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Autore: wittyy_name    22/05/2020    2 recensioni
Lance e i suoi amici sono da anni frequentatori assidui dell’Altea Dance Studio. Non solo per i corsi, ma anche per trovarsi, allenarsi e passare il tempo con altre persone che amano ballare. Partecipano ogni anno all’audizione per rappresentare Altea alle regionali di ballo. Lance tenta sempre l’audizione da solista, ma quest’anno non ce l’ha fatta a partecipare e la sua unica possibilità è andata in fumo. Lo stesso accade al suo ignaro rivale, Keith.
*
Per fortuna, Shiro ha un piano geniale: convincere Lance e Keith a fare un’audizione di coppia.
*
Con un po’ di convincimento, e molto impegno, quei due potrebbero riuscirci e andare alle regionali… oppure rovinare tutto.
Genere: Sentimentale, Slice of life, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Allura, Kogane Keith, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Riassunto del capitolo: “Vuoi andare alle regionali?”

“Sai già la risposta…” Brontolò, tenendo ancora il volto nascosto sotto il braccio.

“Allora dovresti scusarti e chiedergli di darti una seconda occasione.”


 

Note dell’autrice: Ed ecco che vi sparo un altro capitolo lungo! BOOM!

Un grandissimo grazie alla mia complice, Sora. Non fa solo i bellissimi disegni per questa fic, ma mi sopporta di continuo quando ho bisogno di sostegno e quando mi sento insicura su quello che scrivo. Ogni volta che ho un blocco o mi serve ispirazione per un dialogo, lei è lì per me su Skype a parlarmi per darmi spunti e farmi andare avanti. Non la ringrazierò mai abbastanza. Questa fic procederebbe molto più a rilento senza di lei.

Note della traduttrice [DanceLikeAnHippogriff]: Siamo tornate! Sia io che CrispyGarden, la mia infaticabile Beta, speriamo che questo mastodontico capitolo vi possa tenere compagnia in questa Fase 2! Buona lettura a tutti <3

Se scalpitate dalla voglia di leggere un'altra klance, date un'occhiata alla traduzione di Operation: Time Out fatta da andreanighteye. Non ve ne pentirete!


 

“Quante lasagne hai detto che avevi fatto?”

“Tipo, abbastanza da sfamare una famiglia intera.”

“E ne ha mangiate metà?”

“Già.”

“E ora è passato a una vaschetta di gelato.”

“Già. Fortuna che avevo fatto la spesa. Però se non lo fermiamo dovremo presto rifornirci di altro gelato.”

“In circostanze normali lo sfiderei per avere quel gelato, ma… Non voglio mettermi tra lui e quella vaschetta.”

“Giààà, nemmeno io, se devo essere sincero. Avrà anche solo un cucchiaio, ma non mi fido. Forse prima o poi si stancherà. Sai, tipo un abbiocco.”

“Non l’ho mai visto tenere il muso così tanto prima d’ora. Dici che la faccia gli rimarrà bloccata così?”

“Oddio, spero di no. Ma deve volerci un sacco di energia per tenerla a quel modo.”

“Probabilmente è per quello che mangia così tanto. Ma dove lo mette poi? È uno stecco.”

“Sono un po’ preoccupato, Pidge. Se continua così, so che finirà per stare male. Facciamo sasso, carta, forbice per vedere chi deve andare a togliergli quel gelato.”

“Non se ne parla, non voglio sfidare la sorte. Quello di cui abbiamo bisogno è di un’alternativa perché possa continuare a masticare furiosamente senza ammazzarsi di gelato.”

“Oooh, sì, è una buona idea. Cosa suggerisci?”

“Popcorn?”

“Okay, sì, ci sta. Ottimo piano. Ma dovremmo, tipo, chiederglielo prima oppure farli e vedere se arriva lui da solo?”

“Sicuramente iniziare a farli. Non ha mai rifiutato i popcorn. E poi non sono sicuro che ci risponderebbe ora. Sembra che sia in uno strano… coma.”

“Dici che sia possibile andare in coma per la rabbia?”

“Non penso che sia tutta rabbia. Penso che sia per metà anche imbarazzo e disappunto e sentimenti repressi.”

“Posso sentirti, sai.” Disse Lance, girando la testa per guardarli male. Era seduto sul divano con una vaschetta di buon vecchio Rocky Road sulle ginocchia, piegate contro il petto. Le sue parole uscirono strascicate a causa del cucchiaio che aveva in bocca.

Hunk e Pidge sobbalzarono e si girarono a guardarlo con gli occhi spalancati.

“Oh, uh, ehi amico, come stai?” Disse Hunk, ma la sua domanda venne sovrastata dalla dichiarazione drammatica di Pidge.

“È viiiivo!” Alzò le braccia al cielo, le dita contratte.

Lance continuò a guardarli male con il cucchiaio ancora in bocca.

Quando vide che l’amico non reagiva, Pidge sospirò e scese dal piano della cucina dove si era seduto, dirigendosi verso il salotto dell’appartamento.

“Che ne dici di un po’ di popcorn, Lance?” Chiese Hunk dalla cucina, ma Lance sentì che stava già frugando nella dispensa.

“Al burro come quelli del cinema?”

“Ce ne sono di altri tipi?”

“Penso che vadano bene, allora…” Borbottò con riluttanza, e si tolse il cucchiaio dalla bocca, fissando il gelato. Non era che ne volesse ancora, ma ce l’aveva lì, quindi già che c’era…

“Oh no che non lo farai.” Disse Pidge, sfilandogli la vaschetta dal piano instabile che erano le sue ginocchia. Lance emise un patetico verso di protesta, allungandosi per riprenderla. Pidge gli schiaffò via le mani e tese la sua. “Cucchiaio.”

Métetela por el culo…” Borbottò mentre gli allungava il cucchiaio, riluttante.

Pidge ridacchiò, allontanandosi. “Ti ho sentito.”

“Non vuol dire che mi hai capito!”

“Peccato che sì, invece.”

“Hai fatto tedesco a scuola!” Sbottò, incrociando le braccia al petto e sollevando le spalle fino alle orecchie.

Pidge sventolò il cucchiaio da dietro la spalla, avvicinandosi alla cucina. “Siamo amici da un pezzo, qualcosa ho imparato.”

Chingate…
Que te la pique un pollo.” Rispose con naturalezza, nonostante il suo accento terribile e la pronuncia disarticolata.

Lance boccheggiò, guardandolo mentre metteva il gelato in frigo. Hunk proruppe in una risata sorpresa, piegando la testa all’indietro e prendendo una confezione di popcorn dalla dispensa. “Pidge!” Doveva essere un rimprovero, ma non funzionò granché.

“Devi smetterla di parlare con Sophie!” Sbottò Lance.

Pidge lanciò il cucchiaio nel lavello e gli rivolse un ghigno. “Assolutamente no, Sophie è la migliore. Mi insegna un sacco di cose che si rivelano importanti.”

“E in che modo quello sarebbe importante?!”

Pidge scrollò le spalle. “Mi è stato utile, no?”

Lance sbuffò e voltò la schiena a entrambi, preferendo fissare la TV spenta. Il divano dell’appartamento di Hunk e Pidge era ad angolo, l’avevano comprato per pochi spicci dai genitori di Hunk. Un angolo stava contro il muro mentre lo schienale dava le spalle alla piccola zona che era stata adibita a sala da pranzo, con tanto di tavolino, e lasciando spazio al piano divisorio tra la sala da pranzo e la cucina. Lance era seduto nell’angolo del divano a L, le ginocchia al petto. Appoggiò le braccia incrociate sopra le ginocchia e sistemò il mento sugli avambracci.

Pidge si sedette dall’altra parte del divano, appoggiando la schiena un po’ sul bracciolo e un po’ contro lo schienale. Allungò le gambe, tenendo un ginocchio piegato. Fissò Lance, ma l’amico si rifiutava testardamente di guardarlo. Il silenzio si dilatò tra di loro.

“Uno o due sacchetti di popcorn?” Chiese Hunk.

“Due.” Dissero Pidge e Lance all’unisono.

Si sentì canticchiare dalla cucina. “Okay.”

Calò di nuovo il silenzio, il che iniziava a irritare Lance. Pidge non aveva neanche tirato fuori il suo telefono. Lo stava… fissando e basta. Sapeva che voleva parlare di quello che era successo prima al parco. Sapeva che lo volevano entrambi. Un attimo prima stavano ballando, e quello dopo Keith se l’era filata e Lance si era depresso. Neanche il ballo l’aveva rimesso in sesto. Pidge aveva perfino tentato con Shakira e Hunk con Nikki Minaj. Lance era rimasto insolitamente silenzioso per tutto il viaggio di ritorno e durante i preparativi per la cena. Sapeva che si stava rendendo le cose peggiori da solo. Sapeva che i suoi amici avrebbero mangiato la foglia e tentato di metterlo alle strette più tardi, ma… non riusciva a farne a meno.

Quando aveva bisogno di deprimersi, ne aveva bisogno e basta.

E sapeva che il momento che tanto temeva era arrivato, ma si rifiutava di cedere per primo. Sfortunatamente, lo stesso valeva per Pidge. Sedettero a quel modo per molti lunghi minuti, mentre Lance cercava di non mostrarsi nervoso. Il tutto ascoltando il ronzio del microonde e i beep in sottofondo.

Poi arrivò Hunk, sedendosi accanto a Lance e allungandogli la ciotola di popcorn. Lance la prese con gratitudine, srotolandosi dalla sua posizione per sedersi a gambe incrociate con la ciotola tra le gambe. La croccantezza dei popcorn, caldi e salati, era proprio quello che ci voleva dopo tutto quel gelato. Masticò rumorosamente per riempire il silenzio.

“Quindi…” Disse Hunk lentamente, iniziando la conversazione. Allungò i piedi sul tavolino da caffè e appoggiò la sua ciotola sulle cosce. “Ce ne vuoi parlare?”

Lance tenne lo sguardo sulla ciotola, corrugando la fronte. “No…”

Hunk si sporse verso di lui, spingendolo con la spalla. “Dai, Lance…”

Lance alzò il mento, ributtando un paio di pezzi di popcorn nella ciotola con noncuranza. “Mi dispiace, Hunk. Non ti sento sotto il rumore assordante del tradimento.” A quelle parole, scoccò un’occhiata velenosa a Pidge.

Pidge alzò gli occhi al cielo e piegò la testa all’indietro sui cuscini. “Laaaance!” Si lamentò.

“Hunk, hai sentito qualcosa?” Disse, distogliendo lo sguardo da Pidge e mettendo la mano a coppa vicino all’orecchio, sporgendosi un po’ nella sua direzione.

“Amico.” Disse Hunk in tono piatto, e probabilmente lo stava avvertendo di piantarla con le sue cazzate, ma Lance lo ignorò.

“Deve essere un fantasma perché sono certo che sia la voce di qualcuno che per me è morto.”

“Laaaance!” Pidge si lamentò di nuovo. Lance si voltò e incontrò i suoi occhi ambrati. Aveva le sopracciglia aggrottate e le labbra storte come se le parole che stava cercando di dire fossero dolorose. “Mi… Mi dispiace, okay?”

Lance continuò a fissarlo, ma assottigliò lo sguardo.

Pidge sventolò una mano in aria a casaccio. “Mi dispiace non averti detto che conosco Keith. Non pensavo che te la saresti presa così tanto. Non capisco ancora il perché, ma avrei dovuto dirtelo prima.”

Lance annuì, guardando la ciotola tra le sue gambe. “Avresti dovuto.”

“A dirla tutta, però, non avevo capito che il ‘Keith dalla testa a mullet’ di cui ti lamentavi era il mio amico d’infanzia Keith.”
Lance grugnì, alzando gli occhi al cielo. “Quanti Keith pensi che ci siano? E quanti portano il mullet?” Sventolò la mano verso la sua nuca per enfatizzare il concetto.

Pidge scrollò le spalle. “Non l’avevo mai visto come un mullet.”

“Pidge, è decisamente un mullet!”

“Va bene, okay, ora che me lo dici. Ma gli sta bene.” Lance non gli avrebbe dato ragione, ma non poteva neanche negarlo. Quindi rimase in silenzio. “Comunque, non ci ho proprio pensato. L’avevo solo presa come te che, essendo te, avevi sfidato un ragazzo che conoscevi appena ma che ammiravi-”

“Non lo ammiro!”

“-a ballare alle audizioni. Non era così strano, conoscendoti. Hunk mi aveva detto che eravate in corso insieme l’anno scorso e che eri terribilmente ossessionato da-”

“Hunk!”

“Lo eri, amico.”

“Non è vero!”

“-ma non l’avevo per niente collegato al mio Keith fino a quando non ho visto il suo nome sulle iscrizioni per le audizioni.”

“Avresti dovuto dirmelo!”

Pidge scrollò le spalle di nuovo. “Non pensavo che fosse un dettaglio importante. È successo poco prima che iniziassero le audizioni e pensavo che ti avrebbe distratto. Hunk mi aveva suggerito di aspettare che finissero.”

