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Autore: Rosmary    10/04/2021    5 recensioni
Raccolta disomogenea di drabble, flashfic, oneshot dedicate a Lorcan e Rose.
1. Passi
2. Di film, pancakes e calderotti
3. Nei ricordi, nel presente
4. Tornavano indietro per andare avanti
5. Imbarazzi – cose taciute
6. Al di là delle paure, noi
7. Una sorpresa per Rose
8. Galeotto fu il palloncino
9. Per le sue paure
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lorcan Scamandro, Rose Weasley
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
Capitoli:
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Spoiler Alert: il racconto è un missing moments di Paradiso perduto e contiene spoiler per chi non ha letto sino al Capitolo Undici della longfic.



Imbarazzi – cose taciute
 
 
Agosto 2022
 
Com’è crescere?”
È un po’ come smarrirsi.”
 
*
 
Rose non ricorda come sia proseguita quella conversazione vecchia di tre anni né ricorda come sia nata, ma quella frase della zia Ginny non l’ha mai dimenticata e non crede la dimenticherà in futuro.
Anzi.
La porterà con sé, ora più che mai – ora che ha un senso e che le sembra l’unica verità in un vortice di confusione.
Non sono trascorsi che quattro giorni da quando ha lasciato una parte di sé nel letto di Lorcan, eppure tutto le appare già diverso, nuovo, sconosciuto – un labirinto in cui smarrirsi è talmente facile che non ha idea di come riuscirà a orientarsi.
Non sa come dovrebbe sentirsi dopo aver vissuto un momento così intimo, sa però che non appena l’adrenalina è sfumata ha avvertito qualcosa di scomodo agitarsi dentro di lei – la paura, più che altro, di tradirsi in ogni modo possibile: con Lorcan, con James, con i suoi genitori persino.
È sciocco, ma ha la sensazione di averlo impresso su di sé, di essere cresciuta un po’ di più, di aver strappato via i residui di bambina ed essersi affacciata sul mondo degli adulti.
Sente di essersi smarrita.
Nelle bugie messe in fila con tanta cura, nei sentimenti esuberanti e confusi, nei pensieri in cui si aggroviglia controvoglia.
Mai come in questi giorni ha sentito il bisogno di confidarsi con qualcuno, ma promettere a Lorcan di dimenticare significa anche ingoiare ogni parola – con chiunque, persino (e soprattutto) con James.
 
Non volevi che dormissi con lui.”
No. È una cosa nostra.”
E se ti dicessi che è stato diverso?”
Ti chiederei perché.”1
 
