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Autore: TheDoctor1002    16/11/2020    1 recensioni
Artemis conosce il mare. Lo ha solcato in lungo e in largo quando era in marina, vi ha disseminato terrore una volta cacciata e ancora oggi, dietro l'ombra del suo capitano, continua a conoscerlo.
Il suo nome è andato perduto molti anni fa: ora è solo la Senza-Faccia. Senza identità e senza peccati, per gli altri pirati è incomprensibile come sia diventata il secondo in comando degli Heart Pirates o cosa la spinga a viaggiare con loro. Solo Law conosce le sue ragioni, lui e quella ciurma che affettuosamente la chiama Mama Rose.
Ma nemmeno la luce del presente più sereno può cancellare le ombre di ciò che è stato.
Il Tempo torna sempre, inesorabile, a presentare il conto.
"Raccoglierete tutto il sangue che avete seminato."
//
Nota: trasponendola avevo dimenticato un capitolo, quindi ho riportato la storia al capitolo 10 per integrarlo. Scusate per il disguido çuç
Genere: Azione, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Corazòn, Donquijote Doflamingo, Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Pirati Heart
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo 14: KO tecnico

Dopo che Artemis poté vestirsi, Tamatoa le offrì il braccio e insieme si diressero alla sontuosa sala da pranzo. L'ampio lampadario ancorato al soffitto dipingeva di oro gli eleganti stucchi sul muro e faceva risaltare il rosso vivo delle pareti e le venature dell'enorme tavolo. A un capo, Sant'Ana l'aspettava insieme a due tazze vuote e a una teiera fumante. 
"Gli abiti normali ti donano" esordì, alludendo alla ricca tunica bianca da Drago Celeste che Tamatoa aveva scelto per lei. Gli strati di tessuto le pesavano sulle spalle in modo insopportabile e meno ancora gradiva le croci blu del Governo Mondiale cucite sul cuore e sulla schiena: li sentiva attraverso la stoffa come bruciature sulla pelle nuda.
Artemis rispose con un breve sorriso che, più che di ringraziamento, sapeva di scherno. Appena si fu seduta, la sua assistente abbandonò immediatamente la sala, lasciando che madre e figlia sprofondassero in un asfissiante silenzio. 
Ana versò poi il tè a entrambe. 
"Avrai domande, immagino." intavolò.
"In primo luogo, come sai della mia ciurma e quanto ancora sai di loro." Replicò l'altra, decisa e schietta.
La donna inarcò un sopracciglio da dietro l'orlo della sua tazza. 
"Altre domande?" Chiese posandola delicatamente sul piattino.
"Queste non vanno bene?" rise appena Artemis, girando lentamente il liquido ambrato con delicati gesti del polso. 
"La risposta è ovvia."
"Il Chiper Pol, immagino." 
"Visto? Non voglio perdere tutto il tempo del mondo, sfrutta bene quello che hai." 
"Perchè adesso?" chiese allora schematica, fissando con attenzione i riflessi del liquido come avrebbe fatto un alchimista "Perché mi vuoi qui adesso?" 
"Stavi iniziando a prendere una brutta strada, qualsiasi brava madre ti avrebbe fermata." 
