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Autore: steffirah    15/02/2020    2 recensioni
A causa del lavoro del padre Sakura verrà ospitata a casa di una sua cugina, in una cittadina dal nome mai sentito prima, nell'estremo nord del Paese. Qui farà nuovi incontri, alcuni dei quali andranno oltre la sua stessa comprensione, mettendo a dura prova le sue più grandi paure. Le affronterà con coraggio o le lascerà vincere?
Una storia d'amore e di sangue, di destino e legami, avvolta nel gelo di un cielo plumbeo, cinta dalle braccia di una foresta, cullata dalla voce di un lupo.
Genere: Angst, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eriol Hiiragizawa, Sakura, Sakura Kinomoto, Syaoran Li, Tomoyo Daidouji | Coppie: Shaoran/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Siamo pari


 
Prima di andarcene Syaoran-kun aveva socchiuso per qualche istante le palpebre, parlottando in tono inudibile. Lo scrutai in silenzio finché non incontrò i miei occhi curiosi, e allora mi spiegò che stava comunicando con Eriol-kun, raccontandogli che non mi ero sentita bene e preferivo rincasare prima. Gli aveva chiesto di avvisare i nostri professori e lui gli aveva assicurato che avrebbe anche recuperato tutto ciò che avevamo lasciato in classe.
Durante il ritorno verso casa non staccai neppure per un istante la mano dalla sua, osservandolo di tanto in tanto di sottecchi. Ogni volta che se ne accorgeva mi rivolgeva un sorriso radioso, al quale rispondevo brevemente, abbassando subito lo sguardo per l’imbarazzo. Sapevo di star sbagliando tutto. Non era corretto da parte mia comportarmi così e ogni mia azione si stava rivelando una gigantesca contraddizione, andando contro tutto ciò che mi ero imposta. Facendo scemare ogni mia risoluzione.
Una volta arrivati la prima cosa che mi impose di fare fu di sedermi a tavola e mangiare il mio pranzo, mentre lui se ne andava nelle cucine, gironzolando alla ricerca di cibo. Non dubitavo che non ne avesse trovato anche per sé.
Finii tutto in pochi morsi, intrepida ed esagitata al pensiero che per la prima volta io e Syaoran-kun saremmo stati a casa da soli – il che si faceva per dire, dato che continuava ad esserci la servitù. Se c’era una cosa che avevo capito, tuttavia, era che questa non si sarebbe intromessa a meno che non fossimo stati noi stessi a chiamarla.
Quando tornò si mise al solito posto occupato da Eriol-kun, di fronte a me, riaprendo i biscotti per finirli. Stavolta notai un luccichio quasi invisibile perseverare nei suoi occhi, finché non giunse alla fine e si leccò anche i baffi.
Il suo verdetto fu: «Non male, questa “cioccolata”.»
«Lo dici solo per accontentarmi?» mi accertai, temendo potesse essere mera cortesia.
«No, dico sul serio. Un giorno me la farai riassaggiare?»
Mi illuminai a quella richiesta, annuendo felicissima.
«Certamente!»
Mi chiesi cosa potessimo fare fintanto che non rientravano anche gli altri e pensando a quando andai a casa sua decisi di ricambiare. Fargli fare un giro per tutta la casa sarebbe stato piuttosto inutile, visto che usava già bazzicare il luogo, per cui scelsi di mostrargli direttamente la mia camera, sperando di sorprenderlo. Ed effettivamente così fu.
Sgranò gli occhi dinanzi alla ricchezza del mobilio, girando curioso attorno al letto. Gli permisi di sedersi per provarlo e non appena lo fece commentò: «È morbidissimo!»
«Lo so, è meraviglioso!» esclamai esaltata, lieta di stargli mostrando qualcosa di me.
Si mise composto, sorridendomi sereno. «Era così anche a Tomoeda?»
«Per niente» negai, andando a posare la cartella sulla scrivania prima di proporgli: «Se vuoi puoi anche riposarti, io mi metto a studiare.»
Mi fissò guardingo, per cui aggiunsi, un po’ timida: «Meiling-chan ha detto che anche voi dormite, sebbene con orari diversi dai nostri.»
