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Autore: CyanideLovers    26/11/2019    5 recensioni
Dopo aver tentato un compositore alla fama e al successo, Crowley è maledetto dalla moglie e tormentato dal suo fantasma fino alla fine dei suoi giorni. Aziraphale farebbe di tutto pur di salvarlo, l'unico problema è che non sa cosa sta succedendo e, in ogni caso, il problema potrebbe essere molto più complicato di quel che sembra.
Ispirata dalla sonata "Il trillo del Diavolo" di Giuseppe Tartini.
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ATTENZIONE: Nella storia ci saranno riferimenti a diversi temi delicati, nasce come una storia horror, leggete con cautela.
Genere: Angst, Dark, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Anatema Device, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Madame Tracy, Shadwell
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Oneirataxia'
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Probabilmente

non sei più chi sei stata

ed è giusto che così sia.»

(Eugenio Montale - "Gli uomini che si voltano", vv. 1-3)

 

 

 

 

Mayfair, Londra, Inghilterra, 530 giorni dopo l’Apocalisse che non c’è mai stata. 

 

Crowley ci aveva provato altre due volte. 
Era come se non uscisse dal suo appartamento da secoli, eppure la prima volta che aveva messo un piede fuori di casa era dovuto tornare subito indietro. 
In quei momenti, non riusciva a non pensare cosa sarebbe successo se, incrociando una vetrina o uno specchio, avesse di nuovo visto la donna. Sapeva che non sarebbe potuto succedere, ora che l’illusione era stata svelata sarebbe stato impossibile tornare indietro, l’idea lo tormentava comunque. 
Il vuoto era sempre presente, camminava come uno spettro tra gli umani che aveva sempre amato e odiato allo stesso tempo, ma che non avevano mai fallito di incuriosirlo, affascinarlo, stregarlo con le loro vite sconclusionate, le loro invenzioni geniali, il loro modo di essere né buoni né cattivi. 

Tutto faceva male, ogni movimento una fitta intensa, le bende tiravano sulla pelle che si stava riformando. Lontano da Aziraphale si sentiva perso. Al tempo stesso, un senso di oppressione lo assaliva ogni volta che incrociava il suo sguardo, insicuro su quanto tempo avesse perso tra una conversazione e l’altra. 
 
Gli occhi azzurro chiaro dell’angelo erano come un lago su cui si riflettevano tristezza e dolcezza, avvertiva ogni volta una leggera sensazione di disagio perché sapeva che avrebbe dovuto sentirsi allo stesso modo.  
A volte era difficile convivere con quella mancanza di sentimenti, soprattutto se accanto a lui c’era qualcuno che li esibiva in modo così palese. 

Non sapeva dove stesse andando. 
Si aggirava per la città senza una meta, perso nei suoi pensieri. A volte i piedi lo portavano da qualche parte, senza che la mente se ne rendesse conto. Questa volta, il suo corpo si era fermato davanti alla porta di un edificio. 
Crowley guardò il nome sul campanello, conscio che avrebbe dovuto suonare, spiegarsi e chiedere scusa. 

Aveva due scelte davanti a lui:  
Allungare il braccio e premere quel pulsante o girare i tacchi e attraversare la strada. Da quella parte, c’era un pub che prometteva litri e litri del liquore più scadente. La tentazione di annegare quella totale mancanza di quel qualcosa nell’assenzio e nel whiskey era allettante. L’idea di poter dimenticare cosa fosse successo solo per qualche ora, di potersi lasciarsi indietro le bruciature e le ali che non era sicuro sarebbero mai guarite… e forse il suo corpo sarebbe tornato ad essere una tela bianca su cui qualcuno avrebbe potuto scrivere qualsiasi storia avesse desiderato. Un demone dell’inferno che colleziona anime sudice e meschine, ecco cos’era, e sarebbe bastato per dimenticare, dimenticare, dimenti 

“Crowley?” 
La voce lo fece trasalire, si girò scoprendo con orrore che dietro di lui c’era Madame Tracy, sorpresa nel trovarlo davanti alla sua porta. 
“Ti serviva qualcosa, tesoro?” 
“Ah, ngk, no. Io ehm —” 
“Ti andrebbe una tazza di the?” Domandò la donna. 
“Ah, no. Non vorrei disturbare.” 
“Non essere sciocco, andiamo. Ti prenderai un raffreddore a stare qui fuori.” Lo prese per un braccio e lui si ritrovò a indietreggiare senza volerlo.  
La mano della donna rimase appoggiata per un momento sul suo avambraccio, un tocco leggero, impercettibile, come se sapesse delle bruciature che costellavano il suo corpo. Lei si avvicinò piano, prese il suo braccio con gentilezza e solo quando fu sicura che il tocco non gli procurasse nessun problema, lo accompagnò silenziosamente dentro casa. 

L’appartamento di Madame Tracy non era molto diverso da come lo ricordava: piena di ninnoli e stravagante, colori mischiati insieme che rendevano la casa stranamente piacevole alla vista. La donna si diresse in cucina e Crowley si domandò, per un momento, come mai fosse uscita di casa.  
Quando glielo chiese, lei rispose che non lo sapeva. Aveva avvertito la necessità impellente di uscire per un momento, forse per prendere una veloce boccata d’aria. Strano. 

 
“Dimmi tesoro, c’è qualcosa che posso fare per te?” Domandò la donna con un sorriso gentile sedendosi davanti a lui, solo il delicato tavolo di legno a dividerli. 
“Io—” iniziò Crowley, “Io vorrei chiederti scusa, Tracy.” Disse con lo sguardo basso. 
“Oh, Crowley,” sorrise lei “Non hai niente di cui scusarti.” 
“No, io devo farlo. Per favore.” Disse lui, senza guardarla in faccia, “Mi dispiace di aver urlato, di essermi comportato in modo tanto stupido con te e Shadwell.” Provò ad aggiungere altro ma gli si strinse la gola. Non era mai stato bravo in quel genere di cose. 
“Tesoro,” rispose lei “ti ho spaccato un vaso in testa e ammanettato al letto. Direi che siamo pari, no?” 
Lui non riuscì a soffocare una debole risata “, quella è stata una sorpresa.” 

Lei rise con lui e rimasero per qualche secondo in un confortevole silenzio, sorseggiando il tè ognuno perso nei propri pensieri.  
Madame Tracy, notò lui, era bella e aveva quell'aura che ricordava di aver visto solo intorno alle madri più amorevoli. Iniziò a chiedersi se avesse mai avuto figli. Scostò velocemente quel pensiero, notando che nella casa della donna non c’erano foto di bambini o di giovanotti e di certo quelle erano il genere di cose che una donna tiene in casa, anche se i figli erano cresciuti. O almeno, così aveva sentito dire. 

“Crowley,” disse ad un tratto la donna, scostandolo dal suo divagare “Posso farti una domanda?” 
“Certo.” 
Non aveva ancora toccato il suo . Le sue mani tremavano troppo. Sperò che la donna non lo notasse. 
“Tu sai che genere di persone vengono qui?” 

Lui arrossì per un momento. Ricordava quali fossero i due mestieri di Madame Tracy, di certo non la giudicava per questo (uno degli umani che aveva amato di più al mondo era stata una prostituta, d’altronde) ma per qualche strana ragione immaginare nello stesso contesto la donna gentile di fronte a lui era estremamente imbarazzante. 
Lei si lasciò sfuggire una risata argentina, come se avesse letto per l’ennesima volta quello che gli frullava in testa. 

“Non intendo quello, tesoro.” Disse in tono leggero scuotendo una mano “Voglio dire, sai chi viene qui per parlare con Madame Tracy?” 
“No.” Disse ancora un po’ rosso in viso. 
“Persone che hanno perso i loro cari.” disse lei e il sorriso divenne triste. “Sai, credo che la maggior parte di loro sapesse che era tutta una truffa. Perdere una persona che è stata vicina a noi per tanto tempo… bè, è destabilizzante.” 
Crowley strinse una mano al petto. Il serpente dentro di lui iniziò di nuovo ad agitarsi. 

