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Autore: Placebogirl_Black Stones    04/07/2020    2 recensioni
Dopo la sconfitta dell'Organizzazione, tutte le persone che sono state coinvolte nella battaglia dovranno finalmente fare i conti con i loro conflitti personali e con tutto ciò che hanno lasciato irrisolto fino ad ora. Questa sarà probabilmente la battaglia più difficile: un lungo viaggio dentro se stessi per liberarsi dai propri fantasmi e dalle proprie paure e riuscire così ad andare avanti con le loro vite. Ne usciranno vincitori o perderanno se stessi lungo la strada?
"There's a day when you realize that you're not just a survivor, you're a warrior. You're tougher than anything life throws your way."(Brooke Davis - One Tree Hill)
Pairing principale: Shuichi/Jodie
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ai Haibara/Shiho Miyano, Jodie Starling, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Shuichi Akai
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tomorrow (I'm with you)'
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Capitolo 21: La prova
 
 
Quelle tre settimane di vacanza non erano di certo servite a farle accettare ciò che era successo. Le aveva trascorse restando per lo più in casa, concedendosi solo qualche uscita al cinema di tanto in tanto ma trovando tutti i film di qualità scadente (o forse era il suo umore ad averglieli fatti sembrare così). Non c’era nulla che le andasse realmente di fare, si sentiva demotivata e incapace di rialzarsi. Quel processo era stata quella che si poteva definire la più grande delusione della sua esistenza.
Nonostante i pochi amici che aveva le avessero chiesto di uscire o cercato in tutti i modi di tirarle su il morale, lei aveva sempre declinato gli inviti. L’unica compagnia che si era concessa era stata quella di Shuichi. Nonostante avesse continuato a ripetergli di non preoccuparsi, lui era andato a trovarla imperterrito quasi ogni sera dopo il lavoro, trattenendosi a casa sua per ore. Non riusciva a capire il motivo di tanto interesse, Shuichi era uno che senza dubbio si preoccupava per gli altri, ma non in modo così esplicito. La stupiva vederlo così vicino, specie dopo i discorsi che avevano affrontato mesi prima in Giappone e sui quali poi non erano più tornati. Fra loro la situazione era rimasta invariata, erano sempre due ex fidanzati, due presunti amici e due colleghi di lavoro. Anche quella sera, come le precedenti, era andato da lei.
Erano erano seduti sul divano e stavano bevendo un bicchiere di Sherry, quando la sua domanda improvvisa le rese finalmente chiaro il motivo per cui in quelle settimane le era stato così tanto addosso.
 
- Credi ancora nella giustizia?-
 
Quella domanda era chiaramente riferita a ciò che aveva detto in tribunale dopo la sentenza. Dunque era preoccupato che lei potesse veramente non credere più a quei principi che sono fondamentali per un agente dell’FBI.
 
- Solo il tempo potrà dirlo. In questo momento non saprei rispondere alla tua domanda- gli rispose in tutta sincerità.
 
Furono interrotti dal cellulare di Shuichi, che prese a suonare all’improvviso. Le sembrò di vedere un’espressione strana sul suo volto quando lesse il nome sul display, ma non seppe dire con certezza se era stato solo il frutto della sua immaginazione.
 
- Scusa, devo rispondere- si alzò dal divano, dirigendosi verso il bagno e chiudendo la porta alle sue spalle.
 
Anche quel gesto le sembrò strano, doveva essere una conversazione davvero privata se non voleva nemmeno che la sentisse. Ma si disse che in fondo lui era fatto così, si impicciava degli affari altrui ma non voleva che nessuno sapesse nulla di lui.
Rimase seduta sul divano a sorseggiare il suo Sherry, fino a quando pochi minuti dopo Shuichi riapparve nel salotto con un lieve sorriso sulle labbra, particolare che non le sfuggì.
 
- È successo qualcosa?- gli chiese.
- Sì, ho ricevuto una bella notizia che stavo aspettando da un po’- si sedette nuovamente sul divano.
- Davvero? E quale?- si incuriosì.
- Riguarda la mia famiglia- rispose vago.
 