Sente la testa esploderle ogni volta che quelle poche frasi rimbombano, e si sente sporca – come se lo avesse tradito –; è tutta colpa dell’omissione, si dice allora, il problema è tutto lì: mentire a James è innaturale, non l’ha mia fatto, e adesso che non può fare altrimenti pesa come un macigno.
Ma non è l’unico cui mente.
Ormai neanche ricorda più quand’è che ha rifilato la prima bugia a Lorcan, fingendo di non esserne gelosa, di nutrire per lui l’affetto che si nutre per un amico, di non volere altro – amore?
Non sa cosa significhi innamorarsi, sa però che quando Lorcan non c’è le manca terribilmente e che quando le è accanto ha sempre una voglia matta di baciarlo, toccarlo, sentirlo vicino.
Sensazioni ormai acuitesi.
È stato sufficiente il primo bacio a farle provare un’adrenalina tutta nuova, sconosciuta in precedenza, che le ha attraversato l’intero corpo e s’è impossessata di ossa, muscoli, pelle, radicata un po’ nella testa e un po’ nelle pareti più intime, capace di fagocitare ogni brandello di raziocinio e tramutarla in impulso vivo – passione?
In questi giorni le è capitato di rannicchiarsi in se stessa e abbracciarsi, chiudere gli occhi e immaginare che a stringerla fossero le braccia di Lorcan, i suoi ricci strofinarsi sulla pelle, le sue labbra sfiorarla ovunque.
S’è pentita – amaramente.
Non di aver compiuto un passo tanto importante, ma di averlo fatto nell’ombra, senza confessare a lui e a se stessa i sentimenti in esubero. Le è parso così tanto presente in quel momento – quasi innamorato – che non appena la lucidità è tornata a farle compagnia s’è chiesta se non avesse potuto osare ancora di più, non un unico passo ma cento tutti insieme.
Sospira non appena dà uno sguardo all’orario: il tempo oggi non passa mai.
Per qualsiasi altro abitante di Godric’s Hollow questa è una giornata identica a tante altre, mentre per lei è la giornata, quella dove capirà se sia all’altezza o meno del cumulo di bugie che ha messo in piedi.
Con James s’è già confrontata e ha già capito che sarà difficile, troppo, fingere che nulla sia cambiato; spera di non vacillare sino a rovesciarsi con Lorcan.
Continua a ripetersi che in fondo hanno già avuto modo di trascorrere del tempo insieme e da soli dopo, ma un tarlo malefico seguita a ricordarle che il dopo cui si appiglia altro non è che l’immediato dopo, quando razionalizzare era fuori dalla portata di entrambi e allora a spadroneggiare è stato ancora l’istinto.
Che incubo.
Perché ha invitato Lorcan a trascorrere la giornata a casa propria? E perché lui ha accettato?
Lysander è ancora trattenuto al Ministero, anche se le conversazioni origliate la inducono a sperare che l’indomani lo lasceranno libero di tornare a casa – almeno per ora –, mentre James trascorrerà l’ennesima giornata in ufficio da suo padre, nel vano tentativo di essere indotto a dire altro, confessare qualcosa, dare un senso a un episodio che seguita ad apparire privo di sensatezza.
Forse, forse avrebbe dovuto dormire un po’ di più.
Invece s’è tirata su dal letto alle sei del mattino, tormentata da un fastidio che le ha impedito il riposo e affollato la testa di immagini. Ha allora rassettato la propria camera, fatto colazione, salutato i genitori quando sono usciti per recarsi l’una al Ministero e l’altro al negozio, fatto su e giù per casa alla disperata ricerca di qualcosa da mettere in ordine.
Sono appena le nove.
E Lorcan non arriverà prima delle dieci.
“Rose, sei in camera tua?”
Sobbalzare non è mai stato così semplice. Svelta, s’affaccia oltre l’uscio della stanza e scorge la madre che s’avvicina.
“Che ci fai già a casa?”
“Mi sono liberata prima. Sono passata in ufficio solo per impartire qualche disposizione.”
“Ma perché?”
“Abbiamo un ospite, ho pensato di mettermi ai fornelli!”
Rose inarca scettica le sopracciglia, da sempre convinta che la cucina del padre sia nettamente migliore di quella della madre.
“Ma se non sai cucinare neanche un uovo.”
“Questo lo dice tuo padre,” borbotta Hermione. “A me manca solo il tempo.”
“Allora ci prepari i pancakes?”
“Posso provarci.”
Rose si apre in un piccolo sorriso – inizia a rasserenarla l’idea che ci sarà anche sua madre quando dovrà rompere il ghiaccio con Lorcan.
“Però non dire niente sul processo e su Lysander,” dice improvvisa. “Non sei rimasta per interrogarlo, vero?”
Hermione sospira, per quanto ci provi non riesce proprio a far capire alla figlia di non essere una nemica, di essere stata costretta a non opporsi a indagini e processo.
“Niente processo,” assicura. “Anch’io credo che abbia bisogno di distrarsi, li ho visti nascere, lui e Lysander, non credere che mi diverta questa situazione.”
“Lo so,” pigola Rose. “È che tu...”
