prima di quanto tu creda.»

Jeanne annuì, non riuscendo a dire nulla con gli occhi che si stavano fin troppo velocemente riempiendo di lacrime. Sebbene l’uomo le avesse promesso che sarebbe stato solo per qualche giorno non poteva far altro che avere paura di quella temporanea separazione, come se un oscuro presentimento iniziava a farsi strada tra i suoi pensieri.

Lo vide allontanarsi con fare lento e quel passo un po’ zoppicante che lo contraddistingueva, la schiena incurvata coperta dal leggero giacchetto nero sgualcito, come se un enorme peso invisibile gravasse sulle sue spalle e la verità non era poi tanto lontana da quella semplice fantasia.

«Merlino!» riuscì infine a chiamarlo; forse era la prima volta che usava il suo nome al posto di qualche appellativo come “vecchio” e “nonno”.

L’uomo si arrestò, voltandosi, e nei suoi profondi occhi azzurri Jeanne vide una stanchezza che non si capacitava come potesse appartenere a un uomo come Merlino, il quale gli aveva sempre mostrato una vivacità incredibile nonostante l’aspetto anziano. Non riuscì ad aggiungere altro di fronte a quello sguardo, e Merlino si limitò a un cenno di saluto con la mano prima di riprendere il suo cammino.

 

«Abbiamo così poco tempo?» chiese O’Brian al telefono, il tono di voce preoccupato, un’insolita novità per Julius che era solito disprezzare l’eccessiva sicurezza ostentata nella voce e nei gesti del professore.

Ancora non riusciva a capire per quale motivo l’uomo lo avesse chiamato con tanta urgenza, facendolo precipitare in quel bar sotto casa di O’Brian, per poi rivolgergli a malapena la parola prima di trascorrere tutto il tempo al telefono con un misterioso interlocutore, al quale si era rivolto inizialmente con il termine “maestro”.

Finalmente la telefonata finì e Julius ricevette le attenzioni di O’Brian che gli rivolse uno sguardo fin troppo serio per i gusti del giovane. «È tempo di prendere una decisione» disse con fare semplice e schietto. «Abbiamo bisogno di te.»

Julius non si scompose. «Già ti ho detto la mia decisione.»

«Tu non capisci o non vuoi capire quanto potresti essere importante, ragazzino.» Nessuno sembrava far caso a loro tra i pochi presenti nel locale.

Il barista arrivò al loro tavolo portando i due espressi che avevano ordinato e Julius si concesse un attimo per bere il suo. «Capisco benissimo invece» rispose fingendo una tranquillità che non aveva. Era quasi certo di aver scorto non solo delusione per la risposta ma anche un pizzico di rabbia negli occhi di O’Brian, sentimento innovativo per uno che era sempre stato composto di fronte ai continui rifiuti ricevuti. «Capisco che voglio rimanere fuori da questa storia.»

«Questa storia riguarda tutti noi, tutto il genere umano, e te specialmente, Julius.» O’Brian non sembrava voler cedere. «Senza il tuo aiuto finirà molto male, per chiunque!»

«Sette.» Quel semplice numero fu detto da Julius con un tono pensieroso. «Se noi siamo ben sette potreste non aver invece alcun bisogno di me, e lascio volentieri questo compito agli altri sei.»

O’Brian sospirò. «Posso capire sia il tuo scetticismo sia la tua volontà di restare fuori da una faccenda così pericolosa, ero preparato al tuo rifiuto e speravo di avere più tempo per convincerti.»

«Che intendi?» Julius non capiva dove O’Brian volesse arrivare.

«Sappiamo che ce ne sono almeno due in Francia, uno in Spagna e tu in Inghilterra» continuò il professore. «Ma al momento abbiamo trovato solo due armi, e di queste solo Gioiosa è in nostro possesso. Abbiamo bisogno di Excalibur o le conseguenze potrebbero essere peggiori di quanto previsto.» La voce di O’Brian era diventata quasi un sussurro, come per evitare di essere ascoltato da orecchie esterne, ma forse era una preoccupazione eccessiva; anche gli ultimi clienti del bar erano usciti e il barista, stava sistemando piatti e tazzine nella lavastoviglie mentre il suo collega alla cassa sembrava più intento a stare col cellulare piuttosto che a guardare cosa gli accadesse intorno.

«Allora dovreste raddoppiare o triplicare i vostri sforzi» commento Julius con una scrollata di spalle e fare disinteressato.

«È proprio quello che sto facendo con te! Potrebbero non essercene altri in tutta la Gran Bretagna ed è stata una vera fortuna che tu ed Excalibur vi trovaste entrambi a Londra!»

Il ragazzo sospirò. «Mi dispiace ma sono fuori da tutto questo. Ti ho aiutato a trovare Excalibur per evitare che finisse in mani sbagliate, questo era il patto.» Si alzò dal tavolo. «Ora cerca di trovare il modo di prendere quella maledetta spada e lasciami tornare alla mia vecchia vita. Confido che gli altri sei siano in grado di sopperire anche alla mia mancanza.» Dopo aver lasciato una manciata di monete per pagare il caffè, odiando che altri gli offrissero qualcosa, prese la direzione dell’uscita.