Come solito, impossibile cavargli una parola di più dalla bocca. Appoggiò la schiena contro il divano, riflettendo sul fatto che anche quando stavano insieme Shuichi non le aveva mai parlato più di tanto della sua famiglia. Sapeva che aveva un fratello minore e una sorellina, che avevano origini britanniche ma nulla più di questo. Le sarebbe piaciuto molto conoscere tutti quanti, capire da chi avesse preso quel caratteraccio e soprattutto godersi per un attimo la fugace felicità di ritrovarsi in quella famiglia numerosa che lei aveva sempre desiderato ma che purtroppo non aveva mai potuto avere.
La voce di Shuichi la riportò alla realtà.
 
- Ti senti pronta a tornare al lavoro domani?-
- Sinceramente? No, non credo di farcela ad affrontare di nuovo tutto da capo. Ma devo tornare, che mi piaccia o no- chiuse gli occhi.
- Vedrai che questa volta andrà meglio- cercò di rassicurarla - Cercherò di dare anche io il mio contributo-
 
Doveva ammettere di essere un po’ scettica su questa sua ultima affermazione: cosa poteva sapere Shuichi di più di quello che non sapevano già tutti su Vermouth? Anche se era stato un infiltrato nell’Organizzazione, non aveva mai scoperto nulla che potesse realmente incastrare Vermouth. Tuttavia era dolce che si stesse impegnando per aiutarla, apprezzava il suo sforzo.
 
- Grazie- gli sorrise.
- Adesso devo andare- si alzò dal divano, posando il suo bicchiere vuoto sul tavolino - Ci vediamo domani al lavoro-
- D’accordo- annuì.
 
Lo accompagnò fino alla porta e rimase sullo stipite ad osservarlo fino a quando non lo vide sparire dentro l’ascensore. Poi tornò in casa e andò subito a coricarsi, nella speranza di riuscire a dormire sufficientemente bene per affrontare il suo ritorno a quel lavoro per cui, al momento, nutriva sentimenti contrastanti.
 
 
…………………
 
 
Quando la porta dell’ascensore si chiuse e fu certo di essere lontano dagli occhi e dalle orecchie di Jodie,
prese il telefono dalla tasca della giacca, controllò velocemente l’ora e poi cercò il numero nella rubrica. Pochi minuti dopo sentì la voce dall’altro capo.
 
- Pronto, Akai-san? Tutto bene?-
- Ciao giovane Holmes, scusami se ti disturbo mentre sei a scuola ma mi ha chiamato Shiho poco fa. Ha detto che ha funzionato-
- Dice sul serio? Così in fretta?!- si stupì il ragazzo.
- Sono sorpreso anche io, ma a quanto pare aveva ancora fresca in memoria la formula per ricreare il farmaco-
- Se ci avesse messo lo stesso tempo per ricordarsi anche quella per l’antidoto definitivo mi sarei risparmiato un sacco di rogne!- si lamentò.
- Ma forse non saresti qui a raccontarle- sorrise - Ad ogni modo ora abbiamo la prova che serviva, ma oltre a quella è bene avere più testimonianze possibili, perciò tieniti pronto a volare a New York. Ti terrò informato sulla data del processo-
- D’accordo, aspetto sue notizie allora-
- Molto bene, a presto ragazzino- si preparò a chiudere quella telefonata.
- Aspetti…- lo fermò - La professoressa Jodie come sta?- chiese, facendosi serio.
- Credo starà bene solo quando avrà ottenuto la giustizia che desidera- disse, senza aggiungere altro, certo che il ragazzino avrebbe capito.
- Mi spiace- sospirò.
- Non preoccuparti, vedrai che riusciremo a farla stare meglio-
- Lo spero-
 
Quando chiuse la telefonata con il suo amico detective era ormai arrivato alla macchina, salì a bordo e si allacciò la cintura. Prima di mettere in moto, però, cercò un altro numero nella rubrica e si preparò a fare un’altra chiamata.
 