“Sono il Ministro,” interviene Hermione. “Ma prima di questo sono tua madre. E poi,” aggiunge, “conosco bene Luna e Rolf, sono affezionata a loro e ai ragazzi.”
Rose annuisce con lo sguardo pensoso – a volte dimentica il legame che unisce le loro famiglie, lo stesso che le ha permesso di conoscere Lorcan in fasce, e sottovaluta del tutto il peso della rete di amicizie in questa difficile circostanza.
“È che Lorcan sta male,” tenta allora. “Vorrei solo che stesse bene.”
Hermione sospira una seconda volta e sorride in un modo che Rose non riesce a interpretare, sa solo che sua madre l’avvicina e le bacia la fronte.
“E tu stai bene?”
“Certo che sto bene.”
“Va bene,” mormora Hermione. “Lo accogli in pigiama, il tuo amico?”
“Cosa? Sono vest...”
Sbarrare gli occhi, così come sobbalzare qualche istante prima, non è mai stato così semplice.
Stupida si rimprovera.
Così impegnata a rimuginare sul tempo e su quel groviglio di sensazioni che le mozza il respiro da dimenticare di essere ancora, e tragicamente, in pigiama.
Senza preoccuparsi di dire alcunché alla madre, ma incassando irritata la sua risata, si precipita in bagno.
Calma si dice.
In fondo non capisce perché stia reagendo così. Lorcan l’avrà vista innumerevoli volte in pigiama – hanno anche dormito insieme –, però oggi è la giornata e per qualche ragione vuole che tutto sia perfetto e che soprattutto non ci sia alcun motivo di imbarazzo tra loro – riflette troppo tardi che forse ha chiesto alla madre di prepararle lo spuntino sbagliato, ma ormai è fatta e non saprebbe come ritrattare.
Non ha idea di quanto tempo sia trascorso da quando s’è chiusa la porta della stanza da bagno alle spalle a quando è rientrata in camera propria, sa però che si specchia con un certo sollievo, felice di dover solo mettere via l’accappatoio e infilare i vestiti.
A frantumare tutta la felicità è però un bussare alla porta – qualcosa le suggerisce che Hugo dorme ancora e sua madre sarebbe entrata e basta.
“Rose, posso?”
Lei non fa in tempo a boccheggiare che Lorcan sfila all’interno della stanza, mani in tasca e labbra pronte a sorridere sbilenche.
“Hermione mi ha raccomandato di bussare prima di entrare, io l’ho fatto,” ghigna, percorrendo Rose con lo sguardo. “Ormai è un’abitudine accogliermi in accappatoio, mi stai viziando.”
A Rose sfugge un sorriso al ricordo di quell’episodio vecchio di appena un mese – le sembra passato un anno.
“Non dovresti essere qui, se mia madre entrasse...”
“È impegnata in cucina, pasticcia più di te,” scherza svelto Lorcan. “Se poi vuoi che esca...”
“No,” interviene Rose. “Cioè , però… Però sei stato puntuale, bravo.”
Le sopracciglia di Lorcan si sollevano mimando un’espressione che potrebbe essere di scetticismo o di divertimento, in realtà neanche lui sa bene cosa provi dentro di sé né come interpretare il palese imbarazzo di Rose.
È pentita e non vuole più vederlo?
Vorrebbe tanto dirle che non ha dovuto impegnarsi molto per essere puntuale, l’idea di trascorrere del tempo solo con lei gli ha rubato tutto il sonno – più di quanto non facciano già la preoccupazione e i sensi di colpa per Lysander – e lo ha indotto a raggiungere Godric’s Hollow all’alba, ma deciso a non disturbare lei con il proprio umore in subbuglio ha percorso più e più volte il piccolo villaggio, bene attento a non arrivare mai in prossimità di casa sua e di James.
Perché è così difficile?
Quando hanno parlato, quella mattina, è parso tutto risolto, eppure adesso ha un tarlo nella testa che seguita a rimproverargli di non essere stato onesto con lei e che si tradirà di sicuro alla prima occasione – sarà sufficiente uno sguardo troppo malizioso, perso, per farle capire di non avere nessuna voglia di dimenticare e accantonare. Un passo alla volta, s’è detto, un passo alla volta, ma teme di non esserne capace.
E non sa chi abbia ordinato alle gambe di muoversi sino a raggiungere Rose né chi abbia detto alle mani di sfiorarle l’accappatoio – proprio come un mese addietro, quando fingere di volerle essere solo amico era meno difficile –, ma è quello che si ritrova a fare.
“Spero tu non voglia sfilarmelo, con mia madre in casa non è una grande idea.”
Le improvvise parole di Rose, venate di sarcasmo, riescono a frantumare la bolla di imbarazzo e sospensione che ha rischiato di inghiottirli. Lorcan solleva subito lo sguardo su di lei, incrociando occhi in cui brilla malizia e qualcosa che forse è confusione, forse titubanza, forse altro – non lo capisce.
“Potrei dirle che non c’è niente che non ho già visto,” scherza in risposta. “Ma neanche questa è una grande idea, giusto?”
“Si sentirebbe male!”
“E tuo padre, allora?” sghignazza Lorcan. “Chiude anche me al Ministero.”