Artemis prese un profondo respiro, come se dovesse collezionare tutta la sua forza interiore per condensarla in un forzato sorriso.
"Possiamo evitare? Non c'è nulla di vero in queste parole. Lo so io, lo sai tu." 
L'altra rimase per un istante spiazzata, poi parve imitarla: se ci fosse stato uno specchio a dividerle, non si sarebbe notata differenza.
"Disgustosamente intuitiva. È proprio vero che la genetica non mente."
"Dunque?" 
"Tu e il tuo figlioccio stavate ficcando il naso in affari che non vi competono. Finché si trattava di quello stupido gioco da pirati avrei potuto ignorare. Ma questo..." 
Artemis inclinò appena la testa, come a richiedere spiegazioni.
"Un'evasione di massa, un attacco a una delle roccaforti del Governo Mondiale e ora un'intrusione in un sito scientifico interdetto. Sembra quasi che tu stia implorando di finire arrestata."
"Sono il primo ufficiale di una ciurma" rise appena "Per essere precisi, della ciurma di uno Shichibukai. Come pensi di giustificare questi tuoi capricci?"
"Giustificare? Cosa ti fa pensare che io debba farlo? Ricorda con chi stai parlando. E poi, tu hai qualcosa che mi appartiene."
La donna si alzò, avvicinandosi lentamente ad Artemis e lasciando scorrere con delicatezza un dito sui punti ancora freschi. "Proprio qui dentro."
La pirata, come in un duello, non le toglieva gli occhi di dosso. "Non possono esistere due portatori di uno stesso frutto. Eppure eccoci qui. Un paradosso dall'inizio alla fine." 
"Pensi di conoscere la spiegazione?" La interrogò girandole intorno, squadrandola. 
"Un frutto torna in circolazione alla morte del suo portatore. Quindi immagino che qualcuno, in questa stanza, abbia tirato un brutto scherzo al mietitore." rispose Artemis, lanciandole eloquenti occhiate.
"Più di qualcuno" la corresse Ana "immagino tu sappia che noi due non siamo le uniche persone ad aver avuto questa benedizione." 
"La Mangiona, presumo." Ricordò l'altra "Membro della Generazione Peggiore, era alle Sabaody ai tempi dell'ennesimo exploit di Cappello di Paglia. Però ora non è qui." 
"Per Jewelry Bonney è già stato riservato un posto a Impel Down. Ha solo scalfito la superficie." spiegò, vagamente delusa, "Ma tu no: strappare brandelli di eventi, sovrapporre linee temporali, saltare tra le varie istanze del Tempo. Tu non ti sei accontentata di giocare con l'età. Sei come me." 
"Perché ci sono tre frutti?" 
"È un piccolo dono del Time-Time" raccontò Ana "Un jolly, se così vogliamo chiamarlo. Gli animali funzionano in modo molto semplice e gli umani non fanno eccezione. L'inconscio esiste per attuare quello che definiscono istinto di conservazione: quando il portatore sente la morte vicina per la prima volta, cerca di creare un interlacciamento con altre linee temporali. Più lenta è tale causa, più tempo ha la consapevolezza per sedimentare, più probabilità di salvarsi ottiene. Quando poi giunge l'ora, il frutto torna in circolo. Per me fu l'età a generare la biforcazione. Riesci a immaginare cosa sia stato per te?"