“È così evidente?” 
“Tesoro mio, con questo lavoro ho visto così tante cose che sono diventata una specie di esperta.” 
“È solo che,” provò a dire lui, “lei era cattiva. Sussurrava cose, quasi costantemente, ed ero così abituato a sentirla e vederla che perderla… dovrei esserne felice, giusto? Contento, triste?” Domandò incerto “No, no, non dovrei essere triste, questo è fottutamente ridicolo. Non so cosa dovrei provare, non sento niente e —” smise di parlare, realizzando che non sapeva cosa dire. 

La donna lo guardò tristemente, gli prese la mano e la accarezzò teneramente. Durante quei mesi in cui Crowley si era rifiutato di vedere chiunque, afflitto dalla febbre e dalla stanchezza, Aziraphale non aveva mai abbandonato il suo fianco. Ogni tanto qualcuno dei quattro umani erano andati a trovarlo ma lui si era sempre rifiutato di vederli. L’angelo aveva accennato qualcosa a Crowley ma non sapeva quanto in là si fosse spinto nello spiegare cosa fosse successo. 
Non importava al momento. 

“Sai, tesoro, a volte amiamo persone che ci fanno del male.” Disse e lui si chiese come fosse possibile che lei avesse capito un sentimento così profondo che neanche lui riusciva a identificare. “E questo non è giusto, nessuno dovrebbe farci del male. Succede, purtroppo. Piangere la loro scomparsa non è da deboli o da stupidi, il vuoto che lasciano è comunque straziante.” Tracy lo guardò, il suo sorriso triste non sembrava mosso da pietà ma solo da un grande affetto. 
“Ne hai parlato con Aziraphale?” 
“Non voglio, è umiliante.” 
“Non vergognarti dei tuoi sentimenti, tesoro.” Disse lei “Quell’uomo ti ama così tanto, avresti dovuto vederlo. Avrebbe mosso mari e monti pur di salvarti. Ma adesso ha bisogno che gli parli, che gli spieghi ciò che provi.” 
“Non voglio che lui pensi che sia pazzo. Voglio dire, sicuramente già lo pensa, ma non posso dirgli che ho amato una persona che non è mai stata lì.” 
“Non essere sciocco adesso.” Mormorò lei “nessuno di noi pensa che tu sia pazzo.” 

“Il fatto è che…” disse stringendo più forte la mano intorno alla sua maglietta, accogliendo per un momento il dolore che sprizzava dalla sua mano “lei ha detto una cosa che mi ha spaventato, qualcosa di terribile.” 
“Cosa?” 
“Che lui — Crawly, il serpente — è ancora dentro di me.” Disse, per un momento avvertì una fitta al cuore, non fisica, non faceva davvero male ma allo stesso tempo il dolore era straziante. Avvertì gli occhi pungere e per la prima volta dopo settimane (mesi, anni?) iniziò a piangere. Nascose il viso tra le mani. “È qualcosa che non posso lasciare che accada, fa paura. Non posso perderlo, non di nuovo.” 
Il ricordo di Aziraphale senza vita sotto di lui, in un mare di sangue, lo perseguitava ogni volta che incrociava lo sguardo dell’angelo. 

Madame Tracy si alzò dalla sedia, per un momento Crowley pensò che lo avrebbe sbattuto fuori di casa. Invece si avvicinò a lui, lo abbracciò delicatamente lasciando che appoggiasse la testa contro il suo stomaco. Mani amorevoli come quelle di una madre gli accarezzarono i capelli e lei disse, tristemente: 
Sai già che devi dirglielo. Capisco che tu voglia proteggerlo, ma non riesco a immaginare tu che cerchi di fargli del male. Però voi due siete anche un po’ degli idioti e avete chiaramente bisogno di parlare.” 

“Sto impazzendo in quell’appartamento, non riesco a starci, ogni maledetto mattone mi ricorda cosa ho fatto e io non sono sicuro di poter affrontare quella casa così vuota quando Aziraphale se ne andrà.” 
“Perché dovrebbe andare via?” 
“Perché si spaventerà, scapperà via come fanno sempre tutti.” 
“Io non sto scappando, tesoro mioDi certo non lo farà lui.” 
“Tu non sai le cose che ho fatto, quante volte l’ho tradito.” 
“Ma lui ti ama nonostante tutto, no? Andiamo, facciamo una passeggiata, ti accompagno fino a casa così potrai parlare con il tuo bell’angelo. Porto con me un vaso, così se prova a scappare posso tirarglielo in testa. Disse con tono deciso la donna, senza rompere il loro abbraccio. 

Crowley emise uno sbuffo che sarebbe potuto sembrare una risata se non fosse stata soffocata dai singhiozzi. La donna aspettò pazientemente che si sfogasse. Il calore emanato dal suo corpo era come un balsamo lenitivo, e il demone si lasciò cullare per un momento da quel senso di dolcezza. Non aveva idea dove fossero finiti gli occhiali. In un altro momento si sarebbe vergognato del suo tracollo, così impetuoso dopo settimane passate a ignorare quei sentimenti troppo difficili da affrontare. 

Si sentì fluttuare, non come era successo in passato, c’era un improvviso senso di calma, di sollievo nel poter finalmente avvertire qualcosa. 
Quando si fu calmato, Madame Tracy lo aiutò a rialzarsi e si incamminarono verso la porta. 
Per la strada, a braccetto e stretti per schermarsi un po’ dal freddo, Tracy parlava del più e del meno, mentre il demone ascoltava, confuso dalla sua gentilezza. Ancora prima che potesse rendersene conto, erano davanti alla porta del suo appartamento. 

“Madame Tracy!” salutò Aziraphale con un sorriso, quando varcarono la soglia. 
Aveva uno sguardo preoccupato, probabilmente perché era sparito per delle ore, ipotizzò Crowley. O forse era per il suo aspetto, per il viso rosso e gli occhi gonfi dopo aver pianto. Magari era per tutte e due. 
“Buongiorno, caro. Sembra che io abbia catturato un bel ragazzo tra le mie grinfie questa mattina. Disse lei ridacchiando. 

“Crowley…” sospirò l’angelo sollevato. “Stai bene?” 
Lui non rispose, si sciolse dall’abbraccio della donna con un sorriso appena accennato, andandosi a sedere sul divano a braccia conserte. 
“Madame Tracy, posso offrirti una tazza di ?” Domandò l’angelo, sforzandosi di sembrare naturale, come se niente fosse successo. 
“Oh, no tesoro. Ho alcune commissioni da fare, ci vediamo presto.” Disse lei e poi rivolse lo sguardo verso Aziraphale portandosi un dito sulle labbra, sorrise e fece l’occhiolino. Girò i tacchi e uscì dalla porta, lasciandolo congelato sul posto, con un elegante sopracciglio alzato che diceva: Ma che diamine è successo? 

Per un po’ ci fu un silenzio imbarazzato, e l’angelo commentò: “Madame Tracy che rifiuta il , che mondo è questo?” 
“Probabilmente è uno dei sette segni di una nuova apocalisse.” Disse Crowley con voce roca. Aziraphale sussultò impercettibilmente, non più abituato ai commenti sarcastici del demone. 
Decise che era un buon segno. 

 Sedendosi accanto a lui disse “Com’è stata la tua passeggiata?” Non perché fosse la cosa più intelligente da dire, ma erano rimasti per così tanto in silenzio che credette che Crowley non avrebbe più parlato. 
“Sono spaventato.” Disse il demone, come se non avesse sentito la domanda. Non sapeva come iniziare quella conversazione, aveva paura di non riuscire a esprimere tutto ciò che provava e quindi decise di sputare il rospo, dire tutto il più velocemente possibile. “Sono triste, sono felice, non mi sento al sicuro… tutto insieme. Non so come spiegare…” disse incerto. 
“Fai del tuo meglio, mio caro.” Lo incoraggiò lui, stupito dalle sue parole. “Io rimarrò qui ad ascoltare, non importa cosa mi dirai.” 

