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Autore: Enchalott    30/08/2021    4 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Contro i Khai
 
Ishwin sfogliò con irritazione il testo che aveva preso in prestito alla biblioteca. Era stato difficile persuadere il custode, ma la promessa di una preghiera a Belker e lo spauracchio della collera divina lo avevano ammorbidito.
Passò il dito sulle pagine consunte, sulle quali l’inchiostro s’intrecciava in simboli arcaici ardui da interpretare. I fogli erano fragili e consumati, li maneggiava attenta a non danneggiarli. La conoscenza del linguaggio obsoleto era scarsa ma aveva colto il senso generale dello scritto ed era stato sufficiente per precipitare nell’inquietudine.
Quella versione del libro sacro menzionava una triplice eclissi, il che non era bizzarro: il Sole Trigemino era soggetto al fenomeno ogni diecimila anni e la ricorrenza era prossima. Gli studiosi degli astri se ne interessavano a livello scientifico, per i Khai non era che una curiosità passeggera, priva di significati reconditi. Tuttavia la naturalità dell’avvenimento era oscurata dalle lettere vergate su quel tomo.
Esisteva un riferimento all’origine dei Khai, alla leggendaria impresa di Kushan, al nefasto presagio della rovina del regno e agli aspetti divini che l’ultimo vaticinio aveva snidato, fatto che lo rendeva allarmante.
Quella sorta di profezia era uscita dalla sua bocca. Quando la nebbia era svanita, aveva ricordato per sommi capi le parole di cui era stata involontario tramite e aveva stabilito di non ignorarle. A quello aveva pensato Rhenn, refrattario a qualsivoglia manifestazione sovrannaturale, che aveva liquidato l’episodio come un accidente o un complotto.
Lei non era caduta nel tranello dell’indifferenza. Sentir nominare il signore dei Khai non era passato in cavalleria, avrebbe svolto delle ricerche. Lo aveva anticipato e necessitava del suo aiuto per decifrare il testo. Avrebbe potuto interpellare un filologo, ma desiderava che un’eventuale scoperta rimanesse loro appannaggio, per condividere con lui un altro segreto e legarlo a sé. Era necessario serrare i lacci: nelle ultime settimane lo aveva percepito distante, le visite si erano diradate e i pettegolezzi riportavano che il re lo aveva messo alle strette.
Si massaggiò le tempie per defaticare la vista. Quando riaprì gli occhi, l’Ojikumaar era sulla soglia e non pareva affatto di buon umore.
«Osi convocarmi come uno sguattero qualunque!?» tuonò sbattendo la porta.
«Non io, il sommo dio della Battaglia.»
«Ti consiglio di non provocarmi, Ishwin» s’incupì Rhenn «Oggi potrei staccarti la testa senza pensarci due volte.»
Lei versò l’akacha ignorando la minaccia. Lo fece accomodare, sciogliendo il nodo che imprigionava la chioma argentea nella seta scura e lo sentì teso come di rado accadeva.
«Mi sei mancato» gli sussurrò all’orecchio «Lascia che mi prenda cura di te.»
Tutt’altro che addolcito Rhenn la allontanò brusco.
«Che vuoi? La scusa del sesso vale quanto la presunta richiesta di Belker.»
«Un po’ di carnalità sarebbe l’ideale! O sei troppo impegnato con tua moglie e hai esaurito il vigore?»
«Non pensi che mi sia trovato un’altra? Magari meno insolente di te.»
«Sei venuto da me, no?»
Ishwin si sporse e sollevò il tomo usurato, mettendoglielo sotto il naso. Lui sospirò.
«Suppongo non sia un trattato di erotismo.»
«Mi spiace deluderti. Però potrebbe rivelarsi altrettanto interessante.»
Rhenn gettò un’occhiata al frontespizio e non fece alcuno sforzo per leggere o per dedurre il motivo per cui la pithya stesse dedicandosi al singolare passatempo.
«Cosa c’è di tanto avvincente nell’epopea di Kushan?»
«Un evidente legame con l’eclissi totale e la comparsa del signore dei Khai.»
«Ancora!? Se svolgessi le tue mansioni anziché trastullarti, magari profetizzeresti l’esigenza di un nuovo sovrano o di un incenso rituale decente!»
«È la prima volta che apro quel libro! Aiutami a leggere, non ti avrei scomodato se non fosse importante!»
Il principe alzò gli occhi al cielo, ma qualcosa lo convinse a non sottovalutare le insistenze. Scorse con rapidità le prime pagine e ammise che non si era sbagliata.
«Riesci a comprendere?»