Lance fece scattare la testa di lato per guardare il suo migliore amico da quasi otto anni. “Hunk?” L’altro spalancò la bocca e almeno ebbe la decenza di sembrare imbarazzato.

Si tenne impegnato rimescolando i popcorn nella sua ciotola, ma non ricambiò lo sguardo di Lance. “Senti, sappiamo entrambi come avresti reagito. Ne saresti diventato ancora più ossessionato e avresti cercando di scoprire le sue ‘debolezze’ o roba simile da Pidge, e ti saresti infognato così tanto sapendo che Pidge era amico del tuo ‘nemico’ che avrebbe potuto… sai, distrarti dal fare del tuo meglio alle audizioni?”

Okay, forse ora Lance si sentiva un po’ in colpa. I suoi amici lo stavano solo proteggendo. E sì, aveva il vizio di diventare leggermente ossessivo e un po’ distratto, e avrebbe potuto influenzare la sua esibizione. Non che alla fine avesse importato granché.

Lance sospirò e diede un colpetto al braccio di Hunk. “Grazie, amico.” Disse con tenerezza, rivolgendogli un piccolo sorriso.

Hunk lo ricambiò. “Stavamo solo cercando di tenerti d’occhio, amico.”

“Okay, ma questo non spiega perché non me l’abbiate detto dopo.” Disse piccato, riportando lo sguardo su Pidge. L’amico sobbalzò un po’ all’improvviso ritorno della sua voce tagliente. Lance lo vide accartocciare il volto con fare difensivo, sedendosi dritto.
“Non pensavo che avesse importanza. Era finita, non eri passato, eri depresso e distrutto dal fatto che non ci eri andato mentre Keith sì, e non volevo mettere il dito nella piaga peggiorando tutto.”

“E che mi dici di quando Shiro ha detto-”

Pidge alzò le braccia al cielo e gemette, esasperato. “È successo tutto così in fretta! Il giorno prima ti perdi le audizioni. Quello dopo Shiro ti propone di ballare con Keith. Quella stessa sera ti deprimi nel nostro appartamento. Il giorno dopo ancora cerchiamo di tirarti su con un po’ di street dance. Quando avrei dovuto trovare il tempo per dirtelo senza farti ricadere nella depressione?”
“Sarebbe andato bene qualunque momento prima che lo scoprissi davanti a lui!”
“Non è colpa mia se hai dato di matto quando l’hai saputo.”
“Pidge, dovresti essere mio amico!”
“Lo sono! E in quanto amico, devo dirti che la tua reazione è stata esilarante.”
Pidge!”
“Ma che problemi ti fai? Fai sempre la figura dello scemo e ne esci sempre.”
“Okay, ma- ma questa volta è diverso! Si trattava di Keith.”
A quelle parole, l’espressione di Pidge cambiò. Sembrava che avesse visto qualcosa di luccicante, e a Lance non piacque affatto come lo stava guardando. Pidge abbassò il mento, guardandolo dal basso in alto con un sorrisino che gli tirava l’angolo della bocca. “E cos’avrebbe Keith di così speciale, Lance?”

Lance assottigliò le labbra e spalancò gli occhi, cercando di mantenere un’espressione neutra e di reprimere il calore che gli stava salendo lungo il collo. Sapeva che era una battaglia persa, quindi guardò male la ciotola tra le sue gambe. “Niente! È il peggiore!” Per impedirsi di continuare, si ficcò una manciata di popcorn in bocca.

“Mhmm, certo. Sai, non sarebbe diventato un casino così grande se solo tu-”

“Pidge.” Si intromise Hunk, e quando Lance alzò lo sguardo vide che stava guardando male l’amico. Hunk era il suo eroe.

Pidge sospirò e incrociò le braccia al petto, sprofondando ancora di più nel divano, tenendo il muso al tavolino da caffè. “Okay, comunque, mi… mi dispiace non avertelo detto prima, okay? Non pensavo che te la saresti presa a quel modo.” Lance lo guardò, e sembrava sinceramente dispiaciuto.

Sentì l’arrabbiatura svanire e sospirò, sollevato. Non si era reso conto di quanta tensione avesse in corpo fino a quando non si rilassò, sprofondando nel divano. “Grazie, Pidge.”

Anche Pidge si rilassò, poi curvò gli angoli delle labbra. “Avevo calcolato il rischio, ma accidenti se faccio schifo in matematica.”

Lance piegò la testa all’indietro e rise, e il sorriso di Pidge si allargò. “Pidge! Pensi davvero che ti perdoni se ti scusi con un meme?” Chiese guardandolo, incapace di far sparire il suo sorriso.

Pidge scrollò le spalle, sempre sorridendo. “Valeva la pena provare. Quindi…?”

“Quindi?”

“Mi perdoni?”

Lance finse di pensarci su, picchiettandosi il mento con un dito e guardando il soffitto. “Hmmm, non lo so…”

Pidge alzò gli occhi al cielo e allungò le gambe rifilandogli un calcio nella coscia. “Lance, dai!”

Lance rise e gli diede un colpetto sulla gamba con la mano. “Certo, certo, ti perdono.”

“Bene.” E il sorriso che aveva in volto era sincero.

Hunk sospirò, appoggiando la testa sui cuscini del divano. “Grazie a Dio è finita. Odio quando litigate.”

Lance ridacchiò. “Non stavamo litigando.”

Hunk scrollò le spalle e afferrò il telecomando. “Quasi.”

Pidge punzecchiò la coscia di Lance con le dita dei piedi. “Ora che ci siamo chiariti, passami un po’ popcorn.”

Lance inarcò un sopracciglio. “Perché non te li sei presi prima?”

“E rischiare che mi strappassi la mano a morsi? Non ci penso proprio.”

Lance gli allungò la ciotola, e Pidge se la sistemò sullo stomaco. Lance si appoggiò a Hunk e si sporse per raggiungere i suoi popcorn per poi ficcarsene una manciata in bocca. Hunk aveva il controller dell’xbox in mano e selezionò Netflix. Passò qualche momento a scrollare le diverse scelte prima di parlare.

“Quindi… Ora che questa è fatta, vuoi parlarci di cosa ti ha ridotto così male?”

Non sono ridotto male.” Brontolò Lance, ingobbendo leggermente le spalle e appoggiandosi al braccio di Hunk. La sua protesta suonò debole perfino a lui.

Pidge ridacchiò, facendo volare qualche popcorn per aria. “Già, ecco perché stai mangiando per la rabbia da quando siamo tornati dal parco.”

Lance gli scoccò un’occhiataccia, ma non rispose. Sapeva che non c’era niente che potesse dire perché Pidge aveva ragione. Solo che mangiare lo faceva sentire meglio, okay? Ed era qualcosa in cui incanalare la sua energia.

“È qualcosa che ha a che fare con Keith, vero?” Propose Hunk, scrollando pigramente tra le scelte di Netflix. Nessuno di loro ci stava prestando grande attenzione. Lance sapeva che non avrebbe scelto niente fino a quando non avrebbero parlato.

Lance sospirò. “Sì.” Ammise, prendendo la ciotola di popcorn di Hunk e mettendosi a sedere dritto. Tirò su le ginocchia, coccolando la ciotola tra le ginocchia e il petto. Non guardò nessuno dei suoi amici. “È che… non mi aspettavo di vederlo lì. Mi ha colto alla sprovvista.” Disse, come se Keith avesse programmato tutto. Come se fosse colpa sua l’aver colto Lance alla sprovvista di proposito. Come se fosse colpa sua l’aver messo Lance al tappeto con tutte quelle sue maledette espressioni tenere e i suoi sorrisi.

“Che cosa voleva?” Chiese Hunk.

Lance inarcò un sopracciglio e sollevò lo sguardo. “Non ve l’ha detto?”

Hunk scosse la testa. “Nah, mi sono solo presentato e abbiamo parlato un po’ di ballo e di quello che stavamo facendo e roba simile.”

“Poi abbiamo sentito la nostra canzone,” disse Pidge, “e volevamo vedere se ce la ricordavamo ancora.”

“E ce la siamo ricordata eccome.”

“Certo che sì.”

“Schiaffami un cinque!” Hunk si sporse oltre Lance, alzando la mano. Pidge si mise a sedere e si sporse in avanti per battergli la mano. Hunk ritornò in posizione, ma Pidge si spostò, avvicinandosi a Lance e appoggiando la schiena contro il suo braccio e la sua spalla.

“Poi, quando siamo tornati, Keith se n’era andato e tu ti stavi deprimendo sulla panchina.” Concluse Pidge, ficcandosi dei popcorn in bocca e parlando a bocca piena. “Quindi che cos’è successo?”

Lance emise un lungo, rumoroso verso lamentoso. Hunk gli diede un colpetto sulla spalla. “Andiamo, amico. Prima ce lo dici e meglio è.”

“Per tutti.” Aggiunse Pidge.

Lance sbuffò, sconfitto. “Beh, Mr. Presuntuoso era venuto a dirmi che Shiro voleva che mi parlasse di ballare insieme per le audizioni.” Cercò di sembrare indifferente, offeso, forse perfino un po’ arrabbiato, ma non riuscì a nascondere una certa nota di irritata sconfitta nella voce.

“Ed è un bene, no?” Disse Hunk, tirandosi su. Guardò i suoi amici, sorridendo. “Hai un’altra chance di andare alle regionali. Non è vero, Lance?”

Lance si rifiutò di guardarlo, e si affossò nel divano un po’ di più. Si domandò se sarebbe riuscito a trovare un modo per farsi assorbire dal divano. Tipo sparirci dentro. Era un divano decisamente comodo. L’aveva usato come letto in svariate occasioni. Era certo che una vita passata in una dimensione-divano non sarebbe stata poi così male…

Non è vero, Lance?” Ripeté Hunk dopo un momento, ma il suo sorriso era svanito e la sua voce si era fatta inquisitoria.

Lance fece una smorfia e si appallottolò su se stesso, piegandosi sulla ciotola e piluccando popcorn. Poteva sentire i loro sguardi su di lui.

“Voleva parlarti di ballare insieme?” Ripeté Hunk.

“Mhmm…”

“Lance…” La voce di Pidge era bassa. Si tirò su a sedere, girandosi per afferrargli il volto con entrambe le mani. Lance cercò di evitarlo, ma la sua presa era incredibilmente forte. Pidge lo costrinse a guardarlo negli occhi. Lance cercò di sembrare noncurante. Noncurante e sicuro di sé e di certo non colpevole o spaventato. Pidge studiò i suoi occhi per un momento prima di assottigliare lo sguardo. “Gli hai detto , vero?”

Oh no, era la sua voce minacciosa. Lance fece una smorfia di riflesso. Si morse il labbro, guardando ovunque tranne che il volto di Pidge.

“Lance…” Ugh, quella era la voce minacciosa di Hunk! Non era giusto che facessero comunella contro di lui a quel modo! Gli sfuggì un piccolo gemito dalle labbra.

“Ti ha proposto di ballare insieme e tu hai mandato tutto a puttane e gli hai detto di no?” La stretta di Pidge si fece più intensa, tenendogli saldo il volto.

“Noooo…” Disse Lance lentamente. “Non… proprio?”

Lo sguardo di Pidge si fece tagliente. “Cos’è successo?”

“Potrebbe non… aver avuto la possibilità di… chiedermelo? Affatto?”

Hunk gemette. “Lance, che cos’hai fatto?”

“L’hai fatto incazzare ed è andato via?” Pidge stava urlando scuro in volto, schiacciandogli le guance fino a fargli male.

“Ow, ow, ow, Pidge!” Lance gli allontanò le mani con uno schiaffo, afferrandogli i polsi per tenerlo lontano. Incrociò il suo sguardo truce.

“Dicci che cos’è successo.” Ordinò.

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E così, Lance gli raccontò tutto. Tutto quello che riusciva a ricordare che, a dirla tutta, era praticamente l’intera conversazione che aveva avuto con Keith. Continuava a pensarci da quando l’aveva guardato andare via. Riprodotta in loop nella sua testa. Quindi si ricordava praticamente ogni cosa. Tutti i momenti che avrebbe voluto poter cambiare. Tutte le cose che avrebbe voluto dire diversamente. Sapeva di aver mandato tutto a puttane. E sapeva anche che non poteva fare niente per cambiare la situazione.

Quando ebbe finito, aspettò, ma i suoi amici rimasero in silenzio. I secondi passavano, espandendosi e riempiendo la stanza. Lance sentì di nuovo quello strano prurito sottopelle e cercò di distrarsi mangiando altri popcorn. Con fare rumoroso e disgustoso.

Pidge fu il primo a rompere il silenzio. “Lance…”

Hunk lo seguì a ruota. “Amico…”

“Serio?”

“Lance, ti prego…”

C’era esasperazione nelle loro voci. E commiserazione. E forse anche un po’ di frustrazione. Ma non sembravano affatto sorpresi. Erano delusi, quello si vedeva, ma sorpresi? No. Affatto. E a Lance piaceva pensare che ci fosse una punta di tenerezza mescolata a quell’esasperazione a lui così familiare.

“Potrei… aver leggermente reagito in maniera eccessiva.” Ammise con lentezza.