Crowley emise un sospiro tremolante. Poi iniziò a parlare, gli spiegò tutto, di come avesse amato una donna crudele che non era mai esistita, del vuoto dentro di lui, il serpente nel suo petto e Crawly nello specchio. La costante paura che quella calma in cui stavano vivendo non fosse altro che una bolla di sapone pronta a scoppiare al minimo sbuffo di vento. Ancora peggio, che non fosse reale. 
“Ma Crawly è reale, angelo. Posso sentirlo mentre districa e intreccia le sue spire proprio al centro del mio cuore. Sono terrorizzato all’idea che un giorno prenderà il sopravvento e ti attaccherà.” 

Aziraphale rimase in silenzio, guardandolo intensamente con i suoi meravigliosi occhi azzurri. 
“Perché dovrebbe farlo?” Domandò con tono curioso. 
“Lui è un demone.” 
.” Rispose sincero l’angelo. 
“Ha condannato tutta l’umanità… è cattivo.” 
Aziraphale si prese un momento per pensare a cosa rispondere. Non aveva dubbi su quel che avrebbe detto ovviamente, sentiva solo la necessità di usare per una volta le parole giuste. 

“Credo che io e te ricordiamo Crawly in modo decisamente diverso.” Era doloroso dover parlare di lui in terza persona, per il suo bene lo fece comunque. “Mio caro, lui è lo stesso demone che ho protetto con le mie ali dalla pioggia, che mi ha fatto sentire il suono di un gishgudi per la prima volta. Quello che ha pianto per i bambini dell’Arca, che ha cantato per me durante quelle notti solitarie in Grecia. Crawly è lo stesso demone che non capiva come qualcuno potesse essere punito per aver chiesto solo un po’ di gentilezza. 

Crowley lo guardava con occhi sgranati, come se non riuscisse a processare quello che avesse appena detto “Ma lui… è un demone. Il serpente che si agita dentro di me, che ha condannato l’umanità. Mi ricorda costantemente che un giorno potrebbe prendere il sopravvento e ferirti.” Sospirò “Come puoi fidarti di lui?” 
“Questo è semplice, mio caro.” Rispose Aziraphale con un sorriso, neanche una nota di esitazione nella voce. “Io mi fido di te. Non ho niente da temere, non importa quante volte dovrò ripetertelo, tu non hai fatto altro che proteggermi. Adesso lascia che faccio lo stesso per te.” 

“Ma allora, come puoi fidarti di me? Ho ucciso una persona, Aziraphale.” Disse serio, con lo sguardo terrorizzato mentre calde lacrime gli solcavano il volto. “Non lo avevo mai fatto, lo giuro. Lo so che sono un demone, dovrei provare piacere per questo genere di cose, ma non avevo mai ucciso nessuno. Vorrei che andassi via, vorrei che restassi, vorrei dimenticare ma ho paura di farlo. So che hai detto che in questo modo l’ho salvata, ma non ce la faccio più a sentire discorsi come ‘tutto succede per un fine più grande’ perché questo non cambia il fatto che io abbia ucciso una persona innocente.” 
C’era tristezza nella voce tremolante del demone. Aziraphale lo guardò provando uno strano senso di sollievo nel vedere che il demone lasciarsi andare finalmente al pianto. 

(Era una sensazione particolare, essere contento nel vedere così disperato la persona che amava di più al mondo. Ma vedere Crowley così apatico, durante quelle settimane trascorse in un silenzio quasi mortale, quando solitamente era così energico e pieno di vita, era stato uno spettacolo terrificante. Dove c’era disperazione, paura e tristezza, potevano sbocciare anche speranza, coraggio e felicità e Aziraphale sentì che quello era il suo fine ultimo, la sua missione eterna: far rinascere tranquillità e passione nel cuore del suo più caro amico.) 

“Dovrei essere punito, Angelo. Non so come vivere con questo peso sulla coscienza.” Sospirò profondamente e aggiunse con un tono sconsolato: “Non so cosa fare, Aziraphale. Non ce la faccio più a essere solo.” 
L’angelo sorrise. Il guardiano dentro di lui spalancò le ali ed emise tanta luce da poter oscurare il sole. Nell’appartamento, lui non fece niente di tutto ciò ma accorciò le distanze, abbracciò il demone rispose: 

“Sai, mio caro, in questi giorni ho pensato molto.” Incominciò, accarezzandogli la schiena. “Ho pensato al tempo. A come sia breve per gli umani, a come sia infinito per noi. A come abbiamo agito da stupidi, soprattutto io, a come abbia disegnato una linea tra di noi che non è mai esistita. Ho pensato a come sembri così assurdo, ma anche così giusto, che il mio corpo si incastri perfettamente con il tuo, come se fossimo due metà di una mela che combaciano perfettamente.” Fece una piccola pausa, un dolce sorriso, poi riprese il suo piccolo monologo. “Non ti insulterò dicendo di capire cosa stai provando. L’unica cosa che posso dire è che tu l’hai salvata, Crowley. Se davvero credi di meritare una punizione per questo, amore mio, lascia che ti dica una cosa: Dio stesso mi ha comandato di salvarti. Hai scontato la tua pena, adesso è il momento per entrambi di andare avanti, iniziare un nuovo capitolo come esseri liberi. Non importa quanto sarà difficile, io sarò accanto a te in ogni momento.” Guardò Crowley mentre piangeva, e il demone avvertì un senso di sollievo espandersi dal centro dello sterno. Sembrava stanco e Aziraphale lo strinse un po’ di più a sé. 

“Quindi ecco cosa faremo: adesso ti accompagnerò a letto e mi sdraierò accanto a te. Tu ti addormenterai e io aspetterò che tu ti senta abbastanza riposato da svegliarti di nuovo. Torneremo alla libreria, raccoglieremo quei pochi oggetti che sono importanti per noi — i miei libri, le tue piante, il mio , la tua Bentley, i miei vestiti datati, i tuoi strumenti musicali — perché forse, è arrivato il momento di smettere di avere qualcosa che sia solo tuo o solo mio e finalmente avere qualcosa da poter chiamare nostro.” 

“Nostro?” 
“Una casa, per esempio. Un letto, un giardino. Degli amici, un cielo stellato, un vicinato tranquillo, giornate trascorse insieme e smettere di pensare a noi due come due entità separate ma come una sola.” 
“E tu faresti questo per me?” 
“Lo farei per noi.” 
“Ma... tu ami la tua libreria.” 
“Amo di più te.” Rispose lui con un soffice sorriso, “C’è solo una cosa che voglio da te se accetterai la mia proposta.” 
“Cosa?” Domandò Crowley con gli occhi che luccicavano per le lacrime, lo sguardo speranzoso. 
“Vorrei che cercassi di essere più gentile con Crawly. Io lo amo immensamente perché è parte di te. E se ancora non puoi vederlo, va bene, io ho abbastanza amore per entrambi… ma promettimi che ci proverai.” 

Crowley annuì piano, dimenticandosi come si usassero le parole per un momento. Aziraphale fu abbastanza soddisfatto anche così. Aspettò che il fiume di lacrime si placasse. 
Avvertì improvvisamente una stanchezza schiacciante, come se trecento anni di paura e terrore si fossero finalmente districati dalla sua schiena. L’angelo lo accompagnò a letto, come aveva promesso, si mise accanto a lui e quando furono entrambi comodi, iniziò a far scorrere le sue dita fra i suoi capelli. 
“Adesso dormi, amore mio. Io veglierò su di te, non permetterò a nessuno di disturbare il tuo sonno. Quando ti sveglierai, lo farai dopo aver sognato ciò che ami al mondo.” 

