Storie originali > Soprannaturale
Ricorda la storia  |       
Autore: syila    09/07/2020    5 recensioni
Il cocchiere fermò i cavalli poco prima di giungere all’incrocio con Floral Street e dopo qualche istante, dal voltone di un vecchio palazzo fatiscente, si affacciò un ragazzo.
Come un animale all’uscita della sua tana, controllò che i paraggi fossero deserti, poi si avvicinò con grande cautela alla vettura, pronto a darsi alla fuga al minimo segnale di pericolo.
Il vetturino rimase fermo al suo posto, non gli agitò contro la frusta, come accadeva talvolta con i cocchieri troppo zelanti e questo lo spinse ad avvicinarsi allo sportello, facendo notare la sua presenza all’occupante con un discreto colpo di tosse, secondo un codice di comunicazione ben collaudato.
Una tendina venne scostata e riabbassata in fretta.
Seguì una lunga pausa di riflessione e il giovanotto valutò l’idea di proseguire per la sua strada, però il rumore della maniglia che veniva aperta lo convinse a fermarsi.
Salì sul predellino congratulandosi con sé stesso per la sua pazienza e qui si bloccò, stupito da ciò che vide all’interno.
O meglio a sorprenderlo non fu tanto il “cosa”, ma il “chi”.
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Victoriana'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
banner

Notturno con città e nebbia

Capitolo I°

"Se tu segui tua stella, non puoi fallire a glorioso porto, se ben m'accorsi nella vita bella".
Divina Commedia, Inferno, Canto XV° - Dante Alighieri


Il selciato sconnesso di Rose Street umido di pioggia rifletteva la luce incerta dei radi lampioni a gas, che nella foschia ingannevole di Novembre somigliavano a tremule lucciole verdastre.
Le strade, nonostante il tipico clima londinese dell'autunno inoltrato, non erano deserte.
All'esterno dei pub facevano capannello rumorose compagnie di giovani; studenti e soprattutto artisti, in cerca di ispirazione, ma più spesso di una pinta di birra a buon mercato.
A ridosso degli androni, strette nelle mantelle di lana o in cappe sgualcite dai toni vistosi, sostavano piccoli gruppi di mondane, che chiacchieravano tra loro, senza perdere d'occhio i potenziali clienti di passaggio.
Alcune erano molto giovani, poco più che bambine, eppure avevano già l'occhio scaltro e le gote accese dai colori del belletto, usato per coprire il pallore degli stenti e spesso quello della consunzione.
Ben dissimulati in tale pittoresca fauna si aggiravano anche dei ragazzi di vita, che ,diversamente dalla concorrenza femminile, avevano qualcosa in più da rischiare, se venivano trovati a praticare il mestiere.
Una carrozza scura, senza insegne, procedeva in direzione di Floral Street, da cui si potevano raggiungere alcuni famosi teatri come il Drury Lane e il Royal Theatre.
Eppure i passeggeri non sembravano affatto interessati ad affrettarsi verso la zona più animata di Soho.
La vettura rallentò in prossimità di un portone dov'erano appostate un paio di prostitute, le quali smisero subito di pettegolare e rivolsero sorrisi e ammiccamenti alla carrozza, le cui tendine tuttavia rimasero religiosamente abbassate.
Solo quando la videro passare oltre portandosi via il potenziale cliente ripresero l’espressione noncurante e fecero spallucce; gesto ripetuto all’indirizzo di una terza presenza che si era affacciata alla finestra del primo piano, forse una compagna di lavoro o, cosa assai più probabile, la loro ruffiana.