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Doflamingo si accorse molto presto delle curiose macchie che costellavano il corpo della sua nuova amante. Se il trucco e gli abiti potevano fare molto per nasconderle, nella penombra della camera padronale queste sbocciavano come velo di sposa sulla sua pelle. 
Ricordava quanto fosse terrorizzata, la prima volta in cui lui li aveva notati. Quel che più gli pesava, mentre lei tesseva frenetica tutte le caratteristiche di quella condizione, era che si fosse sentita in dovere di nasconderglielo. 
"Non volevo essere ripudiata." ammise infine, ansimando come se avesse corso una maratona "la protezione della vostra famiglia è l'unica cosa che può salvarmi dal patibolo. Sono disposta a restare fino alla fine dei miei giorni, ma vi prego, non consegnatemi ai marines."
"Non potrei mai chiedere nulla di più prezioso di tutto il tempo che ti resta, colombina." le aveva sussurrato Doflamingo, accarezzando con dolcezza i focolai bianchi sulla sua schiena e cercando di calmare quel respiro così dolorosamente irregolare "Perché il nostro scambio sia equo, ti prometto che farò tutto ciò che è in mio potere per trovare una cura e che nel frattempo la famiglia ti proteggerà. La tua famiglia, se lo vorrai."

Molto tempo dopo, quando ormai Artemis era diventata un pilastro di quella ciurma e aveva quasi dimenticato la promessa, lui riuscì a rientrare a Spiders Mile con un frutto speciale. Sembrava un bizzarro lichi azzurrognolo, ricoperto di ghirigori. Un frutto maledetto, si diceva, i cui portatori erano destinati a morire giovani. Un potere scambiato a un prezzo talmente alto che era considerato più una rarità che un'arma, ma anche l'unico filo di speranza che fosse capitato tra le loro mani.
Il Signorino, che non aveva mai creduto alla sfortuna, offrì alla sua Artemis quel dono insieme al Seggio di Cuori, da poche settimane reso vacante da Vergo. 
Tutto, finalmente, andava bene.
Il Time Time avrebbe curato il suo male e, con quel potere dalla loro, Dressrosa sembrava così vicina da poterla sfiorare. Persino le battutine di Diamante sul mettere in cantiere un Piccolo Signorino non gli suonavano più tanto assurde. 
Sulla nave che li conduceva in quella terra lontana, nel suo regno, talvolta si perdeva ad osservare l'attenzione con cui Artemis discuteva insieme a Pica delle formazioni e i suoi controlli precisi sulla rotta. Lei gli sorrideva in risposta, facendo slalom tra le corse di Buffalo e Baby5. Gli lanciava baci da un capo all'altro del ponte in fermento: era talmente occupata che a stento lui notò che il fiato le si era accorciato e che il suo trucco necessitava di ritocchi sempre più frequenti.
Gli fu tutto più chiaro quando la vide crollare di peso sul selciato del palazzo reale, dopo cinque giorni di assedio. 
Il sangue che le macchiava le balze dell'abito sembrava provenire solo dalle guardie reali che aveva prontamente respinto, come da copione. Quindi pensò che a stroncarla dovesse essere stata la fatica, ma il calore che la sua fronte emanava raccontava una storia ben diversa.
Aveva dato l'ordine di portarla al sicuro. L'aveva affidata a Señor e Jora come avrebbe fatto con la sua stessa vita e non aveva voluto attendere un solo secondo per vederla, una volta terminata la finta liberazione della città.
Tutti i membri della sua famiglia gli rivolsero occhiate colme di apprensione mentre si faceva strada lungo i corridoi sconosciuti del castello. I due soccorritori erano il centro di un piccolo capannello nella Sala Grande. Jora, consolata da Machvise e Lao G, faticava a mettere le parole in fila e continuava spasmodica a farsi aria con la mano, forse per asciugare le lacrime. 