- A cosa devo l’onore di questa telefonata?- rispose piccata la voce femminile dall’altro lato.
- Pensavo fossi felice di sentire tuo figlio- replicò.
- Sarei felice se si facesse sentire più spesso!- lo rimproverò, come se fosse ancora un ragazzino delle medie.
- Lo sai che sono sempre molto occupato- si giustificò - E a proposito di questo, avrei bisogno del tuo aiuto-
- Mi telefoni solo per chiedermi favori?-
- È importante-
- Di che si tratta?-
- Avrei bisogno che testimoniassi a un processo. Riguarda l’Organizzazione… -
- Spiegati meglio- si fece seria.
- Il processo che è stato fatto a Vermouth un mese fa non è andato come sperato. La giuria non ha creduto del tutto alla storia del farmaco che fa regredire l’età fisica di una persona. D’altra parte, non posso biasimarli. Il risultato è che Vermouth è ancora dietro alle sbarre ma senza una vera e propria sentenza, quindi dovremo prendere parte ad un nuovo processo. Una mia collega non l’ha presa bene, dal momento che Vermouth è da anni la sua nemica giurata, quindi sto cercando di raccogliere più prove e informazioni di quelle che avevamo nel primo processo. Stavolta non possiamo permetterci di sbagliare. Dal momento che anche tu hai un conto in sospeso con Vermouth, ho pensato che ti avrebbe fatto piacere contribuire alle testimonianze- concluse.
- “Piacere” è un termine che non si addice al mio pensiero su quell’Organizzazione… Cosa dovrei fare?- chiese.
- Semplicemente raccontare la verità, cioè che Vermouth ti ha costretta a ingerire un farmaco che ti aveva fatta ritornare all’età di una ragazzina delle medie. Se riuscissi a procurarti anche qualche foto recente di quando eri ancora nel corpo di una teenager sarebbe meglio, possibilmente con la data dello scatto per evitare che si possa pensare a una foto vecchia di quando eri davvero una studentessa delle medie-
- Perché dovrei farlo, Shuichi? Perchè dovrei mettere di nuovo in pericolo la nostra famiglia esponendomi in questo modo? Chi mi garantisce che là fuori non ci sia ancora qualcuno di loro a piede libero pronto a ridarci la caccia? Proprio ora che abbiamo ritrovato tuo padre, che Masumi può avere un padre!- il tono della sua voce si alterò, segno che la richiesta non le era andata a genio.
 
Era comprensibile che dopo tutto quello che avevano passato sua madre desiderasse solo godersi la loro famiglia finalmente riunita. Anche lei, come tutti loro, era stanca di essere coinvolta in quelle vicende e di vivere nascondendosi con la paura di essere ritrovata. Ma questo non era il momento di avere paura, questo era il momento di giocarsi il tutto per tutto. Dovevano vincere quella partita, a tutti i costi.
 
- Vorresti dirmi che un agente dell’MI6 ha paura di esporsi per assicurare un criminale alla giustizia?- la provocò.
- Questo non ha nulla a che vedere con il mio lavoro!-
- E invece ha a che vedere eccome. Anche tu eri sulle loro tracce, anche tu hai vissuto sulla tua pelle la loro crudeltà e hai desiderato metterli dietro alle sbarre per vendicare papà quando credevamo che fosse morto-
 
Stava cercando in tutti i modi di far leva sui suoi punti deboli, di rigirare il coltello nelle ferite per costringerla a reagire. Voleva indurla a fare esattamente ciò che lui voleva. Probabilmente lo aveva capito anche lei, d’altra parte si somigliavano fin troppo. Sapeva che davanti all’argomento Tsutomu, sua madre indeboliva la corazza. Amava troppo suo marito per restare indifferente.
Ci fu un lungo silenzio dall’altra parte del telefono, nessuna replica. Forse aveva fatto centro.
 
- Ti sto solo chiedendo di fare la cosa giusta, anche se il prezzo da pagare ti sembra alto. In questo momento una donna sta provando ciò che hai provato tu: vorrebbe giustizia per la morte di una persona che amava ma non riesce ad ottenerla perché non ha delle prove abbastanza convincenti per far giustiziare chi l’ha privata della sua felicità. Solo che tu hai riavuto indietro tuo marito, lei non potrà in alcun modo riavere il padre che Vermouth le ha portato via. Tutto ciò che le resta è la speranza di fare giustizia, ma la sta perdendo- fece una pausa - Inoltre, direi che me lo devi, dopotutto-
- Ho capito, basta così- lo interruppe- Farò quello che mi hai chiesto, ma se dovesse succedere qualcosa sappi che sarai ritenuto responsabile. E piantala di avercela con me per quella storia!-
- Mi assumerò le mie responsabilità- sorrise, orgoglioso di aver ottenuto (come sempre) ciò che voleva.
- Ti sta così a cuore questa donna? È la tua fidanzata?-
- Questo non c’entra con il processo- la liquidò.
- Ma tu guarda che figlio ingrato, mi chiede favori e poi non risponde nemmeno alle mie domande!- si lamentò.
- Adesso devo andare, ti farò sapere la data del processo in modo che tu possa organizzarti per venire in America. A presto mamma- chiuse la telefonata.
 