«Mmh, di solito dormiamo appena torniamo da scuola, svegliandoci poi verso le due di notte, anche per poter andare a caccia indisturbati» confermò. Ero contenta di vederlo più tranquillo quando mi parlava di sé. «Naturalmente possono esserci delle eccezioni e solitamente dipende da quanto dura il giorno rispetto alla notte, dato che è durante esso che tendiamo a stancarci. Per vivere in mezzo agli umani dobbiamo tuttavia adeguarci anche ai loro orari.»
Mi mostrai comprensiva, insistendo.
«Dormi pure, ti prometto che non ti disturbo.»
Piegò la testa su un lato, indeciso.
«Sei sicura che non ti dia fastidio?»
«Per niente!» gli assicurai con un sorrisone. «Approfitta di un letto simile nel pomeriggio finché puoi» consigliai, facendogli l’occhiolino.
Ridacchiò, accettando, e si mise comodo. Si sbottonò la giacca e allentò la cravatta prima di posare la testa sul cuscino, alzando lo sguardo sul suo regalo, appeso sopra il letto; lo sfiorò, facendone tintinnare le stelline, rivolgendomi un breve sorriso prima di chiudere le palpebre.
Ritenni fosse più consono evitare di guardarlo, per cui mi tenni impegnata. Aprii l’armadio e afferrai abiti puliti, andando a cambiarmi in bagno. Feci un rapido bagno caldo per riprendermi dal freddo che la neve mi aveva lasciato addosso e una volta asciutta e vestita mi rimirai allo specchio, infilando la camicetta bianca nella gonna di velluto purpureo, lisciandomela sulle gambe. Mi aggiustai il nastrino sotto l’alto colletto in pizzo, facendone un fiocchetto sia qui che sull’arricciatura delle maniche rigonfie. Mi pettinai i capelli districandone i nodi che mi si erano formati, per poi ritornare in camera e accostarmi alla scrivania.
Presi quaderni e libri, dedicandomi completamente ai compiti, dimenticando per un po’ la presenza di Syaoran-kun. Trascorsero almeno due ore prima che mi stiracchiassi, abbandonando la penna, sbadigliando involontariamente.
Non resistendo più alla tentazione mi alzai, affacciandomi dal tendaggio del baldacchino, sbirciando su Syaoran-kun dormiente. In fondo, non era detto che avrei più avuto occasioni di vederlo così.
Lo contemplai ammutolita, ma quanto più lo osservavo tanto più mi sentivo il cuore stringersi in una morsa. Più che dormire, era come se… come se fosse…. Scossi la testa a quell’orribile raffronto, rifiutandolo. Ciononostante non c’era effettivamente nulla che lasciasse intendere che stesse soltanto dormendo. Non s’era mosso di un millimetro da come lo avevo lasciato, appena s’era steso. Era lì, fermo, immobile come una statua, con entrambe le mani posate mollemente in grembo. Il suo petto non si alzava e abbassava seguendo il ritmo del suo respiro e ciò mi portava a chiedere se effettivamente respirasse. Chissà se perlomeno era loro permesso di sognare?
Mi sedetti sul bordo del letto, allungando un dito sotto il suo naso: non ne usciva aria. Mi feci più prossima a lui, chinandomi per porre l’orecchio all’altezza del suo cuore. Erano molto deboli, eppure dei flebili e lenti battiti c’erano.
Sospirai confortata e mi sollevai di poco per spostargli alcune ciocche di capelli dalla fronte, raddolcendomi dinanzi alla sua espressione distesa.
«Syaoran-kun, sei molto più umano di quello che credi» gli dissi sottovoce, sperando potesse sentirmi.
Spostò impercettibilmente il viso per poggiarsi contro il mio palmo, mormorando con voce impastata qualcosa di incomprensibile. Suonava tipo “wodee in’ waa”. Lo fissai perplessa, domandandomi se non fosse cinese.
Gli carezzai lievemente una guancia, chiamandolo per nome, convinta si stesse svegliando. Lui prese la mia mano nella sua, portandosela sulla bocca, sussurrando in tono lieve: «Sakura…»
Arrossii violentemente, percependo innumerevoli fremiti al di sotto della mia epidermide. Lui era pura elettricità.
Provai a ritrarmi, invasa dal rossore, ma non me lo concesse: con un movimento fulmineo afferrò anche l’altra mia mano, spingendomi all’altro lato del letto, ponendosi sopra di me. Bloccandomi ogni via di uscita e, con essa, il respiro in gola.