"Povero Signorino", gli sembrò di sentirla mormorare.
Señor completava le frasi che lei faceva naufragare in singhiozzi, gli occhi ben nascosti dalle sue lenti a specchio.
Trebol e Pica furono i primi a intercettare Doflamingo, implorandolo di non entrare nella stanza adibita a infermeria, tentando inutilmente di fermarlo ma partendo già con poche speranze di riuscirci. Dopotutto, conoscevano bene il testardo che avevano cresciuto. Fu Diamante a terminare il placcaggio, tendendo il braccio davanti ai suoi colleghi e lasciando che l'altro proseguisse. Oltre l'ombra del suo tricorno, era possibile scorgere un'espressione carica di rassegnazione. "Fategliela vedere" sibilò, con una voce così triste che dal palco non si sarebbe udita "chissà se potrà farlo più, a questo punto." 
Davanti all'uscio di una delle stanze da letto si erano radunati, irriducibili, i bambini. Baby5 aveva gli occhietti arrossati ed era seduta sul pavimento, abbandonata contro un Buffalo catatonico. Il cuore di Doflamingo sussultò: non li aveva mai visti così.
Law non alzò lo sguardo dal suo libro, ma nemmeno tutte quelle pagine riuscivano a nascondere la paura che lo mangiava vivo. Aveva riconosciuto quelle scene: erano frequenti nell'ambulatorio di suo padre, soprattutto prima che arrivassero i marines. Le dava 48 ore, 72 al massimo. Poi, un giorno, sarebbe stato il suo turno, il cielo sapeva quando.
Da oltre la porta proveniva un trambusto angosciante, talvolta qualche lamento. Gladius e Corazòn si alternavano al capezzale come se fossero stati nel mezzo di un travaglio. I sottoposti della Reina non erano riusciti ad abbandonarla, anche se in realtà non c'era poi molto da fare. Potevano solo asciugarle la fronte e portarle i medicinali che il bambino di Flevance aveva ripescato dalla sua memoria. Tutte cure palliative, come quelle che venivano somministrate ai malati in fin di vita per concedere loro un trapasso meno doloroso. Niente sembrava funzionare.
Tra gli spiragli che i loro corpi indaffarati lasciavano, il Joker intravedeva il volto contratto, il trucco ormai sciolto lungo le guance e quelle che sembravano crepe costellarle il corpo.
"Mi dispiace, Signorino" si era scusata tra un respiro affannato e l'altro, fermando all'istante il tran tran, mentre anche i suoi assistenti si erano voltati verso il viso sconvolto di Doflamingo. Quando non sorrideva erano guai, ma quell'espressione era una novità. Non era certo rabbia, c'era dell'altro. Un qualcosa di impenetrabile, complesso, come un puzzle ricostruito male. Rocinante intuì che doveva trattarsi di impotenza: gli ricordò quando dovettero dire addio alla loro cara madre.
"Non puoi morire, madre! Io...io ordino alla tua malattia di andarsene! Almeno lei deve obbedirmi, deve farlo!"
Doflamingo avanzava come mosso da una forza invisibile, indipendente da lui. Le accarezzò i capelli sparsi sul cuscino, accovacciandosi accanto al letto senza dire una parola.
"Non avrei dovuto mostrarci deboli, mi dispiace: ho mandato tutto a puttane." sibilò lei ancora, febbricitante. Il bagliore rossastro del Time-Time faceva capolino tra le fessure sulla sua pelle e ogni suo pensiero era orientato verso un'unica, inattesa direzione: "Non voglio morire", sussurrò terrorizzata. Aveva sempre confidato in qualcosa di più grande per prendere la sola decisione che l'avrebbe allontanata da lì. Invece si trovò a rivelare il suo timore all'ultima persona che avrebbe voluto al suo fianco in quel momento. 
Rocinante notò che il costato di suo fratello aveva assunto un ritmo irregolare e tremulo, mentre posava minuscoli baci sul dorso della mano di lei, quasi che così facendo potesse chiudere quelle ferite. 
"Non voglio morire, Dofli."