 
…………………
 
 
Camminava lungo il corridoio sorseggiando una lattina di caffè nero che aveva appena preso al distributore e ricambiando il saluto di alcuni colleghi, diretto verso l’ufficio del suo capo. James era l’ultima persona rimasta a cui dare la buona notizia, dopo tutte le telefonate della sera prima.
Bussò alla porta e attese che lo invitasse a entrare.
 
- Akai, entra pure-
- Buongiorno James, ti porto buone notizie- arrivò dritto al punto.
- Ah sì? A proposito di cosa?-
- Del processo a Vermouth-
- Quali notizie?- allargò di poco gli occhi, sorpreso da quella rivelazione.
- Ho raccolto delle prove inconfutabili, stavolta quell’avvocato da quattro soldi non la farà franca- sorrise beffardo - Quindi puoi procedere a fissare la data del processo-
 
James rimase a fissarlo per qualche secondo a bocca aperta, non sapendo cosa dire. Era ovvio che fra tutte le notizie che avrebbe potuto dargli, quella sarebbe stata l’ultima che avesse potuto immaginare. In fondo si era mosso nell’ombra, come faceva sempre, senza mettere al corrente nessuno delle su ricerche. Sapeva che questo suo lato da lupo solitario a volte infastidiva James, ma sapeva anche che l’uomo riponeva in lui la sua più totale fiducia.
 
- Non immaginavo che stessi raccogliendo anche tu delle prove- ammise - Puoi mostrarmele?-
- Mi piacerebbe, ma purtroppo al momento non le ho ancora fra le mani. Le porteranno direttamente le persone a cui le ho chieste quando verranno in America per il processo- concluse.
- Perdonami Akai, ma come posso fissare un processo senza prima aver visto le prove di cui parli?- chiese dubbioso.
- Le fonti sono attendibili, ci possiamo fidare al cento per cento- lo rassicurò.
- E posso sapere chi sarebbero queste persone?-
- Le conosci molto bene anche tu: il nostro giovane detective, la ragazzina scienziata e mia madre-
- Beh, un cast notevole… ma sei davvero sicuro che funzionerà? Ti ricordo che non possiamo permetterci di sbagliare di nuovo-
 
Sorrise, comprendendo che la sua preoccupazione non era tanto per la reputazione dell’FBI se fosse uscita sconfitta da due processi consecutivi, quanto per Jodie, che per lui era come una figlia. In quelle settimane aveva sofferto con lei, anche se erano stati lontani. Sapeva che le aveva telefonato spesso e qualche volta era anche andato a trovarla, nella speranza di vederla stare meglio.
 
- Hai la mia parola che questa volta non falliremo- lo fissò dritto negli occhi.
 
La loro conversazione fu interrotta da qualcuno che bussava alla porta dell’ufficio. Dalla porta semiaperta fece capolino la testa di Jodie.
 
- Disturbo?- chiese.
- Certo che no, bentornata!- l’accolse calorosamente James, sorridendole e alzandosi in piedi.
 
In tutta risposta Jodie si sforzò di sorridere, ma il suo disagio era evidente. Probabilmente avrebbe voluto essere in qualsiasi posto tranne che in quello. Tutto intorno a lei doveva ricordarle quel fallimento.
 
- Arrivi proprio al momento giusto, abbiamo ottime notizie!- cercò di risollevarla, utilizzando la carta che lui aveva appena messo sul tavolo.
- Cioè?- si limitò a rispondere lei, aggrottando la fronte.
- Akai ha trovato delle prove aggiuntive per sostenere la teoria della pillola che ringiovanisce-
 
La vide spostare lo sguardo su di lui, fissandolo dubbiosa. In condizioni normali si sarebbe fidata ciecamente di lui, ma in quel momento Jodie non riusciva ad avere fiducia nemmeno in se stessa.
 