Il cocchiere fermò i cavalli poco prima di giungere all’incrocio con Floral Street e dopo qualche istante, dal voltone di un vecchio palazzo fatiscente, si affacciò un ragazzo.
Come un animale all’uscita della sua tana, controllò che i paraggi fossero deserti, poi si avvicinò con grande cautela alla vettura, pronto a darsi alla fuga al minimo segnale di pericolo.
Il vetturino rimase fermo al suo posto, non gli agitò contro la frusta, come accadeva talvolta con i cocchieri troppo zelanti e questo lo spinse ad avvicinarsi allo sportello, facendo notare la sua presenza all’occupante con un discreto colpo di tosse, secondo un codice di comunicazione ben collaudato.
Una tendina venne scostata e riabbassata in fretta.
Seguì una lunga pausa di riflessione e il giovanotto valutò l’idea di proseguire per la sua strada, però il rumore della maniglia che veniva aperta lo convinse a fermarsi
. Salì sul predellino congratulandosi con sé stesso per la sua pazienza e qui si bloccò, stupito da ciò che vide all’interno.
O meglio a sorprenderlo non fu tanto il “cosa”, ma il “chi”.
Al posto del solito cliente pingue, vizioso e coi baffi ingialliti dal tabacco, due donne lo stavano osservando con pacato interesse dietro elaborate velette brune.
Il silenzio imbarazzato che seguì convinse una delle passeggere ad indicargli con la mano guantata il posto vuoto davanti a loro, in un esplicito invito ad accomodarsi.
“I-io...” iniziò il ragazzo a disagio “Siete sicure di volere me?” domandò in un inglese appesantivo dalla forte cadenza slava. La donna che lo aveva invitato si limitò a ribadire il gesto e ad annuire.
L’interessato stentava a credere a tanta fortuna; dopo mesi passati a vendere il suo corpo a clienti rivoltanti, degli esemplari di sesso femminile venivano a chiedere i suoi servigi.
A quel punto potevano anche comandargli di portare su la legna o il carbone dalla cantina o di mettersi a ballare il trepak*; qualsiasi cosa sarebbe stata meglio che farsi mettere le mani addosso da un laido borghese ammogliato in vena di trasgressioni.
Il giovanotto fu lesto ad infilarsi in carrozza e a richiudere lo sportello, subito dopo il cocchiere diede uno schiocco di frusta e il veicolo partì verso una destinazione ignota.