-//-//-//-

"Era tuo il frutto che ha rubato Doflamingo?"
chiese Artemis dal nulla, mentre quei ricordi sembravano appesantirle il diaframma. 
"Non esattamente." Spiegò Ana "Ho fatto un'enorme fatica per eliminare il precedente portatore, dopo la ricomparsa del mio Time Time. Sfortunatamente, è finito prima nelle vostre mani che nelle mie e tu eri sempre così dannatamente in vista che avresti esposto anche me. Non ho trovato un singolo istante propizio, finché poi non è morta anche la Reina Blanca, a seguito di una disastrosa spedizione a Swallow Island. Ho ripreso a cercare quel dannato frutto in lungo e in largo, ma non avrei mai immaginato che l'avessi sempre avuto tu. Che destino beffardo, non trovi?" 
"Difficilmente il destino è pigro abbastanza da concedersi coincidenze. E qui ritorniamo alle frecciatine che ho lanciato dal primo istante in cui ci siamo viste. Quando ci ucciderai per riprenderteli?"
"Ebbene, qui sta l'inghippo." Commentò mesta.
La pirata si voltò lentamente, prendendosi il tempo di osservare l'orrore che era riuscito a svuotare lo sguardo di Sant'Ana. 
"Tu non puoi." Realizzò, mentre un brivido di soddisfazione ingrandiva il suo sorriso beffardo "Mi avresti lasciata a marcire in culo al mondo, fosse stato per te. Ma ti sei sentita così minacciata dal fatto che ho il tuo stesso potere da scomodarti a strapparmi alla mia ciurma senza nemmeno sapere come fare. Dio, sei terrorizzata."
"Da che pulpito" replicò indignata "come se tu non temessi per la vita di quei buoni a nulla e di quel moccioso che ti trascini. Abbiamo entrambe molto da perdere, mi pare. Resta a Marijoa e non avrai di che temere." 
Ad Artemis fu chiaro che il salto che aveva compiuto a Punk Hazard era una strada senza uscita. Al contrario suo, Sant'Ana aveva a immediata portata di mano ogni strumento per mettere in atto quelle minacce. Ricordò una frase che le era capitato di sentire durante il suo addestramento in Marina: "Se può salvare il salvabile, in condizioni disperate, anche la resa è una strategia."
"Se devo restare qui, voglio poter accedere a una biblioteca." Dichiarò "Mi servono libri, mappe e giornali per proseguire i miei studi personali." 
"La libertà per la conoscenza?" sorrise la nobile "Uno scambio interessante, ma equo."
"E vorrei essere autorizzata a partecipare al Reverie." 
Sant'Ana fu costretta a fermarsi, per ripristinare il suo solito contegno.
"Un'altra richiesta singolare." Commentò "Affiancarmi al Reverie ti esporrebbe notevolmente. E, dopotutto, quali affari avresti da condurre? Non posso accettare questa condizione." 
"E se fossi io a non accettare?" bluffò Artemis, giocherellando distrattamente col suo cucchiaino "Se non stessi al tuo gioco? Cosa vorresti fare, uccidermi due volte? Perdere ancora il frutto?" 
Ana socchiuse gli occhi, quasi quel gesto la potesse aiutare a leggere tra le righe di quella velata minaccia. 
La sua Artemisa, dopotutto, era riuscita più volte a dimostrare una determinazione invidiabile.
Forse non avrebbe dovuto stupirsi, se avesse avuto il fegato di trovare una strada più estrema per liberarsi da quel vincolo. 
"Mi assicurerei che non si tratti di una morte rapida." concluse, sempre con quel suo veleno a farle guizzare la lingua "E farei in modo di costringere i tuoi compagni a seguirti. Il nostro patto è la tua vita per quella della tua ciurma, nulla di più semplice. Forzalo o violalo e loro ne pagheranno le conseguenze. Quando potrò riottenere il Time Time, il nostro legame sarà sciolto. Abbiamo un accordo?" 
La pirata rifletté. La Regina Bianca, in verità, non aveva mai saputo trattare perché non le era mai servito. Si era sempre potuta permettere di decidere delle vite degli altri solo perché la forza, l'intelligenza o anche semplicemente il caso l'avevano posta al di sopra dei suoi avversari. Le parole che l'avevano guidata allora le risuonarono nella mente: "I deboli non scelgono nemmeno come morire." 
"E sia" sospirò, alzandosi a fatica per stringere la mano a sua madre. Avvertendo la presa decisa e le dita sottili sulla sua mano forgiata dall'esigente manutenzione del Polar Tang, Artemis ebbe l'inconfutabile sensazione di aver appena siglato un patto col diavolo.