 

 

 

 

Quando ti sveglierai, lo farai dopo aver sognato ciò che ami di più al mondo. 

 Per la prima volta dopo secoli non sogna nulla di terrificante. 
Crowley sogna invece un giardino, l’erba morbida sotto il suo stomaco, due amanti che danzano nudi su di un prato. Sogna ali bianche che lo proteggono dalla pioggia, foglie di un verde brillante, qualcuno che gli sussurra parole dolci all’orecchio. 
Non erano niente di mondano quei sogni ma qualcosa di domestico che aveva sempre desiderato: cucinare per cena, stendere una tovaglia bianca su di un tavolo. Annaffiare delle piante, qualcuno che legge ad alta voce un libro. Un piccolo cottage con mobili di legno, una grande serra sul retro con muri di vetro per far entrare il sole. Indossare un vestito bianco e candido. Un divano rivestito di un terribile pattern tartan che avrebbe amato, notti tranquille spese a sorseggiare cioccolata calda e a guardare le stelle. Ogni tanto c’era della musica a volume alto, una macchina che sfrecciava veloce, il dolce suono di un pianoforte. 
In questo contesto, la cosa che sogna più spesso è un angelo che rimane sempre accanto a lui, che lo ama e che non smetterà mai di farlo. 

poi: 
sogna dei bambini che corrono in un prato. 
Qualcuno ruba una mela, mani piccole che si allungano e l’agguantano. I bambini ridono, qualcuno si arrabbia ma non succede nessuna disgrazia. Sono solo bambini, sono abituati fin dall’inizio all’idea di crescere e cambiare, mettersi nei guai e poi essere perdonati. La promessa di un amore, di neve che dondola e cade, di fiori che sbocciano. Sogna un’estate che inizia senza mai finire, in un giardino che è tutto loro, da dove non verranno mai scacciati e dove ci sono mele che nessuno ha vietato di mangiare. 

poi: 
sogna un cimitero. Sogna una ragazza, capelli biondi ed occhi chiari avvolta in un abito nero. La ragazza si avvicina e lui la guarda, incuriosito. Per un istante ne ha paura, vorrebbe iniziare a correre, scappare. La ragazza si ferma accanto ad una tomba. Forse sarebbe davvero fuggito se non fosse che la ragazza alza lentamente una mano e si sfila via il pesante velo dal viso; si svela. 
La guarda meglio e forse si era sbagliato. Il viso è dolce, i capelli biondi brillano come il sole, indossa un vestito leggero e bianco come la neve. 
E Dio, è bellissima. 
Lei sorride, lo guarda dolcemente e dice “Grazie.” 

poi: 
sogna di essere sul muro orientale dell’Eden. Accanto a lui, Crawly. 
I due demoni indossano una lunga tunica scura, rovinata e bruciata alle estremità, sono a piedi nudi, hanno lunghi capelli rosso fuoco, occhi gialli da serpente, ali nere spiegate dietro le loro schiene. Né angeli, né demoni, né umani avrebbero potuto capire la differenza tra i due. Lo stesso vale per loro. 

Bhè, questo è strano.” Dice quello a destra. 
“Dovrei forse dire Bhè, questo è stato proprio un bel fiasco?” 
“Non rubarmi le battute.” 
“Mi sembra giusto.” 

Per un po’ c’è un silenzio imbarazzato, i due riprendono a guardare l’orizzonte. 
“Ma tu hai capito cosa è successo?” Domanda uno, genuinamente confuso. 
“Ah, ehm…non del tutto, onestamente.” 
“Sai, credo di aver esagerato con te. Non hai mai cercato di fare del male a Aziraphale. Non credo che lo faresti mai.” 

Bhè, grazie per averlo notato finalmente.” Il tono è sarcastico e pungente, ma nasconde una vena di sollievo. “Comunque non credo che lui abbia granché bisogno di protezione. Da cosa lo abbiamo salvato, qualche scartoffia? Lui ti ha protetto e accudito per trecento anni senza mai chiedere nulla in cambio. È perfettamente capace di badare a sé stesso.” 

“È entrato in una chiesa chiedendo all’Onnipotente di farlo cadere, se davvero avesse creduto che fosse un peccatore per avermi amato.” 
“Che ha fatto?! Domanda scioccato l’altro. 

“Giuro su D— Sat— Qualcuno che quell’angelo non ha alcun senso di autoconservazione.” 
“Forse questo è il motivo per cui lo amo.” 
“Quando lo hai capito?” 
“Qui, su questo muro. Subito dopo aver detto che aveva dato la spada agli uomini. C’è una piccola pausa “Tu?” 
“Roma. Mi ha tentato ad andare a pranzo con lui. Riesci a crederci? Un angelo che tenta un demone.” 
I due ridono di gusto, ci mettono un po’ prima di riprendersi. 

“Stavo anche pensando… la mela.” 
“Tu non fai altro che pensare a quella maledetta mela.” 
“Non credo che tu abbia fatto del male dandola agli uomini.” 
“Io credo,” dice l’altro “che alla fine una mela sia solo una mela, gli umani sono sempre stati così, sia buoni che cattivi.” 
“Magari era semplicemente qualcosa destinato a succedere. Sai, ineffabile.” 
“Tu che parli di ineffabilità?” Domanda con un uno sbuffo “Davvero, questa è la conversazione più strana che abbia mai avuto.” 
“Forse Aziraphale ha sempre avuto ragione e noi siamo stati così stupidi da non rendercene conto.” 

“Noi?” 
“Tu e io.” Precisa l’altro. 
“Quindi tu… ehm… mi perdoni per essere caduto?” 
Lui si gira a guardarlo e per la prima volta i loro occhi si incrociano. Il demone davanti a lui ha gli occhi lucidi, specchi gialli che si riflettono nei suoi, luminosi come gemme. Allunga una mano verso di lui, abbracciandolo e creando piccoli cerchi tra le scapole, lungo l'attaccatura delle ali, cercando di consolare il demone che adesso piange fra le sue braccia. L’altro ci mette solo un momento per ricambiare il gesto. 

“Inizio a credere che forse non sia stato un errore cadere. Certo, ha fatto male, ma il Paradiso non faceva per noi, abbiamo sempre fatto troppe domande. Questo non significa che l’Inferno fosse meglio. Però se non fossimo caduti non avremmo mai incontrato Aziraphale.” 
Lui piange e il demone dai capelli rossi continua a disegnare piccoli cerchi lungo la sua schiena. “Sono stato uno sciocco a non capire che tu sei parte di me quanto io di te e mi dispiace, anche tu sei stato solo troppo a lungo. Non preoccuparti, adesso ci sono io qui per te.” 
Rimangono abbracciati ancora un po’. Quando si dividono entrambi hanno guance rosse e sembrano lievemente imbarazzati. 

Ma quanto sei gentile.” Dice uno dei due. 
“Ah, zitto.” Ridacchia l’altro. 

 

 

 

 

 

Il vero primo giorno del resto delle loro vite. 

Il vero primo giorno del resto delle loro vite inizia con il blu. Fili d’oro. Il colore rosa pesca. Crowley sbatte le palpebre un paio di volte, scoprendo che il blu non sono altro che gli occhi di Aziraphale che lo guardano mentre riprende conoscenza. I fili d’oro sono i suoi capelli, di solito così chiari da sembrare bianchi come la neve, che con il sole estivo che entra dalla finestra alle sue spalle diventano dello stesso colore di un gioiello, come se un’aureola gli incorniciasse il volto. Il rosa pesca è la sua pelle, morbida e calda. 
Crowley sbatte le palpebre. Lo fa lentamente, ripetutamente, perché l’angelo davanti a lui è una visione celestiale e lui fino a ora non aveva mai veramente compreso quanto fosse bello e luminoso. 

“Buongiorno, amore mio.” Cinguetta l’uomo. 