Pidge emise un verso frustrato. “Ma dai?”

“Non mi stupisce che se ne sia andato. Fossi stato in lui, me ne sarei andato anch’io.” Disse Hunk. Si era arreso e aveva smesso di scrollare su Netflix. Teneva la testa appoggiata ai cuscini, stringendosi il ponte del naso tra le dita. Pidge si era di nuovo appoggiato addosso a Lance, talmente prosciugato di tutte le sue energie da non poter stare dritto.

“Sembra che stesse cercando di chiederti di ballare con lui.” Inquisì Pidge, inarcando un sopracciglio e inclinando la testa all’indietro per guardarlo.

Lance gemette. “Lo so, lo so, ho rovinato tutto, va bene? Lo ammetto. Ma non c’è niente che possa fare adesso.” Aggrottò le sopracciglia e si fissò le ginocchia. “E poi, avevo ragione. Era stato uno stronzo ieri e avrebbe dovuto chiedermi scusa.”
“Mi sembra che tu non gliene abbia dato proprio il tempo prima che tu iniziassi a fare lo stronzo.”

“Nessuno ti ha chiesto niente, Pidge.”

“Forse sei tu quello che dovrebbe scusarsi ora.” Suggerì Hunk.

Lance girò la testa di scatto inclinandosi all’indietro, le labbra arricciate. “Hunk, ma da che parte stai?!”

Hunk gli rivolse un’occhiata inespressiva. “Dalla parte che ti porta alle regionali, amico. E quella parte è Keith, che tu lo voglia ammettere o meno. Shiro aveva ragione a dire che il modo migliore che avete per partecipare è quello di lavorare insieme e partecipare alle audizioni in coppia.”
Aveva ragione. Lance fece marcia indietro, affannandosi mentalmente per cercare un appiglio. “Okay, va bene, ammetto che Shiro ha ragione e sarebbe bello se riuscissimo ad andare d’accordo. Ma il punto è che non è così.”

“Dovete solo andare d’accordo abbastanza da poter ballare insieme.”

“Non credo che sia possibile.”

“Forse se te la mettessi via e la smettessi di fare lo stronzo-” Disse Pidge, arido.

“Ha iniziato lui!” Scattò Lance.

“E tu gli sei andato dietro!”

“Toglimi di dosso il tuo peso da gremlin! Non voglio la tua insolenza!” Disse Lance, spingendo Pidge e cercando di mandarlo via. Pidge si abbandonò a peso morto su di lui e ignorò le sue proteste. Lance si beccò un gomito particolarmente appuntito sul fianco e sibilò dal dolore. “Hunk! Toglimi questo piccolo demone!” Piagnucolò, appoggiandosi addosso a Hunk come Pidge si era steso su di lui. Inclinò la testa all’indietro, guardando Hunk con uno dei suoi bronci migliori.

Hunk scosse la testa. “Non se ne parla, amico. Sono d’accordo con Pidge. Sei stato uno stronzo. Era chiaramente venuto lì per scusarsi e non gliel’hai reso facile.”

Lance gemette e si mise un braccio sul volto, usando l’altro per tenere salda la sua ciotola di popcorn. “Nessuno mi ama!”

Pidge si sistemò addosso a lui fino a quando non trovò la posizione più comoda usando il suo fianco come cuscino. Lance poteva sentire che trasudava compiacimento a ondate. “Penso che il fatto che usciamo ancora con te sia la prova che noi ti amiamo.”

Hunk annuì. “È solo che a volte hai bisogno di amore severo.”

Lance sbuffò rumorosamente, cercando di sistemarsi in una posizione più comoda, ma si beccò un’altra gomitata sul fianco da Pidge.

“Quindi…” Riprese Hunk.

Lance gemette. “Possiamo lasciar perdere e basta, per favore?”

“Per niente.” Disse Pidge, appoggiando la sua ciotola di popcorn sullo stomaco e piegando la testa sulla spalla di Lance. “Continua, Hunk.”

“Quindi…” Lance si lamentò a voce alta cercando di interromperlo, ma lui continuò parlando sopra i suoi versi di protesta. “Vuoi andare alle regionali?”

“Sai già la risposta…” Brontolò, tenendo ancora il volto nascosto sotto il braccio.

“Allora dovresti scusarti e chiedergli di darti una seconda occasione.”

“Che cosa?” Lance sollevò il braccio e scoccò un’occhiataccia a Hunk, aspettando che l’amico gli dicesse che era uno scherzo. Sfortunatamente, sembrava del tutto serio. Lance mise il broncio. “Hunk, sei pazzo! Non posso farlo!”

Hunk sollevò un sopracciglio, mantenendo lo sguardo fisso su di lui. “Perché no?”

“Perché!” Lance agitò le braccia, facendo gesti vaghi. Pidge emise un grugnito di irritazione a quel suo movimento. “Mi sono già messo in ridicolo di fronte a lui! Tipo, un casino di volte! Pensa che io sia un idiota.”

“E non lo sei?” Disse Pidge.

Lance aggrottò la fronte e gli passò un braccio intorno al collo per schiaffargli una mano sulla bocca, soffocando il suo gridolino di sorpresa. Pidge gli graffiò la mano, ma Lance non si mosse. Fece un sorrisino vittorioso e appoggiò l’altro braccio sulla sua testa. “Stavo dicendo, pensa che sono un idiota e ha messo bene in chiaro che non vuole ballare con me- aH! PIDGE! CHE SCHIFO!”

Pidge gli aveva leccato tutta la mano e Lance la tirò via, protestando ad alta voce mentre si ripuliva il palmo sulla maglietta dell’amico. “Calmati, Beyonce.” Disse, appoggiando di nuovo la testa su di lui per guardarlo negli occhi. “Era venuto a parlarti di ballare insieme, quindi è ovvio che stesse considerando quell’eventualità.”

Lance gli scoccò un’occhiataccia e poi distolse lo sguardo. Poteva sentire le proprie labbra imbronciate e si sistemò la ciotola di popcorn tra le gambe. Si spalmò ancora di più addosso a Hunk. “Solo perché l’ha costretto Shiro… Shiro può costringerti a fare qualunque cosa facendoti sentire in colpa.”
“Oddio, è vero. Ha quella sua voce da padre che ti fa sentire così in colpa per averlo deluso.” Disse Hunk, rabbrividendo appena. “Solo a pensarci mi fa venire voglia di cucinargli dei biscotti per domani per evitare che abbia motivo di essere arrabbiato con me.”

Pidge annuì. “È sempre stato così. Keith è cresciuto con lui, quindi ne è un po’ immune, ma nemmeno lui riesce a resistergli a lungo e-”

A proposito di Shiro, perché nessuno mi ha detto che è il fratello di Keith?” Lo interruppe Lance, sentendo l’agitazione ribollire.

“Non adesso, Lance.” Disse Hunk, carezzandogli la testa. Lance si ingobbì, ma non si sottrasse al suo tocco.

Incrociò le braccia al petto, facendo attenzione a non far cadere la ciotola che aveva tra le gambe. “È solo un’altra cosa che mi avete tenuto nascosta.”

Pidge spinse la testa contro di lui. “Oh mio Dio, Lance, ne abbiamo già parlato. Mi dispiace, okay? Andiamo avanti.”

Tirò su col naso, drammatico. “Facile a dirsi per te.”

In ogni caso, Shiro potrà anche averlo mandato al parco, ma il fatto che lui ci sia andato è il segno che ci ha fatto un pensierino.”

“Non che adesso abbia importanza.” Borbottò Lance. “Ha già detto che avrebbe trovato qualcun altro con cui ballare.” A quelle parole, Pidge si tirò su a sedere, appoggiando la schiena al divano, e rivolse a Lance lo sguardo meno divertito ed espressivo che avesse mai fatto. Lance aggrottò le sopracciglia. “Che c’è?”

Pidge sospirò e chiuse gli occhi, sfregandoseli da dietro gli occhiali. Poi si girò per guardarlo, mettendosi a sedere a gambe incrociate. Si sistemò gli occhiali sul naso e si sporse in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. Tenendo ancora la sua ciotola di popcorn tra le gambe, unì le mani. Inspirò profondamente, espirò, e puntò Lance con entrambe le mani. “Amico, lascia che ti dica una cosa su Keith.”

“Si tratta forse del suo segreto più oscuro e imbarazzante? Perché se non è così, non voglio ascoltarti.”

Pidge gli tirò uno schiaffo sulla gamba. “Stai zitto per un secondo e ascoltami.” Lance lo assecondò, occhieggiandolo con diffidenza. Doveva ammetterlo, era un po’ curioso. “Keith è terribile a interagire con le persone. C’è un motivo per cui si limita ad andare ad Altea e fare le sue cose per poi andarsene subito dopo. Siamo amici da anni e non ci siamo neanche mai incontrati lì.”

“… Quuuuindi?”

Pidge alzò gli occhi al cielo. “Quindi è palese che non troverà qualcun altro. Non conosce nessuno ad Altea e se lasciato da solo preferirebbe di gran lunga non andare alle regionali piuttosto che avvicinare un completo sconosciuto. Fare le audizioni da singolo era una cosa, ma trovare qualcuno con cui ballare? No no, non succederà mai. C’è un motivo per cui Shiro vi ha praticamente lanciato l’uno nelle braccia dell’altro.”
Lance distolse lo sguardo, mantenendo stoicamente il muso. “Probabilmente Shiro gli troverà qualcun altro con cui ballare…” Disse, fingendo che la cosa non lo toccasse, ma non ci riuscì. Poteva sentire la sua determinazione cadere a pezzi. Voleva davvero tanto andare alle regionali…
Pidge sventolò una mano e si dipinse un sorrisino agli angoli delle labbra, come se potesse già annusare la sua vittoria imminente. “Non c’è nessuno che possa stare dietro a lui e alla sua coreografia. Shiro non mentiva quando ha detto che sei l’unico abbastanza veloce da poter studiare e imparare quelle mosse in due settimane.”

“Una settimana e mezza da oggi.” Aggiunse Hunk.

“Gee, grazie, Hunk.” Disse Lance, atono.

“Quando vuoi, amico.” Gli diede un buffetto sulla testa.

“Sei bravo, Lance. E sei l’unico che possa stargli dietro.”

Lance sentì un sorriso tirargli le labbra. Guardò Pidge di sbieco. “Era forse un complimento, Pidge?”

Alzò gli occhi al cielo. “Non montarti la testa.”

“Troppo tardi.” Il suo sorriso si allargò.

“Anche se trovasse qualcuno bravo tanto quanto te, non ci ballerebbe insieme. Non gli interessa ballare in coppia solo per andare alle regionali.”

Il sorriso di Lance svanì. “E allora perché dovrebbe voler ballare con me?”

Il sorrisino di Pidge rimase fermo dov’era. “Perché Keith non sa rifiutare una sfida. E tu l’hai già sfidato. Non lo ammetterà mai, ma vuole dimostrarti che ce la può fare. E penso che anche tu voglia fare colpo su di lui.”

“Io-”

“Non provare neanche a negarlo, amico.” Disse Hunk. “Sei un libro aperto per noi.”

Lance chiuse la bocca di scatto e gli rivolse un’occhiataccia.

“Ti assicuro che se vai a scusarti, accetterà di ballare con te.”

“E poi BOOM!” Hunk batté le mani, facendo sobbalzare Lance e Pidge. “Andremo tutti e quattro alle regionali! Faremo una gita in macchina e staremo tutti insieme con un nuovo amico-”

“Whoa, whoa, whoa.” Lance lo interruppe, tirandosi su a sedere dritto per poterlo guardare storto. “Chi ha detto che saremmo diventati suoi amici?”

Hunk lo guardò con un sopracciglio alzato, per niente colpito. “Uh, amico, ne sei stato ossessionato per due settimane. Se finisci a ballarci insieme è ovvio che diventerebbe uno dei nostri amici. È già amico di Pidge! Di un terzo di noi.”

Lance si fece scuro in volto e aprì la bocca per ribattere, per dire che non avrebbe mai voluto diventare suo amico. Un rivale amichevole forse, ma non un amico. Niente amici da pigiama party e serate film e uscite insieme. Non voleva uscirci insieme… giusto? Certo che no. Neanche Keith avrebbe voluto. Ne era sicuro.
Prima che riuscisse a dar voce ai suoi pensieri, però, Pidge lo precedette. “Hunk, non spaventarlo quando eravamo appena riusciti ad arrivare così lontano.”

Hunk sorrise, imbarazzato. “Scusa.” Guardò Lance. “Quindi lo farai? Scusarti con Keith e chiedergli di ballare insieme?”

Lo guardarono entrambi speranzosi. Lance li guardò, aggrottando le sopracciglia. Era… combattuto. Sì, voleva andare alle regionali. Ad essere onesto, voleva anche ballare con Keith. Ma… il pensiero di vederlo dopo tutto quello che era successo… era mortificante. E Keith era stato uno stronzo… ma anche lui. Ugh sapeva che avrebbe finito per cedere. Lo sapeva. Sapeva che avrebbe ingoiato il suo orgoglio e si sarebbe scusato con Keith. Ma almeno poteva prolungare quel momento per far soffrire i suoi amici.
Ma durante il suo silenzio, Pidge si sporse in avanti con un luccichio negli occhi e un sorriso che si allargava lento sulle labbra. “If you change your mind…” Iniziò sottovoce, per poi cantare sempre più forte. “He’s the first in line…

Lance spalancò gli occhi quando capì che cosa stava succedendo. Piegò la testa all’indietro e rise. “Pidge! No! Smettila!”