Le figure, compostamente sedute davanti a lui, erano abbigliate in sobrie cappe scure, con la veletta calata sul viso da cui trapelava il balenio dello sguardo, quando incrociavano il cono di luce di un lampione stradale.
Sembravano quasi confondersi con la penombra che regnava all'interno della vettura, eppure dovevano essere belle.
Molto belle.
Ipotizzò l'altro passeggero lasciandosi inebriare dalla delicata fragranza floreale che riempiva l'abitacolo.
Forse un costoso profumo francese.
Quindi dovevano essere ricche.
O perlomeno ben provviste di denari, se potevano permettersi una carrozza e degli abiti non appariscenti, ma confezionati con tessuti pregiati.
Questa constatazione lo portò alla domanda successiva: cosa ci facevano delle signore benestanti in giro da sole, in un quartiere malfamato, all'una di notte?
Nessuna delle due era intervenuta durante i suoi febbrili ragionamenti, quasi ne fossero state consapevoli e avessero temuto di interromperli; però all'affiorare di quel dubbio colei che all'apparenza sembrava la più matura e la più autorevole lo interpellò: “Da quanto tempo vivi a Londra?”
Il ragazzo spalancò gli occhi atteggiando le labbra ad un'esclamazione di muto stupore; la donna gli aveva appena parlato in russo.
“Voi come fate a...”
“Il tuo accento naturalmente, vieni da Mosca?”
“Da un piccolo paese a tre ore di cavallo da lì, sudàrynja*.” precisò il giovane levandosi il cappello e assumendo subito un atteggiamento più rispettoso, perché le dame erano originarie della sua terra e gli ispiravano un senso di atavica deferenza.
“Abbiamo soggiornato per qualche tempo nella capitale, i suoi dintorni sono incantevoli, come la campagna.” precisò l'interlocutrice e lui convenne annuendo.
“Ma la terra non bastava a sfamare la famiglia così ci siamo trasferiti qui, dove però il lavoro in fabbrica...”
“Non basta lo stesso a sfamare la famiglia.” concluse la donna e il ragazzo assentì di nuovo.
In strada non ci andava certo per diletto, suo padre non lo voleva in fabbrica a spaccarsi la schiena dieci ore al giorno, lui era il primogenito, doveva puntare a qualcosa di meglio.
Nel nuovo paese i suoi genitori, di rustica mentalità contadina, ambivano a migliorare la loro condizione, dato che in Russia non avevano possibilità di farlo.
Sognavano di farlo studiare, risparmiavano ogni centesimo non necessario alla sussistenza per mandarlo a scuola; il loro sogno proibito era di vederlo diventare dottore, ma andava bene anche un buon impiego in qualche ufficio o in un negozio.
Già se lo immaginavano curvo sulla scrivania, col suo libro mastro, a tenere i conti di un grande magazzino o di una compagnia di importazioni.
Lui invece aveva capito subito che aria tirava a Londra, dove gli stranieri erano bestie da soma, sacrificabili e rimpiazzabili con manodopera pronta ad accontentarsi di meno del minimo.
Suo padre si sarebbe ammazzato di fatica, sua madre e le sue sorelle avrebbero consumato gli occhi a forza di ricamare e sarebbero rimasti comunque dei morti di fame.
Siccome era un ragazzo sveglio aveva intuito che poteva ottenere di più e con meno fatica offrendosi a clienti paganti, affascinati dal suo aspetto nordico e dalla prestanza fisica.
La famiglia ignorava la vera provenienza del denaro che portava a casa; si era giustificato dicendo di essere riuscito a rimediare alcuni lavoretti serali come garzone o lavapiatti e tanto era bastato perché non indagassero oltre, nemmeno se tornava a notte inoltrata con un labbro spaccato o un occhio nero.
D'altronde nei pub le risse erano all'ordine del giorno e lui era un giovanotto ben piazzato, che sapeva far valere le sue ragioni. “Siamo stranieri in terra straniera, aiutarci tra noi è normale.”
La voce della donna lo blandì come una carezza distogliendolo di nuovo dalle sue riflessioni.
“In che modo posso aiutarvi sudàrynja? Ho imparato diverse cose qui a Londra e i clienti apprezzano i miei... Servigi.” dichiarò fiero, sciorinando la sua esperienza come amante nel tentativo di impressionarle.
Aveva frequentazioni maschili, però i suoi gusti in materia di letto erano assai più tradizionali; aveva avuto l'occasione d'infilare la testa sotto le gonne della lavandaia del secondo piano e della servetta che lavorava dai dirimpettai ed entrambe si erano dichiarate molto soddisfatte.
“Tutto a suo tempo.” rispose placida l'interlocutrice “Tra poco saremo arrivati a destinazione e ti sarà più chiara la natura delle nostre... richieste.”
Il ragazzo le rivolse un sorriso accondiscendente; in realtà non aveva capito niente del suo discorso e il fatto che il viaggio stesse durando un po' troppo cominciava a impensierirlo.
Cercò di sbirciare oltre le tendine abbassate, perché sollevarle senza chiedere il permesso gli sembrava un gesto oltremodo scortese e gli parve che la strada fosse più larga e meglio illuminata; inoltre la carrozza sobbalzava di rado, quindi il selciato era ben tenuto.
Se gli indizi erano corretti si stavano dirigendo verso un quartiere benestante e questo da una parte lo rassicurava, ma dall'altra iniziava a preoccuparlo il ritorno.