«Te ne pentirai, Julius!» Gli arrivò la voce di O’Brian alle orecchie. «Capirai che non puoi lasciare solo ad altri quel che è anche compito tuo!»

Fuori faceva freddo e il giovane infilò le mani nelle tasche della giacca; erano temperature insolite quelle per l’inizio di Giugno, quando doveva già iniziare a sentirsi il caldo dell’estate.

Si fermò in un edicola a comprare una rivista videoludica su cui figurava in prima pagina l’articolo per presentare la nuova console prevista in uscita quello stesso mese e sorrise nel vederne l’immagine. In tutti i campi la scienza faceva passi da giganti, e dopo il primo allunaggio del 1969 di Neil Armstrong si erano susseguite altre missioni volte a scoprire ogni segreto di quel vasto Universo, tra l’invio di sonde su altri pianeti del Sistema Solare fino a veri e propri viaggi spaziali di altri esseri umani nell’ultimo secolo, soprattutto su Marte sebbene ci fossero stati giri di ricognizione anche su pianeti come Venere e Giove per vedere dal vivo quel che prima di allora si era potuto ammirare solo con le immagini delle sonde. Risultava difficile credere alla magia e al soprannaturale in un periodo storico dove la scienza stava prendendo il sopravvento e persino religioni e pratiche non prettamente scientifiche venivano abbandonate e rivisitate in funzione delle nuove scoperte. In quell’ambito soprattutto le religioni monoteiste sembravano più avvezze a modificarsi e accettare l’evidenza scientifica anziché sparire e in quel frangente Julius, che non era mai stato veramente religioso, non dimenticava che lo stesso Einstein credesse nell’esistenza di un’entità superiore e che scienza e religione fossero complementari; però se non l’avesse visto con i suoi occhi e soprattutto nei suoi sogni non avrebbe mai creduto alla reale esistenza della magia.

«Se davvero accadesse quanto ha previsto O’Brian potrebbe essere la fine della scienza» si disse dirigendosi verso la fermata dell’autobus. Aveva lasciato a casa il motorino, preferendo non consumare benzina per una conversazione che già sapeva dove sarebbe andata a parare.

Fu proprio mentre attendeva l’arrivo del mezzo pubblico che percepì una sensazione inusuale, come se qualcuno lo stesso osservando pur non vedendo nessuno in particolare che pareva focalizzare il suo sguardo su di lui. Quella sensazione lo mise a disagio, portandolo a guardarsi spesso intorno finché non alzò istintivamente gli occhi al cielo, come se un qualcosa dentro di lui lo avesse avvisato da dove quello sguardo provenisse.

Rimase immobile, ogni possibile esclamazione che morì sul nascere mentre osservava il punto dove, ipoteticamente, doveva trovarsi il sole. In condizioni normali la luce avrebbe dovuto accecarlo, ma qualcosa sembrava essere in grado di affievolirla come ci fosse una nuvola invisibile ad oscurare l’astro giallo che in quel momento sembrava anche aver perso la sua consueta funzione di fonte di illuminazione. Intorno alla stella luminosa si era invece andata a disegnare la forma di un occhio, con il sole che ne era la pupilla incandescente. Quell’occhio fiammeggiante lo aveva già visto in passato, era una cosa ricorrente dei suoi sogni, e improvvisamente ne ebbe paura ricordando la immagini di distruzione che seguivano la sua apparizione, però c’era anche qualcosa di diverso. L’occhio era come incompleto, alcune linee di quel fumo nero che lo componevano erano irregolari pur andando a disegnarsi in maniera quasi costante, e soprattutto nessuno sembrava essersene accorto tra i passanti e coloro che attendevano con lui alla fermata dell’autobus.

Julius rievocò suo malgrado le immagini dei suoi sogni, come in seguito alla sua apparizione la distruzione pareva dilagare in tutta la città e come l’occhio in quel momento fosse visibile a chiunque.

Non aveva mai dubitato una singola volta della previsione di O’Brian, ma non credeva fosse rimasto così poco tempo e ogni volta che ripensava alle sue parole gli sembrava che parlasse di un futuro ben distante da quello in cui si trovavano.

Distolse lo sguardo solo quando si accorse che le altre persone alla fermata iniziavano a farsi più vicini al bordo del marciapiede, intuendo che l’autobus era arrivato come al solito senza emettere un singolo rumore.

Da quando si era scoperto come implementare tecnologie di levitazione ai mezzi di trasporto riuscendo anche ad abbassarne i costi ormai i mezzi a ruote erano sempre più in diminuzione e pochi come Julius continuavano a preferire un motorino di vecchia generazione al posto di quelli a levitazione, che oltre a costare in maniera eccessiva per le finanze del ragazzo gli sembravano troppo similari a delle moto d’acqua che andavano sull’asfalto ed esteticamente non gli piacevano.

Mentre saliva sul mezzo un boato lo fece voltare di scatto, mandandolo a urtare involontariamente l’uomo che gli stava davanti che si era arrestato e guardava nella sua stessa direzione, segnale che il rumore poteva non essere legato all’occhio o che comunque lui non era stato il solo a udirlo. Quel che vide gli gelò il sangue.

   
 
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