Hunk si sporse verso di lui dall’altra parte e iniziò a cantare la parte del coro con voce bassa. “Take a chance, take a take a chance chance, take a chance, take a chance.”
Honey, he’s still free, take a chance on him.

“Non rima neanche più così!”

If you need him, let him know, gonna be around. If you got no place to go, if you’re feeling down.”

“Va bene! Va bene! Ci vado!” Disse Lance, ridendo, e premette le mani sulle facce dei suoi amici, spingendoli lontano perché gli erano venuti fin troppo vicino. “Oddio, siete dei cantanti terribili. Limitatevi a ballare!”

Pidge si appoggiò al divano tenendosi le caviglie e ghignò. “Antipatico.”

“Ma ti perdoniamo, dato che hai deciso di chiedere scusa a Keith.”

Pidge annuì. “Il nostro duo ha colpito ancora!”

Si diedero di nuovo il cinque davanti a Lance, che spinse via le loro mani. “Siete i peggiori.”

Hunk ridacchiò. “Okay, ma davvero, amico, dovresti andare a beccarlo a lavoro domani.”

Lance lo guardò con un sopracciglio alzato. “A lavoro?”

“Già, aveva detto che stava alla libreria di quartiere.”

“Perché non posso incontrarlo ad Altea e basta?”

Hunk scrollò le spalle. “Aveva detto che avrebbe lavorato tutto il giorno domani, quindi non verrà. Vuoi risolvere questa cosa in fretta, no? Per avere più tempo per allenarti?”

“Beh, sì, ma-”

“Lance,” disse Pidge, guardandolo con fare severo, “lo farai oggi. Ti dirò io dov’è il posto.”

“Ma-”

“Sei fortunato che non te lo facciamo fare stasera.”

“Ugh!”

“Felice di sentire che la pensiamo allo stesso modo.” Disse Pidge, dandogli un colpetto sul braccio prima di adagiarsi per lungo sulle gambe dei suoi amici. “Ora che abbiamo deciso, possiamo finalmente guardarci un film? Devo ancora iniziare i miei compiti per casa.”

Lance grugnì, sistemando la ciotola di popcorn sopra Pidge, vicino alla sua. “Tanto sappiamo che non andrai comunque a dormire prima delle tre di notte.”

“Vero, ma risolvere i tuoi problemi mi stanca. Ho bisogno di cambiare aria.”

“Mi fai sembrare un bambino problematico.”

Hunk ridacchiò. “Lance, rimarrai sempre il nostro bambino problematico.”

Discussero un po’ sul film da scegliere, ma poi si decisero per il classico degli anni ’80, Flashdance. Pidge era decisamente contrario e si era lamentato dicendo che l’aveva già visto un milione di volte. A Hunk non importava perché gli piaceva comunque, e Lance lo sapeva. Ma suggerì comunque anche Dirty Dancing, dato che stavano optando per dei classici sul ballo. Pidge si lamentò anche di quello. Alla fine la spuntò Lance perché quello era il suo giorno di depressione e Flashdance era uno dei film della sua infanzia che guardava per consolarsi.

Parlarono per quasi tutta la durata del film. Lance e Hunk recitarono la gran parte delle scene solo per dare fastidio a Pidge e farlo divertire. Lance e Pidge finirono per fare a gara a chi tirava più popcorn nella bocca di Hunk. Si spostarono in un lato del divano con Hunk dalla parte opposta. Vinse Pidge, ma Lance accusò Hunk di aver barato.

E, ovviamente, Lance si esibì per i suoi amici nella scena integrale di “He’s a Dream”, con tanto di sedia che aveva trascinato lì dalla sala da pranzo. L’aveva imparata a memoria quando era piccolo insieme a sua sorella maggiore, Norah. Quando fece per tirare una corda invisibile, Pidge gli spuntò alle spalle e gli fece piovere semi di popcorn sulla testa.

Fu proprio una bella serata e gli impedì di preoccuparsi di quello che avrebbe detto a Keith il giorno seguente.

***

Keith ripose il libro sullo scaffale con più forza del necessario. Aveva una cuffietta nell’orecchio e il cavo che gli penzolava lungo il colletto della polo della sua divisa da lavoro. Preferiva di gran lunga le cuffie. Erano molto più comode ed erano più efficaci per isolarsi dal mondo, ma erano troppo grandi e poco professionali. Al suo manager non importava se ascoltava musica mentre riordinava i libri o sbrigava le faccende nel retro, sempre che fosse discreto. Quindi usava delle semplici cuffiette.

Stava ascoltando King and Lionhearted da un orecchio, brano che faceva parte della sua playlist rilassante che Allura lo aveva aiutato a comporre, tenendo il volume appena più alto della musica diffusa nel negozio dalle casse. Il rumore del chiacchiericcio era ovattato e distorto, lo avvolgeva come una coperta fatta di rumori bianchi. Il profumo del caffè che veniva dal piccolo bar all’interno della libreria gli riempiva il naso, mescolandosi al profumo piacevole e rilassante dei libri e della carta. Stava facendo attività che non gli impegnavano la mente come riposizionare i libri, sistemare gli scaffali e assicurarsi che tutto fosse al proprio posto.

Non aveva dovuto interagire con i clienti quel giorno. Avevano fatto un ordine sbagliato al bar e il barista gli aveva offerto il caffè quando ci era passato di fronte. Lo avevano incaricato di riempire gli scaffali e di badare al magazzino, il che significava che poteva ascoltare musica ed evitare la gente per tutta la durata del suo turno. Non era una giornata piena, quindi il chiacchiericcio e le persone che giravano per gli scaffali non erano esagerati. E il negozio non era così in disordine, quindi avrebbe potuto prendersi il suo tempo per sistemare gli scaffali con calma.

Tutto sommato, era una bella giornata a lavoro. L’atmosfera era rilassata e confortevole e si teneva le mani occupate senza doversi concentrare granché. Non doveva interagire con persone, clienti o colleghi.

Tutto sommato, avrebbe dovuto sentirsi tranquillo e contento per quei soldi facili.

Ma era comunque agitato e non aveva niente a che fare con il lavoro. Aveva una faccia lunga perenne. Poteva sentirla e forse era per quello che i clienti non l’avevano ancora avvicinato quel giorno. Posizionava i libri negli scaffali con troppa foga, il che significava che poi doveva sistemarli meglio. Ed era abbastanza sicuro di essersi spostato con passi particolarmente pesanti tra le diverse sezioni.

Ed era tutta colpa di Lance.
Lance e il suo stupido sorriso strafottente e quella sua voce boriosa del cazzo. Lance e il modo in cui trasformava tutto in una sfida o in un insulto. Lance e il modo in cui suonava sempre terribilmente arrogante. Lance e il modo in cui riusciva sempre a dire le cose sbagliate. Lance e quella sua incredibile abilità di sparare cazzate.
Lance con quel suo stupido sorriso abbagliante che risplendeva nel sole del pomeriggio. Lance con la sua risata rumorosa e genuina che non era per niente bella ma gli faceva comunque stringere il petto e annodare lo stomaco. Lance e la sua capacità di far sorridere tutti intorno a lui. Lance e la sua energia pazzesca e accogliente, almeno quando non era diretta a Keith. Lance e il suo talento pazzesco per la danza. Il modo in cui sembrava quasi che sentisse la musica e come lasciava che il suo corpo… si muovesse senza aver prima provato le mosse.
E il tutto lo irritava come un prurito che non poteva grattare. Ogni volta che Lance apriva bocca si sentiva felice e imbarazzato e arrabbiato. Come ogni volta che il suo umore e comportamento cambiavano quando gli era vicino.
Lo odiava. Non gli aveva mai fatto niente! Non si era comportato nel migliore dei modi, ma solo dopo che Lance lo aveva indotto a farlo. E il giorno prima… il giorno prima ci aveva provato a essere gentile. Ci aveva provato a parlargli come Shiro e Allura gli avevano chiesto di fare, ma Lance era stato… Lance. C’era stato un momento in cui aveva pensato che forse, dico forse, Lance avrebbe potuto comportarsi in maniera civile. Ma quel momento era finito nell’istante in cui aveva accennato la cosa del ballare insieme.

Keith strinse i denti e indurì la mascella al solo pensiero. Fece cadere per sbaglio un paio di libri e, per effetto domino, l’intera serie. Gemette per la frustrazione e si mise a lavoro per sistemare tutto.

A un certo punto, la musica venne interrotta dalla sua suoneria e Keith tirò fuori il telefono dalla tasca per sbirciare lo schermo.

Ovvio che fosse Shiro. Aveva continuato a chiamarlo e a mandargli messaggi senza tregua dalla scorsa notte. Keith gli aveva detto che con Lance non aveva funzionato, quindi non capiva perché suo fratello fosse ancora così insistente. Premette sull’opzione ignora e si ficcò di nuovo il telefono in tasca, facendo riprendere la musica.

Quando ebbe terminato di controllare la sezione non-fiction si ritrovò all’entrata del negozio, quindi decise di dare un'occhiata alle esposizioni che si trovavano lì.

Si diresse verso la sezione principale che portava dall’ingresso all’interno del negozio. Lì c’erano molti tavoli con sopra le esposizioni delle nuove uscite. Si fermò e le controllò bene, assicurandosi che tutti i libri che venivano presi dalla grande forma a piramide in cui erano disposti fossero sostituiti dai libri nelle pile ai lati.

Quando ebbe finito, prese il libro in cima alle pile intorno alla piramide e lo aprì, mettendolo dritto. La porta alle sue spalle si aprì, accompagnata da un fievole tintinnio e una leggera brezza. La ignorò con decisione. Non era compito suo accogliere i clienti. Beh, lo era, circa, ma non era dell’umore giusto.

Poi una persona gli passò di fianco e si avviò lungo la sezione principale e Keith si irrigidì, notando di sfuggita la pelle abbronzata e i morbidi capelli castani.

Sentì il vuoto nel suo respiro in quel mezzo secondo che gli ci volle per capire che era solo una ragazza. Era più bassa di lui e molto più piccola, con i capelli raccolti in una coda alta. Teneva per mano un bambino che poteva avere tra gli otto e i dodici anni. Keith non ne era sicuro. Faceva schifo a indovinare l’età delle persone. Il bambino la stava praticamente trascinando in giro, e il modo in cui camminava aveva un che di molleggiato e familiare. Avevano lo stesso colore di pelle, e i suoi capelli, dello stesso morbido colore castano, erano corti e il taglio gli ricordava così distintamente-

No. Nono. Non avrebbe pensato a Lance. Non quel giorno. Mai. Maledizione a lui. Certo, si sentiva agitato da tutto il giorno, ma si era testardamente rifiutato di pensare alla causa della sua frustrazione. Eppure, era bastata una sola occhiata a una coppia di bambini latinoamericani per farglielo tornare in mente, rimuginando su qualcosa su cui non avrebbe dovuto rimuginare. Quel giorno avrebbe dovuto essere una rilassante giornata lavorativa e non se la sarebbe rovinata pensando a Lance o alle audizioni o alle regionali o a Shiro e alle sue stupide idee di merda.

Scollò lo sguardo dai bambini, che si stavano allontanando, con uno scatto. Si girò bruscamente con tutta l’intenzione di allontanarsi dall’esposizione per scomparire di nuovo tra gli scaffali. Ma nel mentre la sua mano colpì qualcosa, ci mise troppa foga nel tentare di rimediare e colpì il tavolo con il fianco, facendo crollare l’intera piramide di libri.

Rimase in piedi a fissare i libri sparpagliati sul tavolo insieme agli stand di plastica che li avevano tenuti in piedi. Sentì il calore strisciargli lungo il collo e sapeva che la gente lo stava fissando. Strinse le labbra, deciso a non guardarsi intorno per evitare i probabili sguardi. Aprì e chiuse i pugni, poi sospirò rumorosamente e chiuse gli occhi per un momento, premendosi il ponte del naso. Sentì il rumore nasale di una risata trattenuta provenire da dietro le sue spalle.

Fantastico. Proprio fantastico. Proprio quello che gli serviva.

Emise di nuovo un sospiro, ma molto più piano e pieno di sconfitta, e si rimise a lavoro, raccogliendo i libri e mettendoli in ordine.

“Bella mossa, McMullet. Bella mossa.” Disse una voce strascicata alle sue spalle.

Keith si irrigidì, congelato sul posto nel momento in cui aveva preso un libro tra le mani. Spalancò gli occhi e sentì un brivido corrergli lungo la schiena perché no, non era possibile…

Si girò lentamente, facendo perno sulle anche per poter guardare meglio. Fece attenzione a mantenere una faccia neutrale, ma gli si strinse comunque il petto quando lo vide.