“Angelo.” Dice lui, con gli occhi lucidi, ancora un po’ assonnato. Chiude gli occhi per un momento, li riapre, l’angelo è ancora lì. Crowley si lascia sfuggire un sospiro di sollievo che non sapeva di star trattenendo. 
“Hai dormito bene?” 
“Angelo, io… quanto tempo?” 
“Un mese.” Dice lui, con uno sguardo rilassato. 
Crowley assaggia l’aria e c’è qualcosa di diverso, perché l’atmosfera intorno a lui sa di  al gelsomino, vecchi libri e legno caldo. 
“Siamo nella libreria?” chiede. 
“Nell’appartamento di sopra.” Conferma Aziraphale. “Visto che non ti svegliavi mi sono preso la libertà di spostare qui alcune delle tue cose, spero che non ti dispiaccia.” 

“No, no… va bene.” Crowley lo guarda, ancora sdraiato fra coperte morbide e candide “Io — angelo, Zira, io — ho fatto un sogno bellissimo, così tanti, non mi sono mai sentito così felice e credo… credo… credo che mi stia per venire un infarto!” balbetta. 
Si porta una mano al cuore, Aziraphale lo guarda, sgrana gli occhi. Crowley li vede diventare enormi mentre l’angelo porta una mano sul suo petto, ascolta il battito cardiaco veloce come quello di un uccellino. Ma Crowley non sembra sofferente, sorride rilassato, ha le lacrime agli occhi ma non sembra triste. 
“Ah, folle di un serpente.” Dice Aziraphale con l’espressione di uno a cui si sono arruffate tutte le penne. “Lo farai venire a me l’infarto.” 

Entrambi ridono, finché non piangono di gioia, finché le risate non si trasformano in baci, tanti baci, diciamo che i baci furono talmente tanti da essere impossibili da contare. Passa molto tempo prima che riuscissero a separarsi. 
Nessuno dei due sembrò incline a lamentarsene. 

Un centinaio di dichiarazioni d’amore più in là — e altri baci, ovviamente, frasi che sembrano uscite da un poema scritto nel quindicesimo secolo, perché Aziraphale non aveva mai smesso di parlare di Crowley come un nobile durante il Rinascimento, non che il demone fosse da meno dato che raramente rinunciava a un po’ d’effetto scenico — Crowley si ritrova seduto tra Anathema e Tracy, mentre sorseggia una tazza di tè e osserva Aziraphale mentre adagia i suoi preziosi libri in grossi scatoloni. Accanto a lui, Shadwell e Newt lo aiutano a smontare i pesanti scaffali. 

“Allora, Crowley. Quando avete intenzione di sposarvi?” Domanda Anathema. Crowley rischia per un attimo di soffocare con il tè che gli è appena andato di traverso. 
“Esatto, Quando?” Insiste l’altra. 
“Ah, ehm, ngk… non credete che sia un po’ presto?” 
“Presto?” Domandano in coro le donne, “Tesoro sono seimila anni che vi girate intorno come due gallinelle che beccano dalla stessa ciotola, direi che è arrivato il momento di far in modo che Aziraphale ti renda un demone onesto.” Dice Madame Tracy giocherellando coni capelli del demone che ha ancora il viso rosso nascosto nella tazza. 
“Non voglio andare troppo veloce per lui.” dice. 
“Oh, basta con queste stupidaggini.” Sbuffa Anathema. “Credo proprio che stiate andando alla stessa velocità.” 
“Dici?” 
“Ho detto quello che ho detto.” Dice lei, con tono fermo. 

“Dovete sbrigarvi a sposarvi, ho la mia età, non voglio sembrare una vecchia raggrinzita quando direte i vostri .” Dice Tracy ridacchiando. 
Per un momento Crowley ha una strana luce negli occhi, prende la mano della donna dai capelli rossi e la stringe un po’ più forte. 
“Tracy tu sei la donna più bella che io abbia mai visto. Se mi sposo non ti voglio al mio matrimonio, mi faresti sfigurare.” Dice, con un sorrisetto furbo. 
“Oh, tesoro, tu sei il demone più dolce che io abbia mai conosciuto.” 
“E io sono la ragazza più gelosa che sia mai esistita nell’universo! Insomma, devo andare a dire a Aziraphale che qualcuno sta cercando di rubargli il fidanzato?” Domanda sarcastica, Anathema. 
I tre iniziano a ridere, Crowley mette un braccio intorno alla spalla della ragazza. 
“Per ora sono anche felice così, il matrimonio è un concetto tutto umano, non ne abbiamo bisogno… credo.” 

Ha ancora il viso rosso come un pomodoro, quando Aziraphale appare da dietro uno degli scaffali. 
Può sentire Shadwell blaterare su come un demone abbia tentato all’ozio le due donne visto che si rifiutano di aiutarlo e Newt imprecare a voce molto bassa per essersi dato una martellata su un dito. 
“Di cosa state parlando, voi tre?” Domanda l’angelo con uno sguardo innocente. 
“Niente!” Rispondono in coro le due donne e il demone, tutti e tre con un ghigno sardonico in faccia. 

 La vita si muove velocemente quando non hai più paura di guardarti allo specchio.  
È un po’ come cadere, ma è una sensazione molto più dolce. Crowley e Aziraphale sono sempre stati due punti fermi in un mondo che si muove molto più in fretta di loro. Senza mai cambiare, ogni giorno, secolo, sempre uguali a quel primo pomeriggio di sei mila anni fa quando, per la prima volta, avevano parlato. 

Forse, dice un giorno il demone mentre guarda il cottage che avevano appena acquistato, anche per loro era arrivato il momento di cambiare. Decidono di comune accordo di darci un taglio con la magia, iniziano, o almeno ci provano, a vivere come due umani nella media, se non si conta che non invecchiano, che il cottage sembra contare molte più stanze del dovuto — cosa che farebbe ammattire qualsiasi geometra — e che la lavatrice è tanto benedetta quanto maledetta. 

Per ora, Crowley è ripreso con mano ferma da chiunque tutte le volte che solleva qualcosa più pesante di un foglio di carta. Questo perché Aziraphale afferma che, seppure le bruciature siano guarite quasi del tutto, le ali ci mettono molto più tempo. Crowley è ancora debole e fragile ma l’angelo gli assicura che stanno guarendo, che lui sta guarendo. Aziraphale gli dice che passerà presto e Crowley gli crede. 

(Per “essere ripreso con mano ferma” s’intende che il demone viene spesso fermato da qualsiasi atto che possa sembrare anche solo lontanamente Stancante — con una necessaria lettera maiuscola — nei modi più disparati. Gli aneddoti più esilaranti, per tutti meno che per il demone, sono quella volta in cui Shadwell lo aveva sollevato e trasportato fino al divano come un sacco di patate, dopo averlo sorpreso a cercare di recuperare alcuni dei suoi strumenti musicali per portarli in macchina. A poco erano servite le proteste, minacce, le (finte) maledizioni, l’uomo e Tracy lo avevano avvolto in una coperta talmente stretta da far sembrare il demone l’anello mancante fra l’occulto e un burrito. 

La seconda volta — Aziraphale ancora la racconta quando si ritrovano per Natale — era stato quando il demone si era incamminato fino al suo appartamento per recuperare la Bentley. Newt e Shadwell, le sue autoproclamate guardie del corpo, lo avevano seguito per tutto il tragitto cercando di non farsi notare. Crowley ovviamente se ne era accorto, ma aveva fatto finta di niente. Questo, finché Newt non aveva preso le chiavi della macchina. 
A poco erano servite le proteste dei due, Crowley si era, letteralmente, ancorato alla macchina strillando: 
“Neanche tra un milione di anni, neanche una piscina piena di acqua santa mi convincerà a lasciarti guidare la mia bambina. Ho visto cosa fai ai computer, non ti lascerò neanche sfiorare con un dito l’amore della mia vita!” 
“Ma senti un po’, e dire che credevo di essere io l’amore della tua vita!” Sbuffa, quel bastardo di Aziraphale, apparendo dal nulla. 
“Angelo, adesso non è il momento, — e comunque se tu hai abbastanza amore per me e Crawly io ne ho per te e la Bentley — il punto è che nessuno oltre me può guidare la mia ragazza.” 