«Ovvio, non sono bravo solo a letto.»
«Dove hai imparato a trasporre? Sono segni ormai decaduti.»
«Mi hanno rimpinzato di tante di quelle nozioni da ragazzino… chi si ricorda, capisco e basta! L’autore narra della rivolta contro gli Immortali del daama Kushan e della sua disfatta. A causa della presunzione del loro sovrano, i nostri antenati sono stati puniti e condannati alla forma attuale: privi di ali e di coda, senza il potere delle fiamme, destinati alla sete perpetua. Sostiene che abbiano conservato il sangue demoniaco come monito e che Kushan sia riuscito a trattare con gli dèi prima di soccombere. Ha giurato che nessuno dei suoi discendenti avrebbe osato sfidare il pantheon e per qualche ragione ha ottenuto la possibilità di evocare in uno di essi, il cosiddetto signore dei Khai, il potere sopito in caso di bisogno. Nessuna novità.»
«Vedrai proseguendo.»
Rhenn si reimmerse tra le colonne stilate con minuzia, avvicinando la lampada.
«In questa versione chi scrive è convinto che il pericolo presentito da Kushan si presenterà durante la trentatreesima eclissi. Invita i Khai a cercare il loro signore, cioè l’erede del sangue del supremo daama, pregando i Superiori di ridestarlo nelle vene del predestinato. In caso contrario il regno cadrà, l’equilibrio dei mondi verrà a mancare, l’universo mortale diverrà preda del caos e resterà isolato, escluso in eterno dalla protezione degli dèi. Al momento adatto sarà inviato un segno, una predizione.»
Ishwin lo fissò piena d’aspettativa.
«Non crederai a questa panzana! È la solita storia in tutte le epopee! Per noi, per l’Engesha minkari, per l’Ariun dei Salki e via discorrendo. Arriva un prescelto a cavare le castagne dal fuoco ai poveri mortali oppressi e condannati. Ma per favore! Quando siederò sul trono, eliminerò la stolta tradizione dell’enšak, così la pianteranno di cercare tracce di ali e coda in ogni maschio nato dal re!»
«Quella del dio maledetto non è affatto una leggenda! È accaduto davvero! Chiedi alla tua dolce kalhar, se non mi credi!»
«Lasciala fuori!»
«Perché ti scaldi tanto? Ti ho punto sul personale?»
«Non dire sciocchezze! Interpellare Yozora significa allarmare Mahati!»
«Ah, ho la tua attenzione finalmente!»
Il principe masticò un paio di imprecazioni.
«Se il testo e il vaticinio fossero veritieri, significherebbe che non sono io il signore dei Khai. Non consentirò che il mio ruolo venga dibattuto dai vaneggiamenti di un mito. Perciò terrai la bocca chiusa.»
Ishwin gli si accoccolò in grembo con espressione felina.
«Non lo sarebbe neanche tuo fratello, però. Né tu né lui vi siete rivelati all’enšak
«Ebbene?»
«Sei ubriaco, Rhenn? Gli dei si sono rivolti a te, l’eletto potrebbe essere tuo figlio! Non l’improbabile mezzosangue generato dal seme di Mahati.»
Gli occhi viola del principe si conficcarono nei suoi, affilati come spade.
«Inizio a capire. Eri presente alla supposta predizione e stai pensando che non sia un caso. Molto astuto ma no. No!»
«Siamo gli unici al corrente della minaccia, è logico pensare che l’erede di Kushan venga dal mio ventre. È un avvertimento, gli Immortali non agiscono senza scopo e ciò spiegherebbe l’infecondità di Rasalaje!»
«Splendida argomentazione, ma i guaritori sostengono il contrario. Prima di qualunque iniziativa, svolgerò nuovi studi. Quattro fogli mangiati dai topi non sono sufficienti a convincermi, esaminerò i testi conservati alla biblioteca reale. Sono il celebrante di Belker. Il messaggio, se tale, è rivolto a me solo.»
«Avresti ragione se a parlare fosse stato il dio della Battaglia. Sai che non è così.»
Rhenn si alzò con i nervi a fior di pelle e fece il giro della stanza, controllando gli infissi di legno e rinsaldando le cortine. Scrutò tra le ombre del soffitto e non notò nulla fuori posto. Era d’accordo con lei, ma la necessità di accertarsi dell’assenza di spie hanran era preponderante. Aveva rifiutato per rimanere inaccusabile, sebbene la prospettiva di un signore dei Khai lo turbasse. L’idea di combattere contro di lui in un momento di crisi per mantenere il diritto al trono era sconfortante, quella di rendere Ishwin madre del suo successore non abbastanza invitante.