- Quanto è passato dal processo? Un mese? Poco più? Come pensate che delle prove trovate in così poco tempo possano essere la chiave per la vittoria?- chiese scettica, incrociando le braccia al petto - Specie se consideriamo che le prove di cui disponevamo ci avevamo impiegato anni a raccoglierle. Siamo onesti, probabilmente non abbiamo alcuna possibilità di vincere. Se non avessi vissuto questa storia in prima persona, probabilmente nemmeno io credei alla storiella della pillola miracolosa-
 
Bastarono quelle parole a spegnere l’entusiasmo di James, che abbassò il capo come un cane bastonato. Provò pena per lui, perché si stava sforzando più che poteva di far felice quella bambina capricciosa che aveva cresciuto al posto del suo amico defunto. Anche lui voleva giustizia per il padre di Jodie, ma non sapeva come fare. E ora doveva anche occuparsi di recuperare Jodie da quel baratro in cui era caduta.
 
- Abbi fiducia Jodie, i miei piani funzionano sempre e lo sai- intervenne in aiuto del suo capo - Non dovresti avere quell’atteggiamento negativo, altrimenti sarai la prima a far fallire la nostra seconda occasione-
 
Non aveva moderato troppo le parole, ma d’altra parte non era solito farlo. Lui diceva quello che pensava, quello che riteneva giusto. Poteva comprendere il dolore di Jodie, ma non giustificava il suo atteggiamento. Presa com’era a piangersi addosso, non si rendeva nemmeno conto di quanto stesse soffrendo James.
Vide l’espressione sul suo volto cambiare, lo scetticismo aveva lasciato spazio alla rabbia. Probabilmente si sentiva come se nessuno la capisse davvero. Ma a lui non importava, voleva solo farle capire che stava sbagliando.
 
- Che atteggiamento dovrei avere?!- si alterò, alzando i toni.
- Quello di una che ha fiducia nei suoi colleghi-
- Oh, ma io mi fido di voi: è la giuria che pensa che siamo tutti dei visionari che credono che la gente rimpicciolisca con una pillola! Perché non vai a dirlo a loro di avere fiducia nelle tue prove?!-
- Su su, adesso calmatevi tutti e due- cercò di riappacificare gli animi James.
- Vado alla mia scrivania- concluse stizzita.
 
Voltò loro le spalle e uscì a grandi passi dall’ufficio, ignorando completamente il povero Camel che cercava di salutarla.
 
 
……………………
 
 
Si erano riuniti tutti nel suo appartamento, che forse era un po’ troppo piccolo per ospitare così tanta gente. Stavano seduti in cerchio intorno a un tavolino, dove avevano posizionato tutto il materiale da visionare. Erano trascorse tre settimane da quando li aveva chiamati e ora, finalmente, poteva stringere le prove fra le sue mani. Il processo era stato fissato per la settimana successiva, quindi il tempo a loro disposizione era poco.
Sua madre stava mostrando delle foto scattate quando ancora, sotto l’effetto del farmaco, aveva l’aspetto di una ragazzina delle medie. Sulle foto apparivano data e ora, come le aveva chiesto. Si augurò che il fatto di essere un agente dell’MI6 giovasse a suo favore, aiutandola a sembrare più credibile.
Fu poi il turno di Shinichi e Shiho, anche loro con delle foto di quando erano Conan e Ai. Ma in realtà era proprio Shiho ad avere la prova più schiacciante di tutte, racchiusa in quella piccola chiavetta USB al centro del tavolo. La inserì nel PC e aprì il file video contenuto al suo interno, mentre gli occhi di tutti erano fissati sullo schermo, impazienti di sapere.
Il video era stato girato con una telecamera che riportava data e ora fisse e ritraeva in primo piano sette topi, tutti delle stesse dimensioni, chiusi in una gabbia. Diversi secondi  dopo si vedeva Shiho somministrare loro qualcosa, una pillola metà rossa e metà bianca. Nel giro di pochi minuti, sei dei sette topi a cui era stata data la pillola erano visibilmente morti, stesi con le zampine rannicchiate e senza più dar segni di vita. Il settimo, invece, era ancora vivo e vegeto e si muoveva tra i corpi senza vita dei suoi simili. Ma la cosa più sorprendente era che le dimensioni di quest’ultimo erano notevolmente diminuite. Se non fosse stato per la data, l’ora e il timer con il tempo che scorreva, si sarebbe potuto pensare che qualcuno avesse sostituito il topo con uno più piccolo. Sorrise soddisfatto, interrompendo il filmato, mentre gli altri non sembravano nemmeno più tanto stupiti dalla cosa. Era comprensibile, d’altra parte tre di loro avevano vissuto quella metamorfosi in prima persona.
 