Rose accenna un sorriso e si azzarda a sfiorargli la guancia con un bacio, arrossendo un po’ non appena sente Lorcan stringerla a sé e le sue labbra ricambiare il saluto.
“Ti aspetto fuori, fai presto.”
“Lor.”
“Cosa c’è?”
“Se fossimo stati soli, non avresti dovuto aspettarmi fuori.”
“Mi sembra il minimo, dolcezza.”
L’ironia colora le parole di entrambi, eppure i sorrisi che si scambiano hanno radici più profonde – come se ogni parola fosse una piccola verità e ogni piccola verità un passo.
Mentre si veste, Rose si domanda dove abbia racimolato l’ardire – la sfacciataggine? James le direbbe questo, ne è certa – di scacciare porzioni di imbarazzo e tensione per stemperare il silenzio ingombrante. Qualcosa però le suggerisce che essere in due a brancolare nella confusione è un buon segno, forse non s’è illusa nel credere Lorcan coinvolto – almeno un po’.
Quando poco dopo sbuca nel corridoio, Lorcan intreccia le loro dita con una naturalezza che è quella di sempre ma è anche diversa, e lei si limita a rifilargli un sorriso furbo e percorrere svelta le scale in discesa assieme a lui.
“Che puzza di bruciato,” esordisce Rose non appena si affacciano in cucina.
“Non sono bruciati, sono solo molto cotti,” ribatte Hermione. “Lorcan, hai già fatto colazione?”
“In verità no.”
“Allora la fai adesso, siediti.”
Lorcan abbozza un sorriso: la mamma di Rose riesce a essere autoritaria anche quando animata da gentilezza.
“Sembri tu quando vuoi fare la Presidentessa gentile,” sghignazza all’orecchio di Rose.
“Cretino,” borbotta lei. “Non le somiglio per niente.”
Lui reprime una risata e Rose gli strattona i ricci per puro dispetto, ridacchiando a sua volta quando lo vede ingoiare il solito e teatrale ahi.
Lorcan non ha previsto di farlo, eppure non appena si siede e sbircia lei sedersi accanto a sé allunga la mano per acciuffare la sua, le conduce entrambe sulla propria gamba e intreccia lì le loro dita – nascoste dal lungo tavolo rettangolare, al riparo dagli occhi attenti di Hermione.
Approfittando dell’inedito silenzio, Lorcan si guarda intorno come non accade spesso quando fa visita a Rose: in genere si precipitano nella camera di lei o sono troppo impegnati a parlare affinché lui possa notare i dettagli dell’ambiente circostante. Ad esempio non ha memoria della tinta chiarissima, un bianco sporco di crema, che illumina e amplia le pareti, né del pavimento in marmo né dell’ordine che vige ovunque: tra le sedie ben disposte intorno alla tavola elegantemente vestita di un tessuto altrettanto chiaro, tra le cornici disposte in una sequenza che urla simmetria, tra le finestre linde e la piccola cucina, in cui a spiccare è solo l’utile – ha la sensazione che ogni spazio sia stato ampliato dall’Incantesimo di Estensione Irriconoscibile, un tipo di magia preclusa in casa propria: sua madre ha sempre ripetuto che la terra è piena di spazio e gli oggetti servono per occuparlo tutto.
“Perché ridi?”
Stranito, si accorge di aver riso solo quando è Rose a farglielo notare.
“Abbiamo case proprio diverse,” risponde. “Siete parecchio ordinati.”
“I tuoi genitori hanno un’altra idea di ordine,” interviene Hermione, e Lorcan ha la sensazione che il sorriso conciliante camuffi un piccolo rimprovero.
“Anche mamma dice questo di te,” sghignazza allora, trattenendo a fatica un’altra risata.
“Casa tua è più bella, a me piace di più,” dice Rose. “C’è più libertà.”
“Qui non hai libertà?” chiede retorica Hermione.
“Insomma.”
“Puoi gestire il tuo tempo come meglio credi,” sottolinea la madre. “Mi sembra molto.”
Rose inarca un sopracciglio e già pronta a replicare desiste solo perché avverte le dita di Lorcan stringere un po’ di più le proprie. Si volta allora verso di lui e annuisce debolmente, sorridendo quando a sorridere è lui – ora che il ghiaccio le sembra una preoccupazione remota, a solleticarla è il fastidio per l’invadenza della madre, che non solo ha preteso di restare in casa, ma li ha anche costretti in cucina.
È una situazione così strana.
E dentro di lei pulsa il timore che il Ministro prima o poi faccia la sua comparsa. La bugia che ha rifilato allo zio Harry è un altro fardello silenzioso che porta su di sé, e non c’è notte o giorno in cui non tema che l’uomo possa dover rendere noto l’alibi di Lorcan o senta il bisogno di confidarlo ai suoi più grandi amici.
Non saprebbe come giustificarsi.
Dire a chiunque di aver trascorso una notte in giro con Lorcan non è la stessa cosa di doverlo dire ai propri genitori. In più Lorcan stesso non ha idea che la sua libertà sia legata a questo alibi – potrebbe tradirsi se colto alla sprovvista, lo sa, ma teme che dirglielo possa scaraventargli addosso altre preoccupazioni e sensi di colpa; e poi sa sin troppo bene che non avrebbe voluto coinvolgerla.
 