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L'impietoso cigolio di una portella interruppe per un breve istante la placida calma di quella notte. Come guidato da un riflesso inconscio, Law mise da parte i suoi appunti e si affacciò rapidamente al cucinino a fianco del grande laboratorio deserto: nel buio della stanza, intravide solo la luce del frigorifero dipingere i contorni dei pensili chiari e i tratti aspri di Monet. Sentendosi scoperta, lei strinse a sè la ciotola di uva che aveva razziato e gli rivolse un sibilo ostile, prima di sparire di nuovo nella sua stanza. 
Lui sospirò scocciato, rimproverandosi che quell'assenza gli potesse pesare in tal modo.
"Dai, dammi tregua, dottorino: ho appena staccato!"
"Non puoi cibarti solo dei rimasugli che trovi nel frigo: devi dormire come una persona normale e mangiare come una persona normale."
"Ma sai che non mi concentro di giorno! E poi Bepo me li lascia apposta!
"Parlerò anche con lui: siete un'associazione a delinquere. Da oggi sei sotto stretto controllo medico, parola mia.
Ogni tanto gli sembrava di scorgere la sua sagoma oltre l'orlo di luce che la lampada da scrivania gli concedeva. Se la rivedeva con quell'espressione imbronciata, rannicchiata su una delle sedie della cabina di comando con in grembo un piatto di spaghetti tiepidi. Dopo quelle discussioni, Artemis prendeva sempre a fissare i sonar, le mappe o, a onor del vero, qualsiasi cosa non fossero gli occhi del suo figlioccio, pur di non dargli la soddisfazione di un implicito: "Hai ragione."
Il grande computer sulla parete opposta della stanza lampeggiava mite un orario improponibile, sul verde dello schermo al fosforo. Quelle sudate ore di pace non l'avevano aiutato a ricostruire il puzzle di Mama Rose. Le taglie e le note giacevano sparse su una bozza della Grand Line ed i collegamenti erano praticamente incomprensibili. Frasi scritte a metà, rimandi, frecce che lasciavano un foglio e altre che spuntavano come germogli in un campo fertile. Anche vivisezionando i suoi diari, non aveva trovato riferimenti alla Santana di cui gli aveva parlato. Nemmeno ricordava di aver mai sentito quel nome, nè nelle vecchie discussioni nè in quelle origliate sotto le porte tra Spiders Mile e Dressrosa. L'imponente nave ammiraglia era partita senza colpo ferire, come se si fosse trovata lì per caso. L'aveva scorta da un promontorio sulla costa, una corsa forsennata dopo, ed era già troppo lontana per riconoscere chi vi fosse a bordo. 
L'assenza di Artemis durante le trattative con Ceasar, poi, l'aveva tenuto in una insopportabile tensione costante: la sua tipica flemma, almeno dall'interno, era stata spazzata via. Sentiva i muscoli della sua lingua già pronti ad arricciarsi, a invocare la sua Sala Operatoria al primo, vago, segnale di pericolo. Si era sentito schifosamente esposto e la sensazione non si era alleggerita col tempo. Il cuore di quel Clown era fastidioso da tenere in petto. Aveva una densità diversa, sbagliata, fumosa
Fumo.
"Smoker a capo della prima divisione del G5", ecco il ritaglio che cercava. Era relativamente nuovo, le pieghe della carta non avevano ancora iniziato a erodere l'inchiostro. Lo collocò avanti, nel Nuovo Mondo, dove il quartier generale della divisione speciale della Marina era stato spostato. C'era un articolo anche su quello. Nella piccola foto allegata, un uomo era incircolato in rosso. "Vergo", recava la scritta a cui puntava una freccia. Non che gli servisse: ricordava bene il suo volto e non era praticamente cambiato. Con un filo di cotone, lo collegò a Doflamingo. 
Forse, quella rete iniziava a sembrargli più chiara.

-//-//-//-

"Non verrà."