- Ottimo, direi che questa è la prova decisiva-
- Come fai a essere sicuro che funzioni?- chiese Shiho - Voglio dire, pensi che la gente crederà e basta a questo video oppure che cercherà di trovare una spiegazione più facile, come per esempio accusarci di aver falsificato data e ora del filmato e di aver sostituito il topo nella gabbia con uno più piccolo?-
- Certo che tu e Jodie siete proprio due gocce d’acqua- si lasciò sfuggire a bassa voce, ma non così bassa da impedire a tutti di sentire - In quel caso tieniti pronta a sostenere la tua tesi con tutti i mezzi possibili-
- La fai facile tu, ma la mia posizione non è delle migliori. Ti ricordo che durante il processo verrà fuori che sono stata anche io un membro dell’Organizzazione e per di più l’ideatrice di quel farmaco. Pensi che la gente avrà così tanta fiducia in me dopo questo?-
- Sì, però è anche vero che alla fine hai voltato le spalle all’Organizzazione e ti sei alleata dalla parte giusta- intervenne Shinichi - Forse sottolineare la tua “redenzione” potrebbe aiutare a non metterti in cattiva luce per via del tuo passato-
- Se è per questo allora anche mia sorella, tua madre, è stata un membro dell’Organizzazione prima di te, quindi anche io sono un’agente dell MI6 con una sorella coinvolta- prese la parola Mary, che fino a quel momento era rimasta in silenzio - Penso che nessuna delle nostre posizioni sia facile-
 
Shiho la fissò, stringendosi nelle spalle: probabilmente non si era ancora abituata a quella nuova zia acquisita. Molte cose erano cambiate durante i sei mesi trascorsi da quando l’FBI aveva lasciato il Giappone. Mary aveva voluto incontrarla e lei ne aveva avuto timore. Più che comprensibile, dal momento che l’aura che emanava sua madre era ancor più spaventosa di quella che emanava lui. non era certo il ritratto vivente della dolce mammina pronta a farti le coccole. Era più probabile ricevere pugni e parole dure.
Non aveva capito perché volesse vederla, ormai la storia dell’Organizzazione era morta e sepolta. Alla fine aveva accettato, venendo così a conoscenza del fatto che Mary era la sorella di sua madre, nonché sua zia. Questo significava che aveva una parentela diretta con la loro famiglia e che, di conseguenza, lui era suo cugino. La cosa l’aveva sconvolta a tal punto da fuggire nel bel mezzo della conversazione e rifugiarsi a casa del giovane detective.
Per giorni era stata preda di sentimenti contrastanti, da un lato la rabbia e dall’altro la curiosità di conoscere le uniche persone al mondo ancora vive che facevano effettivamente parte del suo albero genealogico. Ormai si era abituata a considerare il Dottor Agasa come la sua famiglia, anche se fra loro non c’erano legami di sangue. Però doveva ammettere che quella zia sbucata fuori dal nulla le aveva fatto venire la curiosità di conoscere più cose su quella madre che non era riuscita ad avere. Così, spinta anche da Shinichi, aveva messo da parte la rabbia e aveva ricontattato Mary, stavolta fermandosi a parlare con lei senza fuggire. Di certo non era la zia premurosa e dolce che tutti vorrebbero, era una donna fredda degna del figlio maggiore che aveva partorito, tuttavia non poteva dire che le sembrasse una cattiva persona. Forse per certi versi le somigliava anche.
Aveva poi telefonato a lui, per sapere cosa ne pensasse di tutta quella storia. Lui non aveva potuto far altro che esprimere il suo disappunto, non tanto per il fatto che la madre gli avesse tenuto nascosto una sorella e delle cugine per tutti questi anni, quanto perché non riusciva proprio ad accettare l’idea che la donna per cui stava ancora consumando il suo lutto fosse in realtà sua cugina. In Giappone non ci sarebbe stato nulla di male in questo, ma l’essere cresciuto in Inghilterra aveva fatto sì che la sua mentalità fosse quella di un occidentale.
Si era arrabbiato talmente tanto da non aver più chiamato sua madre per un interno mese. Poi, poco a poco, gli animi si erano calmati e adesso tutti stavano facendo del loro meglio per riunire quella famiglia separata da troppo tempo.
Tsutomu si era dimostrato quello più affettuoso di tutti con Shiho e felice di aver acquisito una nipote, se si escludeva Masumi che la abbracciava in continuazione come faceva con qualsiasi altro essere vivente.