“E per il tuo alibi ci inventiamo qualcosa, possiamo dire che eri con me, zio Harry mi crederà.”
Non ci pensare neanche. Non ti coinvolgerò in questa merda.”2
 
Si arrabbierebbe terribilmente.
E sa che avrebbe una reazione identica, se non più furiosa, anche James se decidesse di parlarne almeno con lui.
No.
Questi pesi deve portarli lei, loro due hanno già le schiene troppo curve e i pensieri troppo affaticati.
“Eccoli qui,” dice Hermione, servendo a sorpresa anche la figlia. “Però non esagerare, hai già fatto colazione,” aggiunge guardando proprio lei.
“Non c’è rischio che esageri,” interviene Lorcan. “Mangio anche i suoi!”
“Non esagerare neanche tu,” ribatte l’adulta. “Non costringetemi a controllarvi a vista,” scherza.
“Possiamo mangiare in camera mia?”
Al pigolio di Rose, il viso di Hermione si tinge di un’espressione che i due ragazzi non riescono a decifrare – sembra impegnata a contenere un sorriso.
“Andate,” concede, adocchiando discreta il braccio della figlia sin troppo proteso verso Lorcan. “E sveglia Hugo.”
Rose non fa neanche in tempo ad annuire che Lorcan è già scattato in piedi, ha già le mani impegnate da piatti e forchette e le ha già detto di prendere il succo di zucca.
Si ritrovano soli in camera della ragazza, la porta socchiusa, solo dopo aver svegliato frettolosi Hugo – è solo lì che qualcosa cambia, o forse si desta.
Un imbarazzo – cose taciute.
A Rose esplode tutto tra le mani proprio quando ha creduto di aver superato ogni ostacolo e di aver messo entrambi al riparo da squilibri scomodi. E le è sufficiente incrociare gli occhi di Lorcan, vederlo ingoiare a vuoto prima di mordere una sola volta il pancake, per capire che sia ostaggio di sensazioni simili.
È un incubo.
Lo pensa mentre si siede sul letto accanto a lui, mentre si scambiano un sorriso privo di significato, mentre trema all’idea che sia in realtà questa la nuova dimensione del loro rapporto – silenzi e occhi sfuggenti e paure.
Piombano improvvise, e violente, le inquietudini che le hanno impedito di dormire e che l’hanno fatta sentire sollevata quando ha visto sua madre rincasare.
“Perché sei silenziosa?”
“E tu?”
Lorcan serra le labbra e incrocia gli occhi chiari di lei senza la forza di dire alcunché, mette però via il cibo – lo stomaco s’è chiuso improvviso.
Si convince svelto che le parole non possano aiutarli: qualcosa gli suggerisce che anche Rose sia impegnata a camuffare verità, e lui spera siano gemelle della propria. In uno slancio che sorprende persino se stesso, si alza in piedi e costringe lei a fare altrettanto, stringendola in un abbraccio che porta Rose ad affondare il viso nell’incavo del suo collo e lui a perdersi tra i capelli ramati.
Cosa può dire un abbraccio?
Lorcan spera tutto. Le parole gli sono ancora nemiche, così come l’ansia di perderla. A rilassarlo, però, sono sufficienti le labbra di Rose mosse in un sorriso che gli solletica la pelle.
“Stai diventando sentimentale,” ironizza lei.
Lorcan ride e si allontana dandole un buffetto giocoso sul viso – e reprime un tremore eccitato quando scorge la propria catenina al collo di Rose: che non l’abbia mai messa via, in questi giorni?
“Perché tua madre è qui?” chiede allora, deciso a mutare scenario.
“Per cucinare, almeno così ha detto.”
“Credi voglia farmi qualche domanda?”
“Non lo so,” ammette Rose. “Ma non scarto niente, dobbiamo essere vigili.”
“Sta’ tranquilla, so come rispondere.”
“Sicuro?”
“Dubiti di me?”
“Potrei.”
“Potresti?”
Rose curva le labbra in un sorriso pestifero e Lorcan senza pensarci due volte la spinge sul letto per mettersi a cavalcioni su di lei e solleticarle i fianchi.
“Lor… no… e dai… Lor!”
“Chiedi scusa!”
“No!”
“Chiedi scusa!”