Sbattei le ciglia, imbarazzata e spaesata, tentando di capire che cosa fosse successo; allora mi accorsi che si era svegliato e le sue iridi erano più scure di come le conoscevo, di un marrone rossiccio tendente al bordeaux, con striature color ruggine.
Tentai di aprir bocca, ritrovandola secca, arida e riarsa, incapace di formulare alcunché, del tutto senza fiato. Anche così, erano stupefacenti. Anche così, mi sentivo perdermi e sprofondare. E poi, mi sentii sbranare.
Mi rivolse quello che mi sembrava uno sguardo famelico, bramante, mentre avvicinava il suo viso al mio, fino a che il suo naso non si posò su una mia guancia. Mi pietrificai, ma anche se avessi voluto muovermi non me ne ritenevo capace.
Spostò di poco il viso, il suo respiro mi carezzò le labbra, la saliva mi si bloccò in gola, quasi soffocandomi. Scivolò al di sotto del mio mento, sfiorandomi il collo, e qui lo percepii schiudere le labbra.
Probabilmente il mio cuore cessò di battere perché per un lunghissimo istante pensai che fosse giunto il momento. Mi avrebbe morsa, trasformata, resa parte del suo mondo. Avrei dovuto dire addio a mio padre e mio fratello, addio al sole, addio all’estate, addio a Tomoeda, addio ai miei cibi preferiti, addio a molti dei miei sensi, addio al mio rossore, addio al mio sangue, addio al mio cuore. Me lo avrebbero perdonato? Quanto sarebbe cambiato? Che ne sarebbe stato della mia vita umana? Sarebbe scomparsa del tutto? O sarei riuscita a rimanere unita alla mia famiglia e ai miei amici, senza desiderare di ucciderli? Mi sarei controllata, come Tomoyo-chan? Sarei riuscita a resistere al richiamo del sangue senza fare del male a nessuno?
Questi e altre centinaia di quesiti mi affollarono la mente, tuttavia non durarono neppure un istante perché nel giro di pochi secondi Syaoran-kun si allontanò di scatto, finendo con la schiena contro l’asta di supporto del baldacchino al lato opposto, tenendosi ad essa. Mi guardava con gli occhi sgranati, io osservavo i suoi canini sentendomi rimbambita. Erano un po’ più lunghi e appuntiti della norma, ma non per questo facevano paura. Al contrario, avevano un che di affascinante. Ciononostante lui dovette leggere chissà cosa sul mio volto perché si nascose immediatamente la bocca con una mano, scendendo rapidamente dal letto, voltandomi la schiena.
«Che cosa sto facendo…?» lo sentii interrogarsi, quasi come se non se ne capacitasse.
Mi misi seduta, tornando a respirare a dovere, mantenendo la lucidità.
Lui scivolò a terra, nascondendo la faccia in mezzo alle ginocchia, tra le sue braccia.
«Syaoran-kun -»
«Sakura, non avvicinarti» mi intimò, stavolta c’era una nota di disperazione nella sua voce.
Mi morsi un labbro, insicura sul come fosse meglio comportarmi. Gattonai timidamente fino da lui, inginocchiandomi sul materasso, stropicciandomi il bordo della gonna.
«Syaoran-kun, non è nulla di cui devi preoccuparti.»
«Non devo preoccuparmi?!» sbottò, guardandomi arrabbiato. Sapevo che quella rabbia era rivolta contro se stesso. «Sakura, stavo per fare esattamente quello che mi ero assolutamente ripromesso di non fare mai!»
Gli rivolsi un mezzo sorriso, specchiandomi in quelle familiari iridi ambrate. In questo eravamo fin troppo simili.
«A me non è dispiaciuto» ribattei tranquilla.
«Non ti è…?» Digrignò i denti, voltandosi del tutto verso di me, posando violentemente le mani sul materasso ai lati del mio corpo, fronteggiandomi. I suoi occhi lampeggiavano di sgomento e collera. «Tu devi essere pazza! Ti rendi conto che non è una cosa normale? Ti rendi conto che sono uno sbaglio della natura, che non dovrei neppure essere così e che se soltanto fossi più forte riuscirei a controllarmi ed evitare che accada una situazione simile?!»