Era proprio Lance. Come se l’universo non lo odiasse già abbastanza. Era a qualche passo di distanza, le braccia incrociate al petto e il peso su un fianco, la postura rilassata e quel familiare sorrisino di merda sulle labbra.

Keith irrigidì le spalle e aggrottò le sopracciglia, minaccioso. “Che cosa ci fai tu qui?”

Il sorrisino di Lance si fece più grande, rivelando un accenno di denti. “È così che ci saluteremo da ora in poi?”

Keith assottigliò gli occhi per un attimo per poi dargli le spalle. “Non ho tempo da perdere…” Brontolò, rimettendosi a lavoro per sistemare l’esposizione. Sperava che Lance se ne sarebbe… andato, in qualche modo. Non era così fortunato però e aveva già appurato che sì, l’universo lo odiava.

Lance entrò di nuovo nel suo campo visivo, appoggiando il fianco al tavolo con le braccia ancora incrociate al petto. Keith si rifiutò di guardarlo. “Ehi, non sono io quello che ha fatto cadere tutto. Non sei così aggraziato fuori dalla pista da ballo, huh?”

Keith sollevò appena lo sguardo, stampandosi sulle labbra il suo di sorrisino. “Pensi che sono aggraziato, huh?”

Sortì l’effetto che voleva: Lance spalancò gli occhi e il suo sorrisino svanì, le guance di una sfumatura di un tono più scura. “Cosa? No.” Boccheggiò per poi distogliere lo sguardo.

Keith sbuffò divertito e alzò gli occhi al cielo, tornando a lavoro. Rimasero in silenzio mentre disponeva i libri a piramide. Keith sentiva che la sua agitazione stava aumentando. Lance era fermo lì, che lo fissava in silenzio. Possibile che non potesse passare un giorno senza vederlo?

Quando ebbe finito, sospirò e alzò lo sguardo. “Lance, che ci sei venuto a fare qui?” Cercò di suonare civile. Ci provò davvero. Ma non riuscì a nascondere del tutto l’irritazione nella voce.

Lance scrollò le spalle e sventolò la mano in giro. Sembrava che avesse ripristinato la sua sicurezza. “Perché? Una persona non può venire in una libreria per, sai, guardare i libri?”

Keith gli scoccò un’occhiata inespressiva. “Senza offesa, ma non mi sembri uno che legge.”

Lance boccheggiò, portandosi una mano al petto. “Non sia mai!” Si mise una mano sul fianco, facendolo sporgere, e appoggiò l’altra al tavolo, sporgendosi verso di lui. “Beh, tu non sembri uno stronzo, ma immagino che ci sbagliamo entrambi, huh?”
Keith lo fissò per un momento, non facendo altro che non fosse sbattere le palpebre. Era abbastanza sicuro che dovesse essere un insulto, ma gli era uscito più come un complimento. Incrociò le braccia al petto e appoggiò un fianco al tavolo, in una copia della posa precedente di Lance. Lasciò che le labbra si increspassero in un sorrisino. “Quindi mi stai dicendo che non sembro uno stronzo?”
Lance aprì la bocca per poi richiuderla di scatto, contraendo la faccia per la concentrazione. Sembrava frustrato e anche un po’ costipato. “Cosa? No, non è quello che- Smettila di rigirare quello che dico!”
Il sorrisino di Keith si allargò, lo poteva sentire nel modo in cui le sue guance si erano leggermente sollevate. C’era una leggera sfumatura rosata sulle guance di Lance e Keith avrebbe mentito se avesse detto che quel colore non era carino sulla sua pelle. “Allora dimmi, Lance, che cosa sembro?”

Lance assottigliò lo sguardo, stringendo le labbra. Raddrizzò la schiena, incrociando un braccio al petto e massaggiandosi il mento con una mano. Era quasi comico e Keith rimase lì in attesa, senza che il sorriso gli svanisse dalle labbra. Lance emise un sacco di versi pensierosi e poi annuì. “Sembri il figlio asiatico di Mel Gibson e Patrick Swayze, ma cresciuto negli anni ’80.”

Keith inarcò un sopracciglio e fece una breve risata. Inclinò la testa di lato e disse, pensieroso: “Immagino che dovrei sentirmi offeso, ma sono più divertito dal fatto che tu conosca così tante persone con il mullet.”

Lance ghignò e abbassò il mento, tenendolo tra il pollice e l’indice, le dita a mo’ di pistola. Lo fissò con gli occhi a mezz’asta, sembrando fin troppo soddisfatto. “Che dire? Mi sono informato. È la prova di quanto mi impegni a insultarti.”

Keith alzò gli occhi al cielo, ma aveva ancora sulle labbra il fantasma di un sorriso. “Ne sono onorato.” Disse con il sarcasmo più tagliente che potesse esprimere. Poi gli voltò di nuovo le spalle e si allontanò dalla sezione principale per dirigersi verso gli scaffali.

“Ehi! Dove stai andando?” Lance quasi urlò, inciampando dietro di lui.

Keith gli rivolse uno sguardo da dietro la spalla, un sopracciglio inarcato. “Sto lavorando.”

Lance alzò gli occhi al cielo e lo raggiunse, camminandogli affianco. “Beh, certo, per forza, l’ho notato dalla cosa dell’uniforme.” Disse, indicando la maglia di Keith per poi indicare il tavolo alle loro spalle. “Ma non stavi lavorando lì?”

Keith annuì. “Già, e ora sto lavorando qui.” Svoltò senza preavviso per dirigersi verso un’altra sezione e si stupì un po’ quando vide che Lance aveva accelerato il passo per stargli dietro. Vagò per il negozio con Lance alle calcagna. Lance si fermò quando raggiunsero il corridoio che dava sulla porta sul retro.

Aggrottò le sopracciglia tenendo le mani in tasca, e ingobbì le spalle. “E ora dove stai andando?”

Keith lo guardò senza fermarsi. “A lavorare. E tu non dovresti guardare libri?”

Lance si fece scuro in volto e distolse lo sguardo. “Certo, certo…”

Keith sparì dietro lo porta e si prese un momento per tirare il fiato. Chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi. Non si aspettava che Lance sarebbe venuto lì. Non l’aveva mai visto lì. Almeno… non da quello che poteva ricordare. Forse si era fatto l’idea sbagliata e Lance era davvero un lettore incallito ed era lì solo per i libri? Pfff, sì, come no. Se fosse vero, allora perché l’avrebbe seguito per tutto il tempo?

Forse… Forse era venuto per parlare del giorno prima? Di ballare insieme?

Keith sentì il petto stringersi a quello strano sentimento, e si portò una mano al petto, stringendo la maglia tra le dita. Aggrottò le sopracciglia quando sentì quella strana sensazione di vuoto nello stomaco. Oh no. No, no, no. Quella che sentiva non era speranza.
Solo che lo era. Ci stava… sperando. Sperando davvero che Lance… No, non ci avrebbe pensato. Si trattava di Lance, dopotutto. A prescindere dalle sue intenzioni, rimaneva uno stronzo. Uno stronzo su cui non poteva contare e che lo faceva incazzare. E Keith non si sarebbe costruito castelli in aria per niente.
Prese uno dei carrelli che aveva precedentemente riempito di libri che doveva posizionare sugli scaffali e lo spinse fuori dalla stanza. Non era sicuro di quello che voleva trovarsi davanti, ma sentì la tensione nella mano quando afferrò la maniglia della porta per poi tornare nel negozio. Non credeva di voler vedere Lance ancora lì, ma non poté negare che si sentì sollevato al vederlo. Era in piedi di fianco a uno degli scaffali vicino al corridoio che portava sul retro, con una piccola ruga che gli solcava la fronte, pensieroso. Teneva un libro aperto tra le mani.

Probabilmente l’aveva aspettato perché nel momento in cui Keith apparve chiuse il libro di scatto e lo guardò; quella piccola ruga era sparita e il sorrisino era tornato al suo posto. “Eccoti finalmente. Iniziavo a pensare che ti fossi perso.”

Keith si fermò, fissandolo con un sopracciglio inarcato. “Ti ho detto che sto lavorando. Il che implica che a volte devo andare sul retro.”

Lance alzò gli occhi al cielo e sventolò il libro in direzione di Keith. “Sì, sì, tieniti la tua impertinenza, mullet man. Sai, più ti parlo e più capisco perché tu e Pidge siete amici da così tanto tempo.”

Keith sentì un piccolo spasmo alle labbra, ma lo ignorò. Non voleva che Lance pensasse che fosse divertito da quello che diceva. Dopotutto, era ancora arrabbiato con lui e ne aveva tutto il diritto. Bastava che se ne andasse, ma qualcosa lo teneva inchiodato lì. Curiosità, forse. Poteva essere il solo motivo per cui si stava trattenendo così tanto in compagnia di Lance di sua spontanea volontà. “Che stai facendo?” Chiese.

“Cosa?”

Keith fece un cenno al libro che teneva in mano.

Lance abbassò lo sguardo, come se se ne fosse dimenticato. Una lieve sfumatura rosata gli colorò le guance, ma si limitò a scrollare le spalle e sventolò il libro per impedirgli di vedere bene la copertina. “Oh, sai, sto guardando dei libri. Questa è una libreria, dopotutto. Sono venuto qui per cercare dei libri.” Sembrava in difficoltà a dispetto di quanto cercasse di rimanere calmo.

“Pensi di andare da qualche parte?” Keith aveva il sospetto che lo avesse aspettato vicino al corridoio solo per vederlo uscire. Per irritarlo ancora, probabilmente. Ma si sorprese incuriosito da che tipo di libro avesse catturato l’attenzione di Lance. Non sapeva niente di lui a parte i suoi gusti musicali e il ballo. Non sapeva che cosa potesse attirare la sua attenzione, i suoi interessi e… ne era stranamente curioso.

“Come scusa?” Lance sbatté le palpebre, il volto privo di espressione.

Keith indicò il cartello sopra lo scaffale, “Viaggi all’estero”.

Lance seguì il suo gesto con lo sguardo e sbatté di nuovo le palpebre. “Oh.” Guardò di nuovo il libro che aveva in mano e poi lo rimise a posto. “No, non- non sono affari tuoi.” Sbottò all’improvviso, secco, lanciandogli un’occhiataccia.

Questa volta fu il turno di Keith di fissarlo e sbattere le palpebre, allibito. Poi sentì il volto indurirsi e strinse le labbra. “Okay.” Disse, iniziando a spingere il carrello. Camminò più veloce che poteva senza correre.

“Keith, aspetta!” Urlò Lance, e poté sentire il rumore dei suoi passi mentre correva per raggiungerlo. Keith mantenne la sua faccia arrabbiata e non rallentò passando per le diverse sezioni. “Keith, aspetta! Dai, mi dispiace, va bene? Non intendevo sbottare né niente.”

Keith si decise a rallentare, ma si disse che era solo perché era arrivato a destinazione. Lance gli si affiancò, e Keith si girò per rivolgergli un’occhiataccia. Lance non lo stava guardando. Teneva lo sguardo basso, una mano in tasca e si grattava la nuca con l’altra.

“Stavo… guardando un libro su Cuba.” Lo disse con un’espressione quasi dolorosa, leggermente imbarazzata, come se avesse ingoiato qualcosa di aspro.

Keith non ne fu esattamente felice, ma la sua stupida curiosità ebbe la meglio. “Cuba?”

Lance annuì e distolse lo sguardo. “Uh, già. Tre dei miei nonni sono emigrati da Cuba quando erano bambini. Io, uh, non ci sono mai stato. Ma ho sempre pensato che sarebbe stato bello vedere da dove sono venuti? Da dove vengo io…” Era calmo, e Keith sentì una strana stretta al cuore a quella sua vulnerabilità. Come se pensasse che Keith lo avrebbe preso in giro.

Distolse lo sguardo e fermò il carrello vicino agli scaffali per non occupare l’intera sezione. “Sembra… molto bello.” Disse, sincero. Doveva essere bello avere delle radici con cui riconnettersi.

Quando Lance vide che Keith non lo avrebbe preso in giro, si illuminò all’istante. “Vero?” Keith iniziò a prendere i libri dal carrello e si girò verso gli scaffali, cercando i loro corrispondenti, ma continuò a guardarlo con la coda dell’occhio. Lance si appoggiò allo scaffale, le mani in tasca. Teneva ancora lo sguardo fisso a terra, ma ora c’era un piccolo sorriso rilassato sulle sue labbra. Era diverso da qualunque altro sorriso gli avesse mai visto fare, e sentì una fitta al cuore prima di distogliere lo sguardo. “Ci vorrei portare la mia Lita un giorno. Non ci torna da quando si è trasferita qui ed era solo una bambina.”

“Lita?” Chiese Keith senza guardarlo, perché non era ancora sicuro di riuscirci. Si concentrò sullo scegliere i libri, leggendo il cognome degli autori, e posizionarli in ordine alfabetico sommario prima di cercare gli altri libri uguali.

Fortunatamente, rifornire gli scaffali non era un lavoro impegnativo, quindi poteva concentrarsi sulla conversazione con Lance.