“Mai!”
Lorcan sogghigna – non ha idea di quando il solletico sia tramutato in carezze, sa solo che ora Rose ansima col sorriso sulle labbra mentre lui muove le mani tra fianchi e pancia in un lento massaggio.
“Così mi piace.”
“Ah, ti piace?” chiede retorico. “Allora continuo.”
Rose non risponde, si limita a incrociarne lo sguardo e a percorrergli le spalle con le dita – e il fatto che il corpo di Lorcan non pesi su di lei quasi la irrita, vorrebbe quanta più vicinanza possibile.
Niente incubi.
Si accorge di non essere arrossita e che sul viso di lui vi sono solo scherzo e malizia, niente imbarazzo. Forse, riflette, si sono ritrovati per davvero questa volta – perché se le sue mani possono carezzarla e le proprie gambe possono sfiorare le sue senza vergogna, allora sono guariti, di nuovo in equilibrio.
Riprendono a parlare non appena Lorcan si scosta e rotola accanto a lei, con gli occhi che fissano il soffitto e ricordi piacevoli a sibilare pensieri audaci.
Le poche ore che li separano dal pranzo trascorrono in breve e Lorcan si tira su a sedere solo quando un irato “Figlio di Luna!” lo avvisa che il padre di Rose è rincasato.
Raggiungono la sala da pranzo ridacchiando, accolti proprio da Ron che fissa truce il ragazzo.
“Ronald.”
“Mi siedo,” borbotta lui, esibendo una smorfia. “Chiusi in camera, ma dove siamo arrivati?”
Ronald.
Cara, se mia figlia si chiude in camera con un ragazzo, non posso certo essere contento.”
“La porta era aperta,” obietta Rose. “E poi è Lorcan, non un ragazzo.”
“Avreste dovuto restare qui,” ribatte Ron. “E tu lo sai.”
“Sei esagerato, è il mio migliore amico...”
Ma Ron la interrompe con un gesto della mano che sembra intento a scacciare mosche.
“Questa storia del migliore amico non ha mai retto,” liquida. “I ragazzi alla vostra età hanno solo una cosa in testa.”
“Ronald, per favore.”
“E cos’è che avrebbero in testa?” chiede invece Rose. “Lor, cos’hai in testa?”
“Ricci,” risponde al volo lui. “Molti ricci.”
E se Rose e Lorcan sogghignano, Hermione scuote la testa rassegnata sbirciando le orecchie del marito arrossarsi d’indignazione.
“Non fare lo spiritoso,” intima Ron. “Ti conosco da quando avevi il pannolino, non m’inganni.”
“Ma non voglio ingannarti,” ghigna Lorcan, curandosi persino di mostrare i palmi in segno di pace. “Ho solo i ricci in testa!”
Ron assottiglia lo sguardo e addenta nervoso il boccone, provocandosi un fastidioso brivido quando i denti cozzano con la forchetta.
“Possiamo mangiare in tranquillità?” interviene retorica Hermione, il cipiglio severo smorzato dalla risata trattenuta sulle labbra.
“No, mamma, lasciali fare,” esclama a sorpresa Hugo, che sino a queste parole è parso a tutti troppo impegnato a svuotare il piatto per seguire la diatriba. “Sono uno spasso,” aggiunge, beccandosi un calcio dalla sorella e una pacca sin troppo energica da Lorcan. “Stronzi,” biascica tra i denti.
Ron incrocia lo sguardo della moglie e, occhi al cielo, si obbliga a dedicarsi al cibo – non è che Figlio di Luna non gli piaccia, a non piacergli è come ronza attorno alla figlia.
“Dov’è James?”
“Al Ministero,” risponde Hermione. “Lo sai.”
“L’ho dimenticato,” borbotta Ron. “In genere passate il tempo insieme,” aggiunge guardando i due ragazzi.
“Sì, in genere mi controlla lui,” ironizza Lorcan.
E mentre Rose e Hugo soffocano una risata, Hermione ridacchia apertamente, infastidendo il marito.
“Lorcan, devi avere pazienza,” dice proprio Hermione. “Quella che manca a Ronald.”
“E che è mancata anche a suo fratello,” sbotta istintivo Hugo, accorgendosi troppo tardi di aver raggelato l’atmosfera.
“Allora, Lorcan, ricordavo bene i tuoi gusti?” tenta la padrona di casa. “Ti piace quello che ho cucinato?”