«C’è altro che ti turba?» domandò lei retorica.
La fulminò con lo sguardo e ripensò alla richiesta della moglie: aveva acconsentito e la prospettiva della gita romantica in groppa a Delzhar lo infastidiva, tanto che aveva già scovato una serie di scuse per rinviarla. I vradak erano predatori da guerra, nessuno ne faceva un uso del genere.
Tu sì, ci hai portato la principessa salki e ti sei pure divertito!
Certo, ma era stata una punizione, una rivincita. Mosse il polso e l’ustione, che non si decideva a guarire, pizzicò sotto la bendatura.
«Mi irrita essere venuto per un nonnulla. Quando ho visto il libro, ho davvero sperato che fosse una lettura lasciva.»
«Credi di averne bisogno?» lo incitò lei.
Per tutta risposta Rhenn la sbatté sui cuscini. Tanto valeva. Ishwin iniziò a denudarsi, ma la fermò.
«No» sussurrò roco «Resistimi. Fingi di non volermi.»
«Sarà difficile, i miei sensi sono in fiamme da quando sei entrato.»
«Provaci. Rifiutami, dimmi che hai paura di me, che appartieni a un altro, che sarai sua e non mia.»
 
 
Elkira ed Eenilal abbandonarono quel mondo. Le tracce energetiche di Belker li avevano condotti al tempio di Mardan, ma erano arrivati tardi. Al contrario avevano ascoltato il dialogo tra l’Ojikumaar e l’amante, sperando carpire i piani del dio della Battaglia, magari trasmessi al suo sommo celebrante.
Avevano osservato Rhenn, colpiti dalla sua capacità interpretativa e dalla sua prontezza, pur inconsapevole di quanto scoperto. Il ruolo del suo regno e del suo popolo in quella vicenda per lui restavano un enigma.
«Ricordi la ribellione di Kushan?» domandò il dio del Buio.
«Vagamente. Mio padre Almaktti non mi ha mai assegnato compiti di contiguità con i mortali.»
«Non li conferiva a nessuno. Solo Irkalla osservava gli universi e ne decretava la fine. Conosco i fatti perché allora i daamakha mi veneravano.»
«Daamakha? Demoni del fuoco?»
«Sì, l’antico nome dei Khai. Creature a metà tra uomini e dei, guerrieri impareggiabili dalla lunga vita, però caduchi come gli esseri umani. L’incontrastato dominio di Kushan gareggiava con lo splendore del mondo eterno, ma non si erano mai verificati screzi. A scanso di sorprese seguivamo da lontano le loro ambiziose conquiste ed è stata tale diligenza a porci sul chi vive, forse a preservarci.»
«Rammento che persino mio padre si è scomodato, quando gli è stato riferito che ingaggiavano battaglia. Ambivano all’immortalità se non erro.»
«Più o meno. Quando Almaktti l’ha negata, si sono rivoltati all’ordine cosmico.»
«Non sono stati i primi e temo non saranno gli ultimi. Vivere all’infinito è nei desideri di chi non possiede la prerogativa, sebbene l’anima non muoia.»
«Kushan aveva una ragione privata. Non era un arrogante stanco di invecchiare.»
Eenilal si stupì all’apparente giustificazione.
«Una parte di me lo comprende» precisò Elkira «Sua moglie versava in condizioni disperate dopo aver dato alla luce la loro creatura. Kushan ne era perdutamente innamorato, avrebbe compiuto qualunque sacrificio pur di salvarla, persino macchiarsi della più empia forma di tracotanza. Appurato che nessun intervento umano avrebbe restituito la salute alla donna che amava, ha deciso di provvedere di persona. Il rifiuto dell’allora re del pantheon lo ha mandato su tutte le furie, così ha stabilito di procurare con la forza ciò che gli era stato negato a parole.»
«Molto triste. È stata un’ecatombe, l’atto disperato non è giovato.»
«I daamakha hanno dato del filo da torcere sia a Belker sia a me. Né la potenza del dio della Battaglia né la mia mediazione hanno ottenuto quanto auspicato, si sono fatti massacrare senza indietreggiare e per poco non ci hanno sconfitti. Il trono di tuo padre è tremato quel giorno, non ho mai visto un’ostinazione del genere.»
«Mi è nuova. Come avete fatto a respingerli?»
«È intervenuto Irkalla. Ha annientato il loro mondo per rigenerarlo. Ma prima dell’atto purificatore, Kushan ha implorato il perdono e gli ha strappato la promessa citata dal principe Rhenn.»
