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Autore: CyanideLovers    20/08/2020    5 recensioni
 Poteva essere solo un sogno.
Poteva essere — forse — la sua immaginazione.
Sembrava stupido ripensarci da sveglio, non aveva mai creduto a quel genere di cose.
Erano solo sogni, dopotutto.
Eppure…
eppure.
Eppure quei sogni gli facevano provare strane sensazioni che non aveva mai provato prima. Come se si fosse risvegliato qualcosa dentro di lui, indomabile e feroce, che ormai riusciva a malapena a contenere. 
〄 
Ogni notte Crowley sogna sempre lo stesso uomo. Sembra familiare, come se si fossero già conosciuti, come se si fosse già innamorato di lui. Il punto è che lui non lo conosce e questo non è altro che un sogno… giusto?
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Anatema Device, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Newton Pulsifer
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Oneirataxia'
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Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole, gli scorni di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.

Eugenio Montale — Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

 

 

 

 

“Davvero pensavi che ti avrei dimenticato?”

“Mi dispiace, mio caro, non avrei mai voluto che tu soffrissi in questo modo, cercavo solo di proteggerti.”

“Capisco.”

“Non sapevo cosa... ero nel panico e non sapevo cosa fare e tu…”

“Capisco, angelo, davvero capisco è solo che…”

“Si?”

“Ci sono sempre questi sogni, e tu sei sempre qui, ma poi mi sveglio e non so…”

“Cos’è reale e cosa non lo è?”

“Esatto… esatto. E adesso io non capisco… cosa sei tu?”

“Magari sono solo un sogno.”

“Ah.”

“Forse tu mi conosci così bene che puoi immaginare senza problemi quello che direi e cosa farei in ogni momento.”

“Mh…”

“O forse quando ci siamo scambiati il corpo una piccola parte di me è rimasta attaccata alla tua anima.”

“Come quando mescoli due colori e non puoi più dividerli?”

“Potrebbe anche essere.”

“Mh…“

“Tu hai… hai intenzione di usarla?”

“Sì.”

“Sei sicuro?”

“Sì.”

“Perché?”

“Perché tu sei sempre stato la mia unica costante per sei millenni. Perché eri la mia ancora e il mio faro nell’oscurità. Perché senza di te nulla ha senso, il vino non ha sapore e nulla mi stupisce più. Vedo gli umani nascere, vivere e morire e non mi fa più effetto, mi ricordano solo che tu non sei accanto a me.”

“Forse, allora, mio caro… dovresti svegliarti.”

 

Cose che si erano perse tra le righe di questa conversazione:

dita nervose che si stringevano e si muovevano tra di loro tenute in grembo contro un panciotto color crema. Altre mani, che sembravano essere attraversate da una scossa costante, tremavano e si aggrappavano intorno a un termos come se fosse l’ultimo salvagente a disposizione. Un paio di occhiali lasciati cadere con noncuranza sul prato, perché qual’è il punto di nascondere i propri occhi in un sogno?

Due persone sedute sulla solita panchina, uno che cerca lo sguardo dell’altro che non osava alzare gli occhi da un punto non ben definito del suolo. Corpi così vicini da poter sentire l’uno il calore dell’altro ma non abbastanza da toccarsi.

Il peso di sei millenni passati ad amarsi senza poterlo dimostrare e non abbastanza tempo in cui si erano amati, perché quel futuro che avevano sognato per così tanto gli era stato strappato via.

Occhi vitrei, occhi che non si preoccupavano più di nascondere le lacrime, che adesso scivolavano silenziose lungo le guance.

Papaveri rossi che come sempre ballavano intorno a loro e che si erano moltiplicati a dismisura, tanto che ormai non potevano più dire di essere in un parco ma in un campo di fiori.

 

 

 

 

Aveva maledetto Newt e Anathema alla fine. Si sentiva stanco e esausto e si era allontanato con la promessa di non tornare mai più da loro. E li aveva dannati per sempre.

Maledetti, a una vita lunga, felice e tranquilla. Con un cottage in campagna, bambini che corrono in un prato, un lavoro interessante ma non troppo stressante. Con qualche piccola aggiunta. Sarebbero stati costretti a bere sempre il caffè con un retrogusto bruciato, il giornale sarebbe arrivato sempre in ritardo, e ogni mattina sarebbero stati svegliati ad un’ora indegna, troppo presto per i loro gusti, da degli uccellini che avrebbero iniziato a cantare in modo fastidioso.