Lorcan afferra svelto la mano tesa e, repressa la voglia di rifilare una rispostaccia a Hugo, annuisce e ringrazia. Inatteso, un aiuto a stemperare la tensione arriva addirittura da Ron, che racconta un aneddoto buffo con protagonista un cliente attempato.
Rose, però, riesce solo a fissare truce il fratello e a intimargli di zittirsi una buona volta. Sa sin troppo bene quale sia l’opinione di Hugo: Louis ha ragione e lei e James sono due traditori a non spalleggiarlo – più o meno l’opinione di chiunque in famiglia. Inoltre è sicura che tutti, tra cugini e fratelli, siano convinti che il vero responsabile sia Lorcan – a volte si chiede se sia troppo sperare che ognuno si faccia gli affari propri.
“Mi dispiace per prima.”
Rose lo mormora a Lorcan quando il pranzo è ormai terminato, i genitori di lei hanno dovuto far ritorno a lavoro, Hugo ha raggiunto Lily e loro due sono seduti sul divanetto da giardino dondolante.
Lorcan sorride e le sfiora la guancia con le dita.
“Non preoccuparti,” dice. “Non è una novità che Hugo sia dalla parte di Louis.”
“È un idiota come tutti gli altri, si fa incantare...”
“Il coglione in questo è bravo,” concede Lorcan. “Questo devo ammetterlo.”
“È ancora più bravo a fare la vittima.”
Lorcan scocca la lingua al palato in un moto di palese fastidio – a volte è tentato di denunciarsi per il solo gusto di smascherare quel damerino e vedere tutti, tutti e nessuno escluso, ricredersi, capire finalmente chi è Louis Weasley e sin dove può arrivare.
“Forse è meglio se non mi faccio più vedere né qui né da James.”
“Ma che dici?”
“Quello che non vuoi dire tu,” replica lui. “I tuoi non mi guardano come prima e fanno di tutto per non nominare Lys… A volte mi sembra che tua madre mi studi come fa Harry, o che...”
“Cosa?”
“Non lo so,” mormora Lorcan. “A dire il vero ho sempre paura che mi faccia qualche domanda,” confessa a disagio. “E poi tuo padre, ormai mi sopporta anche meno di prima.”
“Ma non è vero, a lui piaci.”
Lorcan inarca un sopracciglio e Rose abbozza un sorriso.
“Nel senso che il problema non sei tu, ma che sei un ragazzo,” spiega. “Lo farebbe con chiunque, solo con James...”
“No, non mi riferisco a quello,” interviene. “Parlo di come mi guarda, sempre con un’aria di rimprovero, anche se fa finta di niente. Per loro sono solo il fratello di quello che ha aggredito il nipote.”
“Non è così,” insiste Rose. “Sei solo troppo teso, questa situazione è… impegnativa.”
“Avrei detto una merda, ma tu sei più elegante di me.”
“Non scherzare, Lor, intendo che è troppo grande per noi, è normale che tu senta la pressione.”
Lorcan non risponde, ma accenna un debole col capo e le scocca un bacio sulla guancia.
“Comunque non m’importa di quello che pensano gli altri,” riprende Lorcan. “Mi basti tu, e James.”
“E Lysander?”
Rose lo osserva mentre china la testa e la scuote, istintiva gli massaggia la nuca nella speranza che si rilassi.
“Mi basterebbe che si tirasse via dai guai,” ammette. “Poi va bene anche se non mi parla più.”
“Bugiardo,” scherza dolcemente. “Se non ti parlasse più, daresti di matto.”
“Solo un po’,” dice con un mezzo sorriso.
Rose gli bacia la tempia e poi giù sino alla guancia, sorridendo quando sente il braccio di Lorcan circondarle le spalle.
“A Hogwarts credo che ti dirò una cosa.”
“Cosa?”
“Una cosa,” ripete lui.
“E perché a Hogwarts?”
“Perché non ho capito ancora se posso dirtela.”
“È una cosa bella?”
“Spero proprio di sì,” mormora. “Per me lo è.”
Rose non ha capito molto, anzi crede di non aver capito proprio niente di questa cosa misteriosa, ma Lorcan sembra serio – e anche un po’ teso –, decide così di non insistere con altre domande.
“Allora aspetterò.”
 