Crowley non sapeva cosa fosse successo. Sapeva solo di essersi ritrovato nel sedile del passeggero, un’Anathema nervosa e sudata stava guidando lentamente la Bentley per le strade di Londra. Nonostante fosse un vecchio modello, quindi terribilmente difficile da guidare, la ragazza maneggiò la macchina in modo eccelso, soprattutto considerando che Crowley aveva osservato ogni suo movimento con l’espressione di un serpente che punta un topolino.) 

 

 

 

 

 Ci sono serate tranquille, adesso. 
Pomeriggi assolati, giorni spensierati, notti trascorse sorseggiando del vino costoso mentre si raccontavano vecchi aneddoti. 
Quando Crowley ispeziona il suo giardino, le piante tremano sotto il suo sguardo.  

Adesso, quando grida, sembra più una recita e le piante sono ben felici di fare la loro parte. Esprimono tutto il loro potenziale, le foglie diventano più verdi, quelle che possono fioriscono, le piante da frutto regalano prelibatezze. Tutto per rendere felice il loro amato serpente. 

(Ma soprattutto, sono terrorizzate da Aziraphale. L’angelo le elogia quasi costantemente ma quando nota una macchia su una foglia la guarda e dice “Davvero, non sono arrabbiato, sono solo molto deluso. Non credi che Crowley meriti di meglio?” Le piante decidono di comune accordo che sarebbe stato meglio se si fosse messo a urlare, non sopportano il senso di colpa. Il risultato è che il loro è il giardino più bello dell’intero villaggio.) 

C’è qualcosa che non aveva piantato che cresce nel giardino.  
Crowley se ne accorge solo qualche settimana dopo. Osserva il germoglio con le mani in tasca, un sopracciglio alzato. 
“E tu cosa sei?” Domanda. 
Ogni tanto lo minaccia. Non sembra mai spaventarsi e questo lo disturba immensamente. 

Trascorre un anno e il germoglio cresce e diventa un albero. 
“Un fottuto albero di mele, angelo.” Dice Crowley guardando preoccupato l’alberello che se ne sta tranquillo sul bordo del giardino. “Un fottutissimo albero di mele.” ripete. 
Aziraphale non ha bisogno di sentire, per l’ennesima volta, che c’è un albero di mele nel loro giardino. Può benissimo vederlo da sé. 

“Magari è un simbolo di pace.” Dice lui. “Un modo per Lei di dire che è felice che tu stia meglio.” 
“Allora avrebbe piantato un albero d’ulivo, non di mele.” 
“Magari è stato solo il vento che ha portato un seme nel nostro giardino, caro.” 
“Il vento?” 
“Una… casualità, magari.” 
“Stavi per dire Ineffabile, vero?” 
“Dico solo che forse non è altro che un semplice albero di mele.” 
“Non può essere una coincidenza.” 
“Bè,” dice Aziraphale sorseggiando del the “quantomeno non è un roveto ardente.” 

Per Aziraphale sarà anche solo un albero di mele ma Crowley non si fida. Vieta a tutti di mangiare le mele dell’albero per sicurezza, non lo annaffia mai e non lo cura, eppure l’albero cresce forte e rigoglioso. Ogni tanto, quando si sente particolarmente astioso nei confronti dell’albero, torna dentro casa e riappare qualche secondo dopo con un’ascia. La appoggia contro il tronco, giusto per tenere il punto e ricordargli che potrebbe abbatterlo. Non che ne abbia il coraggio, s’intende. 
 

Succede tutto un giorno di luglio di tre anni dopo: tutti stanno chiacchierando amabilmente mentre I Quelli giocano nel giardino. Adam e Dog si rincorrono, Pepper spinge Brian e gli urla di raggiungerlo, Wensleydale cerca di placare gli animi. Tutti ridono e tutti si divertono. 
Questo, finché Pepper non si arrampica sull’albero. Stacca uno dei frutti e lo morde. Adam grida qualcosa e lei gli lancia la mela e lui imita la ragazza. 
Crowley, che ha visto tutta la scena, si lascia sfuggire un urlo strozzato, ma si sbriga a soffocarlo con la mano. In piedi accanto a lui, Aziraphale gli mette una mano sulla spalla. Entrambi guardano il cielo limpido e per un momento c’è un profondo silenzio. 
Non ci sono tuoni. 
Fulmini. 
Saette. 
Nessuna voce tuonante, nessuna condanna, niente di niente. 
Il cielo è ancora limpido e Crowley lo guarda, sconvolto. 

Bhè…” dice Aziraphale deglutendo rumorosamente. “Questo  che ti fa tornare indietro con la memoria, vero?” 
Crowley lo guarda, ancora tremante. “Un vero viaggio per il viale dei ricordi, angelo.” 

 

 

 

 

 Quello che ama di più Aziraphale è guardare Crowley tornare a essere il vecchio demone di un tempo: sarcastico, audace, divertente, scaltro e gentile. 
Lo guarda prendersi cura delle sue piante, appisolarsi su ogni superficie orizzontale della casa, prendere pigramente il sole in estate, accucciarsi sotto una marea di coperte in inverno. 
Aziraphale lo osserva, cerca di assicurarsi che il demone sia al sicuro e che si senta tale. Di notte, si avviluppa intorno a lui, gli bacia la fronte, il naso, le guance, guarda mentre il demone arrossisce, lo sente tremare leggermente e lo stringe un po’ più a sé, perché in quei momenti Crowley sembra un po’ più fragile del solito. 
Ma lui è lì, solido e fermo. Lo guarda con i suoi occhi ambrati, le pupille sottili, gli prende le mani, incrocia le dita con le sue. Entrambi rimangono stesi sul letto. 
Lo facevano, qualche volta. Rimanevano distesi senza fare niente, semplicemente godendosi l’uno la presenza dell’altro. Aziraphale spalanca le sue ali sopra la testa del demone, coprendolo totalmente per tenerlo al caldo e al sicuro. 

“Angelo?” 
?” 
“Questo è reale?” 
“Certo, mio caro.” 
“Ogni tanto non ci credo. Sembra troppo bello.” 

C’è una pausa. 

“Crowley?” 
?” 
“Posso rivelarti un segreto?” 
“Tu puoi dirmi qualsiasi cosa, angelo.” 
“Anche io ogni tanto penso che sia un sogno. Per esempio, quando sono così felice.” 
“Davvero?” 
“Già. Però io so che è reale.” 
“Come?” 
“Sembra giusto... come se tu dovessi essere proprio qui in questo momento, accanto a me.” 

Un’altra pausa. 

Aziraphale.” 
“Dimmi pure, caro.” 
Anche io sento che questo è reale.” 

 

 

 

 

 Il vero, vero, primo giorno della vita di Aziraphale non era iniziato quando Crowley si era risvegliato. Non era stato neanche quando aveva visto il demone stare meglio, parlare con un tono un po’ più dolce, sorridere più spesso, dormire più profondamente. 
C’è ancora qualcosa che manca, si dice, come se tutti i pezzi fossero tornati al loro posto, meno che uno. Non sa cosa sia, non riesce a vederlo nell’insieme, come se fosse un piccolo dettaglio che potrebbe essere considerato insignificante, se non fosse incredibilmente importante. 
Aziraphale guarda il demone sonnecchiare sul divano e si dice che può anche aspettare e avere fede. 
Essere paziente. 
Essere coraggioso. 

Perché ogni alba era una benedizione, un bacio, una carezza. 
Aziraphale non ci rinuncerebbe per nulla al mondo. 