Un inferno in terra, si disse Crowley, ma non aveva ricevuto il solito calore di una cattiva azione ben fatta.

A dir la verità, poche cose gli procuravano quel calore. Nei suoi sogni parlava con Aziraphale e ogni parola gli ricordava i sei millenni in cui avevano roteato intorno l’uno intorno all’altro senza avere mai il coraggio di toccarsi, un po’ come le stelle di Alpha Centauri che orbitavano tra loro in eterno. Cosa sarebbe successo se una delle due fosse sparita all’improvviso? L’altra stella sarebbe rimasta lì a galleggiare nell’universo, magari spaesata mentre si chiedeva cosa esattamente fosse successo, o avrebbe iniziato a vagare senza meta tra le altre stelle, ormai fredda e sola?

Crowley pensava spesso alle stelle. Le guardava di notte e le odiava perché sembravano così tante, vicine ma lontane, e lui aveva sempre avuto la sensazione di avere un certo legame con loro, solo che non poteva toccarle, e quella era l’ennesima cosa irraggiungibile che gli era stata strappata via.

Il tempo scorreva e lui, che aveva sempre avuto una certa affinità con esso, nel senso che sapeva sempre che ora o anno fosse senza avere bisogno di un orologio, si era ritrovato a non riuscire più a seguirlo. Lo sentiva passare, troppo lentamente per i suoi gusti, e lui rimaneva seduto nel negozio di libri senza davvero sapere cosa fare, senza riuscire a trovare conforto in quello che una volta aveva trovato elettrizzante.

Gli umani, per esempio, erano qualcosa che lo avevano affascinato fin dal primo incontro — sai, quella storia piuttosto famosa a proposito di una donna, una mela, un giardino e un serpente — e li aveva osservati perché era incredibile come riuscissero a divincolarsi in un mondo che sembrava fatto a posta per schiacciarli. Ma erano anche terrificanti, perché sembravano disegnati per rendere la vita del prossimo sempre più difficile, lasciando Crowley un po’ esterrefatto mentre si chiedeva se qualcuno non avesse premuto per sbaglio un qualche bottone nascosto per l’autodistruzione.

Quando era caduto all’inferno, si era detto che nessuno potesse essere più crudele di un demone ma vivendo in mezzo agli umani si era dovuto ricredere, perché erano dotati di quel mix mortale che erano le tre C: creatività, crudeltà, costanza.

No, gli umani erano esattamente come tutto ciò che c’era di bello al mondo. Meravigliosi e pericolosi, interessanti e crudeli. C’era una linea sottile tra l’affascinante e il terrificante e gli umani oscillavano costantemente su di essa come un equilibrista su una fune.

Era anche per questo che aveva sempre avuto bisogno di Aziraphale. L’angelo era stato un porto sicuro e un faro nella nebbia, una voce costante che gli ricordava, nei momenti più bui, che gli umani potevano essere tanto crudeli quanto buoni e puntava il dito, quando Crowley pensava che fosse ormai impossibile, e gli indicava quelle persone che sembravano più santi degli angeli in paradiso. Non era solo questo, ovviamente, il suo amore per Aziraphale non poteva essere descritto, ma lo aveva sollevato così tante volte da terra che ormai sembrava impossibile immaginare di farlo da solo.

Non ce n’era bisogno. Ora che l’angelo non era più accanto a lui, non c’era motivo di alzarsi e guardare il mondo, poteva semplicemente lasciarsi andare. Quindi rimase chiuso in se stesso, seduto sul divano nel retro del negozio di libri, ignorando il rumore e tutto ciò che lo circondava, con il termos stretto in mano aspettando di addormentarsi e di sognarlo di nuovo.

 

 

 

 

Era stato Newt a chiamarlo. Potevano essere passati minuti, anche se in realtà erano passati anni, e gli aveva chiesto di raggiungerlo nel loro cottage perché Anathema era vecchia e malata e non poteva più affrontare il viaggio fino a Londra.