*
 
Hogwarts, circa un mese dopo
 
Sino a questo momento, Rose non ha mai realmente capito quanto sia importante essere a capo di un club scolastico – inizia addirittura a comprendere Louis e i suoi vanti di Prefetto e Capitano.
È un gran bel privilegio.
Non organizzare riunioni e tornei di scacchi né decidere l’esito dei provini, il privilegio è tutto nell’avere a disposizione un’aula ventiquattro ore su ventiquattro.
Un’aula.
Di cui possiede le chiavi e in cui nessuno studente può mettere piede senza il suo consenso.
Un luogo dove può sedersi su un banco, attirare Lorcan a sé e baciarlo sino a far mancare il respiro a entrambi senza preoccuparsi di niente e nessuno.
Ama essere Presidentessa.
“Dolcezza, vacci piano,” ghigna lui sulle sue labbra. “Non ho molto autocontrollo.”
Lei sogghigna e, strette le mani attorno al suo viso, riprende a baciarlo, mentre lui si fa sempre più vicino.
È trascorso solo un giorno da quando si sono chiariti e riappacificati, e Rose ha già pianificato le loro giornate per recuperare tutto il tempo perso – viversi di nuovo, senza silenzi né bugie.
“Rose.”
La voce di Lorcan è un mormorio e lei si scosta appena, scoprendo quegli occhi scuri impegnati a specchiarsi nei propri.
“Ricordi l’ultima volta che sono stato a casa tua?”
“Avresti dovuto dirmi una cosa, qui a Hogwarts.”
Lorcan si apre in un sorriso: come sempre, non fanno alcuna fatica a intendersi – se lui sorvola certi pensieri, lei riesce a vederli e viceversa.
“Ormai te l’ho già detta,” confessa. “Ma avrei voluto dirtela meglio.”
“E come?”
“Ancora non lo so, ma forse ti avrei detto che sono pazzo di te da molto tempo e poi, sì, avrei aggiunto che una notte con te non mi basta… Questo almeno te l’ho detto.”
Rose, lo sguardo ancorato a quello di Lorcan e le dita tremule sulle sue spalle, morde le proprie labbra curvate verso l’alto.
“Avevi ragione,” dice lei. “È una cosa bella.”
A queste parole, Lorcan non si dà neanche tempo di sorridere e la bacia con un trasporto tutto nuovo, più solido di qualche istante prima, che sa di consapevolezze ed equilibri – di cose dette e intese ritrovate.
 
 
 
 


 
1dialogo tratto da Visionari.
2dialogo tratto dal flashback del Capitolo Nove.
Note dell’autrice: in realtà dubito che qualcuno sia arrivato sin qui, ma nel caso grazie della lettura, come sempre spero abbia meritato il tempo dedicatole.
   
 
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