“Qual è il tuo nome?”
La domanda lo fece trasalire, perché era stata formulata dalla seconda passeggera, col tono asciutto e formale di un ufficiale di polizia. L'accento più duro gli instillò il sospetto che non fosse russa. “Yuriy, sudàrynja.”
“Yuriy e poi?”
Il ragazzo spostò lo sguardo verso la donna seduta al suo fianco, come a voler essere sicuro di poter rispondere e lei annuì impercettibilmente.
“Yuriy Adamovich Prostakov.”
“Sai leggere o scrivere Yuriy Adamovich?”
L'interpellato ebbe un moto d'insofferenza, con chi pensavano di avere a che fare? Con uno zotico capraio delle steppe?
“So leggere, scrivere e fare di conto, il Pope del villaggio teneva lezione due volte la settimana e la domenica, dopo la messa.”
dichiarò orgoglioso e dalla veletta bruna sembrò trapelare un sorriso “È importante?”
“Potrebbe.”
Quell'affermazione lo autorizzò ad immaginare uno sviluppo diverso: forse non gli interessavano le sue arti amatorie, forse volevano offrirgli un lavoro onesto, magari gli serviva un garzone di fiducia per svolgere qualche incarico particolare, qualcuno che conoscesse la città e di cui potessero fidarsi, perché parlavano la stessa lingua e condividevano la stessa cultura.
L'idea di fare il valletto in una casa ricca poteva essere un'alternativa allettante al vendersi sul marciapiede.

Yuriy cominciò ad avere un'idea più precisa della ricchezza della casa quando la carrozza si fermò e il solerte cocchiere scese ad aprire lo sportello alle signore; lui cercò di anticiparne la discesa, per aiutarle, come buona creanza richiedeva, ma le due, dimostrando un'insospettabile agilità, fecero da sole, affatto impedite dalle lunghe gonne e dagli stivaletti col tacco.
Il ragazzo fu quindi l'ultimo a uscire e sollevando il naso verso l'edificio antistante lo fissò inebetito; quello era un palazzo!
Anzi, con le massicce torri angolari a delimitarne la facciata, somigliava ad un castello!
Era in uno dei sobborghi signorili del West End di cui gli aveva parlato la lavandaia; lei faceva dei servizi in quella zona e gli aveva raccontato del lusso in cui vivevano i fortunati abitanti.
Certe famiglie avevano addirittura una dozzina di servitori!
Le cose cominciavano a prendere una piega interessante e Yuriy, impegnato in queste considerazioni, registrò in maniera distratta che il cocchiere era salito a cassetta e invece di dirigersi verso la rimessa privata aveva proseguito sulla strada principale, allontanandosi fino a sparire del tutto nella nebbia compatta che saliva dal fiume poco distante.
Tuttavia il giovane russo non poté fare a meno di notare una mancanza assai più vistosa in un palazzo signorile: nessuno si era presentato alla porta per accogliere le due signore; niente maggiordomo, governante, nemmeno una cameriera messa di guardia e pronta a prendere i loro cappotti.
L'atrio era illuminato e Yuriy percepiva un piacevole tepore, segno che qualcuno si era occupato di accendere le luci a gas e i camini, ma non arrivò anima viva.
“Vieni, entra.”
La richiesta, formulata dalla donna più matura, gli ricordò del motivo per cui aveva accettato di salire nella carrozza senza porsi troppi problemi: aveva seguito una coppia di potenziali clienti e adesso, che si stavano togliendo cappelli e velette, era il momento di scoprire se erano anche belle.
Ciò che nascondevano i pesanti veli bruni, però, andava perfino al di là delle più audaci fantasie.
Le due donne, differenti nell'aspetto quanto potevano esserlo il giorno e la notte, erano accomunate da un'insolita caratteristica: l'impossibilità di attribuire loro un'età precisa.
Erano indubbiamente giovani, ma di due giovinezze diverse.
Mentre una era eterea, bionda, quasi filiforme nell'abito di velluto blu dal busto stretto al limite dell'umana tolleranza, l'altra aveva lineamenti più marcati e decisi, una tavolozza di colori scuri, che tendevano all'oro brunito sui capelli e che facevano spiccare per contrasto l'intenso colore cilestrino dei suoi occhi.