“Chiede sempre di te,” aveva detto, “e ci manchi immensamente.” E Crowley non aveva avuto il cuore di rifiutarsi. Quindi aveva guidato la sua amata Bentley fino a Tadfield, guardando dritto davanti a se e ignorando il sedile del passeggero vuoto. Anathema era invecchiata. Quella visione gli strinse il cuore, ricordandogli come gli umani avessero delle vite troppo brevi. Quei pochi che aveva amato sembravano sfiorire anche più velocemente perché avrebbe voluto stringerli a se e mantenerli nel fiore degli anni per sempre. Ma la natura umana era crudele, un fato che avevano incontrato per colpa sua, si ripeteva, cosa che faceva spesso quando dimenticava solo per un momento che quello che aveva fatto non era stato altro che proporre due scelte e che i primi umani avevano preso, nel bene e nel male.

“Crowley.” La voce di Anathema era roca per l’età e molto più bassa e sottile di quel che ricordava. Era seduta su una sedia con una coperta sulle gambe, l’immagine era bizzarra per una ragazza che un tempo era stata forte e piena di energie.

“Posso offrirti del te? Ti offrirei del caffè ma non sarebbe di tuo gradimento,” disse con un sorriso, come se sapesse del suo dispetto.

“Ah, mh, certo.”

Newt gli aveva passato una tazza di te fumante e Crowley aveva constatato come il ragazzo si muovesse bene nonostante dovesse camminare appoggiandosi al suo bastone. Si era seduto e avevano parlato tutto il pomeriggio, finché non si era fatta sera. Non c’era stato imbarazzo ma solo la familiarità di stare insieme a delle persone che, nonostante l’assurdità dell’affermazione, forse lo conoscevano meglio di sè stesso.

I due umani gli avevano raccontato della loro vita insieme, dei figli che erano nati e cresciuti e che erano andati per la loro strada, Crowley aveva raccontato qualche aneddoto dei suoi incontri con gli umani più illustri, finché non si era ritrovato a raccontare di nuovo del muro, il giardino e dell’angelo che aveva regalato la sua spada agli uomini.

“Mi dispiace…” aveva sussurrato Anathema quando il demone si era fatto improvvisamente silenzioso, “non avrei mai immaginato che sarebbe andata così.”

“Basta con queste scuse,” aveva risposto lui, “mi hai ripetuto più e più volte quanto ti dispiace e io ti ho già perdonata molto tempo fa.”

“Allora perché non sei più tornato da noi?”

“Per me il tempo si muove diversamente. Per te quel giorno del picnic è successo quarant’anni fa, per me è come se fosse stato ieri.”

“È per questo che non hai ancora usato l’acqua, perché devi ancora elaborare?”

“Si e no… non ho ancora avuto il coraggio di usarla perché so, infondo al cuore, che Aziraphale non avrebbe voluto,” disse realizzando solo ora quanto fossero vere quelle parole. Neanche da morto riusciva a sopportare l’idea di deludere il suo angelo. “Ma qual’è il punto? Non è che sia veramente qui. Ogni giorno è un incubo senza di lui.”

“Mi dispiace,” disse Anathema stringendogli la mano, “non posso immaginare cosa provi e forse è per questo che posso chiederti qualcosa di davvero egoista.”

 

 

 

 

Quello che Anathema gli aveva chiesto, nell’ultimo giorno della sua vita, era qualcosa di egoista, è vero, ma Crowley non era riuscito a rifiutarsi. “Prenditi cura di Newt,” aveva detto lei, “sai che può essere un po’ imbranato quando è distratto.” E poi si era messa a ridere delicatamente, senza nascondere uno sguardo che era rimasto quello di una giovane innamorata nonostante l’età.

E Crowley aveva detto si, va bene, cosa potevano essere altri dieci o quindici anni per lui?

Il funerale di Anathema era stato struggente e tutti avevano pianto, i figli erano tornati da lontano e avevano proposto al padre di prendersi cura di lui ma Newt si era rifiutato, perché non voleva essere un peso per loro. I demone aveva osservato la scena da lontano anche se la cerimonia si era svolta in un prato e lontano da chiese o campisanti. La ragazza non era mai stata religiosa e non amava quei generi di luoghi. Semplicemente non era riuscito ad avvicinarsi, era rimasto appoggiato ad un albero osservando da lontano quello che stava succedendo. Non riusciva a ricordare se avessero fatto un funerale a Aziraphale o se il corpo era semplicemente sparito, come se non fosse mai esistito.

E cosa avrebbe detto in quel caso?

Avrebbe raccontato tutta la loro storia, o avrebbe iniziato a dire quanto gli sarebbe mancato?