- Piuttosto, perché Jodie non c’è? Questo processo riguarda lei più di tutti noi- chiese Shiho, cercando di cambiare discorso.
- Credo sia meglio non sovraccaricarla troppo e lasciarla tranquilla il più possibile. Jodie non si è ancora ripresa dal precedente processo, è molto suscettibile e si innervosisce facilmente se si tocca l’argomento. Vorrei non dirle nulla di voi e di queste prove fino al giorno del processo- spiegò.
- La vuoi tenere all’oscuro?!- disapprovò.
- Pensa a come sarà sorpresa e felice di vedere che tu e il giovane detective siete venuti ad aiutarla-
- Ti ricordo che non è la festa per il suo compleanno, è un processo in cui verrà giudicata l’assassina di suo padre-
- Lo so bene, per questo conto sulla collaborazione di tutti voi-

Discussero sulla strategia da adottare per i successivi venti minuti, poi gli ospiti si congedarono. Li accompagnò alla porta e ricordò loro la data e l’ora in cui si sarebbero dovuti presentare in tribunale.
Quando gli altri si allontanarono verso l’ascensore, Shiho rimase lì sulla porta a fissarlo.
 
- Ancora nessun progresso con Jodie a quanto vedo. Stai aspettando la vecchiaia?-
 
Sorrise, aspettandosi la solita predica che aveva continuato a fargli anche al telefono.
 
- Direi che questo non è il momento per parlare di relazioni e questi ultimi mesi  ci hanno visti occupati a concentrarci su altro- si giustificò.
- Se vuoi raccontarti queste balle fa’ pure, ma con me non attacca. Tua sorella continua a dire ai tuoi che Jodie è la tua ragazza, quindi faresti meglio a prepararti perché quando la incontreranno potrebbe essere un tantino imbarazzante…- lo mise in guardia, per poi muovere qualche passo e allontanarsi per raggiungere gli altri che la stavano aspettando.
- Sopravviverò- rispose semplicemente.
- Sul serio, piantala di temporeggiare. Guarda che presto arriverà qualcuno a soffiartela-
 
Chiuse gli occhi per qualche secondo, riflettendo su quelle ultime parole. Poi li riaprì e chiuse la porta, rientrando nel suo appartamento. Quella ragazzina saccente aveva ragione, Jodie non lo avrebbe aspettato in eterno, non era giusto. Ma non era nemmeno giusto che lui si sforzasse di cominciare una nuova relazione quando era ancora attanagliato dai fantasmi di quella vecchia. E poi c’era il processo, il cui risultato avrebbe segnato per sempre, nel bene o nel male, il destino di Jodie.
Adesso non era tempo di essere il suo uomo. Adesso doveva essere il suo eroe. Questo almeno poteva farlo e sapeva di poterlo fare meglio di chiunque altro.
 
 
 
ANGOLO DELL’AUTORE
Questa storia procede a rilento e forse chi di voi la leggeva se ne sarà anche dimenticato! Io però vorrei davvero finirla, anche se il blocco dello scrittore non vuole lasciarmi!
Dal momento che è passato tanto tempo da quando ho iniziato questa storia e nel frattempo il manga è andato avanti e ha svelato cose nuove, ho dovuto fare degli adattamenti che inizialmente non erano previsti, come la conferma che Mary è sorella di Elena. Ecco il motivo per cui non ho sviluppato questa cosa nei precedenti capitoli. Ho cercato di inserirla in questo con un effetto “sorpresa”, spero che non sia uscita una schifezza.
Nel prossimo capitolo avrà inizio il secondo processo a Vermouth, che però sarà ovviamente diverso dal primo.
Come sempre fatemi sapere, se vi va, cosa ne pensate!
Baci
Place
 
   
 
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