“Avrai fame.”
Non era una domanda, quanto piuttosto una constatazione: un ragazzo robusto e vivace ha sempre fame, specie se la sua famiglia ha a malapena qualcosa da portare in tavola
. Yuriy si strinse nelle spalle e provò a negare, ma di nuovo la dama bruna lo anticipò.
“In cucina è sicuramente avanzato qualcosa dalla cena, la cuoca l'ha messo da parte prima di andarsene.”
“Siamo riuscite a trovare solo personale a mezzo servizio...” specificò l'altra, quasi in risposta alle sue perplessità “Se ne vanno prima di sera, ma immagino che, essendo appena arrivate in città, sia quanto di meglio a cui potevamo aspirare.”
“Io potrei trovarvi qualcuno sudàrynja!” esclamò di slancio il giovane, per poi ricomporsi “O meglio... Conosco delle persone degne di fiducia, che potrebbero fare al caso vostro.”
Le due si scambiarono una rapida occhiata, poi gli rivolsero un leggero sorriso “Ne parleremo, più tardi semmai.”



La vista dell'enorme cucina e soprattutto della dispensa, rifornita di ogni ben di Dio, lo convinsero ad accantonare i filosofeggiamenti a favore di necessità più terrene.
Sulla tavola c'erano in effetti il tagliere dei formaggi, un vassoio su cui troneggiava un enorme roast-beef, poi un cesto di pane bianco, fresco di giornata e un'alzata di porcellana dove faceva bella mostra una piramide di frutta, che sembrava dipinta.
“Serviti ciò che vuoi e raggiungici quando avrai finito, noi abbiamo alcune cose da sistemare di là nello studio”
Yuriy annuì, era grato al loro buon cuore e si propose di metterle in guardia: dovevano dare meno confidenza agli estranei; in Russia la gente aveva ancora un po' di onore, Londra invece era piena di ladri e approfittatori.
Una persona appena meno onesta di lui, ad esempio, avrebbe fatto sparire in tasca qualche posata d'argento e sarebbe uscita dalla porta sul retro, lasciandole ad aspettare.
Il russo però ignorava che dell'argenteria alle due eleganti signore importava meno di niente.

Fine prima parte


⋆ La voce dell'ambivalenza ⋆

Londra, allo scorcio del XIX° secolo, è diventata una metropoli moderna, dove l'opportunità di migliorare la propria condizione sociale sembra alla portata di chiunque e questo vale anche per chi non è strettamente... Umano.
Saper cogliere al volo l'occasione giusta può cambiarti la vita, specie se sei uno straniero abituato a miserie e privazioni; ma la scelta di salire sulla carrozza di due affascinanti sconosciute, avrà conseguenze che nemmeno il giovane Yuriy aveva calcolato.

Questa storia è venuta alla luce per la curiosità di approfondire due personaggi che mi fanno compagnia da moltissimi anni; nate da un'esperienza di gioco di ruolo, infilate come "ospiti" in una long (molto long!) su un certo gruppo di pattinatori "on ice" e infine, ormai adulte e vaccinate, pronte a vivere di vita propria.
Dei loro scopi si capirà di più nel prossimo capitolo e non si metterà bene per Yuriy!
Ringrazio fin da ora chi vorrà imbarcarsi nella lettura del racconto, che tra i tanti difetti ha sicuramente un piccolissimo pregio: è di soli tre capitoli ^_^

Vocabolario:
Sudàrynja: è un appellativo onorifico generico russo (del periodo zarista), rivolto a persone nobili, di cui non si conosce il titolo esatto.
Trepak: danza russa di origine cosacca, dal ritmo molto veloce. Famoso è quello composto da Tchaikovsky per Lo Schiaccianoci.



   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: syila