Probabilmente nessuna delle due cose, immaginò guardando Newt che si chinava per lasciare cadere un ultimo fiore sulla tomba della sua sposa, non c’erano parole o abbastanza tempo per elaborare tutto quello che avrebbe potuto dire.

 

Crowley si era stabilito nel cottage il giorno stesso, dopo che tutti erano andati via, e senza dire una parola aveva preparato del te per il ragazzo — anche se era invecchiato per lui sarebbe sempre rimasto poco più che un bambino, così come Anathema — e poi gli aveva cucinato la cena e si era assicurato che fosse andato a dormire e che la casa fosse in ordine.

Crowley, ne era molto fiero, era un demone di parola.

 

Ogni giorno passava simile all’altro, in una nuova quotidianità che era malinconica ma anche tranquilla e quasi piacevole. I tempi erano scanditi dai pasti e la sera si fermavano a osservare il cielo e chiacchieravano del più e del meno mentre Crowley guardava sfiorire sempre di più Newt, senza riuscire a capire come potesse sembrare ogni momento un po’ più sereno, come se fosse in pace con sè stesso.

Sognava Aziraphale ogni notte, e tutte le volte lo supplicava di lasciarlo rimanere con lui un po’ più a lungo, solo un po’ di più, ma l’angelo sembrava imperturbabile. Gli chiedeva di svegliarsi e Crowley lo faceva, ma non c’era stata una sola volta in cui si era sentito più riposato dopo il suo sonno.

 

“Inizio a capire,” disse Newt un giorno mentre sorseggiavano del te in veranda, “il perché hai voluto l’acqua santa nel momento in cui hai ricordato che Aziraphale non era più accanto a te.”

Crowley non disse niente, finse di bere altro te, e lasciò parlare l’uomo.

“Se non ci fossi stato tu, Crowley, non credo sarei durato una settimana. In tutti questi anni non ti ho mai ringraziato, so che deve essere stata dura.”

“Newt, tu sei mio amico, non ti avrei mai potuto lasciare solo.”

“Non credo che dovrai aspettare ancora molto” disse con un sorriso triste l’uomo guardano in lontananza nel prato.

C’era una figura che si avvicinava lentamente. Era vestita di nero e li osservava e Crowley non riuscì a soffocare i brividi a quella vista. Troppo presto. Era sempre troppo presto.

“Mi dispiace, non posso fare nulla contro di lui.”

Morte si avvicinava, e Crowley non poteva fare a meno di fissarla, sapeva di non avere poteri contro di lui, poteva curare in minima parte ma la morte non poteva mai essere evitata, non per gli umani.

“Questo è vero, purtroppo,” disse l’immagine di Aziraphale accanto a lui, “è nella natura umana nascere e morire, e noi non possiamo fare niente per interrompere questo cerchio. È triste, ma è un male necessario.”

“Dovrebbe essere così per gli umani, non per te,” puntualizzò Crowley con un sospiro, “ma tu sei morto, così come Anathema, e cosa rimarrà adesso a me? Nulla, solo le vostre ceneri.” Il tono di Crowley era amaro e Newt e Aziraphale —che non era veramente lì, il demone stava chiaramente impazzando, ne era certo — lo guardavano tristemente.

“Va tutto bene, Crowley. Adesso potrò raggiungere Anathema e forse ci rivedremo presto.”

“No, non funziona così. Gli umani hanno vite mortali e anime immortali. Per gli angeli e demoni non c’è niente dopo la morte. Né inferno né paradiso, solo oscurità.”

“Che mi dici dei sogni?” Domandò Newt dopo averci pensato un attimo.

“Cosa vuoi dire?”

“Cosa succede quando un demone muore in un sogno?”

“Cosa… uhm, ah, non lo so?”

Newt lo guardava con un sorriso strano, come se conoscesse un segreto di cui Crowley era all’oscuro. Il demone guardò per un momento l’acqua santa che stringeva tra le mani, e… quando l’aveva presa? Non ricordava.

“È solo che,” continuò Newt ignorando l’espressione confusa del demone, “gli manchi così tanto. Ci manchi, Crowley… e lo so che per te questo non vuol dire niente, ma ci manchi, davvero.”

“Io…” Il demone non sapeva cosa dire, il richiamo dell’acqua santa era così invitante, come un marinaio che finalmente vede casa all’orizzonte. Non sapeva cosa sarebbe successo, e non poteva negare di esserne spaventato — anche se il termine più adatto sarebbe Terrorizzato Oltre Ogni Umana Concezione — ma era così stanco di lottare, stanco dei sogni irraggiungibili, stanco di quel mondo grigio e triste. Era solo stanco.