 

Il vero, vero, primo giorno della vita di Aziraphale inizia quando si sveglia un mattino — perché ormai ha preso anche lui l’abitudine di dormire, così come Crowley quella di mangiare — e sente l’acqua della doccia scorrere. Solo che non è solo acqua, c’è anche un altro rumore. 
Oh, pensa stupito, il rumore è Crowley che canticchia sotto la doccia. 

 

Il vero, vero, vero, primo giorno della vita di Aziraphale inizia quando Crowley canta una canzone dei Queen mentre cucina. Ha un sorriso meraviglioso, una voce così bella, così calda e morbida, che perfino i libri di Aziraphale si sporgono impercettibilmente dalla Libreria per ascoltare meglio. Crowley lo guarda, sorride ammiccante, lo prende tra le braccia e ignora per un momento la colazione:

Dining at the Ritz, we'll meet at nine precisely

I will pay the bill, you taste the wine

Driving back in style, in my saloon will do quite nicely

Just take me back to yours that will be fine

Aziraphale ride, lo guarda con uno sguardo che avrebbe fatto sciogliere anche un ghiacciaio. Crowley canta mettendogli le mani intorno alla vita. 
Ed è un po’ come se un vecchio amico che non aveva più visto da secoli fosse improvvisamente tornato da un lungo viaggio. Aziraphale realizza che gli era mancato terribilmente sentire cantare il demone. 

Il vero, vero, vero, vero, primo giorno della vita di Aziraphale inizia quando sono seduti nella Bentley e Crowley sta cantando così forte che riesce a malapena a sentire il rombo del motore. Guida la sua macchina veloce con lo stesso sorriso di quando stava per fare un dispetto a qualcuno. 

You're
 the first one 
When things turn out bad 
You know I'll never be lonely 
You're my only one 
And I love the things 
really love the things that you do 
Oh, you're my best friend 

Aziraphale lo guarda ed è bellissimo. Finalmente capisce perché Crowley ama così tanto la musica, la sua macchina e le sue piante. Capisce perché si era sempre circondato di tutte queste cose. Può sentire l’amore che riversa in ogni singola nota e parola. Prima erano le sole cose che confortassero il suo più vecchio amico. L’angelo le ama adesso, le ama tanto quanto ama lui. 
Quindi fa qualcosa che non aveva mai fatto prima: canta insieme a lui. 

I'm
 happy at home 
You're my best friend 
Oh, you're my best friend 
Oohyou make me live 
You're my best friend 

 

 

 

 

 Il vero, vero, vero, vero, vero, primo giorno della vita di Aziraphale è quando il demone suona la chitarra, o il pianoforte, o il sassofono, o uno qualsiasi dei suoi strumenti. Le dita si muovono veloci tra corde o tasti. A volte ha un’aria rilassata, altre divertita, ma il più delle volte sembra semplicemente felice. 

Forse il vero, vero, vero, vero, vero, primo giorno della sua vita è quando il demone torna a tentare gli umani, non come faceva un tempo quando era costretto a farlo per conto dell’inferno, queste nuove tentazioni sono tutte opera sua. 
 
Quindi rimane in mezzo alla strada, segue umani a caso, legge i loro desideri più oscuri. 
Dice: , compra quel vestito, saresti meravigliosa. 
Dice: Se tuo marito ti tratta male, dovresti lasciarlo. 
Dice: Se il tuo corpo non ti piace, cambialo. Non ti preoccupare di quello che dice la gente, fallo tuo.  

Crowley se ne va in giro, incolla qualche moneta al marciapiede, tenta alla ribellione, vanità, all'accidia e Aziraphale dovrebbe fermarlo ma c’è un’aria molto più felice adesso tra le strade di Londra, quindi decide che per ostacolarlo l’unica soluzione è invitarlo al Ritz per cena. 
(Perché è un angelo che conosce la sua nemesi da molto tempo, una cena è quel che ci vuole per fermare gli oscuri piani del serpente. Crowley ride, quando glielo dice.) 

 

 

 

 

  No, no. 
Il suo vero, vero, vero, vero, vero, primo giorno inizia in quel pomeriggio di maggio, quando sono in mezzo al giardino che non è mai stato così tanto bello. 
Si stringono la mano, ascoltano l’officiante che sta per sposarli, lanciandosi così tanti sguardi tra di loro che a un tratto lei è costretta a fermarsi e dire “Avete bisogno di un momento, signori?” 
Tutti ridono e loro arrossiscono ma poi tornano a guardarsi sorridendo entrambi come due bambini che hanno appena fatto una marachella. 
Dopo essersi scambiati i voti si girano per un momento e guardano i pochi amici che li hanno accompagnati, come se volessero imprimersi nella memoria i loro visi sorridenti. 
Peccato che tutti stessero piangendo. 

“Forse abbiamo esagerato.” Commenta Aziraphale per poi voltarsi verso Crowley. 
"Diamine , Angelo."  Dice Crowley che riesce a non piangere solo grazie a un miracolo — e un po' dell'aiuto della magia di Anathema perché la sera prima aveva rischiato di sporcare il suo vestito bianco piangendo come una scolaretta perché Domani ci sposiamo. e al Diavolo Il matrimonio è solo un concetto umano — "’Citare A Farewell to Arms’, di Hemingway è stato proprio un colpo basso." 

L’officiante dice: Mi è stato detto che Crowley e Aziraphale si conoscono da prima dell’inizio del tempo, che si sono innamorati a prima vista sul muro di un giardino, in un giorno di pioggia. Ma a vederli oggi così felici posso dire con certezza che non ci saranno nubi ad offuscare il loro cammino, che d’ora in poi il cielo sarà limpido perché hanno scelto di appartenersi per l’eternità. 
 
Lei fa l'occhiolino a entrambi e Crowley guarda Aziraphale, con un sopracciglio alzato, confuso. Però l’ombra dell’albero di mele gioca con la luce sui suoi capelli, i suoi occhi brillano e può sentire l’amore dell’angelo invaderlo completamente. Realizza di non essersi mai sentito così completo e felice. Ogni commento sarcastico viene subito dimenticato perché il demone rimane stregato dalla luce che irradia. 
 
(Però davvero, dice Crowley all'angelo trent'anni dopo in una sera tranquilla dopo la terza bottiglia di vino, Chi è che ha detto a quella donna del giardino e del muro? Perché io non l'ho fatto, tu neanche, Tracy e Anathema hanno detto di no... come cavolo faceva a saperlo? 
Era passato troppo tempo. Non avrebbero mai saputo la risposta.) 

 

 

 

 

O magari, il vero, vero, vero, vero, vero, primo giorno della sua vita è quando Crowley sorride sotto di lui, quasi rilassato, la pelle leggermente sudata e calda. Trema ma questa volta non è per paura. Aziraphale ha solo bisogno di esserne sicuro: 
“Va tutto bene, mio caro?” 
.” Dice quasi senza fiato. “Tu puoi fare tutto quello che vuoi, perché tu sei tu, e io non mi sono mai sentito tanto al sicuro come quando sono fra le tue braccia.” 
Aziraphale lo guarda e vede una luce nei suoi occhi, non solo desiderio, non solo amore incondizionato, non solo pace e felicità. C’è anche la promessa di rimanere insieme per sempre, il mondo potrebbe sparire e lui non se ne accorgerebbe perché lo sguardo di Crowley è ipnotico. 
“Ora stringimi.” Lo invita, il demone. “Ho bisogno di sentirti un po’ più vicino a me, ti ho desiderato per così tanto tempo, angelo.” 
Aziraphale fa come gli viene detto. Una volta Crowley avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui e adesso lui trova impossibile non esaudire ogni suo desiderio. 
“Ti amo.” Sussurra piano, Aziraphale, come se non volesse disturbare la tranquillità intorno a loro. “Ti amo da quel giardino, da quel muro, da quel temporale. Non ho mai amato se non te.” 