Sfortunatamente, si poteva concentrare sulla sua conversazione con Lance e sul fatto che fosse fin troppo consapevole che lui fosse lì in quel momento. E sul fatto che gli avesse mostrato quella sua parte di sé stranamente vulnerabile. Non gli piaceva l’effetto che aveva su di lui. Era più che felice dell’immagine di “bello ma stronzo” che si era fatto.

Lance fece una breve risata. “Oh, giusto, scusa. Lita è tipo, il nostro soprannome per nonna.” Keith lo vide scrollare le spalle con la coda dell’occhio. “È un po’ infantile, immagino, ma ho ancora dei fratelli piccolini e roba simile, quindi ci sta.”
Keith emise un suono di assenso, non sapendo che cosa aggiungere in merito. Non avrebbe mai pensato di parlare di famiglia proprio con Lance. Aveva la sensazione di aver sbirciato una parte della sua vita che non avrebbe mai dovuto vedere, e la cosa lo metteva a disagio. Il silenzio tra loro era diventato imbarazzante e sapeva che doveva dire qualcosa. Sapeva che Shiro lo avrebbe ammazzato se si fosse lasciato sfuggire quell’occasione per comportarsi in maniera civile con Lance.

“Quindi…” Esordì, afferrando un paio di libri e squattando per raggiungere lo scaffale più basso della libreria. “Se tre dei tuoi nonni vengono da Cuba, che mi dici del quarto?”

Non sapeva se fosse una buona domanda da fare o se fosse troppo personale, ma Lance emise una risata nasale e Keith alzò lo sguardo per vedere che aveva alzato gli occhi al cielo, sorridendo ancora di più. “Dalla fottuta Scozia.” Disse, incredulo. “Voglio dire, quella parte della mia famiglia ha vissuto negli Stati Uniti per generazioni, ma è originaria della Scozia. Ma si tratta del padre di mio padre, ecco perché una famiglia di bambini latinoamericani si è ritrovata con il cognome McClain.”

Keith non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere. C’era qualcosa in Lance che lo invogliava a ridere con lui. Come quando l’aveva osservato al parco il giorno prima. Appoggiò una mano a terra e l’altra sullo scaffale che aveva di fronte per tenersi in equilibrio, le spalle che sussultavano dalle risa. Quando guardò Lance, ghignando, vide che lo stava fissando con un grande sorriso, le guance leggermente arrossate. C’era qualcosa nei suoi occhi che Keith non ebbe la possibilità di decifrare perché il ragazzo riprese.

“Non ti dico neanche quante occhiate incredule mi sono beccato quando ho compilato il modulo d’iscrizione con il cognome McClain barrando la casella “ispanico”.” Teneva una mano fuori dalla tasca e gesticolava animatamente. Non lo stava più guardando, ma continuava a sorridere. “O che facce mi accolgono quando vedono il mio cognome prima che mi presenti io.” Disse, indicandosi.

“Oddio.” Disse Keith, scuotendo la testa e riprendendo a sistemare gli scaffali.

“Vero? Fa morire dal ridere. Voglio dire, almeno tu sei fortunato, il tuo cognome ti calza a pennello.”

Keith infilò un libro nello scaffale e alzò lo sguardo con un sopracciglio inarcato. “Non so se considerarlo razzista o meno.”

Lance rise, un po’ forzatamente, ma il rossore che aveva sulle guance non svanì. Distolse lo sguardo e si grattò la nuca. “Quindi, uh, a proposito di cognomi. Devo chiedertelo. Se tu e Shiro siete fratelli perché…” Sventolò la mano, a corto di parole.

Fortunatamente, Keith sapeva bene che cosa gli voleva chiedere. “Perché abbiamo cognomi diversi?”

Lance gli sorrise, imbarazzato. “Già, quello.”

Keith scrollò le spalle e si rimise in piedi, prendendo un altro paio di libri dallo scaffale più alto. “Siamo stati adottati.” Lo disse il più normalmente possibile. Non la considerava una gran cosa. Faceva parte della sua vita tanto quanto la sua marca di cereali preferita quando era bambino, Apple Jacks, o il fatto che era intollerante al lattosio. Una cosa su di lui che non aveva grande rilevanza emotiva. Ma odiava dirlo alla gente perché non sapevano mai come reagire.

Ci fu un lungo momento di silenzio, che Keith già si aspettava, e poi si udì un “Oh” strozzato di Lance. La sua voce era più alta del normale e Keith sospirò. “Io- uh, non lo sapevo, amico. Mi-”

Keith allungò il braccio e gli schiaffò una mano sulla bocca, interrompendolo. Lance si irrigidì ed ebbe uno scatto a quel contatto improvviso, spalancando gli occhi e riportando subito lo sguardo su Keith. Keith gli rivolse un’occhiataccia. “Ti fermo subito. Non iniziare a scusarti. Non c’è niente per cui scusarsi. Ero piccolo quando i miei genitori sono morti. Non me li ricordo. Sono stato adottato quando avevo cinque anni. Avevano già adottato Shiro. I nostri genitori ci hanno lasciato tenere i nostri cognomi perché volevano che avessimo una connessione con le nostre origini o roba simile, ma questo non ci rende meno parte della famiglia.” Disse, snocciolando tutte le risposte alle domande che di solito gli venivano poste. Era stanco e annoiato e sperava davvero che Lance l’avesse capito. “Non mi interessa se sono stato adottato perché ho dei genitori stupendi e un fratello fantastico.” Fece una pausa, cambiando espressione e arricciando le labbra. “Beh, fantastico a volte. Altre è una pigna in culo.” Come in quegli ultimi giorni. Ultimamente Shiro era stato un’enorme pigna in culo. Incontrò lo sguardo di Lance. Gli occhi di lui erano ancora più spalancati da quando Keith aveva iniziato a parlare. La palpebra di Keith ebbe uno spasmo, e assottigliò lo sguardo. “Ora toglierò la mano e non voglio sentire una singola parola di pietà o di compassione o giuro che prendo il libro più grande che abbiamo in negozio e lo uso per picchiarti, hai capito?”

Lance annuì e Keith tolse la mano, abbassandola lentamente. Mantenne lo sguardo fisso su di lui, sfidandolo in silenzio a provare a dire qualcosa. Lance lo guardò per un secondo prima di abbassare lo sguardo, spostarlo di lato e poi verso il soffitto. Aveva il volto contorto in un’espressione che sembrava contemplativa, ma non era facile da interpretare. Quando si decise a guardare Keith, la sua indecisione era svanita e stava ghignando di nuovo. “Quindi mi puoi dare un sacco di materiale con cui ricattare Shiro?”

A quelle parole, Keith sentì un sorriso tirargli le labbra. “Oh sì, ne ho a quintali.”

“Aveva l’apparecchio?”

“Per due anni.”

“Oh mio dio, sì. Sapevo che quel sorriso era troppo perfetto per essere naturale. Hai foto di quando aveva i brufoli?”

“Ha avuto un’acne terribile fino ai 20 anni. È dovuto andare da un dermatologo.”

“Questo è il più bel giorno della mia vita.”

Keith sbuffò a labbra strette, un piccolo sorriso sul volto. Non avrebbe mai pensato che uno dei modi con cui avrebbe potuto legare con Lance sarebbe stato quello di raccontargli cose imbarazzanti su suo fratello. Non vedeva l’ora di raccontarlo a Shiro. Si abbassò in uno squat tenendo un paio di libri in mano e riprese a rifornire gli scaffali. Quel prurito che sentiva sottopelle era svanito. Era felice di quel silenzio, ma non si stupì quando Lance riprese a parlare.

“Ehi, uh, non intendevo… venire qui e condividere tutte queste informazioni personali sulla mia famiglia con il mio rivale.” Lo disse come per scusarsi, e Keith percepì che voleva andare a parare da qualche parte, ma non riuscì a fare a meno di sottolineare l’elemento di quella frase che lo disturbava.

“Non ho mai detto di voler essere il tuo rivale.”

“Uh, non è che uno lo voglia. Succede e basta. È così che funziona tra rivali.”

“Non sono il tuo rivale, Lance.” Disse Keith, alzando lo sguardo per scoccargli un’occhiata apatica.

Lance emise un verso e sventolò la mano. “Come vuoi, Keith, ma non puoi negare la rivalità che c’è tra noi. Rivalezza. Rivali-tudine? Rival-anza. Rival-arità.” Keith alzò gli occhi al cielo e tornò a guardare lo scaffale. Lance gli toccò gentilmente la gamba con la scarpa, facendogli perdere l’equilibrio.

Piazzò subito una mano a terra per tenersi in piedi. “Lance!” Sbottò, scostandogli il piede.

“Visto?” Disse, rivolgendogli un ghigno. “C’è una scintilla tra noi. Non rinnegarla, Keith.”

Keith sentì il calore prendergli il collo e sapeva che non aveva niente a che fare con la rabbia né con la frustrazione. Come faceva a… dire delle cose del genere con noncuranza? Senza pensare a delle eventuali implicazioni? Sospirò. “Perché sei così irritante?”

Il suo ghigno rimase al suo posto. “È un dono.”

“Hai tenuto lo scontrino per restituirlo?”

“Allora, primo, sei antipatico.”

“E secondo, se hai intenzione di startene lì, almeno renditi utile e passami quei libri là in cima.” Disse, indicando il carrello.

“Ehi, non puoi aggiungere ‘secondo’ dopo il mio ‘primo’!” Disse, ma si era già staccato dalla libreria per raggiungere il carrello.

“L’ho appena fatto.” Disse Keith con un sorrisino e prese i libri che Lance gli stava passando.

Finì di riempire e riorganizzare gli scaffali sia della sezione sci-fi/fantasy che dei gialli. Tutte le volte che si portava dietro il carrello, Lance lo seguiva e si appoggiava alla libreria oppure gli passava i libri quando doveva occuparsi degli scaffali più bassi. Parlarono di Shiro per quasi tutto il tempo. Lance gli chiese di tutto: se sbavava nel sonno? Quali erano state le sue figuracce più imbarazzanti? Era mai stato magrolino e allampanato oppure aveva sempre avuto quella corporatura? Keith fu più che felice di svelargli tutti i suoi ricordi più imbarazzanti su suo fratello, rivivendo la sua infanzia con Shiro grazie a Lance. Lance rise a crepapelle causando una strana reazione al suo cuore. Gli era difficile guardarlo quando sorrideva così tranquillamente e ringraziò il fatto che avesse la scusa del lavoro per tenere gli occhi occupati.

A un certo punto, Lance cercò di scucirgli alcuni momenti imbarazzanti su Pidge, ma Keith si rifiutò categoricamente. “Non esiste, non ti dirò niente. Ci tengo alla mia vita.” Lance però continuò a insistere e cambiò argomento solo quando Keith disse che Pidge aveva troppo materiale su di lui per ricattarlo. Sfortunatamente, cambiò argomento solo per tormentare Keith e fargli svelare i suoi momenti imbarazzanti da teenager.

Quando finì i libri per quella sezione, controllò quale fosse la prossima pila di libri nel carrello e si rimise in piedi. Spinse il carrello per il negozio fino a una sezione che si trovava a un paio di scaffali più in là. Lance gli venne dietro. Non era ancora sicuro del perché fosse lì, ma… non gli dispiaceva la sua compagnia. Non in quel momento, perlomeno.

“Ma puoi tenerti quelle addosso?” Disse Lance, e Keith sobbalzò quando se lo vide improvvisamente vicino, togliendogli una cuffietta e facendola dondolare sull’indice. Quando Keith sollevò lo sguardo, se lo ritrovò fin troppo vicino e con quel fastidioso sorriso abbagliante.

Riportò lo sguardo sullo scaffale e infilò un libro al suo posto, scrollando le spalle. “Formalmente? No, non dovrei. In realtà? Al mio capo non interessa fintantoché non si noti troppo e faccia il mio lavoro.” Lance emise un verso di assenso e lasciò andare la cuffietta, che rimase penzolante davanti alla maglia di Keith. In tutta onestà, se ne era dimenticato. Non si era accorto che la sua playlist era finita e che la musica si era fermata. Ma si era accorto solo ora che l’unica musica che andava era quella della radio, diffusa dalle casse del negozio.

Come aveva fatto a non accorgersene?

Diede la colpa a Lance. Quel ragazzo era una distrazione.

“Non dovrei neanche parlare con la gente durante il mio turno.” Disse, rivolgendogli un sorrisino e lanciandogli un’occhiata.

Lance sbuffò e sventolò una mano per poi appoggiarle entrambe sui fianchi. Era sicuro di sé e Keith non capiva perché non lo irritasse come al suo solito. “Pfff, non c’è problema. Se arriva qualcuno puoi dire che mi stai aiutando a trovare un libro.”

Keith gli scoccò un’occhiata apatica, pregando che il suo divertimento non lo tradisse. “Lance,” disse, la voce talmente neutrale da far girare l’altro verso di lui, il sorriso svanito per la confusione, “siamo nella sezione maternità.”

Lance sbatté le palpebre, poi si voltò per leggere il cartello sopra la libreria che avevano di fianco. Aprì la bocca e la richiuse. Sbatté le palpebre. Poi riaprì la bocca ed emise un breve “Oh.”