“Io non so se puoi sentirmi, Crowley.” Disse Aziraphale accanto a lui, appoggiando una mano sulla sua e la sensazione era reale, calda, tangibile. “Non so se riesci a capire quello che sto dicendo o se mi hai già dimenticato…”

“Non potrei mai!” Esclamò Crowley stringendogli la mano, “non potrei mai, angelo.”

“… e non lo so cosa stai sognando ma ti prego, ti prego svegliati.”

“Io non sto sognando, angelo. Questo è reale e tu sei… tu sei un qualche tipo di allucinazione. Sono impazzito, non lo so… io non capisco…”

Le mani di Crowley si strinsero intorno al termos in un gesto nervoso, non aveva senso quello che stava dicendo Aziraphale, come poteva svegliarsi se non stava dormendo?

“Svegliati, ti prego, svegliati,” lo supplicava Aziraphale, e Crowley si stupì nel vederlo piangere.

“Come? Non capisco come posso…”

“Apri gli occhi, anche solo per un istante, ti supplico.”

Crowley sospirò, la situazione era così confusa e entrambi lo guardavano come se si aspettassero qualcosa da lui, ma lui non capiva. Accanto a Newt, c'era Anathema. Entrambi gli umani erano di nuovo giovani ma questo… questo era impossibile. Tutti e tre non facevano che ripetere ossessivamente le stesse parole, come se fosse diventata una cantilena insopportabile. “Svegliati, svegliati, svegliati...”

Crowley nascose il viso tra le mani, era vagamente cosciente del tremore incontrollabile del suo corpo, la testa gli esplodeva e tutto sembrava fare male.

“Svegliati.” Ripetè per l’ennesima volta Aziraphale.

Crowley chiuse gli occhi, il buio sembrava aiutarlo. Le voci erano diventate un mormorio indistinto, lontane e vicine allo stesso tempo. Voleva che finisse ma non sapeva più dove fosse finita l’acqua santa. Strinse gli occhi finché l’oscurità e il silenzio non diventarono assoluti.

Poi riaprì gli occhi e si svegliò.

 

 

 

 

C’era il sole, quel mattino. La luce filtrava dalla finestra e c’era una voce — calma, tranquilla, dolce, delicata — che lo cullava. Non si era mai sentito così in pace.

Aprì gli occhi piano, sbattendo le palpebre diverse volte perché non era più abituato a tutta quella luce. Era nella sua stanza e questo era strano perché prima era in una veranda, ne era certo. La sua stanza era strana e ricordò che quella era la sua stanza, certo, ma per molto tempo era stata la stanza da letto sopra il negozio di libri, che era diventata sua quando aveva iniziato a vivere con Aziraphale.

C’era qualcosa di diverso.

Le coperte erano più calde del solito e non ricordava l’ultima volta che si era svegliato e aveva trovato la luce ad accoglierlo.

“Oh!” Esclamò la voce accanto a lui, fermando quel fiume di parole rassicuranti. “Ti sei svegliato, finalmente.”

Il demone sbatté le palpebre un altro paio di volte, mentre la vista si abituava alla luce e si schiariva, mettondo a fuoco il corpo rotondo e soffice che era sdraiato accanto a lui. Aziraphale sfiorava la sua guancia con la mano morbida, lo guardava con occhi azzurri — o blu, verdi, grigi, era impossibile da capire — che brillavano come stelle. I capelli biondi erano un’aureola di boccoli dorati, e Crowley sapeva —sapeva — di non aver mai visto un viso più bello.

“Angelo?”

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

A MIA DISCOLPA, AZIRAPHALE GLIELO AVEVA DETTO A CROWLEY DI SVEGLIARSI!

Chiedo scusa per il consueto ritardo, ma dovevo scriverlo bene questo capitolo e ho perso un po’ di tempo per non rischiare di creare delle discrepanze con i capitoli precedenti (anche se i miei appunti con tutti i collegamenti che avevo fatto hanno raggiunto dei volumi indecenti)

Nel mio cuore, questo è l’ultimo capitolo. Ma in realtà sento che dovrò scriverne un altro per chiarire un po’ le idee a tutti e anche perché disapprovo gli angst senza un po’ di meritato conforto emotivo ahah

   
 
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