 

 

 

 

 Adesso, quando qualcosa di orribile succede nel mondo, quando gli umani diventano più terrificanti dei demoni e di tutto l’inferno, Crowley trema per paura e disperazione. Smette di incolparsi, e questo è quel che basta per permettere ad Aziraphale di stringerlo e consolarlo. 
 
Una volta, a Crowley non sarebbe importato. 
No, non è giusto dire così, perché il demone amava così tanto gli umani da addossarsi la colpa per ogni loro azione terribile. 
Ma prima si sarebbe messo a dormire per un secolo, o avrebbe iniziato a mentire a sé stesso dicendo che non era importante, sarebbe andato in un bar e avrebbe bevuto finché non fosse riuscito a dimenticare anche il suo nome. 
 
Invece, adesso, per una volta dice: Questo è importante. 
 
Ha passato tutta la vita a dire “Non è importante” — e se non tutta la vita, la maggior parte di essa — ripetendosi che non fosse importante la caduta, il dolore, cosa facesse di sé stesso. 
 
Aziraphale dice: È importante, perché tu lo sei per me. 
 
E quindi Crowley decide che , è importante, è essenziale e forse deve smetterla di pensare come faceva un tempo perché anche lui è importante. 
È una nuova prospettiva, a volte fa paura, a volte è rassicurante. 
Perché adesso quando si guarda allo specchio non vede un mostro, un demone. 
Ogni tanto vede Crawly, altre volte vede sé stesso. 
Ma anche quando succede, non è terrificante ma è come ritrovare una vecchia foto di quando si era più giovani. 

Aziraphale sente Crowley dire, con voce rotta dall’emozione, “Sono importante anche io.” e lui finalmente smette di aspettare che arrivi Il suo vero primo giorno. 
Si rende conto di essere stato ridicolo perché ci sono semplicemente troppi giorni, troppe nuove esperienze, da condividere con il demone. 
Non se ne rende conto subito, a un tratto inizia semplicemente a vivere il momento, finché un giorno: 

 

Ständchen 

  (Leise flehen meine Lieder) 

 Da Schwanengesang, D.957 No.4 

(Mentre un angelo prepara del  per lui e per il demone che ama.) 

 

Serata in D minore, 3/4 

La musica era iniziata dal nulla. 
Dolce e delicata, malinconica, bianca e nera. 
Il suono di un violino invade la casa. 
Le note volteggiano fra libri antichi e mobili nuovi di zecca. Al suono, l’angelo lascia andare la tazza di  e si guarda intorno. Il cuore batte all’impazzata. Sono ormai anni che non lo sentiva, troppi ricordi spiacevoli che si accavallano intorno al suono di un violino. 
Cerca il demone ovunque, lo trova sotto il pergolato della loro veranda. 

“Oh,” dice. 

L’uomo davanti a lui è vestito di nero dalla testa ai piedi, ha una morbida treccia che ciondola su una spalla, alto e magro, gli occhi chiusi e la guancia adagiata sul violino che sta suonando. 
Con il braccio segue l’archetto che tiene stretto in mano, come se stesse dipingendo più che suonando. 
La luce della luna lo illumina parzialmente, fa brillare l’anello d’oro all’anulare della mano sinistra, identico a quello che indossa Aziraphale. 

“Ricordi questa canzone, angelo?” 

Aziraphale chiude gli occhi, ascolta attentamente perché avrebbe giurato di non averla mai sentita prima, adesso che glielo fa notare il suono è curiosamente familiare. 

 

Moderato, tempo rubato. 

“Oh,” ripete. “La Canzone.” Dice sorpreso. 

L’avevano sentita sei millenni prima, quando insieme avevano seguito Eva e si erano fermati ad ascoltare la donna cantare per il piccolo Caino. Aziraphale ricordava con quanta ammirazione il demone avesse ascoltato la canzone, perché quel mormorio sommesso non era solo una ninnananna della prima madre per il suo bambino. Le note erano le stesse che Dio cantava ai suoi angeli prima della Caduta, quando l’universo era giovane e non esistevano ancora tristezza e disperazione. 

“Guarda le stelle, angelo.” Dice il demone. 

Lui lo fa, sorpreso quando si accorge che le stelle si muovono a ritmo della musica, come se anche loro fossero incantate dalla maestria con cui Crowley fa scorrere le dita lungo le corde. 
Un umano non lo avrebbe visto, riflette Aziraphale. Per loro le stelle non sono che punti fissi che fluttuano immobili nel cielo. Ma loro due possono vedere il movimento del cosmo, sentire il movimento della terra. 

“Una volta ho tentato un vecchio compositore.” Dice Crowley. “Gli ho chiesto di nascondere queste note per me in una sua composizione.” 

Una pausa. 

“Ero troppo affezionato a quella vecchia canzone, ma se i miei mi avessero sorpreso a suonarla— 

“Era un po’ che provavo a riscriverla.” dice. “Ho provato con il pianoforte, quando tu non c’eri. Con la chitarra e perfino con il sassofono. Con la lira e con l’arpa.” 

Un'altra pausa. 

“Sembra funzionare solo con il violino.” 

 

Dolce in crescendo, continuato. 

“Sembra un po’ malinconica.” Dice Aziraphale ascoltando le note meravigliose che si susseguono e si rincorrono l’una dopo l’altra. 

“Tutte le serenate sembrano un po’ malinconiche quando le suoni con il violino.” 

“Non ci avevo mai fatto caso.” 

Il demone apre gli occhi per un momento, lo guarda intensamente. 

“Sai, in questi giorni ho pensato molto.” 

?” 

.” 

“Hai scoperto qualcosa?” 

“Ho scoperto,” dice il demone “che è stato sorprendentemente facile perdonare Crawly. Facile, perdonarlo per essere caduto, avrei dovuto capirlo prima. 

Esita solo per un momento. 

“Forse adesso è arrivato il momento di perdonare anche Dio.” 

“Davvero?” Chiede sorpreso Aziraphale. 

“Forse questa canzone è malinconica perché Lei sapeva quello che sarebbe successo, magari ha provato a consolarci prima che cadessimo.” 

“Io—” dice inspirando profondamente, senza mai smettere di suonare. “Non ho mai desiderato tornare indietro. Non ho mai desiderato il cielo.” 

“Io, io, ho solo desiderato te per tutto questo tempo.” 

“Lo so, mio caro. La stessa cosa vale per me.” Sussurra Aziraphale 
Crowley è talmente tanto bello da oscurare le stelle che volteggiano sopra di loro. 

“Allora, angelo, lasciami finire di suonare questa mia serenata per te e permettimi di tentarti a passare l’eternità accanto a me. Questa vita sulla terra è così bella.” 

Aziraphale lo guarda. C’è una luce quella sera che non sa come descrivere, non ci sono lingue e parole umane che possano cogliere quel sentimento che si avviluppa intorno al suo cuore. 

“Tentazione compiuta.” Dice sorridendo. 

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE: 

 
C’è un motivo se abbiamo scelto Ständchen di Schubert: l’arrangiamento per violino è particolarmente dolce ma è anche accompagnato da una canzone (una serenata) con un testo così perfetto per questo finale che quasi mi fa male il cuore. vi consiglio di ascoltarla e leggere il testo, perché personalmente ne sono innamorata. 

Ständchen, la canzone.
La traduzione.(serenata n.4)

Ci sono così tante cose che vorrei dire a proposito di questa storia. Prima di tutto grazie a Aspirina_Effervescente che mi ha aiutato a scriverla (anche se a un certo punto la sua parte sadica ha preso un po' il sopravvento e è stato molto difficile da gestire. Ma ti voglio bene lo stesso ahah) e Grazie anche a Setsy per essere stata una meravigliosa beta-reader, sei stata molto paziente con noi, grazie mille!

Poi, grazie mille a tutti quelli che hanno commentato o che commenteranno questa storia. Amiamo ascoltare le vostre opinioni!

Passate una buona giornata <3

 

   
 
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