Keith si mise a ridere, incapace di trattenersi. Gli gorgogliò su per la gola e proruppe dalle labbra prima che riuscisse a fermarsi. Si piegò in due, tenendo una mano sul carrello. Quando sollevò lo sguardo, Lance lo stava guardando in modo strano, ma aveva un piccolo dolce sorriso sulle labbra. Non gli piacque quel sorriso. Era troppo… genuino, onesto e… adorabile.

Raddrizzò la schiena e tossì, schiarendosi la voce, per poi voltarsi verso il carrello. “Quindi… non devi cercare o sfogliare dei libri o roba simile?”

“Cosa?”

Keith prese un po’ di libri e si accovacciò, appoggiandoli a terra e tenendosi in equilibrio con una mano sullo scaffale. Prese il primo della pila e lesse il nome dell’autore, cercando nello stesso tempo il suo corrispettivo sullo scaffale. “Avevi detto che eri venuto a guardare dei libri perché questa è una libreria.”

“Oh, heh, giusto, quello.” Lance sospirò e si lasciò scivolare lungo lo scaffale, sedendosi per terra vicino a Keith. Allungò una gamba e tenne l’altra piegata, appoggiando un braccio sul ginocchio. “Io, uh… Non sono venuto qui per cercare un libro…” Disse, la voce bassa e trepidante. Era così diversa da quella a cui Keith era abituato che lo fece esitare.

Gli rivolse uno sguardo, ma Lance non lo stava guardando. Giochicchiava pigramente con i braccialetti colorati che aveva ai polsi, gli occhi fissi su quello che stava facendo. Keith sentì un brivido di anticipazione corrergli lungo la schiena e accoccolarsi nello stomaco. Si sentì improvvisamente nervoso e sapeva che era perché anche Lance si sentiva come lui.

“Ma non mi dire.” Rispose piatto, mettendo quella punta di sarcasmo nella voce che sperava avrebbe aiutato Lance a rilassarsi.

Sortì abbastanza effetto da fargli sollevare lo sguardo, le labbra storte e gli occhi assottigliati. Quando distolse lo sguardo, il cipiglio che aveva sembrava decisamente più un muso lungo che altro. “Comunque, sono venuto per parlarti…”

Keith non poteva certo dire di esserne sorpreso. Se lo sentiva. Ma venne comunque preso in contropiede da quella sua improvvisa schiettezza. Lo fissò, ma non volle guardarlo ancora negli occhi. “Davvero?”

Lance strinse le labbra e annuì. “Già, io, uh…” Il suo volto si contorse, attraversato da tutta una serie di diverse emozioni. Teneva le sopracciglia aggrottate e il naso arricciato. Aveva arricciato il labbro e sembrava che stesse anche stringendo i denti. “Volevo… scusarmi per, sai… essermi comportato da stronzo o quel che è… ieri.”

Keith ne rimase… leggermente sconvolto. Non si aspettava che se ne venisse fuori a quel modo. In tutta onestà, se glielo avessero chiesto quella mattina stessa, avrebbe risposto che non si sarebbe mai aspettato delle scuse da parte sua. Sentì un peso enorme svanirgli dalle spalle, un peso di cui non si era accorto fino a quel momento. Si sentiva come se potesse finalmente respirare di nuovo, molto più leggero. Rilassò le spalle, sentendo un dolorino indice del fatto che fosse molto più teso di quello che avesse pensato.

Gli rivolse un piccolo sorrisino, inclinando la testa di lato. “Riesci a dirlo senza sembrare sotto tortura?”

Non credeva che fosse possibile, ma il volto di Lance si contorse ancora di più. “No. Mi causa dolore fisico. Un dolore agonizzante, fisico ed estremamente tangibile. Forse dovrò andare dal dottore dopo aver finito con te. Mi servirà un cerotto. Potrei sanguinare.” Si toccò il naso e allontanò la mano per guardarsi le dita. “Sto sanguinando, Keith?”

Keith alzò gli occhi al cielo, spostando il peso. Si sedette per terra, la schiena contro il carrello e rivolto verso Lance, con le ginocchia piegate e strette tra le braccia, le dita intrecciate. Da dov’era seduto sembrava tutto così… surreale. Come se ci fossero solo loro due. Erano circondati dagli scaffali e dal carrello, nascosti alla vista, e si trovavano in una sezione in un angolo del negozio scarsamente frequentato… era come se fossero soli, nonostante fossero attorniati dalla musica, il chiacchiericcio e l’odore del caffè.

“Allora perché ti sei disturbato a scusarti?” C’era ancora una punta di sarcasmo nella sua voce, ma più dolce. Era genuinamente curioso e sentiva il cuore battergli nel petto.

Lance sbuffò e distolse lo sguardo, borbottando: “Perché era giusto che mi scusassi. Sei venuto a parlarmi e io sono stato uno stronzo e non voglio che mi odi e-” Si interruppe con un verso frustrato, appoggiando la schiena contro gli scaffali e si accasciò un po’ di più. Si coprì il volto con le mani e la sua voce ne uscì come un borbottio e talmente veloce che Keith non riuscì a distinguere le parole. “Evogliocheballiconme.”

Keith sbatté le palpebre, cercando di dare un senso a quello che aveva sentito, ma era talmente confuso che non ci riuscì. Lance era ancora nascosto dietro alle sue mani, ma il suo petto era stranamente immobile. “Che?”

Vide il suo petto sollevarsi quando Lance prese un respiro profondo per poi lasciar uscire di nuovo le parole con la stessa fretta. Le pronunciò più ad alta voce, ma erano comunque mescolate le une alle altre. “Vogliocheballiconme.”

Keith aggrottò le sopracciglia, stringendo le labbra in un piccolo broncio. “Che?”

Sentì un gemito provenire da dietro le mani di Lance.

Sospirò, sciogliendo le dita e sporgendosi in avanti, mettendo prima il peso sulle punte e poi sulle ginocchia, sedendosi sui talloni. Non sapeva che cosa gli avesse dato il coraggio di farlo, forse la palese incertezza e imbarazzo che Lance emanava a ondate, ma allungò il braccio e strinse le dita attorno al polso di Lance. Lo sentì irrigidirsi, ma non incontrò resistenza quando gli scostò delicatamente la mano dal volto.

Keith era sicuro che il suo cuore si fosse fermato. Lance lo stava fissando con occhi spalancati e incerti. Si teneva il labbro inferiore tra i denti, le sopracciglia corrugate che gli formavano delle rughe sulla fronte. Sembrava… quasi spaventato e quella scena gli toccò le corde del cuore, così forte da farlo sobbalzare e renderlo iperattivo, sembrava quasi che gli stesse ammaccando le costole da dentro.

All’improvviso, sentì la bocca farsi molto, molto secca. Cercò di plasmare la sua espressione in qualcosa di neutro. Qualcosa che non avrebbe fatto scattare Lance, ma non era facile quando il suo stesso corpo cercava di ucciderlo. Dio, sperava di non avere le mani sudate. Non aveva i guanti. Si umettò le labbra, cercando di guadagnare un paio di secondi in più per riprendersi. Gli occhi di Lance seguirono quel movimento, si spalancarono impercettibilmente e poi si posarono nuovamente sul suo sguardo. La sua espressione si era fatta più tesa di qualche momento prima.

Le sue ciglia erano corte, ma scure nel punto in cui delineavano i suoi occhi blu, e la sua pelle sembrava così morbida e perfetta. Erano talmente vicini che Keith poteva sentire il profumo del suo deodorante e di… Lance. Ne sarebbe dovuto essere disgustato o non avrebbe dovuto scatenargli alcuna reazione, ma non era così.

E la cosa lo stava leggermente terrorizzando.

“Non posso sentirti se ti tieni le mani davanti alla faccia, idiota.” Disse, eternamente grato del fatto che la sua voce gli fosse uscita calma e sicura.

Lance deglutì vistosamente. Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, poi li aprì ed esalò un lungo sospiro. Il suo respiro era leggermente tremulo. Quando incontrò di nuovo il suo sguardo, Keith fu colpito dal fuoco che vi ardeva. Tutta l’agitazione che aveva visto prima era scomparsa. Il suo volto era determinato e serio e sicuro di sé, e porca merda… era un figo da paura.

Era abbastanza sicuro che il suo cuore non avrebbe retto, ma non riuscì a distogliere lo sguardo.

“Voglio che balli con me.” Disse, lentamente e con tranquillità.

Rimasero seduti e fermi per alcuni lunghi momenti. Keith non mollava i suoi polsi, e Lance non si divincolava. Keith non riusciva a non guardare i suoi occhi e neanche Lance. Il suo sguardo si spostava da un occhio di Keith all’altro cercando… qualcosa. Teneva le labbra leggermente strette e, quando Keith si concentrò, poté sentirlo respirare pesantemente dal naso.

Si chiese se anche il cuore di Lance stesse battendo forte tanto quanto il suo.

Non sapeva cosa dire. Sapeva che cosa voleva dire. Sapeva che cosa voleva fare. E sapeva anche che voleva stuzzicare Lance e fargli patire l’inferno dopo che aveva fatto lo stronzo perché Keith gli aveva domandato la stessa cosa. Una parte di lui avrebbe voluto addirittura dirgli di no perché aveva il diritto di sentirsi piccato e di essere arrabbiato e Lance aveva già dimostrato di essere più un problema che altro.

Non ebbe la possibilità di dire niente, però, perché il rumore di una persona che si stava schiarendo la voce li riscosse dalla loro trance.

Keith scattò all’indietro e alzò la testa, ritrovandosi a fissare esterrefatto una signora lì in piedi. Stava sorridendo con gentilezza e sembrava leggermente imbarazzata. Teneva la mano su un pancione sporgente. “Scusate se, um, vi interrompo. Ma speravo di poter passare?” Chiese, gentilmente, indicando lo scaffale dietro di loro. Sembrava quasi che si stesse scusando.

Keith lasciò andare i polsi di Lance cose se si fosse scottato e si tirò su in piedi in tutta fretta. Lance lo seguì di poco. “Oh! Uh, sì, certamente. Ci scusi.” Borbottò Keith, arretrando di un paio di passi per lasciarle spazio e rimettendosi a cincischiare con i libri del carrello. Mentre la signora cercava tra gli scaffali, Keith lanciò un’occhiata di sbieco, osservando Lance dalla parte opposta. Era lì in piedi, imbarazzato, con una mano sul fianco e massaggiandosi la nuca con l’altra, il volto girato per non guardare nessuno dei due.

La signora prese un libro dallo scaffale, rivolse un piccolo sorriso a Keith e se ne andò. “Grazie, scusate ancora.”

“No, nessun problema, davvero.” Rispose frettolosamente, e lei gli fece un piccolo cenno di saluto con la mano andandosene. La osservò mentre si allontanava, sospirò e si girò per guardare Lance.

Che stava ancora evitando il suo sguardo.

Keith sospirò di nuovo e si passò una mano tra i capelli. Ficcò le mani in tasca e si fissò i piedi. “Certo.”

Ci fu una pausa e poi un “Cosa?”

Keith alzò lo sguardo, guardandolo da sotto le ciglia. Lance si era deciso a guardarlo, inespressivo e con gli occhi spalancati. Keith sollevò il mento, scrollando le spalle e girandosi per guardare gli scaffali. “Certo, ballerò con te.” Ancora una volta, fu grato del fatto che la sua voce fosse sicura e che non avesse tradito il senso di nausea che sentiva dentro.

Lo guardò di sottecchi giusto in tempo per vedere il suo volto passare da inespressivo a stupito a luminoso e fuori di sé dalla gioia. Fu un cambio graduale, partì dagli occhi e si diffuse sul suo volto come delle increspature di onde. Le sue labbra si piegarono leggermente all’insù, mostrando i denti bianchi e sollevando le guance, facendo assottigliare leggermente gli occhi e formando delle piccole rughette agli angoli. “Davvero?”

Keith sospirò. Cosa stava facendo? “Sì, davvero.”

La gioia di Lance svanì per un secondo e assottigliò lo sguardo, sospettoso, storcendo le labbra in una smorfia e osservando Keith. Incrociò le braccia al petto. “È stato… sorprendentemente facile. Dov’è la fregatura? Perché hai cambiato idea? Pensavo che non volessi ballare con me? Ero sicuro che avrei dovuto supplicarti.”

Keith sentì un sorrisino tirargli le labbra. “Se vuoi supplicarmi, prego, fai pure.” Gli occhi di Lance divennero due fessure. Keith sospirò. Lo stava facendo molto di recente e ne diede interamente la colpa a Lance. Sfilò le mani dalle tasche e incrociò le braccia al petto, picchiettandosi l’avambraccio con le dita. “Se mi avessi ascoltato ieri, ti avrei chiesto la stessa cosa.” Disse piccato, gustandosi la colpevolezza che traspariva dall’espressione dell’altro. “Non fraintendermi, penso ancora che tu sia un idiota, ma mi fido di Shiro e lui dice che tu saresti capace di imparare la mia coreografia. E… vedo che hai preso la cosa sul serio.”