Eustass si strinse nella sua pelliccia bofonchiando. 
Killer intuì dovesse aver sbuffato dalla sottile linea di condensa che sfuggì dalla sua sagoma, appoggiata al parapetto del palazzone che avevano conquistato e scelto come base.
"Non so di chi parli." concluse lapidario il Capitano "Sto solo prendendo un po' d'aria." 
Erano quasi tre mesi che, ogni notte, Kidd sentiva il bisogno di "prendere un po' d'aria". Poco importava che piovesse, che facesse caldo o freddo o che , come quella sera, l'aria fosse talmente pregna di umidità e salsedine da depositare un sottile strato d'acqua sul suo viso sfregiato.
"Sai che non mi intrometto, Kidd" iniziò Killer con fare diplomatico, dopo qualche istante di pausa "ma finirà male. Questa storia finirà male, se non l'ha già fatto. Dimmi, quando é stata l'ultima volta che vi siete visti?"
Il rosso non replicò, ma perlomeno smise di negare. 
"Gli altri sanno?" chiese in un borbottio roco. Non ne era orgoglioso, ma di certo non gli andava di mentire, non al suo migliore amico. Dopotutto, non era mai stato in grado di dire bugie.
Killer scosse le spalle. "Qualche voce circola. Non sei granché come spia." 
Quella rivelazione si aggiunse a un già corposo carico di stress. 
"Fantastico" grugnì "lasciamo che la ciurma creda che me la faccia col nemico. Tanto, a questo punto, cosa può andare peggio?" 
Era diverso tempo che la sorte girava storta, per i Kidd Pirates. L'ingresso nel Nuovo Mondo era stato turbolento a dir poco. Si erano trovati soli in quel mare enorme, mentre tutti sembravano così fottutamente indaffarati ad avanzare, migliorare, crescere
Il loro tentativo di emergere, invece, era stato un fallimento totale. 
Aveva condotto la sua ciurma in bocca a quel barracuda di Shanks e ancora non riusciva a spiegarsi perché non l'avessero abbandonato. O come avessero fatto a uscirne vivi, a dirla tutta.
Si massaggiò il moncone del braccio sinistro con fare sfastidiato.

"Lo sapevi, vero, maledetta strega?" le aveva ringhiato contro, durante uno dei loro incontri.
"So tante cose" aveva ammesso Artemis candidamente, scrollando le spalle nude nella penombra di una cabina della Victoria Punk "Non posso mica dire tutto a tutti. Però, Akagami? Davvero? Non sei certo uno che perde tempo."
"Le avevi disegnate una ad una" si era ricordato Kidd, cercando di distillare abbastanza lucidità per infuriarsi, attraverso una nebbia di libido "Avremmo potuto vincerla, cazzo! Perchè non mi hai detto niente?" 
"Perchè devi imparare, zuccone!" lo aveva zittito con durezza "E l'unico modo in cui tu impari qualcosa é prenderle, quindi ti ho lasciato fare. Adesso dimmi, ti pare ancora sensato un uno-contro-uno a un fottuto Imperatore?"

Capitava spesso che, i loro, finissero ad essere dei match più che degli appuntamenti. Tuttavia, Kidd trovava desse un arrangiamento diverso al sesso che ne seguiva. Amava sentire un tocco di rabbia nei gesti di lei. Amava poterne mettere un pizzico nei propri. 
Amava vederla sorridere, fiera e sfinita sulle sue lenzuola, anche se significava lasciarla andare via, talvolta per settimane. 
L'unica certezza che aveva era che non sarebbe potuta durare.
"Temo che tu ti stia facendo coinvolgere troppo" gli aveva rivelato Artemis l'ultima volta "Credo che il picco di questa relazione sia finito. Le uniche due strade che possiamo prendere sono dividerci o... Beh, l'altra sarebbe certamente impraticabile.
La sua voce era diventata fredda e pragmatica, come se stesse parlando di strategia o di una di quelle sue bizzarre scienze, ma lui non le aveva dato torto. Era stato troppo orgoglioso per ribattere a quella muraglia di fatti.
"Fai come credi." l'aveva liquidata, cercando di darsi il suo stesso contegno "Senza amore e senza rancore, dico bene?"
Poi, però, quasi senza rendersene conto, si era ritrovato a cercare quei bagliori arancioni nel cielo notturno.

"Concentrazione, Capitano" lo richiamò Killer con fare serio, posandogli una mano sulla spalla "Il Nuovo Mondo non é il posto adatto per un cuore esposto."

 

   
 
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