«Mi domando come ci sia riuscito.»
«Ce lo chiediamo tutti.»
Eenilal ponderò le ipotesi, ma nessuna lo soddisfece.
«Da quanto hai raccontato, è logico supporre che il dio della Distruzione abbia risparmiato il figlio di Kushan, divenuto capostipite dei demoni odierni. Altrimenti non si spiega come il signore dei Khai possa averne ereditato il sangue e i poteri.»
«Mh, hai ragione. Non sappiamo quando e come stabilirà di attingervi. Ha una sola possibilità, non so se è consapevole del suo retaggio latente, se conosce la pessima contingenza legata all’eclissi e se deciderà di intervenire.»
«Piuttosto mi auguro che non combatta a fianco di Belker. Fino a prova contraria i Khai sono suoi seguaci. Escludo che un essere scaltro come lui non si sia premunito, magari corrodendo la devozione riservata agli altri Superiori.»
«Non me ne parlare, Valarde è furibonda! Io stesso non ricevo preghiere da secoli, ma non c’è niente da fare. Quelle teste calde adorano la guerra e il dio che vi presiede ci sguazza. In effetti è un altro aspetto da appurare, ho maturato la convinzione che la trama intessuta da Belker sia complessa.»
«Concordo. Penso sia il caso di fare rapporto a mio fratello, inoltre vorrei capire come mai è stato categorico nell’escludere dall’indagine Irkalla, se ne sa più di noi.»
«A questo posso rispondere io» sospirò Elkira.
 
 
Amshula s’inoltrò in uno dei passaggi che conducevano ai sotterranei. Un brivido le serpeggiò lungo la schiena, alimentato dal gocciolio monocorde che filtrava dalla pietra. Il rumore strascicato dei passi le rammentò senza misericordia la prima visita alla reggia di Minkar, il giorno in cui aveva conosciuto Namta. Le mancò il fiato e dovette appoggiarsi al muro macchiato di muffa.
Danyal sollevò la fiaccola e si avvicinò zelante. Negli occhi bruni una preoccupazione superiore a quella causata dalla circostanza.
«Vi sentite bene, maestà?»
«S-sì. Un accenno di claustrofobia.»
«Mi dispiace, ma il messaggero è stato irremovibile.»
«Mi trova d’accordo. La fuga di notizie è pericolosa, posso sopportare buio e umidità per il bene del mio popolo.»
Il generale si riavviò per il cunicolo. In qualità di ex comandante della guardia reale conosceva bene i passaggi. Alcuni erano crollati a causa dell’assedio, sperò che quello imboccato fosse libero e soprattutto di non precipitare in una trappola.
«Dobbiamo fidarci senza appello» mormorò la regina, come se gli avesse letto nel pensiero «È l’unica speranza per respingere i Khai, non possiamo attendere gli esiti degli alchimisti. La città ha i giorni contati, con Namta morto l’esercito ha il morale a terra e non esiste nemico peggiore.»
«Non è brutta come sembra, mia signora» sorrise Danyal «Siete amata e rispettata quanto il re, ogni Minkari ha fiducia in voi. Io per primo.»
Amshula si rianimò, confortata dalle sue parole.
«Cercherò di meritarla.»
 
La galleria terminò con una porta intaccata dalla ruggine. La grata che occupava la parte alta del battente era oscurata da un pannello di legno marcio e il metallo della maniglia era corroso dall’ossidazione.
Danyal armeggiò con il chiavistello, il cui perno era conficcato di svariati centimetri nel muro: il congegno cedette con uno stridere sinistro, che nel silenzio assoluto suonò assordante. Le altre chiusure soccombettero, ma l’uscio restò serrato e l’uomo dovette fare forza con la spalla.
Amshula fu investita dalla corrente fredda che proveniva dalle caverne, un labirinto che sboccava all’esterno. Lo sciacquio del fiume sotterraneo riecheggiava per gli anfratti, rendendo difficile identificare i suoni. Procedette agganciata al braccio di Danyal fino al pontile traballante. Questi puntò la torcia e appoggiò le dita sull’elsa, conscio che non sarebbe valso difronte a un’imboscata.
«Il percorso termina qui, non si era parlato di barche, infatti l’ormeggio è vuoto.»
«Forse sono in ritardo o hanno rinunciato.»
«Che poca fede.»
La voce maschile penetrò l’oscurità causando loro un sussulto. Danyal levò la fiaccola e il chiarore lambì i contorni della figura incappucciata mimetizzata nella tenebra.
«Identificatevi!»