Quando ebbe finito, vide che l’espressione di Lance si era illuminata di nuovo, ancora più velocemente della volta prima. “Quindi lo facciamo? Si fa davvero?”

Keith sospirò ancora una volta, in modo rumoroso e drammatico, quasi come se fosse stata una sconfitta. Lasciò cadere la testa a penzoloni, scuotendola piano. “Sì, Lance. Lo facciamo.”

Si levò un grido all’improvviso e Keith si ritrovò avviluppato nel più stretto degli abbracci che avesse mai ricevuto in anni. Un paio di braccia gli si avvolse intorno, sollevandolo da terra e facendolo piroettare. La risata di Lance gli riempiva le orecchie. Prima che potesse gustarsi il calore che gli aveva suscitato o anche solo riprendersi dallo shock, i suoi piedi toccarono terra di nuovo. Lance lo teneva per le spalle, a debita distanza, abbagliandolo con un sorriso.

“Non te ne pentirai! Per niente, lo giuro. Andremo di sicuro alle regionali.”
Sentiva il calore delle mani di Lance attraverso la maglia, e la cosa lo distraeva più di quanto volesse ammettere. Teneva ancora le braccia incrociate al petto e sbuffò, rivolgendogli un’occhiataccia. “Devi prendere questa cosa sul serio e imparare la mia coreografia.”

“Sarò lo studente più serio di sempre. Così serio che il Joker mi chiederà il perché. Così Sirius che attraverserò il velo della morte.”

Keith si rifiutò di sorridere. Giammai. Non l’avrebbe fatto. Lo sentiva, ma si trattenne. “E tu devi imparare la mia coreografia. Niente lamentele, siamo intesi?”

Lance annuì. “Ricevuto. Niente lamentele.” Fece un passo avanti e lo strinse in un altro abbraccio. “Grazie, graziegrazie. Non sai cosa significhi per me.”

Keith, a disagio, sciolse le braccia e lo abbracciò a sua volta. Appoggiò le mani sulla sua schiena con leggerezza ma, non sicuro che fosse abbastanza, gli diede anche qualche colpetto gentile. Era strano? Probabilmente lo era. Era fin troppo conscio di quell’abbraccio perché sembrasse naturale. Lance riusciva a irritarlo perfino quando era gentile.

Cercò di ricordarsi perché avesse accettato.

“Già, uh, nessun problema.” Disse, sentendosi al contempo felice e dispiaciuto che Lance avesse sciolto l’abbraccio. Fecero entrambi un passo indietro. Lance si mise le mani in tasca e Keith incrociò le braccia al petto. Il silenzio era quasi insopportabile. Quindi disse l’unica cosa che pensava di poter dire: la domanda che lo tormentava da giorni. “Quindi… um, se le regionali sono così importanti per te perché ti sei perso le audizioni in singolo?”

A quelle parole, il viso di Lance si fece cupo. Fu un cambio così repentino che Keith si pentì immediatamente della sua domanda. Lance distolse lo sguardo e scrollò le spalle. “Oh, quello, heh. Mia, uh… la mia nipotina si è rotta un braccio e l’ho dovuta portare in ospedale…”

Keith sbatté le palpebre. Non… era quello che si aspettava. “Oh…” Non sapeva cosa dire, quindi tentò con un “Mi… mi dispiace.”

Lance scrollò di nuovo le spalle e alzò lo sguardo, rivolgendogli un sorriso imbarazzato. “Non importa. Lei sta bene. L’ho convinta del fatto che avere il gesso facesse figo perché la gente te lo può firmare e roba simile. Le ho perfino detto che avrei voluto rompermi io qualcosa per farmelo mettere.” Ridacchiò disinvolto, sventolando una mano. “In ogni caso… ora abbiamo una seconda possibilità, no? Quindi va tutto bene.”

A quelle parole, Keith si lasciò sfuggire un sorriso. “Già, va tutto bene.”

Rimasero lì per un momento, fissandosi e sorridendo, e fu un momento talmente tenero che Keith era certo che Lance avesse potuto sentire il rumore del suo cuore che gli batteva nel petto.

Ma quel momento venne interrotto dall’urlo di un bambino.

“Lance! Laaaance! Lance!”

Lance fece una smorfia e rivolse a Keith uno sguardo quasi di scusa prima di fare qualche passo avanti e mettersi di fianco a lui. “Sono qui, Leo!” Chiamò.

In pochi secondi un ragazzino frenò all’inizio del reparto, notò Lance e gli corse dritto incontro. Quando lo raggiunse, Lance fece un passo di lato, si abbassò e passò le braccia intorno alla sua vita, sollevandolo in aria. Lo teneva stretto per i fianchi, con le gambe del ragazzino che dondolavano per davanti e le braccia a penzoloni per dietro.

“Mettimi giù!” Comandò. “Lance! Mettimi giù!

Lance schioccò la lingua. “Cosa ti abbiamo detto a proposito di urlare e correre nei negozi?”

Il ragazzino si abbandonò a peso morto, la testa a penzoloni. “Che non si fa…” Borbottò.

Lance annuì e lo rimise a terra. Poi comparve anche una ragazza, che camminava a passo veloce per raggiungerli. Teneva i cappelli raccolti in una coda alta e- Keith li riconobbe, erano i ragazzini di prima. Ora che la vedeva in faccia, assomigliava a Lance. Il loro naso era leggermente diverso, come pure la forma della loro mascella, ma gli occhi e il modo di tenere le labbra erano gli stessi.

“Sophie, non dovevi badargli tu?”

Lei si rabbuiò e incrociò le braccia al petto, facendo sporgere l’anca. Teneva un libro in mano, ma Keith non riuscì a vedere quale. “Lo stavo facendo, ma poi è sparito per cercarti. Avevi detto che ci avresti messo poco. Perché sei qui?” Chiese, inarcando un sopracciglio mentre leggeva il cartello che diceva ‘Maternità’.

Lance arrossì e il suo volto si storse in una smorfia mentre copiava la sua posa. “Stavo solo parlando con Keith.” Disse sulla difensiva, facendo scattare un pollice dietro la spalla per indicare Keith.

Gli occhi di lei si spostarono su di lui, squadrandolo dall’alto in basso. Le sue sopracciglia si unirono per la curiosità, ma fu Leo a domandare: “Chi è?”

A quelle parole, il sorrisino efferato di Lance rispuntò. Quello che Keith odiava. Poi si ritrovò il braccio dell’altro attorno alle spalle e quella volta non riuscì a odiarlo. “Keith è il mio partner di ballo per le regionali.” Annunciò, orgoglioso. Fece un gesto verso i due ragazzini. “Keith, questi sono la mia sorellina Sophie e il mio fratellino Leo.”

Sophie sollevò entrambe le sopracciglia. “Pensavo che la gente odiasse ballare con te!”

Come, prego?
“Lance!” Il ragazzino gli stava strattonando la maglietta, tenendo in mano un libro. Keith riconobbe le parole ‘Percy Jackson.’ “Guarda! Ho scelto un libro ed è fantastico.” Sventolò una mano verso Sophie, che era dietro di lui. “Anche Sophie ha preso un libro.”

“Ottimo, nerdino.” Disse Lance, scompigliandogli i capelli.

Gli occhi di Leo si assottigliarono pieni di sospetto, squadrando Lance. “Dov’è il tuo libro?”

“Io, uh,” si massaggiò la nuca, “io… non l’ho trovato.”

“Laaaance, avevi detto che se mi fossi preso un libro l’avresti preso anche tu.”

“Lo so, ma-”

“Qualche problema, Lance? Pensavo che fossi un lettore incallito.” Disse Keith, rivolgendogli un sorrisino sbieco.

Lance gli rivolse un’occhiataccia e gli puntò il dito in faccia. “Non ho bisogno della tua insolenza.” Sibilò, e Keith ridacchiò, coprendosi la bocca mentre Lance si voltava di nuovo verso i suoi fratelli. “È solo che… non ne ho ancora trovato uno. Non, uh, non so cosa possa andarmi bene? Forse la prossima volta-”

“Posso darti qualche suggerimento.” Disse Keith all’improvviso, attirando l’attenzione di tutti e tre. Sentì il volto andare a fuoco. Non… voleva davvero dire qualcosa. Ma Lance l’aveva fatto sentire a suo agio ed era abituato ad aiutare i clienti con i libri, quindi… Aveva deciso di assecondare quell’istinto.

“Serio?” Chiese Lance con un sopracciglio inarcato.

Keith si voltò per nascondere il calore che gli stava salendo lungo il collo. Sentiva le orecchie calde. “Sì, seguimi.” Senza voltarsi per controllare che lo stessero seguendo, si incamminò tra le varie sezioni fino alla parte opposta del negozio, verso gli scaffali di sci-fi. Quando la raggiunse rallentò il passo, camminando vicino agli scaffali e scansionando il dorso dei libri fino a quando non arrivò alla A. Prese un libro e si girò per offrirlo a Lance.

Il ragazzo lo prese, esitante, e inarcò un sopracciglio quando lesse la copertina. “Guida galattica per autostoppisti? Serio? Non ci avevano fatto un film?”

Keith annuì e picchiettò la copertina. “Sì, ma il libro è molto meglio. È uno dei miei preferiti. Penso che sia… stupido abbastanza da catturare la tua attenzione.”

Lance assottigliò gli occhi, ma le sue labbra erano curvate in un sorriso. “Non so se sentirmi insultato o lusingato.”

Keith scrollò le spalle. Poteva sentire che anche lui stava sorridendo. “Perché non entrambi?”

“Lance! Ho fame!” Disse Leo, strattonandogli la maglia. “Possiamo prendere qualcosa mentre torniamo a casa?”

Lance emise una risata nasale e gli scompigliò i capelli. “Sai che mama ci uccide se non avremo fame per cena. Che ne dici di un milkshake?”

Gli occhi del ragazzino si illuminarono, assomigliando a un giovane Lance quando sorrideva. Gli mancavano un paio di denti e i suoi capelli erano più corti, ma Keith vedeva che erano simili. “Sì!”

“Okay, andiamo a pagare questi libri.” Il ragazzino si era già incamminato con Sophie alle calcagna che lanciava occhiate curiose e penetranti a Keith da dietro la spalla. Le sue labbra si curvarono in un piccolo sorriso che gli ricordarono fin troppo Pidge per sentirsi a suo agio. Lance si girò di nuovo verso di lui, catalizzando la sua attenzione. “Noi ci vediamo domani, giusto?”

“Sì.” Disse Keith con un piccolo cenno del capo. Si sorprese a cincischiare e pizzicare i pantaloni con le dita, quindi incrociò le braccia al petto. “Dobbiamo iniziare ad allenarci se vogliamo farcela.”

Lance ghignò. “Oh, si che ce la faremo.”

Keith gli rivolse un sorrisino e inclinò la testa di lato. “Certo, se pensi di riuscire a starmi dietro.”

Lance rise. “Oh, mi stai sfidando?”

Keith non esitò. “Certo che sì.”

Lance fece un sorrisino e abbassò il mento, sporgendosi leggermente in avanti e guardando Keith dal basso. Stava già iniziando a camminare all’indietro, le mani sui fianchi. “Fatti sotto, mullet.” Disse, la voce bassa e scherzosa. Keith sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Poi Lance rise, si girò sui talloni e se ne andò. Sventolò il libro in aria da dietro la spalla. “Grazie per il libro!”

Keith passò il resto del turno con un piccolo sorriso che gli aleggiava sulle labbra. Il che, a quanto pareva, lo rese abbastanza avvicinabile da far sì che un po’ di persone gli venissero a chiedere una mano.

Ne diede la colpa a Lance.


Note dell’autrice: Eccoci finalmente in ballo! Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Io e Sora ne siamo molto soddisfatte!

Abbiamo visto un sacco di commenti con canzoni che pensate che possano andare bene per i personaggi e le amo! Se avete una canzone in particolare che pensate possa stare bene con questa fic, non esitate a farcelo sapere qui o sui nostri tumblr o sul tumblr di Shut Up and Dance With Me! Anche se non le useremo, sono belle da sentire!

Inoltre, non so ancora come affrontare lo spagnolo che arriverà più avanti in questa fic. Voglio rendere giustizia a Lance, ma sfortunatamente ho fatto tedesco a scuola e Sora è danese. Non abbiamo amici che parlino spagnolo, quindi volevo chiedere se c’era qualche volontario disposto ad aiutarmi con frasi più lunghe in spagnolo più avanti. Preferibilmente qualcuno che abbia sufficiente abilità nello spagnolo da sapere tutte le sfumature dello slang e della lingua parlata (a differenza dello spagnolo più rigido e formale). Mi piacerebbe davvero avere qualcuno a cui potermi rivolgere per qualche consiglio/quando ne ho bisogno ^^

Inoltre, se siete curiosi, ho risposto a una ask a proposito di quale tipo di musica ascoltano i personaggi, o perlomeno quello che io e Sora abbiamo in mente come headcannon per questa fic.

 

PER FAVORE, NON RIPOSTATE I DISEGNI DI QUESTA FIC! Rebloggateli dall’artista in persona QUI.
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