«Non è accaduto niente» borbottai con un filo di voce, un po’ intimidita, sentendomi triste. Ero sicura che quella fase la avessimo già superata, che ormai lui si stesse accettando per quello che era, e invece mi sbagliavo.
«Fortunatamente no, ma stava per succedere!»
«Ma non è successo» insistei con fermezza. «Syaoran-kun, non prendertela con te stesso.»
Chiuse gli occhi, prendendo un profondo respiro tremante.
Gli posai una mano tra i capelli, carezzandolo con delicatezza, sperando di calmarlo. Poggiai la fronte contro la sua, chiudendo a mia volta gli occhi, concentrandomi sui palpiti del mio cuore.
«Sakura, non starmi così vicina» mi implorò.
«Non è un problema per me» ripetei, chiedendomi come farglielo capire.
«Lo so che hai paura ma non dici niente per rispetto di me.»
«Non ho paura» ribattei turbata. Gli davo quell’impressione?
«Sento che i battiti del tuo cuore accelerano, non serve nascondermelo.»
Pressai le labbra, trattenendo una risata. Era davvero convinto che fosse per quello?
«Non ridere.»
«Scusa» ridacchiai, nascondendomi con una mano. «Ma ti assicuro che non è per questa ragione che accelerano.»
«E allora perché?»
Mi mordicchiai un’unghia, nervosa. Sarebbe stato un bene o un male dirglielo? Esitai, abbassando lo sguardo, vergognandomi un tantino. Con che coraggio potevo rivelarglielo?
Sospirò pesantemente, tirandosi indietro.
«È meglio che io me ne vada» decretò rialzandosi.
«No!» Fu più forte di me, istintivamente gli afferrai una manica, trattenendolo. Non appena me ne resi conto staccai la mano da lui, tenendola occupata per attorcigliarmi i capelli.
«Non resterai da sola, tra poco Hiiragizawa e Daidouji saranno di ritorno.»
Mi imbronciai, delusa. Non era per solitudine che volevo restasse e credevo che ormai fosse chiaro anche a lui.
«Perché non resti fino al loro ritorno?» domandai lagnosa.
«Perché non posso. Non posso rischiare di perdere di nuovo la testa, a quel punto… non potrei mai perdonarmelo» soggiunse cupo, avviandosi verso la porta.
Mi alzai, seguendolo taciturna fino all’ingresso. Dovevo essere comprensibile e comportarmi in maniera matura.
«Ci vediamo domani» lo salutai, quindi, mostrandogli un sorriso.
Ricambiò, e seppure anche lui mise su un sorriso mi resi conto che esso non raggiungeva i suoi occhi.
Sbuffai spazientita, allungandomi sulle punte, afferrando di nuovo il suo braccio per tirarlo verso di me. Raccolsi tutto il mio coraggio, serrai le palpebre e premei le labbra sul suo collo di marmo, sentendomi andare a fuoco. Lo feci durare poco più di una frazione di secondo e quando mi staccai sapevo di essere rossa quanto il costume di Babbo Natale, ma tentai di guardarlo anche se mi vergognavo da morire; trovai anche lui sbigottito e impacciato, il che in qualche modo mi permise spontaneamente di sorridere.
«Così siamo pari» cantilenai sollevata.
Rimase per qualche istante immobile, come se lo stesse rielaborando; poi si fece scappare una breve risata, scuotendo la testa.
«Non siamo pari.» Nel giro di un battito di ciglia si piegò in avanti, facendo lo stesso con me, per subito staccarsi e sorridere raggiante. «Adesso siamo pari.»
E così se ne andò, rivolgendomi un ultimo cenno di saluto, lasciandomi sola a svolazzare follemente insieme a quelle farfalle che ormai scorrazzavano in tutto il mio corpo, in piena frenesia.










 
Angolino autrice:
Hello! Sono riuscita a mantenere la parola, yay! 
Allora, vi spiego solo che l'orario in cui i vampiri si addormentano è dopo le 6 del pomeriggio circa, perché contando anche le attività dei club è più o meno verso quell'ora che si torna da scuola. Per quanto riguarda invece la frase pronunciata da Syaoran, ve ne parlo nel prossimo capitolo (che sarà il secondo dal suo pov, riprendendo tutto quello che c'è stato finora).
Un abbraccio!
  
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