«I nomi sono più importanti dei propositi?» rise piano il nuovo arrivato.
Sollevò il capo e le fiamme si riverberarono in un paio d’occhi del colore del sangue, contornati da una spessa linea di bistro nero. La pelle mostrava una sfumatura rossa e le punte delle dita artigliate spuntavano a riposo dalle ampie maniche.
La regina avvertì il cuore scoppiare nel petto. Senza dubbio un Khai: non li aveva mai visti tanto da vicino e la circostanza la intimorì.
«S-sono Amshula» pronunciò con un filo di voce «Siete il benvenuto.»
Il demone annuì soddisfatto.
«Attendevo il comitato d’accoglienza, invece avete rispettato i patti.»
«Vale anche per voi» ribatté Danyal.
«Conoscete un Khai che manca di parola? Indicatemelo, lo giustizierò di persona.»
«Direi che le presentazioni sono ultimate» tranciò il generale minkari.
L’altro non perse tempo.
«Gli hanran sono pronti a ribellarsi alla tirannia di Kaniša, ma occorre tempo per coordinare il vostro attacco al contingente khai nell’Irravin con le azioni di rivolta a Mardan. La segretezza non snellisce le procedure. Quanto pensate di resistere?»
«Non a lungo» sospirò la regina «Questione di settimane.»
«Nel frattempo la nostra gente muore!» esclamò Danyal meno conciliante.
«Anche i miei fratelli» ribatté il demone «Non per la guerra, ma il risultato è identico. Detesto chiedervi ulteriori sacrifici, abbiamo una sola possibilità e non va sprecata. Comunicare attraverso il prasma è rischioso, i reikan potrebbero accorgersi che molti dei nostri non appartengono a un clan, sarebbe un disastro se subodorassero il complotto.»
Amshula ammise che aveva ragione.
«Faremo del nostro meglio, ma abbiamo bisogno d’aiuto. Il vostro Kharnot ha assestato un danno rilevante alle difese, siamo senza catapulte e i soldati sono esausti. Esiste un punto debole nel vostro schieramento?»
«No, il Šarkumaar non è mai stato sconfitto. Se i miei uomini operassero dei sabotaggi, precipiteremmo nell’azzardo già esposto. Non posso aiutarvi sul campo, tratterremo il principe Mahati a Mardan: senza di lui gli attacchi si attenuano, sfruttate l’opportunità per recuperare le forze.»
Danyal ragionò veloce sulla possibilità, reputandola l’unica sfruttabile.
«Contiamo su di voi.»
«Come sapremo il momento?» domandò la regina con una vena d’ansia.
«Vi darò comunicazione. Fermo restando che non è mia intenzione ribaltare le parti: Minkar tornerà libera, ma non tollererò atti persecutori contro la mia gente. Niente contrattacco, sono stanco di uccisioni e violenze.»
Sentire l’affermazione provenire dalla bocca di un demone guerriero risultò insolito. Amshula stabilì che i suoi occhi erano sinceri e decise di fidarsi.
«Ciascuno di noi si occuperà del proprio popolo, sarà come se non ci fossimo mai incontrati.»
Quello abbassò il cappuccio sulla fronte, pronto a dileguarsi, ma lei lo fermò.
«Aspettate! Il vostro principe vuole mio figlio! Come posso proteggerlo?»
«Mi dispiace. Se il Šarkumaar è intenzionato ad averlo come prigioniero, ogni singolo guerriero sta fremendo per esaudirlo.»
«M-ma non è che un bambino!»
«Nascondetelo meglio che potete, usate un sosia, travestitelo da valletto. Non pensate che la giovane età muova i Khai a compassione. Impariamo a combattere prima che a camminare, chi risulta inadatto viene estromesso dal clan, chi si rifiuta diventa uno schiavo, chi non adora Belker un emarginato, chi delude il re perde la vita. Nessuno avrà pietà del vostro erede.»
Le parole pesanti come pietre annientarono le speranze della regina, che osservò lo sconosciuto scomparire tra le ombre. Comprese il motivo che spingeva una parte dei nemici a sollevarsi contro Kaniša: i Minkari vivevano un incubo da quando la loro terra era stata invasa, per i Khai era così da sempre. La constatazione la rincuorò. Si sarebbe fidata di persone animate da sentimenti forti e radicati.
Danyal sospirò di sollievo.
«Dèi misericordiosi, quello era davvero un Khai! Se non l’avessi visto di persona…»
«A cosa alludete?»
«Ai suoi occhi, maestà. Quando gli avete parlato di Shaeta si sono accesi di sincera commozione.»
   
 
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